Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’orologio a pesi è forse la più prestigiosa invenzione dell’Occidente europeo nel Medioevo. Di antichissima origine, nell’Europa del Trecento erano diffusi gli orologi solari e ad acqua con i quali però il problema della misura del tempo nell’arco delle ventiquattro ore era ben lungi dall’essere risolto con l’efficacia necessaria. La tecnologia meccanica diviene allora il campo di indagine su cui si concentrano gli sforzi per ottenere una misurazione misurabile matematicamente e indipendente dalle stagioni, un’innovazione che muta profondamente la concezione stessa del tempo.
Nelle città delle cattedrali, delle università e delle attività mercantili una più esatta misura del tempo costituisce un’esigenza improrogabile. L’invenzione dell’orologio meccanico a scappamento avviene attorno al 1300, a coronamento di una serie di tentativi. Attratti dall’idea di creare un orologio azionato dalla forza di caduta di un corpo pesante, ben presto i tecnici interessati a questo tema si rendono conto del fatto che il problema maggiore consiste nell’individuare uno scappamento, cioè un dispositivo attraverso il quale ottenere un’energia costante nel meccanismo del contrappeso. Il mercato degli orologi ad acqua, per quanto sempre più perfezionati e complessi, non offriva soluzioni né a questo problema tecnico, né a quello di avere un oggetto che misurasse lo scorrere del tempo con precisione. Le clessidre erano comunque preferite alle meridiane, nonostante potessero raggiungere un livello di complessità notevole, con il contrappeso dentro un contenitore con acqua ad azionare ruote dentate in connessione, come nel caso del grande orologio costruito per la corte parigina nel 1250 raffigurato in un manoscritto alla Bodleian Library di Oxford. Un analogo sistema è adottato per un orologio alla corte di Alfonso X di Castiglia, datato al 1277 e mosso non dall’acqua, ma dal mercurio, la cui densità avrebbe dovuto rendere più controllabile il movimento dei ruotismi che azionavano il quadrante, costituito da un astrolabio.
Si tratta, presumibilmente, di un tentativo di emulare il bellissimo orologio astronomico che il sultano di Damasco aveva presentato nel 1232 a Federico II. L’acqua era un motore che non soddisfaceva; grazie a Roberto Anglico, autore di un trattato sull’uso dell’astrolabio composto prima del 1270, conosciamo i tentativi degli orologiai di uscire da questa situazione; le notizie fornite dall’Anglico sono importanti soprattutto perché confermano che gli esperimenti erano diffusi soprattutto nell’ambiente degli astronomi interessati alla costruzione di planetari meccanici azionati dalla discesa di un contrappeso. Tuttavia, come ben sapevano gli studiosi di meccanica e come confermava l’esperienza, non era facile ottenere movimenti regolari: un peso in caduta aumenta infatti la sua velocità, e quindi l’orologio tende a camminare sempre più velocemente. Per regolare la caduta del peso, verso il 1300 viene introdotto un apposito dispositivo frenante, lo scappamento a verga con un particolare bilanciere, detto foliot, dispositivo fondamentale in tutti gli orologi meccanici dell’epoca.
Questa geniale invenzione permette di trasmettere, rallentandolo e mantenendolo regolare, il movimento di caduta del contrappeso all’asse che poi avrebbe azionato i treni di ruote dentate in connessione. È un processo che si ripete senza sosta: il bilanciere oscilla avanti e indietro e il peso in caduta viene ripetutamente frenato e costretto in modo regolare a invertire il movimento dei pesi bilanciati. La difficoltà del costruttore consiste nel predisporre le giuste proporzioni tra il peso motore e le distanze del peso trainante dalla verga: proprio sul perfezionamento di questo sistema si concentreranno le ricerche dei costruttori di orologi meccanici. Ciò che maggiormente colpisce oggi è l’intuizione del fatto che il movimento in senso contrario delle parti superiori e inferiori della ruota di scappamento, grazie alle palette divergenti, può essere convertito in un movimento ciclico avanti e indietro del foliot e dei pesi bilanciati; a questo si deve aggiungere una seconda intuizione, relativa alla caduta del peso motore che, bloccata in maniera uniforme, imprime un’accelerazione ai pesi bilanciati. La spiegazione scientifica di questo principio avrebbe dovuto attendere ancora alcuni secoli, essendo fuori dalla portata delle conoscenze possedute all’epoca. Si è pensato che Villard de Honnecourt possa esserne stato l’ideatore perché tra i suoi disegni compare un sistema di scappamento. Che ciò corrisponda a realtà o meno, l’invenzione dello scappamento deve essere vista come il risultato degli sforzi di generazioni di tecnici interessati ad acquisire una tecnologia che potesse sostituire l’energia idraulica nel motore degli orologi.
L’idea di misurare lo scorrere del tempo attraverso un prodotto della tecnologia affonda le sue radici in un’epoca in cui gli uomini avevano cominciato a sviluppare una mentalità meccanica, ben testimoniata dall’evoluzione del mulino a partire dallo schema di base: la tecnologia meccanica si pone dunque come chiave per risolvere una serie di problemi di ordine diverso. L’impatto della nuova invenzione è notevole: nel 1338 salpa da Venezia per l’Oriente un’imbarcazione che trasporta anche un orologio meccanico, a testimoniare la ritrovata supremazia tecnologica dell’Occidente.
Nel corso del Trecento gli orologi meccanici vengono collocati nelle cattedrali, nelle chiese, sulle torri civiche. Nella chiesa di sant’Eustorgio, a Milano, nel 1309 venne installato un orologio meccanico in ferro; orologi meccanici sono collocati a Genova, Firenze, Bologna, Strasburgo, Chartres, Norimberga, Friburgo, Ferrara, Valenciennes, Breslavia e Westminster tra il 1340 e il 1380. Lo sviluppo dell’orologeria mette in luce l’abilità dei costruttori, spesso fabbri fonditori di cannoni particolarmente ricercati in tutta Europa per la perizia dimostrata nel disegnare e costruire ingranaggi. Nelle molte regioni in cui questi artigiani scarseggiavano, i costruttori di orologi venivano chiamati dall’estero. In Catalogna i fabbricanti di orologi erano in buona parte ebrei, nelle chiese di Salisbury e Wells in Inghilterra le nuove macchine del tempo vengono allestite da artigiani stranieri e in alcuni casi sono i frati a improvvisare una faticosa conoscenza in questo ambito. Sembra che fino alla fine del Quattrocento non vi siano centri specializzati nella produzione di orologi meccanici, per la costruzione dei quali erano comunque rinomati gli artigiani tedeschi, ricercati anche in Italia e in Francia.
Dal punto di vista tecnico il problema maggiore era quello del mantenimento: i primi orologi marcavano l’ora in modo imperfetto (l’errore medio variava da 15 a 60 minuti al giorno) e le comunità urbane salariavano una persona che si occupava di riportare la lancetta delle ore, l’unica in questi primi orologi, alla precisione. Nonostante questi problemi, nel corso del XIV secolo vengono fabbricati esemplari sempre più complicati.
Un entusiasmo collettivo è alla base della stagione degli orologi con automi che apparivano allo scoccare delle ore, di solito suonando strumenti musicali.
Sulle torri comunali e sui campanili delle chiese vengono costruiti complicatissimi orologi in cui l’indicazione dell’ora si accompagna al movimento di dispositivi che indicano le rivoluzioni degli astri, mentre angeli, santi e re magi appaiono al cospetto della Madonna, a offrire un’ulteriore testimonianza del gusto dell’epoca per tutto ciò che era meccanico. Meta obbligata per i fabbricanti dell’epoca è l’orologio realizzato nella cattedrale di Strasburgo nel 1350. Enorme, comprendeva un calendario mobile, un astrolabio che mostrava i movimenti dei pianeti noti a occhio nudo, mentre in alto vi era la Madonna al cui cospetto, a mezzogiorno, comparivano i re Magi che le giravano intorno; un carillon eseguiva una musica e un gallo alla sommità del tutto muoveva le ali facendo sentire il suo canto. Il primo orologio con automi in Italia risale al 1351, posto sulla torre d’angolo tra via del Duomo e piazza del Duomo a Orvieto. Nato come orologio da cantiere, segnava le ore del lavoro per la fabbrica dell’edificio sacro per mezzo di un automa, un inserviente che con un martello colpiva la campana maggiore.
Il capolavoro dell’epoca è però l’astrarium costruito verso il 1350 da Giovanni de’ Dondi, chiamato poi maestro Giovanni dell’Orologio. Il Dondi lavora per ben quindici anni alla realizzazione di questo complicato orologio, che descrive in un trattato: un capolavoro di meccanica che indicava automaticamente i giorni, i mesi, gli anni e le rivoluzioni dei pianeti. Vi erano sette quadranti, uno per ognuno dei corpi celesti che secondo il sistema aristotelico-tolemaico ruotavano attorno alla Terra, messi in movimento tramite una serie di ingranaggi e ruote meccaniche. Le cronache dell’epoca registrano l’andirivieni di persone davanti a questa macchina del tempo, ancor più sorprendente perché i meravigliosi movimenti offerti allo spettatore erano prodotti dalla caduta di un solo peso. Collocato nella biblioteca del castello dei Visconti di Pavia, restò in stato di abbandono dopo la morte del suo artefice perché nessuno fu in grado di occuparsene.
Queste ambiziose imprese non furono prerogativa esclusiva dell’Occidente. Al secolo XIII risalgono infatti anche le realizzazioni di al-Jazari, autore di uno straordinario orologio meccanico dei pianeti, che indicava la posizione del Sole e della Luna nelle costellazioni. La figura mostra la parte superiore del cerchio con i segni zodiacali. Dal becco di due uccelli allo scoccare di ogni ora veniva lasciata cadere una sfera dentro un vaso di bronzo sottostante, a indicare anche acusticamente lo scorrere del tempo secondo uno schema già presente nel trattato Sulla costruzione degli orologi ad acqua scritto da un anonimo autore arabo nel 1150 e attribuito ad Archimede. Un dispositivo meccanico guidava l’apparizione di personaggi situati nella parte inferiore, che alle sei, alle nove e alle dodici facevano squillare le loro trombe.
Fino alla metà del Quattrocento gli orologi privati saranno una rarità, complicati, costosi e difficili da gestire. Il motore a contrappesi e le parti in ferro li rendevano estremamente pesanti, ciò che avrebbe continuato a costituire un problema fino all’ideazione di una nuova forza motrice. Nel Trecento e per buona parte del Quattrocento ben pochi tra i privati possono permettersi di acquistare un orologio del genere. La domanda resta limitata e solo nel corso del Cinquecento l’orologeria diviene attività degna di rilievo e autonoma.
La più importante novità legata alla comparsa dell’orologio fu l’affermazione del concetto della uguale durata delle ore, con una valutazione del tempo indipendente dal mutare delle stagioni. L’orologio meccanico trasforma le idee dell’uomo sul tempo, non più percepito come un intervallo tra eventi diversi, ma come un fluire continuo, indipendente da qualunque situazione e matematicamente misurabile. Con la divisione dell’ora in 60 minuti e del minuto in altrettanti secondi l’orologio meccanico a scappamento controllato segna, da allora, l’eterno trascorrere del tempo ovvero la dimensione lungo la quale si pongono tutte le vicende umane. La tecnica allontana così l’uomo dalla natura, relegata in secondo piano. Con le migrazioni dei fabbri ferrai olandesi, ebrei e tedeschi capaci di comprenderne i segreti, queste capacità e tecnologie vanno diffondendosi in tutta Europa, suscitando l’interesse degli uomini di studio del XVI e XVII secolo: nelle riflessioni dei padri della rivoluzione scientifica l’orologio diverrà uno dei simboli della visione meccanicistica dell’universo e della vita.