Ottimo commento, L'
commento, Con questo appellativo (assegnatogli primamente, oltre che per l'intrinseca importanza dell'opera, pel suo schietto volgar toscano, anzi fiorentino - dunque per la sua ‛ citabilità ' - dagli Accademici della Crusca fin dall'ediz. 1612 del loro Vocabolario; indi codificato nel 1827 dal primo, anzi unico editore, il Torri, e poi sempre mantenuto dagli studiosi nonostante sia stata avanzata da tempo una precisa candidatura in sede di attribuzione), si suole comunemente designare uno dei più importanti commenti trecenteschi alla Commedia, tramandato, in tre distinte redazioni, da almeno 34 manoscritti. Tali redazioni sono così rappresentabili paradigmaticamente (indichiamo solo i codici contenenti il commento a tutte e tre le cantiche): la prima (riportabile al 1333-1334), conservata nel cod. Laurenz. 40. 19 (sec. XIV ex.), riprodotto dal Torri nella stampa; la seconda (di poco posteriore) nei codd. Riccard. 1004 e Magliab. II. 1.31 della Nazionale di Firenze (entrambi del sec. XV); la terza, infine, posteriore al 1337 ma anteriore alla prima redazione del Comentarium latino di Pietro Alighieri del 1340, e in ogni caso da porsi per dati interni avanti al 1343, nei codd. Vat. Barb. 4103 (del sec. XIV ex.) e Vat. Lat. 3201 (del sec. XV), quest'ultimo sicuramente descriptus (anche se attraverso probabili anelli intermedi) dal precedente. Mentre sarebbe utile (anche se, metodologicamente, non ineccepibile) una edizione critica che mirasse, con tecnica composita, a rappresentare di volta in volta il punto di arrivo della chiosa, traendo dai codici delle redazioni successive tutti i luoghi che innovano e modificano rispetto alla prima, è in ogni caso auspicabile almeno una nuova edizione che sostituisca la stampa, condotta dal Torri su di un solo manoscritto, e largamente migliorabile con soli codici della prima redazione.
Nella storia della più antica esegesi dantesca il commento dell'O. ha un posto tutto particolare; non soltanto per la sicura antichità, per la sua documentata fiorentinità (che lo pone quale primo commento a tutte e tre le cantiche condotto in Firenze nel decennio 1330-1340, dunque all'altezza - sul piano della Textüberlieferung - di Francesco di Ser Nardo e anteriormente ai cosiddetti " Danti del Cento "), per la familiarità che l'autore, per sua stessa testimonianza, ebbe con l'Alighieri, personalmente conosciuto e consultato (anche dopo l'esilio), e con gran parte delle sue opere, copiosamente citate (Rime, Vita Nuova, Convivio, Monarchia); ma ancor più, per il preciso e tutto intenzionale carattere che l'esegeta ha voluto imprimere alla sua chiosa: fin dalla prima redazione promossa quale summa delle precedenti esperienze di commento, intenzionalmente usufruite e invocate a costituire e consolidare una ormai percepita e valorizzata ‛ tradizione ', dalla quale emerge sicuramente la nozione dell'importanza e ‛ auctoritas ' (se non ancora ‛ classicità ') dell'opera maggiore di Dante. A capire le intenzioni del chiosatore, basterà citare l'inizio del proemio alla prima redazione, mutilato nella stampa del Torri: " Intendendo di sponere le oscuritadi che sono in questo libro intitulato Commedia, composto per Dante Alleghieri fiorentino, e narrare le storie e le favole della presente opera, e dare più piena notizia delle persone nominate in essa, delle c[hi]ose di più valenti huomini che ad esponerle puosono loro utile fatica accolte le infrascritte e aggiuntene alquante, cominceroe questo commento nel nome di Dio Padre, Figliuolo, e Spirito Santo ". Il punto di partenza del commento è dunque interpretativo ed espositivo insieme, ma anche decisamente impegnato a fare un bilancio dei risultati anteriori; bilancio che se più spesso si concreta nella materiale assunzione delle precedenti chiose (in particolare da Iacopo Alighieri, da Graziolo Bambaglioli e soprattutto da Iacopo della Lana), talora impegna l'autore o in una diretta polemica coi suoi predecessori, oppure in una collazione e giustapposizione di una ‛ varia lectio ' interpretativa, che si vuole discutere e disciplinare (varrà la pena di rammentare, ad esempio, pel primo punto, la polemica cortese ma ferma con Graziolo Bambaglioli al canto XIII dell'Inferno a proposito della pena dei suicidi dopo il Giudizio universale [vol. I 248-250], e pel secondo il giudizio dato dall'autore medesimo in una chiosa del Purgatorio [vol. Il 102]: " Questa chiosa è tratta da diverse chiose, e però pare varia ").
Tale interiore dialettica, portata avanti, come si è detto, lungo tutto il commento, e inerente alla stessa tecnica esegetica, caratterizza ampiamente e sintomaticamente l'evoluzione - e talora l'oscillare - della chiosa nelle successive redazioni: basterà appena rammentare che tipico della seconda redazione è il rifacimento delle postille ai primi tre canti dell'Inferno, fondato sulla massiccia assunzione del dettato di Graziolo Bambaglioli, la cui presenza (nella prima redazione, ai canti corrispondenti) era del tutto trascurabile: il che ci prova come l'O. sia stato spinto al rifacimento, in quel punto, proprio dalla scoperta dell'esatta portata della chiosa del Bambaglioli, del suo carattere tutto interpretativo, fondato sull'approfondimento del canone di D. ‛ agens ', personaggio e poeta della Commedia; mentre la terza redazione conterrà ad esempio preziose novità come il volgarizzamento, nel proemio al Paradiso, di intieri paragrafi dell'epistola a Cangrande (conosciuta in una tradizione testuale non diversa da quella conservata nei codici oggi noti), oppure la progressiva e ancor più diffusa infiltrazione di rimandi e richiami sempre più fitti a luoghi paralleli delle varie opere dantesche, non disgiunta nel contempo da alcune vigorose potature (come ebbe a definirle Giuseppe Vandelli) effettuate in altre parti della chiosa, quasi per porre freno alla tecnica ‛ summatica ' delle precedenti redazioni, e raggiungere un'ideale ‛ misura ' di equilibrio esegetico.
Naturalmente non è sempre possibile cogliere dall'interno, e documentare, un evolversi positivo della chiosa attraverso le tre redazioni, anche se, del rimanente, si dovrà ammettere che alcune sicure ‛ involuzioni ' esegetiche dovettero, nel pensiero e nelle intenzioni dell'autore, rappresentare un miglioramento interpretativo: valga quale esempio l'analisi della struttura, anzi dell'ordinamento morale dell'Inferno, condotta nei proemi generali delle tre redazioni con mutevoli e discutibili risultati, ma d'altronde con una sicura e interessante capacità di individuare e di segnalare almeno, al lettore, la presenza di una delle più forti cruces interpretum che affaticherà la critica moderna. D'altra parte, sarebbe pur possibile mostrare, attraverso un esame comparativo, come di redazione in redazione l'O. abbia provveduto a espungere errori sicuri d'interpretazione, sia grammaticale (letterale) che storico culturale: prova ulteriore di un lento ma sicuro travaglio, che non può assolutamente esser considerato (come ebbe un tempo a pensare il Vandelli) in gran parte occasionale (motivato cioè a dire dalla richiesta di copie del commento).
Per concludere questo sintetico inquadramento dell'O., diremo dunque, riepilogando, che i suoi pregi consistono, innanzi tutto, nell'indubbia mentalità critica che ha guidato la tecnica summatica della chiosa, quasi sempre vigile a far convergere e a discutere le varie interpretazioni; nell'intenzionale usufruimento, sempre più massicciamente condotto, delle varie opere di D. sì che potrebbe dirsi che l'O. ha per primo attuato il canone, poi epigraficamente espresso da Giovan Battista Giuliani, di " spiegar Dante con Dante " (anche se tale canone mira nel commento più alla chiosa puntuale che a far centro nella concreta ideologia di D.); nel vigoroso e sicuro senso della lingua, che lo rende prezioso, e insieme nella capacità di cogliere (magari addirittura invocando la testimonianza di D. direttamente consultato: si veda la chiosa a If X 85-88) il valore tutto particolare, diciamo la tensione (sul piano del vocabolario e della rima) di certe scelte dantesche. Nello stesso tempo, avendo conosciuto, come si è detto, di persona l'Alighieri (assai probabilmente in uno dei frequenti soggiorni compiuti dal chiosatore in alta Italia, da ascrivere a motivi professionali), l'O. sente meglio degli altri commentatori alcuni aspetti della sua biografia materiale (anche di cittadino e di uomo politico), riuscendo a narrare aneddoti succosi con gusto personale, e a darci (o a confermarci preziosamente) utilissime notizie storiche, come nel caso degli avvenimenti fra il 1302 e il 1304 o dell'ambasciata anteriore presso Bonifacio.
Non sarà poi neppure da trascurare, ma anzi da mettere fortemente in rilievo, la capacità dell'O. di cogliere nei suoi esatti termini la genuina poetica dantesca, anche nella Commedia, storicizzandola entro la nozione di poesia come fictio rethorica musicaque poita (VE II IV 2), dunque ben lungi dai teologismi che caratterizzeranno l'esegesi della seconda metà del secolo XIV, nel fideistico e teologistico instaurarsi del canone ermeneutico di D. non più e soltanto ‛ poeta ' ma ‛ profeta '. Altro pregio sicuro (e sicuro avanzamento sul piano critico) la progressiva valorizzazione, al servizio dell'illustrazione puntuale, degli elementi di una più precisa (se non ancora rinnovata, come avverrà soltanto col Comentarium di Pietro Alighieri) cultura classica. Da questo punto di vista l'O., nel suo ricorrere alle fonti per chiarire ed esporre accenni ed episodi danteschi, è ancora strettamente medievale: sfrutta cioè il dato oggettivamente culturale con intento meramente didascalico, senza metterlo in rapporto diretto con la tecnica di rappresentazione e con la poetica dell'imitazione dai classici propugnata e attuata da D. (e questo farà invece Pietro Alighieri). Ma, rispetto ai commentatori precedenti, che della classicità avevano una conoscenza empirica e approssimativa (soprattutto Iacopo Alighieri e Iacopo della Lana), ecco che l'O., alle favolose narrazioni pseudoclassiche (nell'ambito della tradizionale romantizzazione dell'antico) viene a sostituire, con assoluta organicità di metodo, i diretti volgarizzamenti dei testi latini, da Ovidio a Virgilio a Stazio a Lucano, e mostra anche una buona informazione sul mondo classico. È insomma una nuova realtà che si estende per tutto il commento, e avvalora, con la sua maggiore obbiettività e storicità, il carattere dell'esposizione.
Questo atteggiamento di aperto e sensibile volgarizzatore (di prima mano), applicato con bella tenacia nelle varie redazioni, conforta e avvalora l'ipotesi (ma è qualcosa di più di una mera ipotesi) che l'autore dell'Ottimo commento sia Ser Andrea di Ser Lancia Notaro fiorentino, bella figura di volgarizzatore ancora da studiare compiutamente, sotto il cui nome vanno pei codici i volgarizzamenti di Palladio, di Valerio Massimo, del Rimedio d'Amore ovidiano, delle Epistole di Seneca, ecc., e al quale è dovuto anche il volgarizzamento delle Riforme e Provvisioni del comune di Firenze, cui attese nel 1356. Il Lancia usava sottoscrivere le proprie opere o documenti o per esteso o con la sigla A.L.; e due codici del commento (Magliab. Conv. Soppr. J.I. 30, già San Marco 221, e Vat. lat. 4776) recano appunto nell'explicit: " Finiscono le glose accolte et compilate per A.L.N.F. sopra la Comedia di Dante Alleghieri... ", dove le iniziali staranno, appunto, per " Andrea Lancia Notario Fiorentino ". Inoltre sarà da aggiungere che il Lancia, fin dagli anni giovanili, era solito impreziosire i suoi volgarizzamenti mediante evidenti coloriture dantesche, " evocando p. es. sicuramente nel tradurre Aen. II 793 un passo famoso del Purgatorio (II 81) ", secondo quanto ha osservato, anzi ribadito Gianfranco Folena: sicché ai dati della tradizione diplomatica si aggiungono, per l'identificazione dell'autore, potenti conferme interne. Poiché Ser Andrea Lancia notaro fiorentino è presente in atti dal 1315 al 1356, potremo, con vari critici, collocarlo all'incirca fra il 1280 e il 1360, portando induttivamente l'inizio della sua operosità letteraria (s'intende non del suo ‛ dantismo ') attorno ai primi anni del sec. XIV. Certo egli era troppo giovane per aver avuto, con l'Alighieri del periodo fiorentino, contatti più stretti e fruttuosi di una personale conoscenza: ma era insieme abbastanza provetto per acquistare ben presto il senso di una precisa grandezza, per cogliere la dimensione di una personalità non solo storico-politica ma anche e soprattutto poetica, e rimanere poi colpito, in modo determinante, da quell'imponente fenomeno letterario che, anche per i suoi contemporanei, fu subito la Commedia.
Bibl.-Edizione: L'Ottimo commento della D.C. - Testo inedito d'un contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Crusca, a c. di A. Torri, Pisa 1827-1829. Studi: L. Rocca, Di alcuni commenti della D.C. composti nei primi vent'anni dopo la morte di Dante, Firenze 1891, 239-342; F. Pellegrini, Per la cronologia dell'Ottimo commento, in " Bull. " XXV (1918) 85-89; G. Vandelli, Una nuova redazione dell'Ottimo, in " Studi d. " XIV (1930) 93-174; F. Mazzoni, Per l'Epistola a Cangrande, in Studi in onore di Angelo Monteverdi, Modena 1959, II 489-516; ID., La critica dantesca del secolo XIV, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 293. Per l'attribuzione al Lancia e per la sua figura di volgarizzatore si vedano particolarmente: C. de Batines, Andrea Lancia, scrittore fiorentino del Trecento, in " L'Etruria " I (1851) 18-27; L. Bencini, Intorno alle opere di Andrea Lancia, ibid., 140-155; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-1887, I 427, 455-456; C. Segre, Volgarizzamenti del Due e Trecento, Torino 1953, 569-570; G. Folena, La Istoria di Eneas vulgarizzata per Angilu di Capua, Palermo 1956, XXVII-XL; ID., La tradizione delle Opere di Dante Alighieri, in " Atti Congresso Internazionale Studi Danteschi ", Firenze 1965, I 42, 45.