L'organizzazione dell'Impero persiano e l'eredita assira
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, edizione in 75 ebook
Nel corso di pochi decenni, l’Impero persiano ottiene il controllo sulla maggior parte del Vicino Oriente. Creato da Ciro (sovrano dal 558 al 530 a.C.), esso entra in una nuove fase formativa durante il regno di Dario (sovrano dal 522 al 486 a.C.), il primo re della dinastia degli Achemenidi, che lo dota delle strutture amministrative e della base ideologica che ne caratterizzeranno l’evoluzione fino alla conquista macedone. Lontano dall’essere un’entità politica sui generis segnata da concetti specificamente iraniani e persino zoroastriani, l’Impero persiano oggi si rivela agli studiosi come uno stato fedele alle sue radici vicino-orientali e in particolare alle sue origini nella simbiosi culturale tra Persiani ed Elamiti che si viene a formare nel corso del VI secolo a.C. nell’Iran occidentale.
Le vittorie di Ciro (sovrano dal 558 al 530 a.C. ca.) sui Medi (probabilmente nel 550 a.C.), su Urartu e sul Regno di Lidia (entrambe avvenute intorno al 544 a.C.) e soprattutto su Babilonia (539 a.C.) rendono i Persiani la forza dominante nel Vicino Oriente. Il caso di Babilonia, particolarmente ben documentato, dimostra quali strategie i Persiani adottino per rendere sicure le proprie conquiste: essi cercano essenzialmente la collaborazione sistematica delle élite locali, lasciando al proprio posto governatori e funzionari del regime precedente e guadagnandosi in questo modo la loro lealtà. A questa strategia i Persiani devono la loro reputazione di conquistatori tolleranti e permissivi nei confronti di costumi e religioni altrui (un’immagine che si trova soprattutto nelle opere di storiografi greci).
Dopo la conquista di Babilonia, Ciro rivolge le sue mire espansionistiche verso le zone ad est dell’Iran, partendo dal cuore del nuovo Impero collocato nell’Iran occidentale, e, stando alle fonti greche, morendo in battaglia. Suo figlio e successore, Cambise (sovrano dal 530 al 522 a.C.), si muove contro l’unico potenziale avversario rimasto che potrebbe rappresentare una minaccia per l’Impero persiano, cioè l’Egitto, e lo sconfigge con l’aiuto di una flotta fornitagli dai suoi vassalli fenici. Nel trattare gli Egiziani Cambise segue il modello di suo padre, cerca cioè il supporto dei ceti alti della società rispettando i costumi e la cultura locali (solo testi egiziani più tardi e una tradizione greca lo presentano come un pazzo sacrilego). Mentre egli si trova in Egitto, in Persia scoppia una rivolta, che il re non può affrontare perchè la morte lo coglie durante il viaggio di ritorno dall’Egitto. Un nobile persiano, Dario (sovrano dal 522 al 486 a.C.), riesce infine a prendere il potere.
Il nuovo re si propone come legittimo successore di Ciro e Cambise, pur non avendo legami di parentela con questi ultimi. Ciononostante egli riesce a stabilizzare la situazione politica nell’Impero; inoltre, attua una serie di importanti riforme amministrative e fiscali e l’ideologia imperiale che si sviluppa durante il suo regno contribuisce a dare all’Impero persiano la forma che essenzialmente avrà fino alla sua fine.
La storia politica dell’Impero persiano (o achemenide, secondo il nome di un antenato di Dario) nel V e IV secolo a.C. è nota solo in parte. Dario riesce a conquistare alcune isole nell’Egeo occidentale e anche svariate regioni collocate nella parte più orientale dell’Impero (India) passano sotto il suo controllo. I Persiani riescono a domare, seppure a fatica, la rivolta delle città ioniche. La campagna contro le città greche della terraferma invece, prima fra tutte Atene, finisce con la famosa sconfitta persiana nella battaglia di Maratona. Nel cuore dell’Impero Dario fa costruire, o rinnovare, le due principali città reali: la vecchia capitale dell’Elam, Susa, e Persepoli, una città di nuova fondazione nell’Iran centrale. L’evento chiave del regno di Serse (sovrano dal 486 al 465 a.C.), figlio e successore di Dario, è l’insurrezione babilonese nel 484 a.C. Secondo la tradizione storiografica greca il re persiano reagisce con violenza e arriva a distruggere il tempio principale di Babilonia. Alcuni studiosi hanno invece messo in discussione l’immagine molto negativa che le fonti greche danno di Serse, sostenendo che il re non sia stato realmente colpevole dei sacrilegi e delle crudeltà che gli vengono attribuiti. Un recente studio delle tavolette babilonesi coeve ha infine dimostrato che le rappresaglie persiane comportano in effetti notevoli sofferenze soprattutto per i templi e le élites delle città babilonesi del nord, sacerdoti inclusi. È probabile che proprio questi ceti siano stati considerati colpevoli di una politica antipersiana. Ad ogni modo le conseguenze sono gravi: le vecchie élites urbane, che sono riuscite a mantenere la loro posizione privilegiata nonostante il crollo dell’Impero neobabilonese, perdono la loro preminenza e sono sostituite da “uomini nuovi” e da gruppi, spesso di origine non-babilonese, di provata lealtà ai Persiani. Serse riesce in questo modo a stabilizzare il suo dominio sull’Impero ereditato dal padre, ma non lo ingrandisce; il suo fallimento più clamoroso è legato al tentativo di conquistare la Grecia (480-479 a.C.). Questa campagna ha importanti risvolti per la storia greca, soprattutto in vista dell’ascesa di Atene. Ma è in particolare determinante per lo sviluppo dell’immagine che i Greci hanno di se stessi come campioni di libertà e cultura contro il barbaro asiatico (rappresentato dai Persiani) – un modello che funziona inoltre fino ai giorni nostri nella forma di una dicotomia fra l’Europa e l’Asia (occidentale). In realtà, la sconfitta subita in Grecia, quasi oltre i confini del mondo conosciuto (e civilizzato) nella prospettiva vicino-orientale, è stata molto meno drammatica per gli equilibri dell’Impero persiano di quanto la storiografia greca ci vuole far credere.
Serse viene ucciso durante una rivolta di palazzo, una fine che tocca anche ad altri re persiani. Le successioni al trono vengono quasi sempre contestate. Fra le varie congiure, ribellioni e lotte intestine si annovera anche il tentativo di Ciro il Giovane di impossessarsi del trono di suo fratello Artaserse II (sovrano dal 404 al 359 a.C.). La campagna fallita di Ciro contro Artaserse è immortalata nell’Anabasi, opera dello storico ateniese Senofonte che la vive in prima persona come mercenario greco impiegato nell’esercito di Ciro.
L’instabilità interna non impedisce ai Persiani di mantenere più o meno intatto il loro ingente territorio. Durante il regno di Artaserse I (sovrano dal 465 al 424 a.C.) scoppia una rivolta in Egitto (in parte su istigazione ateniese), mentre una seconda rivolta sorta durante il regno di Artaserse II viene domata da Artaserse III (sovrano dal 359 al 338 a.C.); anche altre parti dell’Impero, soprattutto ad ovest, si sollevano durante i regni di Artaserse II e di Artaserse III senza tuttavia riuscire a liberarsi definitivamente dal giogo persiano. La storiografia greca presenta la storia dell’Impero persiano nel periodo successivo a Dario I come una fase di declino più o meno ininterrotto – un declino accompagnato da una crescente decadenza del re e della classe dominante dell’Impero. Quest’immagine è tendenziosa e mira a soddisfare le esigenze di un pubblico greco; nulla nelle fonti orientali suggerisce una crisi permanente dell’Impero persiano, come invece vogliono far credere ai loro lettori gli storiografi greci; anzi, l’Impero persiano ha la capacità, senza dubbio eccezionale, di resistere alle tendenze centrifughe e alle minacce esterne per quasi due secoli. Solo con Alessandro il Macedone incontra un avversario che non riesce a respingere.
Informazioni dettagliate sulla struttura amministrativa dell’Impero persiano e sulla sua base socio-economica e culturale sono reperibili da fonti di attendibilità molto diversa. Lo studio dell’Impero persiano richiede l’interpretazione critica di un’ampia gamma di fonti scritte in varie lingue e scritture, un’impresa tuttavia necessaria se si vuole ricostruire il variegato mosaico costituito dal primo impero veramente multiculturale del Vicino Oriente e a tutti gli effetti una delle sfide più complesse (e affascinanti) che ci pone la storia antica. Tradizionalmente gli storici greci, soprattutto Erodoto, Senofonte e Ctesia, sono considerati le fonti principali per questo periodo. Ma, come si è già detto, le notizie sull’Impero persiano tramandateci dalla letteratura greca, nonostante la loro innegabile importanza, trattano esplicitamente o implicitamente soprattutto temi di rilevanza immediata per il pubblico greco, a cui sono indirizzate: nessuno storico greco intende produrre un’opera storiografica disinteressata e oggettiva. Le loro informazioni sono utilizzabili solo dopo esser state sottoposte a una lettura critica che ne rivela l’intenzione autoriale e le varie componenti retoriche, persino polemiche, che sono parte costitutiva dello sfondo letterario e culturale a cui si ispirano gli autori greci. Le fonti che hanno la loro origine nello stesso Impero persiano sono meno problematiche dal punto di vista della loro attendibilità, ma dall’altra parte mettono in evidenza solo alcuni aspetti della realtà storica. Le iscrizioni reali persiane sono la migliore fonte d’informazione per l’ideologia reale, anche se trasmettono una visione idealizzata ed eccessivamente uniforme dell’Impero persiano, mentre fanno poco riferimento ad avvenimenti di interesse generale e alla storia politica in particolare. Testi babilonesi, egiziani, elamiti e aramaici, cioè provenienti dalle diverse aree dell’Impero, preservati in gran numero, sono essenziali per una ricostruzione della vita economica e sociale del periodo. Lo studio di questa documentazione ha fatto molti progressi negli ultimi anni, ma la visione che ne risulta è purtroppo ancora molto frammentaria. Di fatto sembra quasi impossibile comporre un quadro d’insieme dello sviluppo socio-economico dell’Impero persiano vista la grande varietà che emerge dallo studio delle fonti orientali. Fra queste emerge per la sua ricchezza un archivio di migliaia di tavolette elamite e aramaiche trovato nel palazzo di Dario I a Persepoli. Questi testi hanno la loro origine nell’amministrazione centrale dell’Impero nella fase della sua formazione. Rappresentano dunque una fonte d’informazione di prim’ordine per la ricostruzione della struttura dell’Impero e della vita socio-economica e religiosa nel suo centro, la zona di origine degli stessi Persiani.
Nel passato, le radici culturali dell’Impero persiano sono state cercate soprattutto nell’eredità indo-iraniana dei Persiani e nel loro contatto con i Medi, secondo il paradigma erodotiano della translatio imperii dagli Assiri ai Medi e dai Medi ai Persiani. È però ormai accertato che i Medi, non avendo mai creato uno stato centralizzato, possono aver trasmesso ben poche delle strutture amministrative e culturali che caratterizzano sia l’Impero assiro che quello persiano. Le similitudini fra questi due imperi sono in parte dovute a sviluppi analoghi, condizionati da un identico panorama geografico, tecnologico ed economico. In parte si tratta di reali eredità assire trasmesse ai Persiani su mediazione babilonese: dell’influenza assira sull’Impero babilonese si è già parlato. Un’eccezione è rappresentata dall’arte imperiale persiana: gli spettacolari bassorilievi trovati a Persepoli e in altre città dell’Impero, l’espressione visivamente più chiara dell’ideologia regale persiana, hanno evidenti legami dal punto di vista tecnico e iconografico con i bassorilievi neoassiri datati all’VIII e VII secolo a.C. Poiché pare poco probabile sulla base delle nostre conoscenze dell’arte babilonese che quest’ultima abbia funto da trait d’union anche in questo caso, il ruolo di mediatrice viene comunemente attribuito all’arte dei Medi, della quale purtroppo sappiamo poco. Quanto al carattere “iranico” dell’Impero persiano, molti studiosi vi hanno voluto trovare tracce, e anche più di qualche traccia, dello zoroastrismo, la religione iranica che prende il nome dal suo mitico fondatore, Zoroastro: tanto le iscrizioni dei re persiani quanto l’Avesta, il testo chiave dello zoroastrismo, fanno riferimento alla suprema divinità Ahuramazda. I punti di contatto sicuri rimangono però pochi, e “l’ipotesi zoroastriana” dell’origine della religione e dell’etica che caratterizza l’ideologia regale persiana è probabilmente da rigettare. Più promettente sembra la strategia di ricerca proposta recentemente da studiosi come Henkelman e Briant, per i quali le radici della cultura persiana devono essere cercate nella simbiosi culturale creatasi nel VII secolo a.C. fra le genti iraniche di origini nomadiche, i Persiani appunto, e la popolazione sedentaria dell’Iran occidentale, gli Elamiti. La millenaria tradizione culturale di quest’ultimi, fortemente influenzata dalla Mesopotamia, è la probabile fonte di origine di una buona parte degli elementi assiri e babilonesi identificabili nei costumi e nelle istituzioni dell’Impero persiano.
Il re dei re: il fondamento ideologico dell’Impero persiano
La titolatura dei re persiani è rivelatrice delle loro aspirazioni: un re persiano è “il gran re” e “il re dei re” – nessun altro sovrano gli è pari. Le iscrizioni reali enfatizzano il carattere multiculturale dell’Impero facendo riferimento ai molti popoli uniti sotto la benevola protezione del re. Ciò nonostante il popolo persiano gode di una posizione nettamente privilegiata: i re si dicono esplicitamente “Persiani, figli di Persiani, Iranici, di discendenza iranica” e parlano della loro particolare responsabilità per “Parsa” (Persia), il Paese “dei bei cavalli e dei begli uomini” (Weissbach, Die Keilinschriften der Achämeniden, 1911) che è stato loro affidato da Ahuramazda. Il gran re, secondo l’ideologia del tempo, è dotato di un carisma di origine divina (farnah): è bello, virile, sa cavalcare e tirare con l’arco; è giusto e dotato di superiore autocontrollo; è il supremo giudice e colui che forma le leggi. In quanto prescelto di Ahuramazda egli ha il diritto di pretendere dai suoi sudditi obbedienza e lealtà, soprattutto nella forma di tributi e servizio militare, e rispetto per la sua posizione – i tre doveri essenziali che ogni abitante, o meglio, ogni comunità dell’Impero deve assolvere. Quest’ideologia trova la sua espressione visiva nei bassorilievi di Persepoli: l’iconografia mette in risalto la figura del re, accompagnato dai suoi alti funzionari e protetto dalle sue guardie, a cui una moltitudine di popoli rende omaggio. Gli autori di questi rilievi trasmettono l’immagine di un Impero uniforme e allo stesso tempo eterogeneo, cioè costituto da molti popoli e molte lingue e unito sotto la mano quasi paterna del re: “in tutti i paesi ho sempre dato appoggio a chi era onesto mentre chiedevo il rendiconto a chi era malintenzionato” dice Dario di se stesso (Iscrizione di Bisotun).
La coerenza ideologica dei messaggi trasmessi dalle iscrizioni reali e dai rilievi è in contrasto con la varietà delle pratiche amministrative riconoscibili nelle varie province dell’Impero. Il re persiano si adatta ai costumi locali, ricevendo ad esempio la titolatura di un faraone in iscrizioni egiziane, o presentandosi come servo della suprema divinità babilonese Marduk in un testo indirizzato ad un pubblico babilonese. Questa flessibilità prammatica è parte costitutiva di un progetto di rafforzamento del potere politico dell’autorità centrale tramite la cooptazione delle élites locali. D’altro canto, le contribuzioni in termini di tasse, servizio militare e manodopera richieste dal re alle province sono spesso conseguite facendo ricorso a costumi ben radicati nella fase che precede la conquista persiana. Questo sistema amministrativo decentralizzato dà grande autonomia ai governatori delle province, i satrapi. I cosiddetti “protettori del regno” – questo è il significato letterale del loro titolo – sono i più alti rappresentanti del re nelle province. Spesso appartengono alla sua stessa famiglia, ma si trovano anche satrapi di origine locale, non persiana. Poiché questi funzionari rimangono in carica per tutta la durata della loro vita possono diventare molto potenti e praticamente quasi indipendenti. I loro palazzi e le loro corti rispecchiano lo splendore del palazzo del gran re e della sua corte; nelle province essi servono inoltre come condotto di diffusione di costumi e stili di vita, ivi compresa l’espressione artistica. La cultura materiale dell’Impero persiano ne è un buon esempio: come il re è portato a dimostrarsi generoso nei confronti dei suoi cortigiani, regalando loro anelli, bracciali e coppe d’oro, così i satrapi si prodigano verso i sottoposti nel contesto delle loro corti. Ne risulta una distribuzione in tutte le parti dell’Impero di oggetti preziosi fortemente influenzati dall’iconografia e dallo stile della corte imperiale. Altrettanto importante come fattore di coesione all’interno di questo vasto Impero è il sistema viario, soprattutto le cosiddette vie regie. Questi assi di comunicazione, mantenuti attraverso le contribuzioni delle comunità locali, uniscono le principali città dell’Impero con la periferia e servono tanto per esigenze militari quanto per il commercio. A questo riguardo non si può negare che i Persiani dipendano nettamente dal modello dell’Impero assiro nel quale si forma per la prima volta una rete di “strade del re”; le vie persiane seguono spesso il percorso delle precedenti strade assire. Esse sono di fatto uno dei simboli del carattere dell’Impero persiano il cui successo si basa su un equilibrio fra il potere centrale (e centralizzante), con il suo forte messaggio ideologico, e una notevole misura di autonomia locale e prammatica flessibilità, che non esita a fare uso di strutture pre-esistenti nei territori conquistati adattandole alle necessità dell’Impero.
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Antichità, Il Vicino Oriente Antico, Storia