L'organizzazione dello sport nel mondo e in Italia nella società moderna
Quando perseguiva l'ardito sogno di riportare in vita il mito di Olimpia, il giovane e caparbio barone Pierre de Coubertin (1863-1937), nel corso di una delle numerose conferenze con le quali soleva promuovere le proprie idee ‒ tenuta a Parigi in una sera dell'inverno 1892 ‒, ebbe a dire: "L'Umanità dovrebbe sempre trarre dall'eredità del passato le forze per costruire il proprio futuro: l'Olimpismo costituisce una di queste forze". Da allora sono trascorsi oltre cento anni, proprio quelli che più profondamente hanno mutato il corso della storia umana, ma in quella frase può ancora leggersi un'inconfutabile verità: il profondo senso dell'ideale olimpico inteso quale messaggio di civiltà che ha saputo attraversare indenne i secoli. Esiste infatti un lungo filo, invisibile quanto tenace, in grado di legare la mistica celebrazione degli antichi ludi greci al più gigantesco evento di massa di quel 'villaggio globale' in cui oggi abita l'umanità: i Giochi Olimpici. Un legame capace di ricollegare Coribo di Elide ‒come dire colui che venne coronato con il primo alloro olimpico ‒, ai tre miliardi e settecento milioni di persone che hanno seguito, davanti ai televisori, le vicende umane e agonistiche dei Giochi del 2000 disputati in Australia.
Se lo spirito dell'Olimpismo rappresenta un intreccio di civiltà, di tolleranza, di fratellanza, esso riveste una funzione altrettanto importante quale messaggero di cultura. Non per nulla lo stesso de Coubertin, quando la restaurazione dei Giochi poteva considerarsi compiuta e ormai universalmente accettata, volle che accanto alle manifestazioni agonistiche si tenessero i concorsi dell'arte e della cultura. Infatti se la pratica, lo sviluppo e la diffusione dello sport ‒ fenomeno dal linguaggio universale e depositario di un complesso di valori etici, fisici, educativi ‒ possono definirsi un barometro capace di denotare il grado di civiltà di una nazione, nello stesso tempo risultano significativi indicatori del livello di educazione e di cultura popolare.
Le solenni competizioni che Ifito, re di Elide, aveva istituito nell'estate del 776 a.C. e che richiamavano tra i pendii di Cronos e le sacre acque dell'Alfeo la migliore gioventù del mondo antico, si tennero fino a quando Teodosio, nel 394 d.C., al crepuscolo dei miti e della religione che li aveva ispirati, vi pose termine accogliendo la imperativa richiesta del vescovo Ambrogio. Molte potevano ritenersi le cause di quella decisione: ma la principale era che la celebrazione quadriennale aveva ormai abdicato alla sua essenza ideale. Fu necessario attendere lo scorrere lento di tredici secoli prima che studiosi e archeologi ‒ in massima parte tedeschi, ma anche con non trascurabili contributi italiani ‒ riportassero alla luce, con i marmi di Olimpia incredibilmente ben conservati, lo spirito sacrale del luogo e, con lo stesso, il culto nobile dell'agonismo. E tutto questo molti decenni prima che i Giochi tornassero a rivivere, proprio come de Coubertin aveva vagheggiato.
Il percorso che dalle Olimpiadi greche sfociò nello sport moderno seguì molte tappe intermedie e subì qualche brusca frenata: furono le giostre medioevali, dapprima, e i dettami dalla pedagogia rinascimentale, in seguito, a preservare attraverso i secoli l'essenza dell'idealità che le Olimpiadi antiche avevano espresso e significato. I Giochi moderni, è vero, non sono più permeati di profondo senso religioso come lo furono quelli antichi. Non sempre hanno il potere, come normalmente avveniva nella Grecia antica, di interrompere una guerra, ma restano il solo evento planetario in grado di diffondere tra i giovani di tutti i continenti un'atmosfera di comprensione e di solidarietà capace di gettare un raggio di speranza sul futuro dell'umanità. Custode di questa missione è oggi il Movimento Olimpico, del quale il Comitato olimpico internazionale è il centro propulsivo.
Le origini dello sport moderno, germinate in Inghilterra alla fine del Settecento, trovarono un decisivo impulso nella rivoluzione industriale e nelle nuove legislazioni che limitavano a non più di dieci ore l'orario giornaliero di lavoro. Le prime timide conquiste del tempo libero e l'introduzione della giornata di riposo settimanale fecero il resto, determinando la fortuna popolare degli esercizi ricreativi e degli spettacoli agonistici in genere che, più tardi, avrebbero richiesto le prime necessarie regolamentazioni. Lo sport ‒ intendendo con tale termine generico l'assieme di regole certe e universali, cui le diverse discipline sono tenute a uniformarsi ‒ può dunque credibilmente collocare la sua felice gestazione all'epoca della prima rivoluzione industriale, i cui effetti economici e sociali scardinarono sistemi di vita secolari scanditi dai ritmi di una sonnolenta economia rurale.
Di quella ventata di entusiasmo per la riscoperta degli esercizi fisici furono proprio gli inglesi, che l'avevano tenuta a battesimo, a trarre i maggiori benefici. Si era in piena epoca vittoriana, forse il periodo più prospero per l'Inghilterra che, al colmo della sua potenza coloniale e industriale, dominava i mari dilatando a dismisura i confini del suo Impero. Le grandi disponibilità economiche derivanti da tale politica di espansione favorirono un rilancio delle scienze e delle arti, i cui effetti si tradussero in una vasta scolarizzazione. L'educazione secondaria, comunque prerogativa di una minoranza privilegiata, trovava la sua migliore espressione nelle public schools e nei colleges, anche attraverso la razionalizzazione di quegli esercizi del corpo che in Inghilterra erano tenuti in gran conto ancor prima del Medio Evo.
Tale predisposizione veniva favorevolmente influenzata da una antica tradizione celtica, le cui radici affondavano nella notte dei tempi, alimentata da secoli di furibonde sfide paesane. A quel filone appartenevano, per esempio, i Tailteann Games che si disputavano a nord-ovest di Dublino sin dal 632 a.C. Si trattava di un insieme di gare di corse, di salti e di lanci che mantennero una loro continuità fino alla metà del 13° secolo. Analoghi giochi si disputavano sulle ventose highlands scozzesi, richiamando i diversi clan a sfidarsi in rozze prove di forza, come il lancio del tronco d'albero o del martello da fabbro.
Quello era, a grossi tratti, l'ambiente che favorì l'affermazione degli sport che proprio agli inglesi devono la loro organizzazione e la stesura dei primi regolamenti. Teatri di tale restaurazione in chiave moderna, come si è detto, furono le scuole pubbliche e i collegi privati. Non per nulla, sin dal 1829 gli studenti di Oxford e Cambridge si sfidavano nella celebre regata annuale sul Tamigi, mentre l'aristocratico college di Eton già nel 1837 aveva introdotto nei programmi per i suoi allievi numerose gare atletiche. La nobiltà, dal suo canto, si ritrovava ai margini degli ippodromi dove coltivava un antico amore per i cavalli: il St.-Leger di galoppo, che si disputa ancora oggi a Doncaster e che resta il più antico evento sportivo del mondo, venne corso la prima volta nel 1776.
Come ulteriore esempio dell'influenza britannica nella stesura delle norme sportive si può fare riferimento a due delle discipline più popolari. Si pensi all'atletica ‒ figlia diretta del pedestrianism settecentesco ‒ che celebra i suoi riti su una pista di 400 metri di sviluppo, trasparente traduzione del 'quarto' di miglio inglese, così come restano ancora espressi in libbre i pesi degli attrezzi per i lanci e in piedi le altezze delle barriere nelle corse a ostacoli. Ma, soprattutto, si pensi allo sport più praticato al mondo, il football, nato dalle furibonde risse ingaggiate dagli studenti sui prati dei colleges per rincorrere un pallone, ciascuno di loro con le proprie convinzioni circa il numero dei giocatori, le dimensioni del terreno, la durata della partita, l'utilizzo dei piedi piuttosto che delle mani. La tradizione vuole che, per porre un termine a quelle battaglie, nel 1863 il gioco venisse finalmente regolamentato involandosi subito per le vie del mondo, portato da viaggiatori e marinai, ma conservando immutato il proprio marchio di fabbrica nelle misure del campo e delle porte, rigidamente espresse ancora oggi in yard e piedi.
Coloro che ritennero di non doversi adeguare se ne andarono caparbiamente per la propria strada dando vita a un'altra disciplina dalle caratteristiche tanto più elitarie quanto tipicamente britanniche, il rugby. Altri sperimentavano con coraggio nuove forme di gioco, senza scandalizzarsi troppo se negli Stati Uniti ‒ che, da ex colonia, si ostinavano a rifiutare tutto quanto proveniva dalla madrepatria ‒ il rugby si trasformasse in football americano e il cricket in baseball.
Nel 2004 i Giochi Olimpici moderni tornano a celebrarsi ad Atene, dove furono tenuti a battesimo nel 1896. Sono invitati a parteciparvi 199 paesi, quanti sono quelli che ‒ tramite i propri Comitati nazionali ‒ vengono attualmente riconosciuti dal Comitato olimpico internazionale (CIO), come dire da quell'organismo sopranazionale e no-profit che si trova al vertice dell'organizzazione sportiva mondiale.
Ancora più numerosi, oltre 200, sono i paesi che aderiscono alle maggiori Federazioni internazionali: quel-la del calcio (FIFA) creata nel 1904 e con sede a Zurigo, quella dell'atletica (IAAF) fondata nel 1912, che ha la sua base operativa a Monte Carlo, e la più giovane Federazione della pallavolo, nata nel secondo dopoguerra e che vanta l'adesione record di 218 entità nazionali o territoriali. Ove si consideri, quale termine di paragone, che le nazioni aderenti a un organismo come l'UNESCO non sono più di 103, si ha una prima valutazione, forse grossolana, ma sufficiente a dimostrare l'universalità raggiunta dallo sport in poco più di cento anni.
L'organizzazione sportiva internazionale è una costruzione articolata e complessa dove si intersecano e si intrecciano le competenze dei soggetti che la compongono i quali, comunque, perseguono fini propri. La caratteristica originale che contraddistingue tutta la costruzione è quella che vuole gli organi direttivi, ai diversi livelli, 'eletti' dai propri amministrati e non piuttosto 'nominati' da potentati politici o da lobby economiche. Altra peculiarità, rispetto ad altre strutture extranazionali ‒ ONU, UNESCO, OMS, FAO ecc. ‒, riguarda l'assoluta mancanza di sovvenzioni per gli organismi sportivi internazionali. Questi devono procurarsi i mezzi per operare e realizzare i compiti istituzionali tramite i ritorni economici della propria attività, i cui principali flussi viaggiano sul doppio binario delle sponsorizzazioni e delle concessioni televisive.
L'organizzazione sportiva internazionale può essere paragonata a un edificio piramidale, il cui vertice è rappresentato dal Comitato olimpico internazionale. A partire da questo, scendendo, si hanno i Comitati organizzatori dei Giochi Olimpici, i Comitati olimpici nazionali, le Federazioni sportive internazionali, le Federazioni sportive nazionali, le Società sportive e infine la solida base costituita dagli atleti (a fianco dei quali operano i tecnici e i giudici). L'insieme di tutti questi soggetti costituisce il Movimento Olimpico.
Secondo quanto previsto dalla Carta Olimpica (la completa raccolta dei principi cui devono conformarsi tutti gli aderenti e la cui ultima versione è stata elaborata nel corso della 110a Sessione del CIO, tenuta l'11 dicembre 1999), l'obiettivo principale che il Movimento Olimpico persegue è la costruzione di un mondo migliore, "educando i giovani alla pratica sportiva senza discriminazione e nel segno dell'ideale olimpico che pretende amicizia, solidarietà e fair play". In base a tali dettami, l'olimpismo può essere definito una filosofia di vita, in grado di esaltare, combinandole, le migliori qualità del corpo, della volontà e dello spirito. Per di più esso pretende di essere 'internazionale e democratico' rifiutando ogni forma di disparità o di preclusione, sia tra le diverse discipline sportive sia tra i singoli praticanti.
Tali imperativi possono farsi risalire ‒ per i loro contenuti ideologici ‒ alle idee propugnate dal barone de Coubertin, influenzato com'era da quella educazione francese ispirata dall'umanitarismo filosofico e pedagogico. Ma, più realisticamente, non va disconosciuto che la fedeltà a tali precetti ha consentito al Movimento Olimpico di superare, sostanzialmente indenne, le crisi determinate da due guerre mondiali e dai molti ostacoli frapposti dalla politica (per es. i boicottaggi olimpici susseguitisi dal 1976 al 1984) o da devastanti condizionamenti economici (esplosi, anche con la denuncia di imbarazzanti casi di corruzione, in occasione della scelta di talune sedi dei Giochi).
Comitato olimpico internazionale. - Il CIO fu fondato alla Sorbona nel corso del Congrès International Athlétique de Paris, in programma dal 16 al 23 giugno 1894. Al congresso presero parte una decina di membri del comitato promotore e 78 delegati in rappresentanza di 37 organismi sportivi, in massima parte francesi. Gli stranieri, provenienti da otto paesi, non furono più di una ventina. Tra loro figurava il trentaquattrenne conte napoletano Ferdinando Lucchesi Palli (1860-1922), un diplomatico che si trovava a Parigi come viceconsole del Regno e che divenne il primo membro italiano del CIO, anche se non restò in carica più di tre mesi: tanto bastò, tuttavia, a fare dell'Italia uno dei paesi fondatori dell'organismo internazionale.
Primo presidente del CIO fu eletto il greco Demetrius Vikélas rimasto in carica fino al 1896. Sul finire dello stesso anno gli succedette de Coubertin, che rimase alla presidenza fino al 1925, quando ritenne giunto il momento di farsi da parte. Lo seguirono poi dal 1925 al 1942 il conte belga Henri de Baillet-Latour; dal 1942 al 1952 lo svedese J. Sigfrid Edström; dal 1952 al 1972 lo statunitense Avery Brundage; dal 1972 al 1980 l'irlandese lord Killanin; dal 1980 al 2001 il marchese catalano Juan Antonio Samaranch. Dal 16 luglio 2001 presidente è il chirurgo belga Jacques Rogge. Il presidente del CIO viene eletto dai membri con votazione segreta e resta in carica otto anni, rinnovabili una sola volta e solo per altri quattro.
L'organismo è retto da un ufficio di presidenza ‒l'Executive Board, costituito nel 1921 ‒ composto, oltre che dal presidente, dai quattro vicepresidenti e da dieci membri, tutti eletti a maggioranza semplice e che restano in carica un solo quadriennio.
I membri del CIO vengono cooptati autonomamente nell'organismo come 'persone singole': agiscono cioè in rappresentanza dei rispettivi Comitati olimpici e non come delegati del paese d'appartenenza, circostanza che richiama ancora una volta il carattere sopranazionale del CIO. La loro permanenza è regolata da rigidi parametri anagrafici. Restano in carica per otto anni (rinnovabili per altri otto), ma sono tenuti a lasciare l'incarico al compimento dei 70 anni (soltanto quelli eletti prima del dicembre 1999 hanno facoltà di continuare fino al compimento degli 80 anni).
Agli inizi del 2003 erano in carica 128 membri effettivi (tra cui 13 donne) ai quali andavano aggiunti 25 membri onorari e 5 membri designati a titolo onorifico (tra questi ultimi figurava il senatore Giovanni Agnelli, che aveva fornito contributi nella rielaborazione della nuova Carta Olimpica). Alla stessa data, i membri effettivi di nazionalità italiana erano cinque: Franco Carraro, Mario Pescante, Ottavio Cinquanta, Manuela Di Centa, Bruno Grandi.
Per il conseguimento di particolari suoi obiettivi, il CIO si avvale di apposite commissioni (costituite in sintonia con le Federazioni internazionali e i Comitati organizzatori dei Giochi Olimpici), le principali delle quali sono: Commissione atleti; Commissione di coordinamento Giochi Olimpici; Commissione di studio per i programmi olimpici; Commissione di valutazione delle candidature olimpiche; Commissione diritti TV e Internet; Commissione etica; Commissione filatelica, numismatica e 'memorabilia'; Commissione marketing; Commissione medica; Commissione per la cultura e l'educazione olimpica; Commissione per la riforma del CIO; Commissione programmi dei Giochi Olimpici; Commissione radio e televisione; Commissione sport e ambiente; Commissione sport per tutti; Commissione stampa; Gruppo di lavoro Donne e Sport; Solidarietà Olimpica.
La sede del CIO è Losanna. Qui fu trasferito alla vigilia della Grande Guerra da de Coubertin con l'intento di ribadire il carattere di neutralità e di internazionalità che, nei suoi desideri, avrebbe dovuto sempre distinguere il Comitato olimpico internazionale.
Le risorse economiche del CIO derivano, in massima parte, dalla cessione dei diritti televisivi per i Giochi Olimpici e dai proventi dei programmi di sponsorizzazione, avviati nel 1985 con la qualifica di The Olympic Partners (TOP) e a cui contribuiscono con cadenza quadriennale aziende che operano a livello mondiale (per il periodo 1997-2000 esse sono state undici: Coca-Cola, IBM, John Hancock, Kodak, McDonald's, Panasonic, Samsung, Sport Illustrated/IBM, UPS, Visa, Xerox). Una larga parte degli introiti derivanti vengono ridistribuiti agli altri soggetti del Movimento Olimpico. Circa l'impatto economico generato dalla vendita dei diritti televisivi degli eventi olimpici, si consideri che il network americano NBC li ha acquistati in esclusiva per il periodo 1996-2008 per 3,5 miliardi di dollari.
Per avere un'idea della dimensione dei proventi economici che interessano il Movimento Olimpico, ci si può anche riferire alle due cifre principali relative a Sydney 2000, che assommano a 1,8 miliardi di dollari USA. Di questi provenivano da diritti televisivi 1331,6 milioni di dollari (circa il 60% distribuito ai Comitati Organizzatori dei Giochi Olimpici del successivo quadriennio; il restante 40% diviso tra CIO, Federazioni internazionali estive, Comitati olimpici nazionali) e dal Programma TOP altri 550 milioni, parte dei quali erogati in servizi (50% diviso in parti uguali tra Comitati organizzatori dei Giochi Olimpici estivi e invernali, 40% ai Comitati olimpici, 10% al CIO). Queste due voci principali sono da integrare con i proventi del marketing 'locale', prerogativa dei Comitati organizzatori: per i Giochi del 2000 essi assommavano a circa 700 milioni di dollari USA (95% dei quali di pertinenza del Comitato Organizzatore di Sydney, il restante 5% ridistribuito dal CIO a soggetti del Movimento Olimpico tramite i programmi di Solidarietà). Un notevole ritorno finanziario producono, inoltre, la vendita dei francobolli celebrativi e delle monete commemorative.
Comitati organizzatori dei Giochi Olimpici. - I Giochi Olimpici vengono assegnati alle singole città e non alle nazioni. L'assegnazione, dopo che un'apposita commissione ha esaminato nel dettaglio i piani organizzativi e finanziari presentati da ciascuna città pretendente, viene definita dalla Sessione plenaria del CIO, sette anni prima della data di svolgimento.
La cura dell'organizzazione di ciascuna edizione dei Giochi, sia estiva sia invernale, è affidata dal CIO, oltre che alla città designata, al Comitato olimpico nazionale del paese al quale la stessa appartiene. Per tale scopo, il Comitato olimpico nazionale deve provvedere a costituire un apposito Comitato organizzatore (in genere rifacendosi alla composizione del Comitato promotore della candidatura) che, una volta formato, riferisce direttamente al CIO dal quale riceve istruzioni e direttive.
La composizione dell'Esecutivo del Comitato organizzatore deve rispondere a particolari requisiti. Ne devono far parte i membri del CIO di quel paese, il presidente e il segretario generale del Comitato olimpico nazionale, il sindaco della città prescelta o suoi delegati. Sono chiamati a farne parte anche rappresentanti delle amministrazioni pubbliche o personalità nazionali di particolare prestigio. Ai giorni nostri, sotto la pressione degli enormi interessi suscitati dalle Olimpiadi, i Comitati organizzatori si sono trasformati in giganteschi apparati che impiegano migliaia di specialisti dei più diversi settori.
Il lavoro più che settennale del Comitato organizzatore dev'essere improntato a ferrei principi di base, quali il rispetto dei regolamenti delle Federazioni internazionali nella stesura dei programmi sportivi, il divieto di manifestazioni politiche nella città olimpica durante i Giochi, la costruzione di impianti di gara e di allenamento, l'ospitalità degli atleti e dei loro dirigenti e tecnici, l'approntamento di un efficiente servizio sanitario, l'allestimento di una funzionale rete di trasporto tra i vari siti olimpici, la facilitazione del lavoro dei mass-media per favorire la migliore informazione possibile sui Giochi, l'organizzazione di una serie di eventi culturali, la stesura del ponderoso Rapporto ufficiale dei Giochi redatto in due lingue e diffuso entro due anni dalla conclusione.
Il rischio maggiore che il CIO deve affrontare nel terzo secolo della sua esistenza è rappresentato dal 'gigantismo' dei Giochi che potrebbe minarne lo spirito originario. Per contrastare tale tendenza è stato stabilito che le discipline ammesse ai Giochi estivi non debbano essere più di 28 (il programma è bloccato fino al 2008, poi per inserire un nuovo sport ne dovrà essere cancellato un altro) e che gli atleti non superino il numero di 10.500.
Comitati olimpici nazionali. - Scopo del Comitato olimpico nazionale è di preservare e diffondere i principi dell'olimpismo nell'ambito del paese di appartenenza. Tra i suoi principali impegni rientra quello di assicurare la selezione e la partecipazione dei propri atleti ai Giochi Olimpici.
Come si è detto, i Comitati olimpici riconosciuti dal CIO sono attualmente 199. Oltre che in nazioni sovrane, essi sono costituiti anche in territori indipendenti, in protettorati o in aree geografiche diverse. Si riuniscono ogni due anni nell'ANOC (Association of National Olympic Committees) per affrontare gli argomenti che più da vicino ne riguardano l'attività e per 'consolidare il loro ruolo all'interno del Movimento Olimpico'. Nell'ambito di tali incontri vengono esaminati anche i temi relativi alla distribuzione periodica dei fondi prevista da parte del CIO e ai programmi di sostegno erogati tramite la Solidarietà Olimpica.
I Comitati nazionali sono riuniti in sette associazioni regionali. Esse sono: per l'Africa, l'ANOCA (Association of national olympic committees of Africa); per l'America l'ODEPA (Organización deportiva panamericana); per il Centro-America l'ODECABE (Organización deportiva centroamericana y del Caribe); per il Sud America l'ODESUR (Organización deportiva sudamericana); per l'Asia l'OCA (Olympic council of Asia); per l'Europa l'EOC (European olympic committees) e per l'Oceania l'ONOC (Oceania national olympic committees). Tre di esse (Africa, America e Asia) organizzano da tempo Giochi continentali quadriennali sulla falsariga dei Giochi Olimpici.
Federazioni internazionali. - Le Federazioni internazionali sono organizzazioni non-governative riconosciute dal CIO come responsabili della tutela e dell'amministrazione, a livello mondiale, di una particolare disciplina sportiva. Sono costituite dall'insieme delle Federazioni nazionali che praticano quella stessa disciplina. Posseggono la prerogativa di emanare statuti e regolamenti, cui le Federazioni nazionali hanno il dovere di uniformarsi, e di vigilare sulla loro applicazione e sul rispetto delle norme del fair play. Loro compito è anche di favorire e sviluppare al massimo la pratica del proprio sport a ogni livello, garantendo la regolare organizzazione delle diverse competizioni, incluse le gare di propria pertinenza durante i Giochi Olimpici. Le Federazioni internazionali sono pertanto partner privilegiati del CIO che le interpella su qualunque questione relativa alla disciplina sportiva da loro tutelata, ma non esclude di consultarle anche per questioni diverse, come, per es., una valutazione sulle città candidate ai Giochi Olimpici.
Compito non secondario delle Federazioni internazionali resta la promozione dei Campionati mondiali della propria disciplina. Si tratta di una consuetudine relativamente recente: la scherma li ha celebrati per la prima volta nel 1927, il calcio nel 1930, il basket nel 1950, il nuoto nel 1973, l'atletica addirittura nel 1983.
Per affrontare argomenti di comune interesse e, ancor più, per coordinare le cadenza degli affollatissimi calendari agonistici, le Federazioni internazionali si sono consociate in associazioni di settore riconosciute dal CIO stesso. Le principali sono: l'ASOIF (Association of summer olympic international federations); l'AIOWF (Association of international olympic winter sports federations); l'ARISF (Association of IOC recognised international sports federations); la GAISF (General association of international sports federations). A quest'ultimo organismo, che non opera distinzione di carattere olimpico, ma che si propone di coordinare gli interessi comuni dei propri membri, all'inizio del 2003 aderivano ben 98 Federazioni internazionali.
Le Federazioni olimpiche estive riunite nell'ASOIF, elencate in Tabella 1 secondo l'ordine cronologico della loro costituzione, sono 28.
Molto meno numerose, solo 7, sono ovviamente le Federazioni internazionali degli Sport Invernali, aderenti all'AIOWF (Tabella 2).
Il CIO riconosce, inoltre, anche 27 Federazioni internazionali la cui attività non si esplica in sede olimpica, ma che posseggono pari autorevolezza e, a volta ‒ come nel caso della vetusta Rugby Union ‒, addirittura maggiore anzianità. Esse sono l'International rugby board (IRB, fondato nel 1886; vi aderiscono 91 Federazioni nazionali); la Fédération internationale de l'automobile (FIA, fondata nel 1904; 119 Federazioni nazionali); la Fédération internationale de motocyclisme (FIM, fondata nel 1904; 84 Federazioni nazionali); la Fédération aéronautique internationale (FAI, fondata nel 1905; 95 Federazioni nazionali); l'International life saving federation (ILS, fondata nel 1910; 131 Federazioni nazionali); la Fédération internationale de roller sports (FIRS, fondata nel 1924; 114 Federazioni nazionali); la Fédération internationale des échecs (FIDE, fondata nel 1924; 159 Federazioni nazionali); la Federación internacional de pelota vasca (FIPV, fondata nel 1929; 25 Federazioni nazionali); l'Union internationale des associations d'alpinisme (UIAA, fondata nel 1932; 86 Federazioni nazionali); l'International korfball federation (IKF, fondata nel 1933; 37 Federazioni nazionali); l'International water ski federation (IWSF, fondata nel 1946; 80 Federazioni nazionali); la Federation of international bandy (FIB, fondata nel 1955; 10 Federazioni nazionali); l'International dance sport federation (IDSF, fondata nel 1957; 79 Federazioni nazionali); il World amateur golf council (WAGC, fondato nel 1958; 97 Federazioni nazionali); la World bridge federation (WBF, fondata nel 1958; 125 Federazioni nazionali); la Confédération mondiale des activités subaquatiques (CMAS, fondata nel 1959; 104 Federazioni nazionali); l'International federation of netball associations (IFNA, fondata nel 1960; 41 Federazioni nazionali); la Tug of war international federation (TWIF, fondata nel 1960; 29 Federazioni nazionali); l'International orienteering federation (IOF, fondata nel 1961; 61 Federazioni nazionali); la World squash federation (WSF, fondata nel 1967; 116 Federazioni nazionali); l'International racquetball federation (IRF, fondata nel 1968; 90 Federazioni nazionali); la Confédération mondiale des sports de boules (CMSB, fondata nel 1985; 75 Federazioni nazionali); la Fédération internationale des quilleurs (FIQ, fondata nel 1952; 123 Federazioni nazionali); l'International surfing association (ISA, fondata nel 1967; 43 Federazioni nazionali); l'International wushu federation (IWUF, fondata nel 1990; 86 Federazioni nazionali); la World conference of billiard sports (WCBS, fondata nel 1992; 97 Federazioni nazionali); la World karate federation (WKF, fondata nel 1992; 166 Federazioni nazionali).
Altre organizzazioni. - Esistono alcune altre organizzazioni che fiancheggiano il Movimento Olimpico e che, per la loro ragguardevole attività, sono riconosciute dal CIO. Le principali sono l'ICAS, il CIFP, l'IPC, la WADA e la WOA.
L'ICAS (International council of arbitration for sport) è stato costituito nel 1993 con lo scopo di esaminare e risolvere questioni legali che riguardano gli atleti. Il tribunale, che opera con due gradi di giudizio, svolge funzioni di arbitrato ordinario o esamina ricorsi avversi alle decisioni di organismi nazionali e internazionali. La sua autorità, oltre che dal CIO, è riconosciuta da tutte le associazioni che riuniscono i Comitati olimpici nazionali o le Federazioni internazionali.
Il CIFP (International committee for fair play), costituito nel 1963, si propone di diffondere nella pratica sportiva i principi del fair play: osservanza delle regole, rispetto dell'avversario, rifiuto della violenza e dei comportamenti scorretti. Il Comitato attribuisce ogni anno premi agli atleti che si sono maggiormente distinti sul campo della lealtà sportiva ed umana.
L'IPC (International paralympic committee) è l'organizzazione non-profit che tutela l'attività sportiva di vertice degli atleti disabili. Soprassiede, organizza e coordina i Giochi Paraolimpici e altre manifestazioni internazionali riservate ad atleti disabili (Campionati mondiali, continentali ecc.). Ne fanno parte 160 Comitati olimpici e 5 Federazioni internazionali di sport per atleti disabili.
La WADA (World anti-doping agency) è l'agenzia indipendente costituita nel 1999 su iniziativa e sollecitazione del CIO al fine di contrastare, in collaborazione con gli organismi sportivi e le autorità pubbliche nazionali, la diffusione del doping nello sport internazionale, diffondendo la consapevolezza dei rischi per la salute degli atleti e dei gravi attentati all'etica sportiva. Ha sede centrale a Montreal.
La WOA (World olympians association) è un'organizzazione indipendente che riunisce i quasi 100.000 atleti di tutto il mondo che hanno preso parte ai Giochi Olimpici. Lo scopo principale è di coinvolgere gli atleti olimpici, passati e presenti, nell'attività del Movimento Olimpico.
L''altro' sport. - All'universo sportivo che non fa riferimento al Movimento Olimpico appartiene lo sport di squadra statunitense di matrice professionistica (quello di natura olimpica si inquadra, di norma, in ambito delle high schools e delle università). Si tratta di un fenomeno del tutto particolare che, pur muovendo grandi interessi sportivi ed economici, resta per lo più racchiuso entro i confini nazionali degli Stati Uniti. Organizzato con ferree logiche di mercato (gli stipendi ai giocatori non superano in nessun caso il 55% del fatturato, vale a dire ammontano a circa il 10-15% in meno di quanto percepiscono i calciatori professionisti europei) e sostenuto da un larghissimo favore popolare, gode di enormi profitti derivanti, per lo più, dai diritti delle riprese televisive e dalla commercializzazione dei marchi.
Gli sport coinvolti sono i quattro più seguiti dall'americano medio: la pallacanestro (organizzato nella National basket association), lo hockey su ghiaccio (nella National hockey league), il baseball (nella Major league baseball) e il football americano (nella National football league). I criteri sportivi sono più o meno analoghi. Le squadre vengono ammesse nelle Leghe in base a severi parametri che privilegiano sostanzialmente la solidità economica. Non ci sono retrocessioni e l'acquisto dei giocatori risponde a precise regole tendenti a non sfavorire i club meno ricchi e, di conseguenza, a mantenere un sostanziale equilibrio sportivo. Lo svolgimento dei campionati, considerata la dimensione del paese, si articola in sezioni geografiche (conferences o divisions) con finali nazionali disputate con il sistema dei play-off. I club appartengono di norma a importanti imperi economici. Nel baseball, per es., operano la Disney (proprietaria della Anaheim Angels), la News Corp. di Rupert Murdoch (proprietaria dei Dodgers di Los Angeles) e la Aol-Time Warner (che ha acquistato dalla CNN di Ted Turner gli Atlanta Braves). Un parametro significativo per comprendere l'entità finanziaria posta in gioco è fornito dagli stipendi annui percepiti dai migliori giocatori di basket, mai inferiori ai 20 milioni di dollari.
La copertina di questo grande fenomeno targato USA appartiene di diritto al 'Super Bowl', la sfida che oppone ‒ al termine di un complicato sistema di selezione ‒ le due migliori squadre di football dell'anno. Per quel giorno tutta l'America si ferma. Inutile cercare biglietti, esauriti da almeno da un anno. Ma il Super Bowl rimane essenzialmente uno spettacolo televisivo: la finale della NFL, che si traduce in una grande festa di famiglia, per certi versi paragonabile al 4 luglio, richiama davanti ai teleschermi oltre 130 milioni di persone, come dire la metà della popolazione. Il record appartiene alla finale 1996 che ebbe 138,5 milioni di spettatori. L'organizzazione del Super Bowl ha ritorni economici pari a 350 milioni di dollari (2,5 dei quali provenienti dalla sola vendita dei gadget). Per l'edizione 2003, che ha visto di fronte Oakland Raiders e Tampa Bay Buccaneers (sorprendenti vincitori), la rete televisiva ABC ‒ che aveva l'esclusiva dell'evento ceduto ad altri 165 paesi (con una stima complessiva di circa 800 milioni di spettatori) ‒ ha incassato oltre 130 milioni di dollari solo per i 60 spot pubblicitari da 30 secondi ciascuno previsti durante l'incontro. Non per nulla, nella storia delle TV americane, ai primi dieci posti dei programmi più seguiti figurano dieci edizioni del Super Bowl.
Secondo i dati più recenti (1999), il sistema sportivo italiano produce un movimento economico di circa 28.000 milioni di euro, pari all'incirca al 2,4% del PIL del paese. L'incidenza del 'prodotto sport' si colloca al terzo posto tra i consumi delle famiglie. Inoltre il settore sportivo coinvolge mezzo milione di unità di lavoro, corrispondenti a circa 12 miliardi di euro di retribuzioni. Alla soglia del 2000, la percentuale di popolazione che pratica un'attività sportiva in maniera continuativa o saltuaria è stimata al 28,4%. Resta sostanzialmente stabile la percentuale maschile (35,7%), mentre nel quinquennio precedente la percentuale femminile è passata dal 18,6 al 21,5%. Anche la dotazione impianti è in espansione, sia pure a un ritmo inferiore rispetto al passato. Le ultime statistiche disponibili (1997) precisano che la dotazione totale del paese è di 143.523 impianti delle più diverse tipologie (nel 1979 erano 45.494). Le rispettive medie sono passate da 81 a 252 impianti ogni 100.000 abitanti. Queste poche cifre sono sufficienti a valutare la dimensione raggiunta dallo sport italiano nel 2003, al culmine di un processo di crescita partito dalla costituzione delle prime società sportive, circa 150 anni fa.
La storia dei primordi dello sport italiano è ancora tutta da scrivere e sono ancora da definire con chiarezza le influenze, anche di natura sociale, che ne determinarono (o ne indirizzarono) lo sviluppo. Si tratta di un impegno che esula del tutto da questo lavoro, dove è sufficiente ricordare che in Italia le attività sportive vennero introdotte più tardi rispetto all'estero e limitatamente alle regioni settentrionali.
Nell'Ottocento italiano ‒ che lottava contro l'analfabetismo e che trovava sollievo alla disoccupazione solo con massicci flussi migratori ‒ sport era parola straniera che in pochi erano in grado di comprendere. La Torino sabauda fu la prima capitale anche nello sport, seguita subito dopo da Milano e quindi dalle altre città di quel Nord dove iniziavano a prosperare i primi impianti industriali.
Lo sport italiano, ai suoi primordi, nacque con le società: un modello ispirato da più collaudate esperienze straniere, ma che da noi assunse caratteristiche peculiari e del tutto originali, adattandosi con flessibilità alle condizioni sociali ed economiche delle varie epoche. La prima società a vocazione polisportiva ‒ la Ginnastica Torino ‒ fu fondata nel 1844, quasi una sfida alle occhiute norme contro le libertà di associazione del tempo, che verranno mitigate quattro anni dopo dallo Statuto Albertino. Si trattava di un vero e proprio 'modello italiano' nel quale la società sportiva si proponeva con un profilo differente rispetto a quanto si poteva riscontrare nel resto dell'Europa: molto distante sia da quello di matrice britannica, che intendeva lo sport quale necessaria integrazione all'istruzione scolastica, sia da quelli tedesco e mitteleuropeo, che coltivavano la ginnastica in chiave propedeutica all'addestramento militare. Per lo stesso termine sport c'era chi avanzava, a conforto di una sua propria originalità nazionale, la derivazione etimologica dall'antico termine italico di 'diporto'.
Le società si costituirono, per iniziativa di gruppi di appassionati e fiancheggiando la difficoltosa unificazione del paese, come associazioni libere e spontanee, sospettate, spesso a ragione, di irredentismo. Non avevano mezzi e contavano solo sull'entusiasmo dei soci e su un pizzico di giovanile incoscienza. Non esisteva una sede, mancavano le attrezzature, ci si esercitava in spazi periferici. Per di più si scontava un notevole ritardo culturale: si ignoravano finanche le regole delle varie discipline, pur codificate da tempo nei paesi di lingua inglese o del nord Europa. Molto si orecchiava, molto si improvvisava. Per fare un esempio, la Federazione italiana del football fece disputare il suo primo campionato nazionale nel 1898, ma una decina di anni più tardi non disponeva ancora di un manuale che riportasse le regole del gioco.
Ma quel primo seme germogliò e crebbe rigoglioso. Da un recente censimento risulta che ‒ tra quelle ancora in attività ‒ sono almeno 150 le società italiane che possono collocare la propria data di costituzione tra la metà e la fine dell'Ottocento. Si tratta di un patrimonio che altri paesi europei non possiedono, di una tradizione e una ricchezza da difendere e valorizzare anche perché le vicende sportive di molte di queste società sono strettamente intrecciate con la storia quotidiana della città di appartenenza dal cui gonfalone, quasi sempre, mutuano i colori: la 'Ginnastica' a Trieste, la 'Bentegodi' a Verona, la 'Virtus' a Bologna, la 'Colombo' a Genova, la 'Barion' a Bari, la 'Panaro' a Modena, l''Amsicora' a Cagliari, la 'Bucintoro' a Venezia e così via.
La prima Federazione sportiva nazionale, quella della ginnastica, fu fondata a Venezia nel marzo 1869. Nel 1892, a Torino, su iniziativa italiana fu costituita la seconda Federazione internazionale in ordine di tempo, quella del canottaggio. Gli atleti italiani fecero la loro apparizione in una manifestazione internazionale solo nel 1906, ad Atene, in occasione dei Giochi Olimpici intermedi, detti anche del Decennale. Per assicurare una più organica partecipazione fu costituito un comitato temporaneo (che prese il nome di 'Comitato italiano per le Olimpiadi internazionali') presieduto dall'on. Luigi Lucchini (1847-1929). Analoghi comitati temporanei vennero formati nel 1907 e nel 1912 ‒ su iniziativa del maggiore esponente italiano del movimento olimpico del tempo, il conte piemontese Eugenio Brunetta d'Usseaux (1857-1919), in seguito diventato il primo segretario generale del CIO ‒ rispettivamente in vista dei Giochi di Londra e di Stoccolma, entrambi presieduti dal marchese Carlo Compans di Brichanteux (1844-1925).
Il 9 e 10 giugno 1914, in una riunione dei delegati delle Federazioni sportive (che nel frattempo si erano costituite per tutte le discipline allora praticate) tenuta presso la Camera dei Deputati, furono gettate le basi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), su iniziativa del deputato piemontese Carlo Montù (1869-1949). Nella primavera dell'anno seguente il CIO accolse la domanda d'adesione del nuovo organismo. Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò guerra all'Austria e lo sport si impantanò per anni. Quando i Giochi Olimpici ripresero nel 1920 gli azzurri, con Nedo Nadi e Ugo Frigerio, figurarono finalmente tra i protagonisti dello sport mondiale.
Il 28 ottobre 1922 le colonne fasciste completarono la marcia su Roma e il giorno seguente Camera e Senato accordarono a Benito Mussolini i pieni poteri. Il 10 giugno 1924, mentre a Parigi si disputavano i Giochi Olimpici, fu assassinato il deputato socialista Giacomo Matteotti. Il 3 gennaio dell'anno seguente ebbe inizio, con un discorso di Mussolini alla Camera, la vera e propria dittatura fascista. Il PNF si preoccupò subito di consolidare il suo controllo sulle fasce giovanili della nazione e lo sport non poté sottrarsi a quelle pressioni. Nel dicembre del 1925 nuove norme legislative provvidero a potenziare il CONI, ampliandone le disponibilità finanziarie. Il 3 aprile 1926 i giovani fino a 14 anni furono inquadrati nell'Opera Nazionale Balilla che, come primo atto, assorbì nel suo ambito l'Ente nazionale per l'educazione fisica (l'attuale ISEF). Nel febbraio 1927 l'intera struttura sportiva italiana fu riorganizzata nella prima Carta statutaria del CONI e la presidenza stessa del Comitato Olimpico, nel settembre del 1928, fu assunta dal segretario del PNF Augusto Turati. Il 30 dicembre 1928 fu emanata la Carta dello Sport che tracciava rigidi confini tra sport agonistico e sport ricreativo. Il 30 maggio 1931 fu ordinato lo scioglimento di tutte le organizzazioni, comprese quelle sportive, che non facessero capo al PNF e all'ONB. La presidenza del CONI passò prima a Leandro Arpinati (dicembre 1931) e quindi ad Achille Starace (maggio 1933), entrambi segretari del PNF, mentre il 20 novembre 1934 fu approvato il nuovo statuto del CONI che assumeva in tal modo 'personalità giuridica' e coordinava e finanziava l'attività di 33 Federazioni. La riorganizzazione si completò nel 1937 con l'istituzione della 'Gioventù Italiana del Littorio'.
Negli stessi anni prese avvio un grande piano di potenziamento degli impianti che prevedeva la costruzione di un 'Campo Sportivo del Littorio' in tutte le città capoluogo. Nel contempo furono via via portati a termine i grandi stadi per lo spettacolo sportivo: il 'Littoriale' a Bologna (1927), il 'Giovanni Berta' a Firenze (1930), il 'Vigorelli' a Milano (1933), il 'Mussolini' a Torino e il 'Delle Vittorie' a Bari (1934). Una particolare cura si rivolse a Roma dove iniziò la costruzione dello 'Stadio dei Cipressi' (1929), fu inaugurato lo 'Stadio dei Marmi' (1930), ristrutturato lo 'Stadio Nazionale' al Flaminio (1932), avviato l'allestimento del complesso sportivo del Foro Italico.
Arrivarono i primi risultati e i record di grande prestigio, auspicati e incoraggiati. Nel 1927 Alfredo Binda vinse il primo titolo mondiale su strada. Nel dicembre del 1930 e nel luglio del 1933 gli idrovolanti di Italo Balbo partirono per le Americhe. Nel 1932, ai Giochi di Los Angeles, gli azzurri furono superati nel medagliere solo dagli atleti statunitensi. Nel 1933 Primo Carnera conquistò in America la corona dei massimi e Luigi Beccali si impossessò del primato mondiale dei 1500 metri. Nel 1934 l'Italia diventò campione del mondo di calcio (riconfermandosi a pieno nel 1938). Nel 1935 l'Alfa di Tazio Nuvolari stravinse al Nürburgring e l'anno seguente sbaragliò tutti i rivali a Long Island nella celebre Coppa Vanderbilt. Ai Giochi di Berlino 1936 gli azzurri furono terzi nel medagliere. Nel 1938 Gino Bartali vinse il Tour de France e il 9 giugno 1940, il giorno prima della dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna, il ventunenne Fausto Coppi si impose nel Giro d'Italia.
Il 16 febbraio 1942, mentre ci si avviava al terzo anno di guerra, fu emanata la Legge costitutiva del CONI. Lo sport italiano, tuttavia, stava per essere travolto dalle sorti del conflitto. Quattro giorni prima gli inglesi avevano sfondato a El-Alamein e il giorno seguente gli americani occuparono il Nord Africa. Il 25 luglio 1943 Mussolini fu arrestato e il successivo 9 settembre le truppe anglo-americane sbarcarono a Salerno. Il 25 aprile 1945 l'insurrezione partigiana di Milano coincise con la fine delle ostilità in Italia. Il 2 luglio riapparve in edicola La Gazzetta dello Sport e l'11 novembre la nazionale di calcio pareggiò a Zurigo (4-4) con la rappresentativa della neutrale Svizzera.
Il 2 giugno 1946 un referendum popolare stabilì che l'Italia diventasse una Repubblica. A fine mese Enrico De Nicola fu eletto capo provvisorio dello Stato. Nel congresso di Milano del 27 luglio 1946 Giulio Onesti, incaricato nel giugno 1944 dal CLN di liquidare il CONI quale 'ente fascista', riuscì abilmente a pilotare la riunificazione delle residue forze sportive, divise tra Nord e Centro-Sud, fino a rinsaldarne la compattezza nel nuovo CONI 'democratico' e nelle sue federazioni. Nel successivo mese di agosto la squadra di atletica, volando sull'unico aereo ancora in efficienza, andò a Oslo per i Campionati d'Europa, riaprendo definitivamente i contatti internazionali per tutto lo sport italiano.
Le fonti statali di finanziamento, ormai tranciate, furono sostituite dall'affidamento al CONI della gestione del concorso pronostici Totocalcio, una trovata divenuta un modello da imitare in molti paesi d'Europa. Il CONI ne assunse in proprio la gestione dalla stagione calcistica 1948-49 (d.l. nr. 496 del 14 aprile 1948). La prima 'schedina' porta la data del 19 settembre 1948.
Il 18 aprile 1948 si tennero le prime elezioni democratiche: dopo una rovente campagna elettorale che causò anche molte vittime, la DC di De Gasperi ottenne il 48,5% dei suffragi, il Fronte Popolare social-comunista di Nenni e Togliatti il 31%. Ma anche dopo le elezioni il clima nel paese restò pesante e diventò esplosivo il 14 luglio quando uno studente siciliano, Antonio Pallante, ferì con quattro colpi di pistola il leader comunista. L'Italia era sull'orlo della guerra civile. Nei giorni seguenti Gino Bartali vinse tre tappe consecutive al Tour conquistando la maglia gialla. La grande impresa sportiva favorì il ritorno alla normalità politica.
Il 4 maggio 1949 l'Italia intera fu gettata nel lutto dalla tragedia aerea di Superga nella quale scomparve la mitica squadra del Torino, come dire l'intera ossatura della nazionale di calcio. Il 13 maggio 1950 Nino Farina vinse il primo mondiale di F1 e nel 1953 Fausto Coppi conquistò il titolo iridato su strada. Nel giugno del 1954, in coincidenza con i Campionati del Mondo di calcio, ebbero inizio le trasmissioni in diretta della neonata TV. Nell'ultimo giorno di luglio, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli piantarono il tricolore sulla inviolata vetta del K2. Nel dicembre del 1955 l'Italia fu finalmente ammessa all'ONU. Tra il gennaio e il febbraio 1956 si tennero a Cortina d'Ampezzo i Giochi Olimpici d'Inverno, prima rassegna dei cinque cerchi organizzata in Italia. Nel 1957, dopo un gravissimo incidente che causò una decina di vittime, fu soppressa la Mille Miglia.
L'uscita sul mercato della Fiat 500, che costava 465.000 lire, può essere presa a simbolo della crescita del livello economico della nazione e dell'inizio del 'boom'. Nel 1958 i televisori erano diventati un milione e 8 italiani su 100 avevano il telefono. Aumentarono anche le auto e di conseguenza, nel 1959, fu pubblicato il primo codice della strada. Il 2 gennaio 1960 per una forma di malaria mal curata morì Fausto Coppi. Il 25 agosto 1960 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, succeduto cinque anni prima a Luigi Einaudi, aprì a Roma i Giochi della XVII Olimpiade.
Un grande impulso allo sport italiano era dato, in quegli anni, dall'attività sportiva scolastica, integrativa dell'insegnamento dell'educazione fisica. La felice stagione dei Gruppi sportivi scolastici, costituiti nel 1958 in base a un accordo tra il Ministero della Pubblica Istruzione e il CONI, sfociò nel 1969 nell'istituzione dei 'Giochi della Gioventù', un'iniziativa che si rivelò un grande volano di proselitismo e di promozione. Molti dei maggiori atleti italiani degli anni Ottanta transitarono, in età scolare, da quella grande selezione nazionale.
Si preparava intanto un profondo cambiamento dell'organizzazione sportiva italiana, favorito dalla maggiore disponibilità economica e dalla sempre maggiore disponibilità di tempo libero. Dopo i Giochi di Roma, lo sport cominciò a diventare un 'bene di consumo' e iniziò a diffondersi la cultura delle attività fisiche come esigenza non soltanto per la gioventù. Il calcio aveva scalzato il ciclismo nel favore popolare, anche se i suoi risultati non erano assolutamente pari a quelli dell'anteguerra. Il fondo fu toccato il 19 luglio 1966 quando l'orgoglio calcistico del paese fu umiliato ai Mondiali dal tecnico-dentista nordcoreano Pak Doo-Ik. Nel novembre del 1966 l'Arno sommerse Firenze causando danni gravissimi al patrimonio artistico: con l'intento di favorire la rinascita della città fu lanciata la provocatoria idea di organizzarvi i Giochi Olimpici. Il 17 giugno 1970, a Città del Messico, si disputò la partita del secolo: gli azzurri batterono i tedeschi per 4-3 e conquistarono la terza finale dei Mondiali di calcio (poi persa contro i brasiliani).
Cambiavano abitudini e consuetudini, mentre il paese si avviava a diventare una delle maggiori potenze industriali del mondo. Nello sport entrarono con effetti devastanti gli sponsor e deflagrarono i nuovi miti sportivi, mentre la televisione e i giornali sportivi contribuivano a elevare a sistema questa tendenza. Gli atleti italiani scalarono le prime posizioni internazionali in tutte le specialità. Nel 1966 la Simmenthal Milano vinse la Coppa dei Campioni di basket. Tra il 1966 e il 1975 le moto di Giacomo Agostini conquistarono 15 titoli mondiali di velocità. Tra il 1975 e il 1979 le Ferrari si imposero in 27 Gran Premi di F1. Esplose la 'Valanga Azzurra' che fino al 1975, con Gustavo Thöni e Pierino Gros, dominò il circuito internazionale della neve. Tra il 1968 e il 1977 il ciclismo italiano riportò quattro volte il titolo mondiale su strada.
Lo sport olimpico non seguiva con la stessa velocità. Dal 1968 al 1976 la squadra azzurra toccò il suo punto più basso: solo 10 medaglie d'oro in tre edizioni dei Giochi. Nel nuoto (con Novella Calligaris nel 1973) e nell'atletica (con Sara Simeoni nel 1978 e con Pietro Mennea nel 1979) furono però stabiliti prestigiosi primati mondiali. L'11 luglio 1982 a Madrid, alla presenza del presidente Pertini e di gran parte dell'establishment italiano, la nazionale di calcio di Enzo Bearzot tornò a vincere, dopo quasi mezzo secolo, il titolo mondiale: un avvenimento che travolse tutta la nazione e fece toccare punte record, rimaste insuperate, alla tiratura dei quotidiani.
Nel 1980 e nel 1984 lo sport olimpico conobbe il boicottaggio di Mosca e di Los Angeles. Gli italiani furono presenti a entrambi gli appuntamenti. In Unione Sovietica, forzando anche il divieto del governo che impediva la partecipazione degli atleti militari, gli azzurri sfilarono senza bandiera nazionale e preceduti dal solo vessillo del CONI. Nel secondo ottennero il maggior numero di medaglie della loro storia. Presidente del CONI era dal 1978 Franco Carraro, già presidente delle Federazioni di sci nautico e di calcio: dimessosi dalla carica nel 1987, diventò prima ministro del Turismo e poi sindaco di Roma. Lo sport si confermava grande trampolino di lancio verso i vertici della vita pubblica.
Si affermava definitivamente, amplificato dalla televisione di Stato (che nel 1991 creò un'apposita testata sportiva) e dai network televisivi privati, lo sport-spettacolo. Per gli sport maggiori nacquero e si rafforzarono le Leghe con il compito di coordinare l'attività dei club e acquisire nuove risorse finanziarie. Il calcio entrò in una nuova dimensione e le cifre mosse dalla sua organizzazione si fecero ragguardevoli. Al contrario lo sport dilettantistico faceva sempre maggior fatica a tenere dietro ai costi crescenti derivanti anche dalle nuove imposizioni legislative e fiscali.
Le fonti di finanziamento dello sport nazionale erano sempre quelle derivanti dalla quota parte (circa il 30%) che al CONI (e, da questi, alle Federazioni) arrivava dalla gestione dei concorsi pronostici Totocalcio. La politica costruttiva degli impianti, affidata agli enti locali e favorita da appositi istituti di credito, portò il patrimonio nazionale a superare le 100.000 unità, ampiamente oltre la media europea. Problemi inattesi sorsero con l'istituzione politica della Comunità Europea che obbligò alldi norme e di legislazioni. Sul fronte internazionale il crollo del muro di Berlino, avvenuto il 9 novembre 1989, con le nuove realtà politiche emerse nel dicembre 1991 dal dissolvimento dell'Unione Sovietica, imposero di ridisegnare l'intera mappa dello sport europeo.
Furono quelli anche gli anni delle grandi manifestazioni sportive organizzate in Italia: il paese ospitò nel 1987 i Campionati del Mondo di atletica e, nell'estate 1990, i Campionati del Mondo di calcio. Dopo il calcio, gli sport più seguiti negli anni Novanta erano, oltre al sempreverde ciclismo, la pallacanestro, la pallavolo, l'automobilismo, lo sci, l'atletica, il tennis.
Nel decennio 1985-1996 il livello tecnico dello sport italiano raggiunse la sua punta storica più elevata, coinvolgendo quasi tutte le discipline in una felice rincorsa ai primi posti delle gerarchie mondiali, fino a toccare le 1000 medaglie globali conquistate in tutte le discipline nella stagione 1997. Anche la pratica sportiva di base subì una notevole impennata. Secondo i dati ISTAT nel 1995 erano ben 34 milioni gli italiani che praticavano "una qualche attività fisica o sportiva" in maniera non continuativa. Si trattava di un grande risultato numerico che tuttavia, proprio per la sua dimensione, non era previsto e non trovava un'organizzazione in grado di sostenerlo con offerte adeguate o iniziative originali.
Dal 1992 il CIO ha dichiarato 'open' i Giochi Olimpici, cancellando quel dilettantismo che nei fatti era rimasto solo una verginità di facciata e aprendo agli atleti professionisti. Di fronte all'esplosione dello sport-consumismo il CIO ha tentato di correre ai ripari, ma senza molto successo. La diga eretta a difesa dei Giochi prescrive, come già detto, che gli sport non siano più di 28 e che gli atleti non debbano superare le 10.500 unità. Un limite viene imposto anche al numero dei giornalisti accreditati che non possono essere più di 5500. Nel frattempo la lotta intrapresa contro le pratiche del doping non ha ottenuto risultati decisivi, anche se ha fatto più di una vittima illustre.
In questo clima convulso, per gli azzurri si è allungata la serie dei successi olimpici che ha toccato il suo picco tra il 1992 e il 2002, un periodo che abbraccia due edizioni estive (Atlanta e Sydney) e quattro invernali (Albertville, Lillehammer, Nagano e Salt Lake City). In grande espansione sono risultati gli sport di squadra, con in testa la nazionale di pallavolo diventata 'la squadra del secolo' e imitata da quella femminile, vincitrice, per la prima volta nel 2002, del titolo mondiale. Ma sono di alto livello anche le prestazioni di altre nazionali, come quella di rugby per la quale si è aperto, nel 1999, l'esclusivo torneo del 'Sei Nazioni'.
A cavallo dei due secoli gli sport di riferimento ‒ oltre al calcio, che è stato profondamente modificato dalle conseguenze della sentenza Bosman (emessa il 15 dicembre 1995 dalla Corte Europea di Giustizia, su istanza del calciatore belga Jean-Marc Bosman, essa stabilisce che anche ai giocatori di calcio vada applicata la norma che garantisce la libera circolazione dei lavoratori comunitari) e dall'introduzione, nel novembre 1996, del 'fine di lucro' per le società sportive ‒ sono sempre il ciclismo, che lotta contro l'imbarazzante fenomeno del doping, l'automobilismo, che ha visto tornare al vertice mondiale la Ferrari, il nuoto, con una fioritura di grandi talenti, il motociclismo, che vede Valentino Rossi e Max Biaggi disputarsi la supremazia mondiale, lo sci di fondo, dove gli atleti italiani superano più volte gli specialisti del grande Nord, il canottaggio e la scherma, che rinverdiscono una antica e prestigiosa tradizione.
Un altro segnale forte dei cambiamenti in atto nello sport italiano è il crescente ruolo dello sport al femminile: nel 1920 la squadra olimpica, a fronte di 169 uomini, allineava una sola donna, la coraggiosa tennista Rosetta Gagliardi; ottanta anni più tardi, ai Giochi di Sydney, le donne erano 126 contro 227 uomini.
Così come il paese si è trasformato molto in cento anni e continua a cambiare ogni giorno, anche lo sport da un lato va declinando verso un'attività sempre più specialistica ‒ quella dell'agonismo e del professionismo più marcato ‒, dall'altro viene considerato quale antidoto alle malattie da benessere. Nel giusto equilibrio tra queste due tendenze risiede il futuro dello sport italiano e più in generale di quello europeo.
L'organizzazione dello sport italiano all'inizio del 21° secolo ‒ in attesa di una 'legge-quadro' di riordino generale della materia, annunciata da decenni da governi di ogni tendenza, ma mai concretamente perseguita ‒ vede ancora il CONI in posizione di centralità rispetto alle altre realtà che agiscono nel microcosmo sportivo nazionale: Federazioni sportive, enti di promozione, enti locali, scuola, forze armate ecc. La struttura si configura dunque come una costruzione virtuale al vertice della quale opera il CONI, mentre la base è costituita dalle circa 70.000 società sportive. In posizione mediana si pongono le Federazioni nazionali che fungono da raccordo fra CONI e società sportive.
Non è quindi sorprendente che proprio sul CONI si siano appuntate, a più riprese, le attenzioni del legislatore, a partire dal 16 febbraio 1942, quando venne decretata la legge istitutiva dell'organismo (l. 426/42), che ne definiva i compiti e ne sanciva l'ordinamento quale 'Federazione delle Federazioni sportive', concentrando in esso tutta l'attività sportiva italiana, a qualunque livello e titolo svolta (anche se il regolamento di attuazione sarebbe stato emanato più di quarant'anni dopo, con il d.p.r. nr. 157 del 28 marzo 1986). In dettaglio, la legge imponeva al CONI di "incrementare e proteggere l'olimpismo e lo sport dilettantistico, nonché di incoraggiare e sviluppare l'educazione fisica, morale e culturale della gioventù del paese per migliorarne il carattere, la salute e il senso civico".
Nel 1946, come si è detto, Giulio Onesti (1912-1981) riuscì a ricostruire su basi democratiche il CONI (nel quale continuavano a essere inserite, e finanziate, una quarantina di Federazioni). Resta merito precipuo di Onesti, che resse ininterrottamente la presidenza fino al 1977, l'aver saputo riorganizzare la struttura sportiva italiana su basi moderne trovando, attraverso il gettito dei concorsi pronostici Totocalcio, grandi mezzi finanziari per svilupparla. Negli ultimi anni della sua trentennale gestione, il CONI subì però gli effetti frenanti della l. nr. 70 del 20 marzo 1975 che lo inserì quale 'ente preposto ad attività sportive' nel riordino del Parastato, inceppandone la funzionalità amministrativa, sino ad allora caratterizzata da notevole dinamismo e autonomia (si ricordino, al riguardo, le due edizioni dei Giochi Olimpici di Cortina del 1956 e di Roma del 1960, organizzate quasi integralmente a carico del CONI e con il ricorso a modesti contributi pubblici). Non essere riuscito a opporsi a tale condizionamento da parte del potere pubblico può essere considerato il solo errore compiuto da Onesti. Di fatto, l'ingresso del CONI nel comparto del Parastato innescò una spirale di successive riforme e di parziali interventi legislativi che, alla lunga, hanno finito con il modificare il quadro originario, riducendo progressivamente la capacità imprenditoriale dell'intero settore sportivo.
Malgrado le notevoli disponibilità prodotte dal Totocalcio negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, per il CONI e le Federazioni i tempi nuovi imponevano esigenze di ammodernamento, purtroppo disattese dai presidenti seguiti a Onesti alla guida dell'ente sportivo di Stato. Tra le opportunità mancate, al primo posto figura l'improvvida cessione ‒ avvenuta nel 1996 ‒ del concorso Enalotto (la cui gestione era stata inizialmente affidata al CONI), trasformato da altri soggetti nel ricchissimo SuperEnalotto, con un disastroso effetto boomerang sugli stessi concorsi Totocalcio.
Le trasformazioni in atto nella pratica sportiva, pur con gli squilibri tra sport olimpico e sport professionistico, imponevano comunque un riordino della intera materia che, mancata dagli 'sportivi', venne affrettatamente imposta dai 'politici' con una riforma legislativa che si può ritenere non ancora conclusa. Il primo atto è stato il Decreto Legislativo del 23 luglio 1999, nr. 242, emanato dal ministro Giovanna Melandri che abrogava la legge del 1942. Nelle intenzioni del legislatore esso avrebbe dovuto dare attuazione al riordino del CONI, introducendo nelle 'stanze' del potere sportivo una consistente rappresentanza dei tecnici e degli atleti, in quota non inferiore al 30% dei componenti dei consigli di amministrazione delle Federazioni e dello stesso CONI. Nello stesso tempo i presidenti delle Federazioni, cui era da sempre affidata la gestione collegiale del CONI, venivano allontanati dagli organi direttivi. In buona sostanza, il provvedimento, se non avviò a soluzione i problemi dell'intera organizzazione, produsse l'effetto deleterio di tranciare di netto il legame che per novant'anni ‒ e con successo ‒ aveva caratterizzato il rapporto tra CONI e Federazioni.
Il decreto era stato emanato in virtù della delega contenuta nell'art. 11 della l. 15 marzo 1997, nr. 59 (cosiddetta 'legge Bassanini'), la quale affidava al governo il compito di riordinare gli enti pubblici operanti in settori diversi, imponendogli di trasformare in associazioni di diritto privato gli enti per il cui funzionamento non appariva necessaria la personalità di diritto pubblico. In tal modo il fenomeno della privatizzazione investiva il comparto pubblico dell'organizzazione sportiva, con la conseguenza di trasformare le Federazioni da organi del CONI in associazioni di diritto privato. Dal provvedimento restarono esclusi l'Aero club d'Italia, l'Automobile club d'Italia e l'Unione italiana tiro a segno, che conservavano la loro natura di enti pubblici. Contemporaneamente veniva confermata la personalità giuridica di diritto pubblico del CONI, che passava sotto la vigilanza del Ministero per i Beni e le attività culturali, con la conseguente sottrazione delle funzioni di vigilanza sullo sport alla Presidenza del Consiglio dei ministri. A seguito di tale trasformazione il CONI poteva definirsi ente pubblico costituito da 'persone giuridiche private'.
Come atto conclusivo, il CONI si vedeva costretto a elaborare un nuovo Statuto (predisposto il 26 gennaio 2000 dalla riunione nr. 166 del suo Consiglio nazionale), approvato con d.m. del 19 aprile 2000 e in via definitiva con d.m. del 28 dicembre 2000. In base al dettato di riordino, gli organi centrali del CONI (che durano in carica quattro anni) sono attualmente: Consiglio Nazionale, Giunta Nazionale, Presidente, Segretario Generale, Comitato nazionale dello sport per tutti, Collegio dei revisori dei conti. Completano la struttura gli organi periferici che sono: i 20 Comitati Regionali, i 104 Comitati Provinciali e i Fiduciari locali.
Le Federazioni sportive nazionali, definite "associazioni senza fini di lucro con personalità giuridica di diritto privato", sono costituite dalle società, dalle associazioni sportive e dai singoli tesserati. In base al decreto Melandri, il CONI (che riconosce una sola Federazione per ciascuna disciplina) richiede alle Federazioni i seguenti requisiti: svolgimento di attività sportiva con partecipazione a competizioni e attuazione di programmi di formazione di atleti e tecnici; affiliazione a una federazione internazionale riconosciuta dal CIO; statuti e regolamenti ispirati a principi di democrazia interna e di partecipazione con pari opportunità per uomini e donne. Le Federazioni traggono le risorse economiche per il proprio funzionamento in parte da contributi pubblici ricevuti dal CONI (sul cui bilancio sono ascritte le competenze di quasi tutti i loro dipendenti) e in parte attraverso cespiti di autofinanziamento derivanti dall'attività istituzionale (tesseramento, incassi, contratti televisivi, sponsorizzazione ecc.). Negli ultimi anni il contributo del CONI si è andato riducendo attestandosi, mediamente, su circa il 55% del totale dei bilanci federali. In Tabella 3 (p. 347) è riportato l'elenco delle Federazioni riconosciute dal CONI all'inizio del 2003, disposte secondo l'ordine cronologico della loro costituzione.
Oltre alle Federazioni, il CONI riconosce anche altre strutture sportive, come le seguenti 16 'Discipline associate', aderenti ad alcune Federazioni cui sono assimilabili per tipologia di attività sportiva: Federazione arrampicata sportiva italiana (FISA); Federazione cricket italiana (FCrI); Federazione italiana canottaggio sedile fisso (FICSF); Federazione italiana dama (FID); Federazione italiana danza sportiva (FIDS); Federazione italiana giochi e sport tradizionali (FIGeST); Federazione italiana gioco bridge (FIGB); Federazione Italiana giuoco squash (FIGS); Federazione italiana pallapugno (FIPAP); Federazione italiana pallatamburello (FIPT); Federazione italiana sport bowling (FISB); Federazione italiana sport orientamento (FISO); Federazione italiana sport silenziosi (FISS); Federazione italiana twirling (FITw); Federazione italiana wushu kung fu (FIWuk); Federazione scacchistica italiana (FSI).
Lo scenario sportivo nazionale si completa con 14 'Enti di promozione sportiva', organismi che operano prevalentemente nell'ambito dello sport sociale o dello 'sport per tutti'. Svolgono la loro attività al di fuori del CONI, ricevendo contributi pubblici per il loro funzionamento annuale tramite il CONI stesso. Essi sono: Alleanza sportiva italiana (ASI); Associazione centri sportivi italiani (ACSI); Associazione italiana cultura e sport (AICS); Centri sportivi aziendali industriali (CSAIn); Centro nazionale sportivo Fiamma (CNS Fiamma); Centro nazionale sportivo Libertas (CNS Libertas); Centro sportivo educativo nazionale (CSEN); Centro sportivo italiano (CSI); Centro universitario sportivo italiano (CUSI); Ente nazionale democratico di azione sociale (ENDAS); Movimento sportivo promozionale Italia (MSPI); Polisportive giovanili salesiane (PGS); Unione italiana sport per tutti (UISP); Unione sportiva ACLI (US ACLI).
Dopo il d.l. nr. 242, un successivo intervento legislativo (d.l. 8 luglio 2002, nr. 138, emanato dal ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti), ha affiancato al CONI una società per azioni ‒ 'CONI Servizi spa' ‒ con il compito di gestire tutte le sue attività economiche: impianti, immobili, personale ecc. Di competenza del CONI 'pubblico' restano i compiti conformi ai principi dell'ordinamento sportivo internazionale: preparazione olimpica, indirizzo e controllo delle Federazioni, diffusione della pratica sportiva, prevenzione e repressione del doping. Nello stesso tempo è stata decisa la ridefinizione, a partire dal 1° luglio 2003, anche degli scenari economici: la gestione dei concorsi Totocalcio e assimilati passa dal CONI all'Agenzia dei Monopoli dello stesso Ministero dell'Economia, il quale contribuirà al finanziamento con una quota parte degli incassi, da stabilire secondo appositi 'piani industriali', il primo dei quali predisposto dal CONI per il triennio 2003-2005.
Il vento del cambiamento in atto ha investito anche gli organismi di base dello sport nazionale: le società, sia professionistiche (quelle di calcio in prima fila) sia dilettantistiche. Per il settore professionistico (già interessato dalla l. nr. 91 del 23 marzo 1981) un primo intervento è stato l'emanazione della l. 18 novembre 1996, nr. 586, che sanciva il 'fine di lucro' per le società sportive professionistiche consentendo loro di trasformarsi in società di capitali. Da tale provvedimento dovevano principalmente trarre vantaggi (anche tramite la possibile quotazione in borsa) i 38 club calcistici di serie A e B, ma i possibili effetti sono stati vanificati da una dissennata gestione economica che, malgrado un aumento esponenziale delle risorse provenienti dalle TV, ha creato in otto anni un indebitamento collettivo superiore a 1300 milioni di euro, così elevato da convincere il Parlamento ad approvare, nel febbraio 2003, un decreto che consente alle stesse società di rateizzare in 10 anni di bilancio la svalutazione del proprio patrimonio.
Più produttivi, anche per il maggiore impatto numerico, appaiono di contro i provvedimenti emanati a favore delle 70.000 società dilettantistiche e definiti all'art. 90 della legge Finanziaria 2003 (nr. 289 del 27 dicembre 2002). Le norme introdotte riconoscono allo sport amatoriale ‒ per la prima volta in oltre 30 anni di proposte abortite ‒ una funzione sociale e di prevenzione sanitaria. L'equiparazione alle Onlus offre vantaggi che vanno dalla contabilità semplificata alla detassazione per collaborazioni e rimborsi, fino ad agevolazioni fiscali per gli sponsor. In particolare, ora le società sportive possono: acquisire personalità giuridica; paragonare la propria attività sportiva a quella delle Onlus; considerare spese di pubblicità i corrispettivi annui a proprio favore fino a 200.000 euro; elevare fino a 7500 euro l'esenzione per i rimborsi; elevare fino a 250.000 euro il sistema di contabilità forfettaria.
"Annuario Italiano dello Sport", Roma, V. & B. Cerreto, 1936.
CIO, Le mouvement olympique, Losanna, Weber SA, Bienne, 1985.
CIO, The international olympic committee, one hundred years, a cura di Raymond Gafner, 1° vol., Losanna, CIO, IRL Imprimeries Réunies, 1994.
CIO, Sydney 2000: marketing report, Losanna, Marketing Department, Meridian Management SA, 2001.
CIO, 2002 Répertoire du mouvement olympique, Losanna, CIO, Département de la coopération internationale et du développement-T&T Communication, 2002.
CIO, Salt Lake 2002: marketing report, Losanna, CIO, Marketing Department, Meridian Management SA, 2002.
G. Colasante, La nascita del movimento olimpico in Italia, Roma, CONI, 1996.
CONI, Il CONI e le federazioni sportive, Roma, CONI, 1975.
L. Ferretti, Il libro dello sport, Roma, Libreria del Littorio, 1928.
Id., Lo sport, Roma, L'Arnia, 1949.
Id., Olimpiadi, Milano, Garzanti, 1959.
S. Jacomuzzi, Storia delle Olimpiadi, Torino, Einaudi, 1976.
A. Lombardo, Pierre de Coubertin: saggio storico sulle Olimpiadi moderne, 1880-1914, Roma, RAI-ERI, 2000.
I. Mariani Toro, A. Mariani Toro, Gli ordinamenti sportivi, Milano, Giuffrè, 1977.
O. Mayer, À travers les anneaux olympiques, Ginevra, Pierre Cailler, 1960.
G. Onesti, Rinascita e indipendenza dello sport in Italia, Roma, Lucarini, 1986.
The sports illustrated 1998 sports almanac, "Sports Illustrated", marzo 2001.
F.M. Varrasi, Economia, politica e sport in Italia (1925-1935), Scandicci, Fondazione Artemio Franchi, Lega Calcio Serie C, 1999.