L'ordine europeo di indagine
Vengono esaminati gli aspetti principali della riforma dell’assistenza giudiziaria penale a seguito del recepimento della direttiva sull’ordine europeo di indagine penale, ponendone in rilievo i tratti di novità sul piano sistematico e le criticità legate all’imperfetta attuazione del principio del reciproco riconoscimento.
Con il d.lgs. 21.6.2017, n. 108, il Governo italiano ha recepito la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 41/2014/UE del 3.4.2014 in tema di ordine europeo di indagine penale (European Investigation Order – EIO), esercitando la delega conferitagli dal Parlamento con l’art. 1 della legge di delegazione europea 2014 (l. 9.7.2015, n. 114)1.
La direttiva si prefigge l’obiettivo di dar vita, attraverso il superamento del tradizionale meccanismo rogatoriale, ad «un sistema generale di acquisizione delle prove nelle cause aventi dimensione transfrontaliera», fondato sulla estensione del principio del reciproco riconoscimento anche alle decisioni giudiziarie in materia di prova, in linea con le previsioni di cui al punto 3.1.1 del Programma di Stoccolma del 2009.
L’ordine europeo di indagine è un provvedimento emesso da un’autorità giudiziaria nazionale, ovvero da questa convalidato, e diretto all’autorità giudiziaria di altro Stato utilizzando un modulo uniforme appositamente predisposto al fine del compimento di uno o più atti di indagine specificatamente disciplinati dalla direttiva e recepiti dalla normativa interna (ad es., il trasferimento temporaneo di persone detenute per l’assunzione di prove, l’audizione mediante videoconferenza, le intercettazioni di telecomunicazioni, ecc.).
Principale finalità dell’EIO è quella di snellire e velocizzare le modalità e i tempi di ricerca, acquisizione e trasferimento delle fonti di prova nello spazio territoriale dell’Unione, sostituendo le corrispondenti previsioni degli strumenti che sinora hanno regolato le forme e i meccanismi dell’assistenza giudiziaria (in particolare, la Convenzione di assistenza giudiziaria penale firmata a Strasburgo nel 1959, la Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 1990 e la decisione-quadro 2003/577/GAI sul blocco dei beni ed il sequestro con finalità probatorie).
L’attuazione della direttiva, inoltre, rende di fatto inefficaci le disposizioni della Convenzione di assistenza giudiziaria in materia penale fra gli Stati membri UE del 29.5.2000 (tardivamente attuata nel nostro ordinamento con il d.lgs. 5.4.2017, n. 522), anche se il sistema rogatoriale continuerà a disciplinare sia le richieste di assistenza relative ai settori non specificamente regolati dall’EIO (ad es., l’assistenza per l’applicazione di sanzioni amministrative e per le notificazioni degli atti di un procedimento penale o amministrativo), sia i rapporti di cooperazione fra l’Italia e gli Stati UE che non hanno aderito alla direttiva (ossia la Danimarca e l’Irlanda) e quelli fra il nostro Paese e quegli Stati che non appartengono all’Unione, come l’Islanda e la Norvegia.
L’ordine europeo di indagine non va confuso con le attività relative alla costituzione di una squadra investigativa comune e all’acquisizione di prove in tale ambito, trattandosi di forme di cooperazione diversamente disciplinate dalla decisione quadro 2002/465/GAI del 13.6.2002, anch’essa di recente attuata nell’ordinamento interno con il d.lgs. 15.2.2016, n. 34.
Nella disciplina dell’EIO si distinguono, in linea con le previsioni della direttiva europea, una procedura “attiva”, dove l’ordine di indagine europeo può essere emesso dall’autorità italiana, ed una procedura “passiva”, in cui esso viene emesso dall’autorità straniera, ma formalmente riconosciuto e posto in esecuzione da quella italiana.
Particolare rilievo assumono, anche per evidenti riflessi di carattere ordinamentale, i nuovi meccanismi di individuazione dell’autorità giudiziaria competente a ricevere, valutare ed eseguire le richieste istruttorie provenienti dalle omologhe autorità estere (ossia il Procuratore “distrettuale” della Repubblica in luogo della Corte d’appello, a norma dell’art. 4 d.lgs. n. 108/2017), all’interno di un dialogo intergiurisdizionale diretto e senza filtri, concepito secondo forme indipendenti da qualsiasi passaggio attraverso le autorità centrali (fatta salva l’opportuna previsione relativa alla trasmissione di copia dell’ordine di indagine ricevuto al Ministero della giustizia). L’ausilio che può essere offerto dall’autorità centrale ha carattere solo residuale, configurandosi nelle ipotesi in cui insorgano difficoltà relative alla comunicazione ed alla trasmissione delle richieste, secondo la previsione dell’art. 7, par. 7, della direttiva.
Scompare dunque la competenza tradizionalmente assegnata in materia di rogatorie alla Corte d’appello, poiché il riconoscimento dell’EIO avviene, con decreto motivato del p.m. presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove debbono essere compiuti gli atti richiesti, entro il termine, non perentorio, di trenta giorni dalla sua ricezione (ovvero entro il diverso termine indicato dall’autorità di emissione), mentre alla sua esecuzione deve provvedersi entro il successivo termine di novanta giorni dall’emissione del decreto di riconoscimento, nel rispetto delle forme espressamente richieste dall’autorità estera, sempre che non risultino contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Il legislatore ha dunque optato per un opportuno bilanciamento delle regole della lex fori con quelle della lex loci, che tuttavia riemergono obbligatoriamente quando si richiede il compimento di alcuni atti di indagine (operazioni sottocopertura, ritardato arresto e ritardato sequestro, intercettazioni) tassativamente elencati negli artt. 2124, per la cui esecuzione, attesa la particolare delicatezza delle operazioni, deve essere applicata unicamente la legge italiana.
Il decreto di riconoscimento viene comunicato al difensore dell’indagato, a cura della segreteria del p.m., entro il termine stabilito ai fini dell’avviso cui ha diritto secondo la legge italiana per il compimento del relativo atto, ma nelle ipotesi in cui la legge preveda soltanto il diritto del difensore di assistere al compimento dell’atto senza un preventivo avviso, il decreto è comunicato nel momento stesso in cui l’atto è compiuto o immediatamente dopo.
Ove la richiesta di assistenza riguardi atti che devono eseguirsi in più distretti, è competente il p.m. del distretto nel quale deve compiersi il maggior numero di atti, ovvero, se di eguale numero, quello nel cui distretto deve compiersi l’atto di maggior importanza investigativa. Trovano applicazione, in caso di contrasto, le disposizioni di cui agli artt. 54, 54 bis e 54 ter c.p.p. in materia di regolamentazione della competenza, con la previsione di un relativo obbligo di comunicazione all’autorità di emissione.
Nell’ipotesi in cui un ordine di indagine venga emesso, nello stesso o in altro procedimento, ad integrazione o completamento di un ordine precedente, il riconoscimento e l’esecuzione sono demandati al p.m. competente per il procedimento iniziale.
Può accadere che gli atti di indagine o di assunzione probatoria debbano essere compiuti dal giudice, perché ne ha fatto espressa richiesta in tal senso l’autorità di emissione ovvero perché così è richiesto dalla legge italiana: in tal caso il p.m. riconosce, sul piano della necessaria osservanza dei requisiti formali, l’ordine di indagine e presenta la richiesta di assistenza al g.i.p., che a sua volta autorizza l’esecuzione «previo accertamento delle condizioni per il riconoscimento dell’ordine di indagine».
Nella relazione illustrativa si sottolinea che al giudice è attribuito non il ruolo di mero esecutore della richiesta, ma un controllo, non di tipo meramente formale, circa la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’ordine di indagine. Pur non essendo espressamente indicati i presupposti del riconoscimento, il sindacato del giudice dovrà estendersi non solo sulla eventuale ricorrenza dei motivi di rifiuto tassativamente elencati nell’art. 10 (ad es., incompletezza o erroneità delle informazioni contenute nell’ordine; immunità e rischi di pregiudizio alla sicurezza nazionale, violazione del divieto di bis in idem, situazioni di incompatibilità con il rispetto dei diritti fondamentali e con gli obblighi sanciti dall’art. 6 TUE e dalla Carta di Nizza, ecc.), ma anche sul necessario rispetto del principio di proporzione previsto dall’art. 7, che costituisce il vero “fondamento invisibile” del nuovo sistema di cooperazione, poiché volto ad evitare che la raccolta transnazionale delle prove avvenga sulla base di un bilanciamento non ragionevole tre le esigenze di accertamento dei fatti e i diritti della persona coinvolta nel procedimento.
A tale riguardo il giudice, ed ancor prima il p.m., ove l’intervento del giudice non venga espressamente richiesto, dovranno verificare se dalla esecuzione delle attività istruttorie oggetto dell’EIO possa derivare un sacrificio ai diritti e alle libertà (dell’imputato, dell’indagato o di altri soggetti coinvolti dal compimento degli atti richiesti) non giustificato dalle esigenze investigative e probatorie del caso concreto, tenendo conto della gravità dei reati per i quali si procede e della pena per essi prevista3.
Salvo che non sia diversamente disposto, il g.i.p. provvede all’esecuzione in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 127 c.p.p., osservando le forme espressamente richieste dall’autorità di emissione, a condizione che esse non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
Di particolare rilievo appare, sotto un diverso ma connesso profilo, la possibilità di procedere all’esecuzione congiunta dell’ordine di indagine, essendo consentito all’autorità di emissione di parteciparvi direttamente, sulla base di modalità previamente concordate con il p.m., anche al di fuori delle ipotesi in cui le autorità interessate decidano di promuovere la costituzione di una squadra investigativa comune (applicando, in tal caso, le pertinenti disposizioni contenute nel d.lgs. n. 34/2016).
Un complesso sistema di obblighi informativi regola – anche al fine di rimuovere, se possibile, la presenza di eventuali condizioni ostative, ovvero di consentire la presentazione di una nuova richiesta, la sua integrazione o addirittura il ritiro dell’EIO – le forme del dialogo fra le autorità direttamente interessate, attraverso un intenso scambio di comunicazioni circa l’avvenuta ricezione dell’ordine di indagine, l’esistenza di motivi di rifiuto, il deficit di proporzionalità o l’eventuale ritardo nell’esecuzione.
Nel caso in cui l’atto di indagine richiesto o il mezzo di ricerca della prova non siano previsti o consentiti dalla legge nazionale, ovvero non appaiano conformi al principio di proporzione, il p.m. è chiamato a sperimentare, previa comunicazione all’autorità di emissione, la possibilità di un’alternativa interna compatibile sul piano probatorio, attraverso uno strumento diverso da quello indicato dallo Stato emittente, ma comunque idoneo al raggiungimento del medesimo scopo.
Al riguardo, la relazione illustrativa chiarisce che l’obbligo informativo gravante sull’autorità interna è volto a consentire all’autorità di emissione di ritirare o di integrare l’EIO originariamente emesso. Ne discende che solo all’esito di opportune consultazioni volte a concordare l’eventuale adozione di uno o più atti equipollenti può configurarsi il motivo di rifiuto incentrato sull’impossibilità di eseguire l’attività richiesta.
Sono tuttavia previste alcune ipotesi, tassativamente elencate dall’art. 9, co. 5, per le quali – fatta salva sempre la possibilità che ricorra uno dei motivi di rifiuto e restituzione previsti in linea generale dall’art. 10, co. 1– l’autorità giudiziaria italiana deve comunque dar corso all’esecuzione dell’EIO, senza effettuare controlli sul rispetto del principio di proporzionalità. Si tratta, in particolare, dei casi in cui l’esecuzione dell’ordine di indagine abbia ad oggetto:
a) l’acquisizione dei verbali di prove di altro procedimento;
b) l’acquisizione di informazioni contenute in banche dati accessibili all’autorità giudiziaria;
c) l’audizione della persona informata dei fatti, del testimone, del consulente o del perito, della persona offesa, nonché della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato presenti nel territorio dello Stato;
d) il compimento di atti di indagine che non incidono sulla libertà personale e sul diritto all’inviolabilità del domicilio;
e) l’identificazione di persone titolari di uno specifico numero telefonico o di un indirizzo di posta elettronica o di un indirizzo IP.
Deroghe al motivo di rifiuto basato sul requisito della doppia incriminazione sono previste, analogamente alla “previsione-pilota” a suo tempo introdotta per il m.a.e. dall’art. 2 della decisione quadro 2002/584/GAI, in rapporto ad una serie di ipotesi di reato puntualmente elencate nell’art. 11. Si tratta, in particolare, di un catalogo che ricomprende tipologie di illeciti, punibili nello Stato di emissione con una pena di almeno tre anni di detenzione, considerati di gravità tale da giustificare di per sé, in via prioritaria, la raccolta delle prove attraverso uno strumento di assistenza governato dal principio del mutuo riconoscimento.
Ulteriore deroga al principio generale della doppia incriminabilità è introdotta, in attuazione dell’art. 11, par. 3, della direttiva, nell’ipotesi in cui l’EIO sia stato emesso in relazione a violazioni tributarie, doganali o valutarie, poiché in tali casi l’esecuzione non può essere rifiutata per il fatto che la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte, o per il fatto che la legislazione italiana in materia tributaria, valutaria o doganale è diversa da quella dello Stato di emissione.
Il trasferimento dei risultati probatori delle operazioni compiute (verbali di atti, documenti e cose oggetto della richiesta, nonché i verbali di prove o gli atti acquisiti in altro procedimento) avviene a cura del p.m. “senza ritardo”, senza che vi sia, cioè, alcuna significativa frattura sul piano temporale tra il momento dell’acquisizione e quello del conseguente trasferimento all’autorità di emissione, che deve essere posta in condizione di celebrare in tempi brevi lo svolgimento del processo per il quale è stata richiesta assistenza. Analoga celerità, del resto, è prevista nelle ipotesi di concelebrazione dell’attività di acquisizione probatoria ovvero di costituzione di una squadra investigativa comune, poiché in tali evenienze si consente che il trasferimento avvenga attraverso la consegna immediata alle autorità competenti dello Stato di emissione che partecipino all’esecuzione dell’EIO. In ogni caso, della trasmissione deve essere data attestazione in forma scritta.
Il legislatore non ha previsto appositi strumenti di impugnazione, fatta salva l’ipotesi in cui l’ordine di indagine abbia ad oggetto il sequestro probatorio. Le questioni concernenti la nullità ed inutilizzabilità dei mezzi di ricerca della prova attengono dunque al merito dell’atto assunto e, come tali, devono essere fatte valere con i mezzi di impugnazione al riguardo predisposti nell’ordinamento dello Stato di emissione.
Tuttavia, al fine di non sottrarre a qualsivoglia controllo di legittimità il rispetto dei presupposti e delle condizioni degli atti esecutivi, è stata introdotta la possibilità di attivare un rimedio impugnatorio volto a contestare la legittimità del decreto di riconoscimento attraverso una opposizione – priva, però, di effetto sospensivo dell’esecuzione dell’EIO e della trasmissione dei risultati delle attività compiute – che l’indagato ed il suo difensore, entro il termine di cinque giorni dalla comunicazione dell’atto investigativo oggetto del decreto (prevista ove la legge processuale riconosca il diritto di avviso al difensore), possono presentare al g.i.p., il quale decide con ordinanza dopo aver acquisito il parere del p.m., sulla base di un contraddittorio solo “cartolare”, senza che si renda necessario il rispetto di particolari formalità procedimentali. Rientrano nell’oggetto di tale impugnazione gli stessi fattori ostativi che legittimano il rifiuto dell’esecuzione dell’atto investigativo, ivi compreso il test di proporzionalità, non le questioni di merito che attengono alla specifica rilevanza probatoria dell’atto nelle sequenze proprie del procedimento instaurato dinanzi allo Stato di emissione.
Il p.m. è tenuto ad informare senza ritardo l’autorità emittente della decisione assunta dal g.i.p.: in caso di accoglimento dell’opposizione il decreto di riconoscimento viene annullato e non si dà luogo all’esecuzione dell’ordine di indagine. Il p.m., comunque, può decidere di non trasmettere i risultati delle attività compiute qualora possa derivarne grave e irreparabile danno alla persona indagata, all’imputato o alla persona comunque interessata dal compimento dell’atto. Uno specifico e più ampio mezzo di impugnazione è previsto per la sola ipotesi dell’EIO avente ad oggetto il sequestro con finalità probatorie: in tal caso, infatti, l’indagato o l’imputato, il suo difensore, la persona alla quale la prova o il bene sono stati sequestrati e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre un’opposizione sulla quale il g.i.p. provvede in camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 c.p.p. Avverso tale decisione è possibile proporre, entro il termine di dieci giorni dalla sua comunicazione o notificazione, ricorso in cassazione per violazione di legge. Il ricorso, esperibile dal p.m., dall’indagato o dalle altre persone su indicate, non ha effetto sospensivo e la Corte di cassazione provvede, in camera di consiglio, entro il termine ordinatorio di trenta giorni dal ricorso.
Nella speculare ipotesi in cui il sequestro probatorio sia oggetto di un ordine di indagine emesso dall’autorità italiana nell’ambito della procedura attiva, è possibile proporre istanza di riesame ex art. 324 c.p.p., oltre ai mezzi ordinari di impugnazione di cui agli artt. 322-bis e 325 c.p.p., in linea con il quadro di principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità riguardo alle forme di tutela attivabili per l’esecuzione all’estero di una rogatoria avente ad oggetto un sequestro probatorio, in quanto tale basata su un provvedimento, sia pure solo implicito, dell’autorità interna4: ciò che giustifica, secondo l’interpretazione giurisprudenziale avallata dal legislatore, la proponibilità di un’istanza di riesame dinanzi all’autorità italiana, unica competente a valutare la sussistenza delle condizioni legittimanti l’adozione e il mantenimento della misura, salvi gli ulteriori rimedi eventualmente esperibili secondo le regole stabilite dall’ordinamento dello Stato richiesto dell’assistenza.
Competenti alla emissione dell’EIO, che deve essere trasmesso direttamente all’autorità di esecuzione, sono tanto il p.m., nel corso delle indagini preliminari, quanto il giudice, nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale. Il giudice dovrà procedere “sentite le parti”, dunque previa formale interlocuzione delle stesse – eventualmente nel corso di un’udienza già fissata – ma senza l’obbligo di un preventivo deposito degli atti da parte dell’istante.
Il campo di applicazione della disciplina riguarda non soltanto il procedimento penale, ma anche quello per l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, mentre l’innovazione di maggior rilievo è quella che (art. 31), pur tenendo ferma la scelta di escludere le investigazioni difensive dall’ambito di operatività dell’EIO, attribuisce alla difesa la facoltà di chiedere, con istanza motivata al p.m. ovvero al giudice, a seconda della fase in cui versa il procedimento penale, l’emissione di un ordine di indagine, cui il primo risponderà (in caso di rigetto) con un decreto motivato e il secondo con ordinanza, dopo aver sentito le parti: la richiesta deve essere motivata, a pena di inammissibilità, circa l’indicazione dell’atto d’indagine o di prova che ne costituisce l’oggetto e i motivi che ne giustificano il compimento o l’assunzione.
Non è prevista, in caso di diniego, la possibilità di un’opposizione al giudice, salvo che la richiesta abbia ad oggetto un provvedimento di sequestro, poiché in tal caso dovrà applicarsi la specifica disciplina prevista dall’art. 368 c.p.p.
L’EIO – il cui contenuto deve descrivere, sulla base di un modulo appositamente allegato al decreto legislativo, l’oggetto e le ragioni della richiesta di indagine, il fatto per cui si procede, le norme di legge che si assumono violate e il tipo di atto investigativo o probatorio richiesto – deve essere tradotto nella lingua ufficiale dello Stato di esecuzione (ovvero in quella appositamente indicata dalla competente autorità estera) ed è trasmesso direttamente all’autorità di esecuzione, avvalendosi del supporto dell’autorità centrale – ossia del Ministero della giustizia – solo nei casi indispensabili, ossia «se necessario».
L’autorità giudiziaria italiana può chiedere di partecipare direttamente all’esecuzione dell’ordine di indagine, accordandosi con l’autorità estera competente circa le modalità di compimento dell’atto ed informandola specificamente dei diritti e delle facoltà riconosciuti dalla legge alle parti e ai loro difensori; il p.m., in particolare, può far partecipare direttamente uno o più ufficiali di polizia giudiziaria e può altresì promuovere la costituzione di una squadra investigativa comune secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 34/2016.
Ricevuta la documentazione delle attività compiute all’estero, l’autorità giudiziaria (giudice o p.m.) che ha emesso l’ordine d’indagine deve comunicarne alle parti ed ai difensori l’esito nei casi e nei modi previsti dall’ordinamento processuale.
Il regime ordinario di utilizzabilità processuale degli atti di indagine e delle prove assunte all’estero a seguito di un ordine europeo di indagine è integrato attraverso l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento dei seguenti atti acquisiti o compiuti all’estero in sua esecuzione:
a) i documenti;
b) i verbali degli atti ai quali i difensori hanno assistito potendo esercitare le facoltà riconosciute alla difesa dall’ordinamento italiano, ivi compresi gli atti assunti con incidente probatorio;
c) i verbali degli atti non ripetibili.
È poi richiamata la disciplina prevista dall’art. 512 bis c.p.p. circa le dichiarazioni rese all’estero anche a seguito di rogatoria internazionale, che vengono sottoposte al medesimo regime di lettura, fatta salva ovviamente l’ipotesi degli atti assunti in incidente probatorio, che sono invece raccolti nel fascicolo del dibattimento anche quando assunti con l’ordine di indagine.
La disciplina delle intercettazioni è stata articolata sulla base di quattro distinte ipotesi di collaborazione: due per la procedura passiva (artt. 23 e 24), a seconda che sia necessaria l’assistenza tecnica dello Stato o che debba procedersi solo alla notifica dell’attività, imminente o in corso; due per la procedura attiva (artt. 43 e 44), egualmente distinte (assistenza o mera notifica) a seconda che risulti necessaria o meno la collaborazione tecnica dello Stato membro richiesto.
Presupposto comune ad esse è che l’attività di intercettazione sia già stata autorizzata dall’autorità giudiziaria competente dello Stato membro richiedente. Alla richiesta di assistenza tecnica proveniente dall’omologa autorità estera corrisponde il riconoscimento da parte del Procuratore distrettuale, previo vaglio di ammissibilità secondo le condizioni previste dal diritto interno. Non si tratta di un riconoscimento solo formale, poiché il p.m. deve specificamente verificare che siano indicati gli elementi formali e tecnici necessari allo svolgimento delle operazioni, ivi comprese la durata delle operazioni ed i motivi che rendono necessaria l’attività richiesta. Una volta riconosciuto l’ordine è trasmesso al g.i.p., che può rifiutarne l’esecuzione sia per i motivi ostativi indicati in linea generale dall’art. 10, sia nel caso in cui ritenga insussistenti le condizioni di ammissibilità “interne” previste dall’art. 266 c.p.p. o da altre pertinenti disposizioni (come l’art.13 d.l. 13.5.1991, n.152). Il rifiuto dovrà essere comunicato dal p.m. all’autorità di emissione, che potrà perfezionare la richiesta con ulteriori elementi di conoscenza e descrizione.
In ordine alle attività di intercettazione richieste dall’autorità nazionale va segnalato che la direttiva 2014/41/UE impone obblighi di preventiva ed immediata informazione ogni qual volta si abbia notizia che l’apparecchio o la persona oggetto di controllo si trovi sul territorio di altro Stato UE, con la rilevante conseguenza che lo Stato informato può esigere che l’intercettazione non sia effettuata o sia conclusa qualora venga considerata contraria al diritto interno. I risultati delle intercettazioni potranno essere utilizzati alle condizioni stabilite dall’autorità estera, ma l’uso processuale del materiale raccolto non deve ritenersi precluso in difetto di una comunicazione in tal senso da parte dello Stato informato.
Qualora sia necessaria l’assistenza tecnica da parte dello Stato di esecuzione l’EIO deve essere emesso dal p.m. secondo un modulo appositamente predisposto e le modalità di esecuzione dell’operazione sono concordate fra le rispettive autorità. L’attività richiesta, anche se promossa dal p.m., presuppone comunque la preventiva emissione, da parte del g.i.p., di un provvedimento di autorizzazione alle operazioni, del quale deve essere fatta espressa menzione nell’ordine di indagine (art. 43, co.2, lett. a). Sarà pertanto sempre il g.i.p., come specificato nella relazione illustrativa, a verificare i presupposti della richiesta in base alla disciplina interna, mentre il p.m. dovrà integrare la richiesta formulata sulla base dell’autorizzazione giudiziale con l’indicazione dei motivi per cui considera l’atto di indagine utile al procedimento penale e con le informazioni necessarie ai fini dell’identificazione della persona da intercettare e della durata delle relative operazioni.
L’ambito di applicazione dell’EIO può ricomprendere, anche nella fase attiva, tutti gli atti di indagine e di ricerca della prova espressamente indicati nel capo III (ad es., il trasferimento temporaneo in altro Stato membro di persone detenute nello Stato, l’audizione mediante videoconferenza, le richieste di operazioni sottocopertura ovvero di intercettazione di telecomunicazioni, ecc.).
Non potrà avere ad oggetto, invece, alcune attività rilevanti come la raccolta di prove attraverso la costituzione di squadre investigative comuni (poiché diversamente regolate dal d.lgs. n. 34/2016) o la teleconferenza (la cui assunzione è prevista solo in fase passiva ex art. 19), né l’esecuzione delle richieste di osservazione transfrontaliera o le tipologie di sequestro diverse da quello probatorio (disciplinate, in particolare, dal d.lgs. 15.2.2016, n. 35, relativo alla esecuzione dei provvedimenti di blocco dei beni, dal d.lgs. 7.8.2015, n. 137, riguardante il riconoscimento reciproco delle decisioni di confisca e dal d.lgs. 29.10.2016, n. 202, recante attuazione della direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea), mentre per le notifiche di atti processuali (fatte salve quelle direttamente funzionali all’atto di indagine da compiere all’estero) e per l’attività di scambio spontaneo di informazioni tra autorità giudiziarie continueranno ad applicarsi le pertinenti disposizioni pattizie (ossia, rispettivamente, gli artt. 5, 6 e 9 del d.lgs. 5.4.2017, n. 52, recante l’attuazione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria penale fra gli Stati UE del 29 maggio 2000, ovvero, qualora tale strumento non risulti ancora applicabile, gli artt. 46 e 52 della Convenzione di attuazione degli Accordi di Schengen del 19.6.1990).
Pur attuando in modo coerente le indicazioni della direttiva, l’intervento legislativo presenta margini di ambiguità nella previsione di strumenti impugnatori di dubbia utilità pratica (art. 13), oltre a limiti oggettivi di funzionalità, connaturali all’assenza di una disciplina europea volta a stabilire in modo uniforme le regole di ammissibilità delle prove, privilegiando la scelta di affidare l’esecuzione degli atti di ricerca della prova a criteri “elastici”, dunque inevitabilmente incerti, di contemperamento delle diverse sensibilità nazionali, attraverso il ricorso al principio di proporzionalità, ovvero a clausole di salvaguardia degli spazi operativi delle regole della lex loci, la cui persistenza entra inevitabilmente in contrasto con la sostanza del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
1 Ponti, C., Riforma dell’assistenza giudiziaria penale e tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento italiano. Dalla legge n. 149 del 2016 al recepimento della direttiva 2014/41/UE, in www.lalegislazionepenale.eu, 2.10.2017, 1 ss.
2 Selvaggi, E., Trasmissione diretta senza passare per il Ministero, in Guida dir., 2017, fasc. 25, 47 ss.
3 Daniele, M., L’ordine europeo di indagine penale entra a regime. Prime riflessioni sul d.lgs. n. 108 del 2017, in Dir. pen. cont., 2017, fasc. 78, 4 ss.
4 Cass. pen., S.U., 16.4.2003, n. 21420, in CED rv. n. 224184.