L'Ottocento: astronomia. La teoria lunare da Laplace a Hansen e Hill
La teoria lunare da Laplace a Hansen e Hill
Il capitolo riassume i principali sviluppi della teoria lunare nel XIX sec., con particolare attenzione alle motivazioni, alle strategie generali adottate e al grado di successo empirico raggiunto da tali sviluppi. Descrizioni matematiche dettagliate delle principali teorie lunari del XVIII e del XIX sec. si devono a François Tisserand (1894) e a Ernest W. Brown (1896), mentre un'esposizione più sintetica è stata fornita recentemente da Alan Cook (1988).
Intorno alla metà del XVIII sec., Alexis-Claude Clairaut (1752), Leonhard Euler (1753) e Jean Le Rond d'Alembert (1754) avevano elaborato teorie lunari analitiche che, rispetto ai risultati forniti dall'osservazione, possedevano un'accuratezza di circa 3′, pur rimanendo in qualche modo discordanti tra di loro. Clairaut aveva scoperto che, per derivare con ragionevole precisione il moto dell'apside orbitale della Luna, le approssimazioni dovevano essere sviluppate fino al secondo ordine della forza perturbatrice. La teoria lunare definitiva di Euler, completata nel 1772, aveva introdotto le coordinate rettilinee rotanti, uno strumento che, un secolo più tardi, sarebbe stato adottato da George W. Hill. Tuttavia il procedimento usato da Euler, come venne mostrato successivamente, implicava la presenza di termini crescenti con il tempo e non poteva di conseguenza costituire la base di una teoria rigorosa.
Nel 1714 il parlamento britannico aveva approvato il Longitude act, che prevedeva l'assegnazione di generosi premi a chi avesse sviluppato un metodo per calcolare la longitudine in mare: 20.000 sterline per chi avesse fornito la longitudi-ne con un margine di errore di mezzo grado, 15.000 sterline con un margine di errore di due terzi di grado e 10.000 sterline, infine, per un margine di errore di un grado. Per soddisfare quest'ultima condizione una teoria lunare doveva possedere un'accuratezza di 2′; le teorie di Clairaut, Euler e d'Alembert erano perciò fuori concorso. Un loro contemporaneo, Johann Tobias Mayer (1723-1762), astronomo di Gottinga, pubblicò nel 1753 un insieme di tavole da cui si poteva ricavare la posizione della Luna con un margine di errore inferiore a 2′ e generalmente pari a 1′ 15″. Queste tavole, riviste da Mayer e sottoposte ad approfondite verifiche da parte del British Board of Longitude, divennero la base per il Nautical almanac and astronomical ephemeris, che diede inizio alla pubblicazione annuale con il volume per l'anno 1767.
Per tale risultato la vedova di Mayer ricevette un premio di 3000 sterline. Contemporaneamente, a John Harrison (1693-1776) venne assegnato un premio di 10.000 sterline per il suo cronometro marino che, dopo essere stato trasformato dagli orologiai in uno strumento affidabile e dai costi accessibili, divenne l'oggetto preferito dai marinai per determinare la longitudine. Quello dei 'lunari' rimase tuttavia un importante metodo ausiliario per tutto il XIX secolo.
Mayer aveva ottenuto un risultato sul quale si erano impegnati invano i grandi analisti dell'epoca. Egli era riuscito in questa impresa perché, studiando il saggio di Euler del 1748 sulle irregolarità orbitali di Giove e di Saturno, aveva capito come risolvere il problema e aveva costruito la propria teoria analitica delle perturbazioni della Luna. La teoria di Mayer differiva da quelle di Euler, Clairaut e d'Alembert, in quanto seguiva uno schema più antico (già utilizzato, per es., da Newton nella sua teoria lunare), nel quale si prendeva l'anomalia media come variabile indipendente e la si correggeva progressivamente fino a giungere alla determinazione della longitudine della Luna.
La sua innovazione più importante consisteva nella determinazione 'empirica' dei coefficienti dei diversi termini sinusoidali con i quali venivano calcolate le correzioni all'anomalia media. Per ottenere valori molto precisi di tali coefficienti sarebbe stato necessario sviluppare le approssimazioni fino a un ordine elevato. Mayer (1767) racconta che, dopo aver esaurito la propria pazienza nei calcoli teorici, si avvalse dei risultati delle osservazioni. Euler era stato il primo, nel saggio su Giove e Saturno, a sfruttare le equazioni multiple di condizione per raffinare le costanti di una teoria. Nel 1750 Mayer impiegò con successo questa tecnica in uno studio sulla librazione della Luna ed è probabile che egli abbia utilizzato equazioni di condizione anche per raffinare la sua teoria lunare, benché i procedimenti da lui impiegati non si conoscano in dettaglio.
In ogni equazione di condizione, un certo valore osservato era uguagliato a una somma di termini teorici con coefficienti indeterminati. Le equazioni, essendo in sovrannumero rispetto alle incognite, venivano sommate fra loro in diversi modi, per massimizzare il coefficiente di un termine alla volta (il metodo dei minimi quadrati non era ancora stato inventato). Risolvendo simultaneamente le equazioni lineari e tralasciando i termini più piccoli, ai coefficienti venivano assegnati valori che approssimativamente soddisfacevano le equazioni originali.
Grazie a un'analoga applicazione delle equazioni di condizione, nel 1778 Charles Mason aggiornò le tavole di Mayer sulla base delle 1137 osservazioni compiute da James Bradley tra il 1750 e il 1760; poco dopo Johann Tobias Bürg aggiornò a sua volta le tavole di Mason sulla base delle oltre 3000 osservazioni effettuate da Nevil Maskelyne tra il 1765 e il 1793. Dalla teoria di Mayer, Mason derivò otto nuovi termini da includere nelle tavole e Bürg ne aggiunse altri sei. Tuttavia l'eccellente qualità dei risultati finali da loro raggiunti era dovuta principalmente al perfezionamento empirico delle costanti.
In sostanza, il problema di uno sviluppo esatto della teoria fu semplicemente aggirato da Mayer, Mason e Bürg. Come osservò Pierre-Simon de Laplace nel Traité de mécanique céleste "[le loro tavole] si accordano con le osservazioni compiute sulla Luna con un grado di precisione che sarà difficile superare" (1799-1825 [1966, III, p. 357]). Il risultato, anche se rispondeva alle esigenze dei naviganti, lanciava tuttavia una sfida agli astronomi matematici: derivare unicamente dalla teoria previsioni che potessero accordarsi con le osservazioni con un grado di precisione pari a quello raggiunto dalle tavole di Bürg.
La teoria lunare di Laplace fu pubblicata nel 1802, nel Libro VII della sua Mécanique céleste. Egli annunciava: "Lo scopo di questo libro è di mostrare che la vera origine di tutte le irregolarità del moto lunare risiede unicamente nella legge di gravitazione universale e, quindi, di utilizzare tale legge come un metodo di scoperta per perfezionare la teoria di questo moto, deducendo da essa diversi importanti elementi del sistema del mondo" (ibidem).
Nel costruire la sua teoria, Laplace fece uso dell'innovazione lagrangiana da lui ribattezzata 'funzione perturbatrice': una funzione potenziale dalla quale potevano essere ricavate, per derivazione parziale, le forze perturbatrici. Nella teoria lunare egli la indicò con Q; era una funzione delle masse della Terra, della Luna e del Sole e delle distanze della Luna e del Sole dal centro di gravità della Terra.
La teoria prendeva le mosse da tre equazioni differenziali, espresse nei termini delle coordinate della Luna e delle derivate parziali di Q. Come variabile indipendente, Laplace scelse v, la longitudine reale della Luna, cioè proprio una delle quantità il cui calcolo rappresentava uno degli obiettivi della teoria. Per giustificare tale scelta (che era già stata effettuata da Clairaut e d'Alembert), Laplace osservò che le forze perturbatrici dipendono dalle posizioni relative reali della Luna, della Terra e del Sole; la riduzione delle coordinate a seni e coseni di angoli proporzionali al tempo, egli avvertì, "è difficoltosa e poco convergente, a causa delle grandi irregolarità della Luna" (ibidem, p. 356). Prendendo v come variabile indipendente e integrando un'espressione per dt/dv per determinare il tempo, si ottenevano serie maggiormente convergenti. Infine, per ottenere v come funzione del tempo, le serie dovevano essere invertite.
Le altre coordinate lunari utilizzate da Laplace erano u, l'inverso della proiezione del raggio vettore lunare su un piano cartesiano di base, e s, la tangente della latitudine della Luna sullo stesso piano. Come piano xy di base, Laplace scelse l'eclittica, cioè il piano dell'orbita del Sole; l'eclittica è soggetta a lenti cambiamenti secolari, ma egli dimostrò che l'angolo che essa forma con l'orbita lunare rimane quasi costante. La posizione del Sole era data dalla sua longitudine reale v′ e dall'inverso del raggio vettore u′.
Nel definire le equazioni differenziali per u e s, Q doveva essere espressa come funzione della sola variabile v. Perciò u, s,v′ e u′, nella misura in cui comparivano in Q, andavano espresse in termini della stessa variabile. Per evitare un ragionamento circolare, era necessario procedere per successive approssimazioni. Poiché la posizione del Sole rispetto alla Terra era perturbata solo leggermente dall'attrazione esercitata dalla Luna sulla Terra, le coordinate solari potevano essere prese come date, con buona approssimazione, dalla teoria ellittica del moto terrestre intorno al Sole (equivalente al moto del Sole intorno alla Terra). Per contro, le coordinate della Luna erano fortemente perturbate dalla differenza, variabile, fra le attrazioni esercitate dal Sole sulla Terra e sulla Luna. Come prima approssimazione, Laplace considerò l'orbita lunare al pari di un'ellisse di forma invariabile; la perturbazione induceva un effetto di rotazione sulla linea degli apsidi e su quella dei nodi, che ruotavano lentamente.
Per mezzo di quest'approssimazione, la variabile u per la Luna poteva essere espressa da una serie di coseni di angoli che crescevano linearmente con v. Allo stesso modo, la variabile u′ per il Sole poteva essere espressa da una serie di coseni di angoli che crescevano linearmente con v′. Laplace estese queste serie a termini dell'ordine del quadrato dell'eccentricità e dell'inclinazione dell'orbita lunare. Per esprimere v′ in termini di v, integrò le espressioni approssimate per dt/dv′ e dt/dv, uguagliando poi le espressioni per t così ricavate. Come risultato ottenne v′=mv+termini sinusoidali, dove m è il rapporto fra i moti siderali medi del Sole e della Luna e gli argomenti dei termini sinusoidali sono funzioni lineari di v. Laplace sviluppò quindi Q come una serie nelle potenze crescenti della piccola frazione u′/u, fino alla quarta potenza inclusa.
Fin dove bisognasse spingersi con le approssimazioni era questione aperta. Tra i fattori coinvolti nelle equazioni differenziali, Laplace designò come approssimazioni del primo ordine quattro fattori di piccola entità: il rapporto m (≈1/13) appena citato, l'eccentricità dell'orbita lunare (e≈1/20), l'eccentricità dell'orbita solare (e′≈1/60) e la tangente dell'inclinazione orbitale della Luna (γ≈1/11). I loro quadrati e i prodotti di due dimensioni erano quindi fattori del secondo ordine, come la forza perturbatrice del Sole (≈m2) e il rapporto fra le distanze orbitali medie della Luna e del Sole (a/a′≈1/400). Le equazioni differenziali per u e s erano della forma
dove Π e Γ sono serie di termini sinusoidali. Laplace propose di estendere Π e Γ fino a includere tutti i termini del terzo ordine.
Le equazioni [1] potevano essere risolte termine a termine. Se (H/a)cos(iv+β) è un termine di Π, il termine risultante in u è
dove β può essere trattata di norma come una costante.
La soluzione dell'equazione per u avrebbe permesso a Laplace di calcolare tutti i termini periodici fino al terzo ordine nell'espressione di t; vi erano ventuno termini siffatti, uno del primo ordine, cinque del secondo e quindici del terzo. Divenne presto chiaro però che, per ottenere con la sola teoria i coefficienti di questi termini con la stessa precisione con la quale Bürg li aveva ottenuti tramite l'osservazione, la teoria doveva essere sviluppata, per alcuni termini, almeno fino al quarto ordine delle quantità piccole.
Per raggiungere questo risultato, Laplace differenziò i termini di Π e Γ precedentemente trovati rispetto a u e s, impiegando l'operatore variazionale δ, e quindi pose δu e δs uguali a somme di termini sinusoidali moltiplicati per coefficienti indeterminati; gli argomenti dei seni o dei coseni erano gli stessi dei termini trovati in precedenza in Π e Γ. Egli sommò queste variazioni ai termini originali in Π e Γ. Nei primi due termini delle equazioni [1], sostituì u e s con i loro valori ellittici aumentati rispettivamente delle espressioni delle serie per δu e δs. Raccogliendo i termini simili all'interno di ogni equazione differenziale, e ponendo i coefficienti sommati di ogni seno e coseno uguali a zero, egli ottenne equazioni di condizione che dovevano essere soddisfatte dai coefficienti indeterminati. Sospettando che, in seguito all'integrazione, qualche ulteriore termine del quarto ordine potesse divenire non più trascurabile, Laplace incluse dodici di questi termini, con coefficienti indefiniti, nell'espressione di δu.
A questo punto risolse l'equazione differenziale per u con i termini sommati a Π. Dopo aver sostituito nell'espressione per dt/dv il valore risultante per u, Laplace integrò quest'ultima. Il risultato per la longitudine media nt+ε fu della forma:
[3] nt+ε=v+(3m2/2)∫(e'2-E'2)dv+∑Csen(iv+β),
dove n e ε sono costanti, E′ è l'eccentricità dell'orbita terrestre in una determinata epoca, e′ è la stessa eccentricità in qualsiasi altro momento e, per ogni termine in
[4] ∑Csen(iv+β),
C, i e β sono costanti. Il termine (3m2/2)∫(e′2−E′2)dv rappresenta l'espressione di Laplace per l'accelerazione secolare della Luna. Infatti, mentre Mayer aveva inserito nelle sue tavole un valore empirico di questa accelerazione, Laplace, a metà degli anni Ottanta del XVIII sec., era stato il primo a trovare un metodo per derivarla dalla legge di gravitazione newtoniana. Egli aveva infatti scoperto che un incremento secolare dell'eccentricità orbitale di Giove produceva una diminuzione secolare nei moti medi dei satelliti di Giove; per la Luna doveva invece verificarsi l'effetto opposto, a causa della costante diminuzione dell'eccentricità dell'orbita terrestre (Laplace 1825). La diminuzione dell'eccentricità implicava che la forza perturbatrice radiale media dovuta al Sole stesse diminuendo. Di conseguenza, la Luna si stava lentamente avvicinando alla Terra, andando così a occupare orbite in cui la sua velocità angolare media era maggiore. Calcolandone l'effetto, Laplace scoprì che era Δv=+10,200159″T2, dove T rappresenta il numero dei secoli trascorsi dall'epoca iniziale di calcolo: un risultato che si accordava bene con l'osservazione. Subito dopo la metà del secolo verrà scoperto, come si vedrà, che il suo calcolo necessitava di una correzione.
A questo punto, Laplace determinò i coefficienti C nei termini periodici ∑Csen(iv+β), introducendo valori empirici per le costanti arbitrarie della teoria, come m,e,e′,γ, e risolvendo simultaneamente le equazioni di condizione tra i coefficienti indefiniti introdotti precedentemente. Per controllare rispetto alle osservazioni i coefficienti che risultavano, invertì la forma della teoria di Mayer, in modo da ottenere nt+ε in termini di v, e quindi confrontò i coefficienti corrispondenti. La differenza più grande tra uno qualsiasi dei suoi coefficienti e uno di quelli di Mayer era di 32,4″; tale differenza si riduceva sino a 9,8″ nel confronto con le tavole di Mason e a 8,3″ rispetto a quelle di Bürg. La teoria di Laplace per le latitudini aveva un riscontro ancora più stretto con le osservazioni. Egli poté così concludere che da ciò seguiva incontestabilmente che la legge di gravitazione universale era la sola causa delle irregolarità lunari.
Laplace riuscì a derivare dalla teoria numerosi effetti di cui fino ad allora non si sospettava l'esistenza o per i quali non si disponeva ancora di una spiegazione. Scoprì che la diminuzione secolare dell'eccentricità dell'orbita della Terra era la causa, oltre che dell'accelerazione secolare nella longitudine lunare, anche di accelerazioni secolari nei movimenti del perigeo e del nodo lunare. Mayer aveva ricavato empiricamente un termine proporzionale alla longitudine della Luna dal suo nodo; Laplace mostrò che esso era deducibile dall'effetto gravitazionale dello schiacciamento polare della Terra. Sempre dallo schiacciamento della Terra, egli derivò anche un'irregolarità nella latitudine della Luna, la cui esistenza venne confermata da Bürg. Entrambi gli effetti fornivano un metodo per misurare lo schiacciamento della Terra senza ricorrere a operazioni geodetiche.
Una delle irregolarità della longitudine lunare, la cosiddetta 'equazione parallattica', presentava un coefficiente proporzionale al rapporto fra la distanza media della Luna dalla Terra e la sua distanza media dal Sole; ponendo il valore teorico del coefficiente uguale al valore empirico determinato da Bürg, Laplace riuscì a ricavare un valore per la parallasse orizzontale del Sole. Il suo risultato fu di 8,6″, un valore che si accordava bene con quello ottenuto dal transito di Venere del 1769. Alcuni decenni dopo, tuttavia, si scoprì che questa costante era approssimata per difetto e che il suo valore andava portato a circa 8,8″.
Per quanto riguarda le irregolarità lunari più piccole, Laplace arrivò fino a calcolare quelle dovute alle attrazioni di Venere, Marte e Giove; nella longitudine, soltanto l'irregolarità dovuta a Venere era maggiore di 1″. Secondo Laplace, la sua deduzione delle irregolarità lunari era di poco inferiore, in quanto a precisione, a ciò che si poteva ottenere tramite le osservazioni. Egli guardava con speranza al giorno in cui le tavole lunari avrebbero potuto basarsi unicamente sulla legge di gravitazione universale, senza dover ricorrere alle osservazioni se non per i dati necessari alla determinazione delle costanti arbitrarie di integrazione.
Nel derivare le irregolarità di ordine superiore, Laplace si basò in certa misura sulla capacità di indovinare quali termini si sarebbero rivelati grandi una volta calcolati. La sua classificazione dei fattori in base al loro valore non produsse una rigorosa sistemazione dei termini secondo il loro ordine di grandezza (uno dei suoi termini del 'quarto ordine' nella longitudine è maggiore di sei dei suoi termini del 'terzo ordine'); non si poteva infatti essere sicuri di aver tenuto conto di tutti i termini maggiori di un certo valore minimo specificato.
Per alcuni anni dopo il 1802 nessuno tentò un nuovo calcolo teorico delle irregolarità lunari. Le tavole lunari di Bürg, modificate per tenere conto delle scoperte di Laplace, furono pubblicate nel 1806. Nel 1811 Johann Karl Burckhardt (1773-1825), un immigrato tedesco presentò al Bureau des Longitudes, del quale era divenuto membro nel 1799, nuove tavole lunari basate su 4000 osservazioni, nonché sulle scoperte di Laplace. Una commissione, di cui faceva parte lo stesso Laplace, confrontò le tavole di Bürg e di Burckhardt con osservazioni distribuite su diversi punti dell'orbita lunare. Su 167 osservazioni della longitudine lunare, l'errore quadratico medio delle tavole di Bürg era di 6,5″, mentre quello delle tavole di Burckhardt era di 5,2″; su 137 osservazioni della latitudine lunare, i rispettivi valori erano di 6,9″ e 5,5″; l'uso delle somme dei quadrati degli errori nel confronto delle tavole fu un'iniziativa di Laplace, dal momento che né Bürg né Burckhardt avevano impiegato il metodo dei minimi quadrati nello sviluppo delle loro teorie. Le tavole di Burckhardt erano chiaramente le migliori e fino al 1861 esse furono utilizzate sia dai Francesi nella loro Connaissance des temps sia dai Britannici nel loro Nautical almanac, come base per le effemeridi lunari.
Su richiesta di Laplace, il tema proposto dalla Académie des Sciences parigina per l'assegnazione del premio per il 1820 fu: "Costruire, mediante la sola teoria della gravitazione universale e traendo dalle osservazioni solamente gli elementi arbitrari, tavole del moto della Luna precise quanto le nostre migliori tavole attuali". Due memorie si contesero il premio, una del barone Marie-Charles-Théodore Damoiseau (1768-1846), l'altra di Giovanni Antonio Amedeo Plana (1781-1864) e di Francesco Carlini (1783-1862).
Damoiseau, nato a Besançon, era stato uno dei nobili francesi 'emigrati' nel 1792; ufficiale di artiglieria in Piemonte e in Portogallo e, fino all'entrata dell'esercito napoleonico in Portogallo nel 1807, direttore aggiunto dell'Osservatorio di Lisbona, dopo la Restaurazione divenne direttore dell'Osservatorio dell'École Militaire di Parigi.
Il metodo seguito da Damoiseau è laplaciano ma applicato in maniera più uniforme e con un livello di approssimazione assai migliore. Sin dall'inizio Damoiseau pose u=u0+δu, s=s0+δs, dove u0 e s0 sono i valori ellittici di u e di s, e δu e δs sono i cambiamenti che essi subiscono a causa della perturbazione. Sviluppò u0 e s0 fino al sesto ordine compreso, nel calcolo delle eccentricità lunare e solare e dell'inclinazione dell'orbita lunare. Le variazioni δu e δs venivano uguagliate ciascuna a una serie di termini sinusoidali, dove il coefficiente di ogni termine conteneva un fattore non determinato. Di questi fattori indeterminati, 85 comparivano nell'espressione per δu, altrettanti nella serie dei termini corrispondenti per la longitudine media nt+ε e 37 nell'espressione per δs. Sostituendo le espressioni di u e s nelle equazioni differenziali, rimpiazzando le costanti arbitrarie come m, e, e′, a/a′ e γ con i loro valori empirici e ponendo i coefficienti di ogni seno e coseno uguali a zero, Damoiseau ottenne 207 equazioni di condizione, che risolse con approssimazioni successive dei fattori indeterminati.
Tisserand, riferendosi a questo lavoro, lo avrebbe descritto come "la più importante applicazione forse mai fatta del metodo dei coefficienti indeterminati" (1889-96, III, p. 111). I cinque membri della commissione, guidati da Laplace, confrontarono le tavole di Damoiseau con 120 osservazioni ed esse risultarono avere lo stesso grado di precisione raggiunto dalle tavole di Burckhardt.
Plana e Carlini erano i direttori, rispettivamente, degli Osservatori di Torino e di Milano. Nella memoria che presentarono al concorso essi partivano, come Damoiseau, dalle equazioni differenziali di Laplace ma, contrariamente a Damoiseau, cercarono di ottenere una soluzione strettamente analitica o letterale. In tutto lo sviluppo della teoria, perciò, i coefficienti dei vari seni e coseni furono espressi algebricamente, senza sostituire le varie costanti empiriche m, e, e′ ecc. con valori numerici. I fattori coinvolti in ogni coefficiente rimanevano perciò espliciti, in modo tale che l'effetto della revisione di una costante empirica su un qualsiasi coefficiente particolare fosse immediatamente calcolabile. Sfortunatamente, i coefficienti comprendevano serie infinite che convergevano soltanto lentamente. Laddove le integrazioni portavano a introdurre denominatori, Plana e Carlini scelsero di svilupparli come serie infinite e di moltiplicarli per i numeratori, provocando spesso un ulteriore abbassamento della rapidità di convergenza ‒ specialmente quando era implicato il fattore m. Si noti che 'convergenza' significava in questo contesto convergenza apparente; la convergenza in senso stretto, come definita da Augustin-Louis Cauchy, non era in questione.
Plana e Carlini non produssero tavole, tuttavia, confrontando i loro coefficienti per le irregolarità nella longitudine con i corrispondenti coefficienti della teoria di Burckhardt, dimostrarono che erano in stretto accordo. Considerato l'immenso lavoro che stava dietro ai loro calcoli, nonché il valore delle espressioni analitiche che essi avevano ottenuto, l'Académie decretò che anche Plana e Carlini, così come Damoiseau, venissero premiati con l'intero ammontare del premio inizialmente annunciato. Una realizzazione più completa del progetto di Carlini e Plana fu il lavoro svolto solo da quest'ultimo e pubblicato nel 1832 in tre enormi volumi con il titolo Théorie du mouvement de la Lune. Plana procedette per fasi: prima, determinando u e s come funzioni di v fino al secondo ordine delle quantità piccole, ne ricavò i valori di nt, u′, v′; poi, ritornando alle equazioni differenziali, le risolse con il metodo dei coefficienti indeterminati per ottenere u e s fino al terzo ordine delle quantità piccole, e riprendere dall'inizio l'intero procedimento. Il secondo volume del trattato sviluppa le approssimazioni fino al quinto ordine delle quantità piccole e il terzo fornisce gli sviluppi necessari per calcolare con precisione i valori delle tre coordinate lunari sino agli ordini superiori.
Né le tavole di Damoiseau, né i coefficienti di Plana furono adottati come base per le effemeridi regolari; ciononostante furono frequentemente consultati e spesso messi a confronto con le tavole di Burckhardt. Anche a seguito di questa comparazione, le tavole di Burckhardt per la parallasse finirono con l'essere considerate erronee e, dopo il 1855, vennero definitivamente rimpiazzate nel Nautical almanac del 1856 dalle tavole calcolate da John C. Adams.
Dell'elaborazione completa di una teoria lunare si occupò successivamente il conte Philippe-Gustave-Doulcet de Pontécoulant (1795-1874), pubblicandola come quarto volume della sua Théorie analytique du système du monde; i primi due volumi erano apparsi nel 1829, il terzo nel 1834 e il quarto soltanto nel 1846. Nella prefazione, Pontécoulant racconta che nel 1840, scoraggiato e oramai convinto che la teoria lunare fosse un abisso senza fondo, andò a far visita al suo vecchio professore, Siméon-Denis Poisson, che stava morendo a causa di una malattia incurabile. Poisson lo spronò: "Devi finire il tuo compito ‒ gli disse ‒, ognuno di noi deve portare una pietra all'edificio della scienza".
Pontécoulant partiva da equazioni differenziali nelle quali la variabile indipendente è il tempo. John W. Lubbock (1803-1865) adottò equazioni simili per la teoria lunare in una serie di articoli scritti fra il 1833 e il 1840, ma non sviluppò la teoria così a fondo come Pontécoulant. Come abbiamo visto, nelle teorie in cui v è la variabile indipendente, la soluzione di t in termini di v deve essere invertita; ma il tempo e il lavoro necessari aumentano con l'ordine di approssimazione cercato. Seguendo il consiglio di Poisson, Pontécoulant e Lubbock adottarono un metodo che evitava questo passaggio aggiuntivo. Una volta completato lo sviluppo analitico delle irregolarità, Pontécoulant sostituì nelle formule i valori empirici alle costanti e confrontò i coefficienti ottenuti con quelli di Damoiseau, di Plana e di Burckhardt. Pontécoulant diede 95 termini per la longitudine, per i quali Plana forniva 92 valori e Damoiseau 85. I valori dei coefficienti di Pontécoulant erano molto vicini a quelli dei coefficienti di Plana; un risultato soddisfacente, considerata la diversità dei loro metodi. In undici casi di discordanza, Pontécoulant rintracciò la fonte delle differenze in alcuni errori presenti nei calcoli di Plana. Le differenze tra Pontécoulant e Burckhardt erano generalmente piccole; in due casi superavano 2″; in 16 casi erano superiori a 1″. Secondo Pontécoulant, tali differenze erano in gran parte attribuibili a imprecisioni nelle osservazioni su cui si basavano le tavole di Burckhardt. Ritenendo di aver sviluppato la teoria sino al massimo livello consentito, all'epoca, dallo stato dell'analisi egli, per ottenere ulteriori progressi, cercò di migliorare l'accuratezza delle osservazioni.
Nel 1848 l'astronomo reale George B. Airy pubblicò un riassunto delle osservazioni lunari compiute a Greenwich dal 1750 al 1830. Per avere valori teorici con cui confrontare le latitudini e le longitudini ottenute tramite l'osservazione, si rivolse alle tavole pubblicate da Damoiseau nel 1824, nelle quali i coefficienti erano modificati in modo tale da essere in accordo con la teoria di Plana. Egli ammirava le tavole di Damoiseau per la loro forma conveniente e specialmente per l'uso della divisione centesimale della circonferenza (ogni quadrante era diviso in 100 gradi); il ritorno al sistema sessagesimale nelle tavole di Damoiseau del 1828 venne da lui descritto come 'il più grande passo indietro mai fatto in astronomia'.
Apprendendo da Pontécoulant e da Lubbock che alcuni dei coefficienti di Plana dovevano essere rivisti, Airy si consultò con Plana e, ricevute le sue nuove indicazioni nel settembre del 1841, procedette alla correzione degli elementi dell'orbita della Luna. Sulla base della teoria di Plana così rivista e degli elementi lunari di Airy, Benjamin Peirce fondò le sue Tables of the Moon (1853, 1865); queste tavole servirono come fonte per le effemeridi lunari apparse nell'American ephemeris and nautical almanac, dal 1855, quando ebbe inizio la pubblicazione, fino al 1882.
Peter Andreas Hansen (1795-1874), nato nella città di Tönder nello Schleswig, era figlio di un artigiano. Su insistenza del padre imparò il mestiere di orologiaio, dedicandosi però nel tempo libero allo studio delle lingue, della musica e della matematica. Tramite i buoni uffici di un medico, nel 1820 venne presentato a Heinrich Christian Schumacher (1780-1850), direttore dell'Osservatorio di Altona (vicino ad Amburgo). Hansen divenne assistente di Schumacher e rapidamente acquisì una certa esperienza sia in astronomia pratica sia in astronomia teorica. A partire dal 1823, le sue osservazioni e i suoi calcoli cominciarono ad apparire nella rivista "Astronomische Nachrichten", che Schumacher aveva fondato nel 1821. La scoperta di Hansen di un nuovo e più accurato metodo per determinare la latitudine geografica lo portò, nel 1825, alla nomina di direttore dell'Osservatorio di Seeberg a Gotha (vicino Erfurt), dove sarebbe rimasto fino alla morte, rifiutando ripetuti inviti ad assumere cariche altrove.
Nel 1829 Hansen pubblicò la descrizione del nuovo metodo per determinare le perturbazioni che lo avrebbe portato ai suoi principali risultati. Egli inizialmente lo applicò alle perturbazioni reciproche tra Giove e Saturno, redigendo una memoria (1831) che vinse un premio della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino nel 1830. Un'ulteriore presentazione del metodo apparve sulle "Astronomische Nachrichten" (1834). Nel 1838 Hansen pubblicò i Fundamenta nova investigationis orbitae verae quam luna perlustrat, che posero le basi per l'applicazione del suo metodo alle perturbazioni lunari; nel 1857 furono stampate dal governo britannico le sue Tables de la Lune construites d'après le principe newtonien de la gravitation universelle. Un ulteriore resoconto del suo metodo per le perturbazioni lunari fu pubblicato nel 1862.
Più di un lettore trovò alquanto oscuri questi resoconti. Pontécoulant, che tentò di spiegare il nuovo metodo di Hansen ai suoi connazionali francesi nella "Connaissance des temps" del 1837, riuscì solamente ad attirarsi le ire dell'astronomo tedesco, che lo accusò di non aver colto le caratteristiche essenziali del suo sistema; anche Lubbock fu oggetto di un simile rimprovero. Simon Newcomb nelle Reminiscences (1903) ammise di non essere riuscito inizialmente a capire la superiorità del metodo di Hansen, che gli sembrava troppo complicato e addirittura rozzo.
Ci limiteremo qui a delineare la strategia generale di Hansen, sulla base del lavoro del 1829. Le formule di Laplace fornivano le coordinate perturbate ma erano rigorose soltanto fino al primo ordine delle forze perturbatrici, mentre non erano affatto garantite la precisione e la completezza nella derivazione delle perturbazioni del secondo ordine. Al contrario, il metodo di variazione delle costanti arbitrarie, inventato da Euler e sviluppato da Joseph-Louis Lagrange, poteva essere applicato rigorosamente anche nel calcolo delle perturbazioni di ordine superiore. In ogni istante, l'orbita era concepita come l'ellisse che sarebbe stata percorsa se le forze perturbatrici fossero improvvisamente svanite; questa 'ellisse osculatrice' era specificabile nella sua forma, dimensione e orientamento in termini di sei elementi orbitali, proprio come l'ellisse di un movimento non perturbato. L'azione delle forze di perturbazione avrebbe quindi comportato il cambiamento di questi elementi istante per istante. Del resto, le formule di Lagrange fornivano la variazione temporale di ogni elemento in termini delle derivate della funzione perturbatrice Ω rispetto agli elementi orbitali. Questo metodo di variazione delle costanti orbitali presentava, tuttavia, alcuni inconvenienti: per trovare le perturbazioni di 'tre' coordinate bisognava determinare quelle di 'sei' elementi; le prime perturbazioni, però, erano spesso molto più piccole delle seconde, con il risultato che, a partire da differenze tra quantità relativamente grandi, occorreva calcolare quantità molto piccole ‒ un procedimento che comportava non pochi rischi.
Hansen mirava a ottenere i vantaggi di un calcolo diretto delle coordinate mediante un rigoroso sviluppo del metodo di variazione delle costanti orbitali. Partendo dalle formule di Lagrange per la variazione temporale degli elementi orbitali, egli considerò la variazione temporale di 'funzioni' degli elementi orbitali. Per esempio, siano λ e ϱ due funzioni dei seguenti quattro elementi: a (asse semitrasversale), ε (longitudine del corpo in un dato momento), e (eccentricità) e ω̄ (longitudine del perigeo). Qualunque sia la forma di dipendenza di λ e ϱ dagli elementi, le loro variazioni temporali saranno date dalle equazioni:
dove da/dt, dε/dt, de/dt e
sono dati dalle formule di Lagrange in termini di derivate parziali della funzione perturbatrice Ω, che può essere essa stessa sviluppata come una serie infinita di termini sinusoidali con argomenti che crescono in funzione del tempo. Un'integrazione delle [5] e [6] fornirà l'espressione di λ e ϱ in funzione del tempo. Tuttavia, prima deve essere specificata la dipendenza funzionale di λ e ϱ da a, ε, e, e
solo così è infatti possibile calcolare le derivate parziali di λ e ϱ che compaiono nelle [5] e [6].
Hansen stabilì che λ dovesse dipendere dai quattro elementi di cui sopra e da una costante τ: proprio come la longitudine reale v, in un moto ellittico non perturbato, dipende da questi stessi elementi e dal tempo t. La relazione di v con t in un moto non perturbato è espressa rigorosamente dalle due formule seguenti, nelle quali E è l'anomalia eccentrica, n la velocità del moto medio e
l'anomalia media:
Se nella [7] si sostituisce t con τ e nella [8] si sostituisce v con λ, le due equazioni che si ottengono esprimeranno la dipendenza funzionale di λ dagli elementi. A questo punto, possono essere calcolate le derivate parziali di λ e la [5] può essere integrata rispetto al tempo. Dopo l'integrazione, Hansen sostituì τ con t nell'espressione di λ. Il risultato forniva il valore esatto della longitudine reale perturbata nel tempo t.
Per quanto riguarda ϱ, Hansen specificò che essa avrebbe dovuto essere data dalla stessa formula utilizzata per il calcolo del raggio vettore r in un moto ellittico non perturbato, fatta eccezione per il fatto che λ doveva essere sostituita a v:
Il calcolo di ϱ dipende perciò da una precedente determinazione di λ.
Il procedimento appena delineato indica come il valore perturbato della longitudine reale possa esser trovato in funzione del tempo. Tuttavia la proposta centrale di Hansen è di rendere conto delle perturbazioni longitudinali trattandole come perturbazioni del tempo. Sia ζ una funzione di t e τ che, sostituita attraverso τ nelle [7] e [8], produca il vero valore perturbato di λ. Considerando λ come una funzione della sola variabile ζ, e quindi soltanto indirettamente come una funzione del tempo, possiamo scrivere
e quindi
Nella parte destra della [11], dλ/dt è dato dalla [5] come una funzione delle derivate parziali di Ω, e ∂λ/∂τ si può ricavare dalle [7] e [8] sostituendo t con τ e v con λ. Quanto a ∂ζ/∂τ, Hansen mostra più avanti che esso è dato da 1 più termini moltiplicati per le masse perturbatrici. Egli è perciò in grado di integrare la [11] per ottenere ζ. Sostituendo poi τ con t nell'integrale, ottiene una funzione che rappresenta il tempo perturbato, da lui indicato con z. La longitudine perturbata reale nel piano istantaneo dell'orbita è allora ottenibile dalle formule ellittiche standard [7] e [8], sostituendo t con z. Il piano orbitale, tuttavia, non è fisso; la sua inclinazione i rispetto a un qualunque piano scelto come piano di riferimento e la longitudine θ su quel piano del suo nodo ascendente sono variabili. Hansen sostituì queste variabili con p=senisenθ, q=senicosθ e mostrò che le variazioni temporali delle nuove variabili sono date dalle equazioni:
Per mezzo di queste equazioni, Hansen fu in grado di determinare le variazioni del piano orbitale rispetto all'eclittica, considerata essa stessa mobile. Per calcolare la latitudine del corpo, la sua longitudine e il raggio vettore ridotti all'eclittica poté poi usare le formule che ne risultavano.
In alcuni articoli pubblicati durante gli anni Cinquanta del XIX sec., il matematico britannico Arthur Cayley, sfruttando un suggerimento di Carl Gustav Jacob Jacobi, presentò una descrizione eccezionalmente lucida della teoria implicita nei procedimenti di Hansen. La sua ammirazione per Hansen era profonda; le precedenti derivazioni analitiche del moto di un piano orbitale e del moto di un pianeta su quel piano erano, a suo parere, per la maggior parte molto imperfette. L'unica eccezione erano, per lui, i Fundamenta nova di Hansen, dove i punti citati erano trattati in maniera perfettamente rigorosa.
Hansen non cercò di ricavare espressioni letterali per i coefficienti dei termini sinusoidali che risultavano dalla sua teoria perché uno sviluppo letterale, insisteva, sarebbe stato interminabile e incerto. La sua attenzione era concentrata invece sull'efficacia e sulla precisione del calcolo. Egli utilizzò un procedimento meccanico per moltiplicare le serie e, laddove bisognava integrare serie complesse, fece ricorso a 'quadrature meccaniche' (integrazione numerica); nello sviluppare le integrazioni finali, sostituì i valori numerici con costanti empiriche e incluse tutti i termini con coefficienti non minori di 0,001″, aggiungendo così 221 termini all'anomalia media non perturbata. La teoria era stata adattata a un numero limitato di osservazioni, compiute negli anni 1750-1850, e per tale periodo la teoria di Hansen risultava estremamente accurata. Tuttavia Newcomb (1878) scoprì che l'accordo cessava se si consideravano le osservazioni effettuate prima del 1750 e dopo il 1850. Con le correzioni che Newcomb iniziò ad apportare nel 1883, la teoria di Hansen rimase la base delle effemeridi nazionali fino al 1922. Hansen aveva cercato di descrivere una fluttuazione a lungo termine sulla base di una perturbazione che egli aveva assegnato a Venere, rifiutata in seguito perché erronea. Nell'anno della sua morte, Newcomb stava ancora dedicandosi all'enigma delle apparenti fluttuazioni a lungo termine.
Charles-Eugène Delaunay (1816-1872) era professore di matematica all'École Polytechnique, dove insegnava meccanica razionale e applicata. Nel 1846 egli annunciò all'Académie des Sciences che il suo progetto per un calcolo analitico delle perturbazioni della Luna avrebbe seguito una strada ancora inesplorata. Il metodo usuale delle approssimazioni successive prevedeva che le irregolarità precedentemente trovate venissero a ogni passo combinate per formare nuove irregolarità, conducendo così rapidamente a calcoli inestricabili. Il nuovo metodo permetteva la completa determinazione di un termine di perturbazione alla volta. Quella che segue è una parafrasi della prima descrizione del metodo data da Delaunay nel 1846.
Sia R la funzione perturbatrice, l l'anomalia media all'epoca, g l'angolo fra il nodo su un piano fisso e il perigeo, h l'angolo fra il nodo e una linea fissata nel piano suddetto e L=(aμ)1/2, G=L(1−e2)1/2, H=Gcosi, dove μ è la somma delle masse della Terra e della Luna, a è il semiasse maggiore, e l'eccentricità, i l'inclinazione dell'orbita della Luna rispetto al piano considerato. La teoria della variazione delle costanti arbitrarie fornisce per l'ellisse perturbata le equazioni
Il primo passo per risolvere le [13] consiste nello sviluppare R come una serie di coseni di multipli degli angoli nt+l, g, h e n′t+l′, dove n è la velocità del moto medio della Luna; n′ e l′ sono le quantità solari corrispondenti a n e l. Oltre a usare valori noti per le coordinate della Luna, Delaunay opera una sostituzione delle lettere che rappresentano i valori ellittici non perturbati di L, l, G, g, H, h, contrassegnandoli con l'indice '0'; la serie risultante potrà essere scritta:
[14] R=F+∑Acos[i1(nt+l0)+i2g0+i3h0+i4(n't+l')],
dove i1, i2, i3, i4 sono numeri interi, e la sommatoria si estende a tutti i gruppi di valori di questi interi che danno irregolarità apprezzabili. Come Hansen, Delaunay mirava a calcolare ogni irregolarità sino a 0,001″.
La scelta strategica centrale per risolvere le [13] consistette nel separare R in due parti, R1 e R−R1, dove R1 è un singolo termine di R, e nel risolvere le equazioni sostituendo R con R1. Una volta trovata la soluzione, i nuovi valori di L, l, G, g, H, h devono essere sostituiti in R−R1, che può essere a sua volta separata in due parti, R2 e R−R1−R2; quindi, vengono risolte le equazioni della forma [13], con R2 sostituito a R. Il processo va ripetuto più volte; a ogni stadio, il termine più grande rimasto è sottratto da R, mentre le espressioni letterali per L, l, G, g, H, h diventano sempre più complete. A ogni passaggio, tutti gli effetti apprezzabili che possono essere ricavati dalla parte di R presa in considerazione sono determinati una volta per tutte.
Alle obiezioni di Hansen contro i suoi sviluppi simbolico-letterali Delaunay oppose il fatto che i calcoli non erano interminabili (egli stimò di aver trascorso qualcosa come sei anni interi per produrli) e che il risultato era più soddisfacente sul piano teorico. Ogni coefficiente era dato come una funzione nella quale le costanti arbitrarie e, e′, γ, m, a/a′, le loro potenze e i loro prodotti erano moltiplicati per frazioni ordinarie, di modo che due procedimenti diversi per calcolare un coefficiente, se sviluppati correttamente, dovevano portare alla medesima espressione. Lo stesso non si poteva dire per il procedimento di Hansen; i suoi numerosi termini piccoli non erano esattamente determinati ed era impossibile controllarli senza calcolare nuovamente e per intero i valori numerici.
La teoria completa di Delaunay venne pubblicata alla fine in due grossi volumi (1860, 1867). Come nei precedenti calcoli di Plana e di Pontécoulant, il lavoro si era protratto soprattutto per la lenta convergenza delle serie nello sviluppo espresso in lettere. Avendo spinto questo sviluppo fino al settimo e in alcuni casi fino all'ottavo o addirittura al nono ordine delle quantità piccole, Delaunay introdusse 'complementi probabili', che erano basati sul tasso di diminuzione degli ultimi due o tre termini di una serie; in seguito Newcomb li giudicò abbastanza corretti in molti casi, ma alquanto illusori in altri.
Delaunay stava ancora lavorando sulla derivazione delle perturbazioni della Luna non causate dal Sole (vale a dire quelle dovute allo schiacciamento terrestre e alle attrazioni planetarie) e sulla riduzione in tavole della sua teoria, quando morì annegando. Per molto tempo la preparazione delle tavole rimase ferma; esse furono completate e pubblicate nel 1911 a cura di Rodolphe Radau (Bureau des Longitudes). A quel tempo era però ormai evidente che una nuova teoria semiaritmetica, basata sull'opera fondazionale di Hill e in corso di derivazione da parte di Brown, sarebbe stata ancora più esatta.
Nella Mécanique céleste Laplace assegnava all'accelerazione secolare nella longitudine della Luna il valore di 10,18″T2. Nelle loro derivazioni, Damoiseau e Plana trovarono i valori 10,72″T2 e 10,58″T2; questi valori concordavano con i primi risultati empirici, per esempio quelli ottenuti da Richard Dunthorne nel 1749 (10″T2) e da Joseph-Jérôme Le Français de Lalande nel 1757 (9,886″T2). Per lungo tempo, i calcoli di Laplace rimasero indiscussi.
Nel 1853 Adams scoprì però un'omissione nella derivazione laplaciana dell'accelerazione secolare: essa non includeva la componente tangenziale della forza perturbatrice del Sole. In effetti, si assumeva che, ad angoli uguali su entrambi i lati delle sizigie, le componenti tangenziali fossero uguali e opposte e quindi si annullassero a vicenda. Data però la costante diminuzione dell'eccentricità orbitale della Terra, questa compensazione non poteva essere esatta. Adams scoprì che l'effetto cumulativo della componente tangenziale era una decelerazione. Tenendo conto degli effetti sia radiali sia tangenziali, egli ottenne un'accelerazione di 5,70″T2. Nel 1859 Delaunay confermò l'analisi di Adams, calcolando l'accelerazione secolare in 6,11″T2.
La controversia che ne derivò è stata descritta da David Kushner (1988-1989). Urbain-Jean-Joseph Le Verrier, Pontécoulant e altri difesero il valore di Laplace; sembra che Le Verrier e (inizialmente) Hansen pensassero che fosse sufficiente indicare la divergenza fra le cifre ottenute da Adams e Delaunay e il valore empirico (il valore empirico di Hansen era 12,18″T2). Pontécoulant, con analisi tanto imperfette da risultare imbarazzanti, affermò di aver individuato errori matematici nei calcoli di Adams e Delaunay; quest'ultimo respinse tali obiezioni in un lungo saggio del 1864. Restava comunque il problema di come rendere conto della discrepanza tra i valori empirici e quelli teorici.
Nel 1863 Hansen sottolineò che un aumento del giorno siderale inferiore a 0,01197 secondi in 2000 anni avrebbe spiegato l'intera discrepanza di 6″. Nel 1865 Delaunay mostrò come le maree oceaniche dovute alla Luna potrebbero causare un rallentamento della velocità di rotazione diurna della Terra. A causa della rotazione terrestre e dato che l'azione di sollevamento delle maree da parte della Luna richiede tempo, i rigonfiamenti delle maree giacciono su una linea diretta non verso la Luna ma verso un punto nei cieli a oriente della Luna stessa. L'azione della Luna su tali rigonfiamenti tende a deviarli in direzione opposta alla rotazione diurna della Terra; l'attrito fra l'acqua delle maree e la Terra solida tenderebbe perciò a rallentare la rotazione terrestre.
All'azione lunare sul rigonfiamento delle maree deve corrispondere una reazione: una spinta in avanti sulla Luna, che ne causa lo spostamento su un'orbita più lontana, tale da ridurre la longitudine del suo moto medio angolare. Delaunay non tenne conto di questa reazione, la cui importanza divenne però evidente quando si poté disporre di valori più accurati per la diminuzione del periodo di rivoluzione della Luna e del Sole. Ciò fu reso possibile grazie allo studio di antiche eclissi effettuato nel 1920 da John K. Fotheringham, un classicista divenuto astronomo. Questi trovò che l'accelerazione secolare della Luna era di 10,8″T2, mentre quella del Sole era di 1,5″T2; tale ultimo effetto era presumibilmente dovuto solamente al ritardo nella rotazione diurna terrestre. Poiché il moto medio della Luna è 13,4 volte quello del Sole, l'accelerazione della Luna dovuta a questa stessa causa dovrebbe essere 13,4×1,5″T2≈20″T2. Aggiungendo questo valore ai 6″ che Adams aveva dedotto dalla diminuzione dell'eccentricità dell'orbita terrestre, il valore totale dell'accelerazione secolare è di 26″T2, circa 15″ in più rispetto al valore osservato. Questa differenza è la seconda metà della coppia azione-reazione nell'interazione fra la Luna e le maree terrestri.
Kant, Buffon e Laplace nel XVIII sec. avevano ipotizzato che il Sistema solare fosse il prodotto di un'evoluzione. La soluzione del problema dell'accelerazione secolare del moto medio della Luna dimostrò che la meccanica celeste del Sistema solare doveva tenere conto dell'evoluzione temporale dei sistemi dinamici.
George W. Hill (1838-1914) crebbe, dall'età di otto anni, in una fattoria a West Nyack, New York. Dal momento che mostrava di possedere talento per la matematica venne mandato al Rutgers College nel New Jersey, dove fu affidato alla guida di un professore inusuale, Theodore Strong, il quale lo indirizzò alla lettura di Lacroix per il calcolo, di Poisson per la meccanica, di Legendre per le funzioni ellittiche e delle opere di Euler, Lagrange, Laplace e Pontécoulant per la meccanica celeste. Hill si laureò nel 1859 e nello stesso anno apparve la sua prima pubblicazione di argomento matematico. Nel 1861 venne premiato per un saggio sulla derivazione matematica della figura della Terra ed entrò a far parte dello staff del Nautical Almanac Office; in seguito si trasferì a Cambridge, nel Massachusetts. Dopo circa un anno ottenne il permesso di lavorare ai suoi calcoli nella propria casa di West Nyack, dove svolse ricerche sulla teoria lunare, in una solitudine intellettuale alleviata soltanto dalla compagnia dei libri. Tali ricerche culminarono in due importanti saggi, il primo pubblicato privatamente nel 1877 e il secondo nel 1878, i quali aprirono la strada a una teoria lunare decisamente innovativa, che poteva essere spinta a un livello di precisione di gran lunga superiore a quello precedentemente raggiunto. Tuttavia, gli studi di Hill sulla teoria lunare dovettero subire una battuta d'arresto.
Quando, nel 1877, Newcomb divenne capo del Nautical Almanac Office si propose come obiettivo quello di riformare le tavole planetarie sulla base di un sistema coerente di costanti. Il problema più difficile era posto dalle perturbazioni reciproche di Giove e Saturno e Newcomb chiese a Hill di elaborare nuove tavole per questi pianeti; gli chiese inoltre di trasferirsi a Washington, dove aveva sede il Nautical Almanac Office. Per dieci anni, ossia dal 1882 al 1892, Hill visse a Washington e sviluppò i difficili calcoli richiesti dal suo incarico, impiegando il metodo di Hansen. Quando, date le dimissioni, ritornò a West Nyack, la realizzazione delle tavole e lo sviluppo di una teoria lunare completa lungo le linee tracciate da Hill divennero il compito del giovane Ernest W. Brown (1866-1938).
Hill era particolarmente affascinato dall'eleganza della teoria lunare di Delaunay anche se, a suo giudizio, essa presentava gli svantaggi comuni a tutte le precedenti teorie che usavano le coordinate polari: le equazioni differenziali non erano puramente algebriche e, anche per il moto ellittico, i coefficienti dei termini non erano esprimibili in forma finita. Tali inconvenienti potevano però essere evitati impiegando coordinate rettangolari.
Gli autori di teorie lunari precedenti utilizzavano il parametro m, il rapporto fra mese siderale e anno siderale; questa scelta, osservò Hill, aveva uno spiacevole effetto sulla convergenza; per esempio, nella teoria di Delaunay la parte principale del coefficiente dell'evezione inizia con il termine (15/4)me e finisce con il termine (413.277.465.931.033/ 15.288.238.080)m8e. Hill era convinto del fatto che, per poter migliorare la convergenza, m doveva essere sostituito da una sua funzione, per esempio M=m/(1−m), il rapporto fra il mese sinodico e l'anno siderale.
La sua innovazione principale, tuttavia, fu l'adozione di un punto di partenza, o di una 'prima approssimazione', assolutamente nuovo: non la soluzione ellittica del problema dei due corpi impiegata fino ad allora bensì una soluzione speciale di un problema dei tre corpi ristretto. In questa prima fase, Hill pose uguali a zero sia l'eccentricità e la parallasse solari, sia l'eccentricità e l'inclinazione lunari e limitò la trattazione a quelle irregolarità che dipendono dal rapporto tra i moti medi del Sole e della Luna. Ponendo l'origine del sistema di coordinate nel centro di gravità della Terra, gli assi x e y sul piano dell'eclittica e ipotizzando che il sistema ruotasse in maniera uniforme in modo che l'asse x fosse costantemente diretto verso il Sole, che appare animato da moto circolare uniforme, egli ricavò le seguenti equazioni del moto:
dove n′ è la velocità angolare media del Sole rispetto alla Terra, μ è la somma delle masse della Terra e della Luna e r è il raggio vettore della Luna. Quindi mostrò che le soluzioni periodiche particolari di queste equazioni, simmetriche rispetto agli assi x e y, hanno la forma:
in cui τ=ν(t−t0), dove t0 è il tempo che la Luna impiega per attraversare il semiasse positivo x, ν la frequenza del suo moto periodico intorno alla Terra e le sommatorie devono essere estese a tutti i valori interi di i, positivi e negativi, zero incluso. Mediante un procedimento per approssimazioni successive, Hill determinò i valori delle ai, sia analiticamente, in termini di serie rapidamente convergenti nel parametro M, sia numericamente quando a M è dato il valore che esso assume per la Luna terrestre. L'errore in questi ultimi valori, affermava Hill, non poteva superare le due unità nella quindicesima cifra decimale.
Le equazioni [16] individuano un'orbita periodica che soddisfa le [15]; Hill la definisce 'orbita variazionale', poiché essa incorpora la parte principale dell'anomalia lunare nota come 'variazione'. Per ottenere un moto orbitale eccentrico simile a quello della Luna reale, Hill, nel secondo articolo sopra citato introdusse alcune oscillazioni libere intorno all'orbita variazionale. Se queste fossero state identificate con δx e δy, avrebbero dovuto soddisfare le [15], fornendo l'equazione per un'ellisse fissa in cui il parametro M è posto uguale a zero; Hill, invece, le sceglie sia parallele sia perpendicolari al raggio vettore dell'orbita variazionale. L'oscillazione lungo il raggio vettore, qui indicata con δp, è dunque data dall'equazione
un esempio di quella che ora è chiamata equazione di Hill, la cui soluzione può essere trovata per approssimazioni successive. Per ottenere una soluzione particolare senza termini secolari, ossia termini in cui τ compare fuori dagli argomenti dei coseni, si deve introdurre una costante c nella prima approssimazione:
dove c è il rapporto tra il mese sinodico e il mese anomalistico ed è di poco maggiore di 1. Proseguendo nell'approssimazione, emergono espressioni di c sempre più accurate; Hill dimostra, infatti, che questa costante è la soluzione di un determinante infinito ma convergente. Risolvendo la parte centrale di esso egli ottiene un valore valido fino quasi alla quindicesima cifra decimale. Questa costante determina il moto del perigeo lunare, che Hill trova essere pari a 0,008572573004864×360°. Per contro, la serie di Delaunay per questa costante converge così lentamente che, nonostante sia sviluppata fino a termini in m9, fornisce un valore con non più di tre cifre significative esatte.
Quando la superiorità del metodo di Hill apparve evidente, Brown, su suggerimento di George H. Darwin, iniziò nel 1888 il lungo processo di elaborazione di una teoria lunare completa basata su di esso. L'esposizione sistematica delle sue ricerche venne pubblicata nelle "Memoirs of the Royal Astronomic Society" tra il 1902 e il 1908. L'elaborazione di tavole numeriche iniziò nel 1908 all'Università di Yale sotto la direzione di Henry B. Hedric e fu completata nove anni dopo. Le tavole furono pubblicate nel 1919 (Brown 1919) e divennero la base per le effemeridi sia americane sia inglesi nel 1923.
Brown, come già Hansen e Newcomb prima di lui, ritenne necessario fare riferimento a un termine empirico di lungo periodo, che egli fissò in +10,71° sen(140,0°T+240,7°), in cui T è il numero di secoli a partire dal 1900. Gli studi successivi di Willem de Sitter (1872-1934) e Harold S. Jones (1890-1960) portarono ad attribuire tale termine a una fluttuazione nella lenta diminuzione della velocità di rotazione della Terra.
Anding 1924: Anding, Ernst, Peter Andreas Hansen. Zur Feier der fünfzigsten Wiederkehr seines Todestages, Gotha, Glaeser, 1924.
Brown 1916: Brown, Ernest W., Biographical memoir of George William Hill, 1838-1914, in: Biographical memoirs (National Academy of Sciences of the United States of America),Washington (D.C.), National Academy Press, 1877-; v. VIII, 1916.
Cook 1988: Cook, Alan, The motion of the moon, Bristol-Philadelphia, Hilger, 1988.
Kushner 1988-89: Kushner, David, The controversy surrounding the secular acceleration of the moon's mean motion, "Archive for history of exact sciences", 39, 1988-1989, pp. 291-316.