L'Ottocento: biologia. Biogeografia ed ecologia
Biogeografia ed ecologia
Nel XIX sec. le spedizioni scientifiche rivestirono un ruolo molto importante nello sviluppo delle scienze biologiche. In primo luogo, nei paesi occidentali, i reperti naturalistici provenienti da tutto il mondo contribuirono a rinnovare i concetti base della biologia: gli schemi di classificazione dell'epoca furono modificati nel tentativo di inserirvi le nuove specie, la continua scoperta di specie insolite impegnò gli studiosi di anatomia comparata ed emersero nuovi quesiti riguardanti i modelli di distribuzione, l'acclimatazione e l'importanza economica di piante e animali. Inoltre, le informazioni sulle popolazioni locali, raccolte dagli studiosi occidentali, stimolarono questi ultimi a considerare la razza umana nella sua varietà in relazione alla distribuzione geografica. Il solo fatto di viaggiare, di allontanarsi dal proprio paese d'origine, aprì ai naturalisti nuove prospettive da cui osservare la scienza della loro epoca: come ha osservato Marcel Proust, il vero viaggio di esplorazione non consiste nell'andare in cerca di nuovi paesaggi ma nel guardare le cose con occhi diversi. In secondo luogo, i viaggi, per terra come per mare, costituivano un elemento chiave dell'espansione territoriale ed economica delle potenze europee durante il periodo coloniale. Ogni forma di osservazione scientifica era considerata parte integrante dell'opera di colonizzazione e perciò la raccolta di reperti naturalistici divenne un'impresa vantaggiosa a livello nazionale.
Nell'epoca dell'espansionismo imperiale, le spedizioni scientifiche evidenziarono un'identità di interessi tra Stato e scienza, aprirono agli studiosi le porte del mondo e furono il punto di partenza di quel processo di globalizzazione che avrebbe caratterizzato i tempi moderni. Di conseguenza, è importante delineare il contesto nel quale tali viaggi si svolgevano. Il governo disponeva la partenza di spedizioni navali di esplorazione, del cui equipaggiamento si occupavano gli ufficiali della marina mentre gli scienziati, imbarcati come ospiti o come ufficiali a titolo temporaneo, erano in genere medici di bordo o medici naturalisti. In modo simile erano organizzate anche le spedizioni condotte sulla terraferma, sottoposte alla disciplina militare. Chi partecipava a una di queste imprese, e ne ritornava indenne, aveva buone probabilità di essere richiamato per quelle successive. Questi uomini, che consideravano il proprio lavoro un compito di interesse nazionale, riportavano informazioni e materiali che diventavano di proprietà dello Stato. Tale genere di esplorazione finanziata dallo Stato prosperò per tutto l'Ottocento e per buona parte del Novecento. Tra i viaggi più importanti si ricordano la spedizione della flotta imperiale russa nell'Antartico (1819-1821), comandata da Fabian Gottlieb Bellinghausen, e le spedizioni navali francesi nel Pacifico, guidate da Dumont d'Urville, con la Coquille (1822-1825), l'Astrolabe (1826-1829) e ancora con l'Astrolabe e la Zélée (1837-1840). Inoltre si segnalano la spedizione esplorativa degli Stati Uniti (1832-1842), guidata dal capitano Charles Wilkes, e i numerosi viaggi di esplorazione polare organizzati da John Barrow dell'Ammiragliato britannico tra il 1816 e il 1857. Nella prima metà del XIX sec. alcune spedizioni furono organizzate grazie al sostegno di associazioni private e società, di solito attraverso la vendita di quote finanziarie dell'impresa. Ogni società aspirava a dare il suo contributo al progresso della conoscenza e alla realizzazione di nuove scoperte; a questo si associava spesso una motivazione di carattere religioso. Ne è un esempio la spedizione del dottor David Livingstone in Africa centrale, finalizzata alla diffusione della fede cristiana, finanziata in un primo tempo da una società missionaria anglicana e, successivamente, dalla Royal Geographical Society di Londra. In alcune occasioni i giardini botanici e le società di orticoltura pagavano propri delegati che si univano alle spedizioni già organizzate per raccogliere esemplari. In altri casi, invece, persone facoltose compensavano incaricati per trovare materiale da aggiungere alla loro collezione privata; così, per esempio, Joseph Banks, che dapprima mise a disposizione degli studiosi gli esemplari conservati nella sua casa a Londra e in un secondo momento li donò al British Museum. Altre volte ancora alcuni imprenditori naturalisti finanziavano le proprie spedizioni tramite la vendita di reperti raccolti in paesi lontani, come nel caso di Alfred R. Wallace e Henry W. Bates.
È importante sottolineare che tali viaggiatori erano soprattutto uomini e che, sebbene nel XIX sec. un cospicuo numero di donne viaggiasse, le loro spedizioni erano del tutto indipendenti. In breve, quando si considerano le conoscenze acquisite durante le spedizioni del XIX sec., dovrebbe sempre essere considerato il ruolo fondamentale svolto dalle strutture culturali, finanziarie e burocratiche.
Verso la fine del secolo furono organizzate spedizioni di ricerca scientifica molto importanti, come quelle svolte dalla nave Challenger (1872-1876), incaricata di esplorare le profondità dell'Atlantico sotto la guida di Charles W. Thomson, e dalla Discovery (1903, 1910-1913) che, capitanata da Robert F. Scott, s'inoltrò nel pack dell'Antartico. Tali imprese erano costose, richiedevano un'accurata preparazione ed erano spesso frutto di accordi di cooperazione internazionale. L'analisi dell'aspetto economico delle esplorazioni può aiutare a comprendere le strutture sociali e le basi teoriche della storia naturale del XIX secolo. Gli studi volti alla classificazione, le ricerche di anatomia comparata, di biogeografia, di fisiologia o l'analisi delle relazioni ecologiche ed evolutive tra i diversi organismi non sarebbero stati possibili senza il materiale proveniente dalle diverse regioni del mondo e raccolto durante le spedizioni scientifiche. Inoltre, la mancanza di una collezione adeguata poteva perfino compromettere l'autorevolezza di un esperto. Per elaborare i risultati delle esplorazioni scientifiche, si pensava fosse indispensabile operare in grandi centri metropolitani, come Parigi o Berlino.
La visione imperialistica di 'centro e periferia' si adattava perfettamente ai naturalisti europei e nordamericani, che ritenevano il centro, con la sua ampia comunità intellettuale e le sue raccolte di esemplari, il luogo più appropriato per convertire gli oggetti naturali in 'realtà' scientifiche. Ben pochi viaggiatori, per esempio, si preoccupavano di lasciare nei musei d'oltremare, come in quello di Buenos Aires, duplicati delle collezioni a scopo didattico. Da questo punto di vista tali viaggi, e le conoscenze che ne derivavano, rappresentavano una forma di sfruttamento. Era altrettanto raro che i collezionisti manifestassero una sensibilità verso la conservazione biologica. Charles Darwin non esitò a sopprimere esemplari anche delle specie più rare, pur di accrescere la sua collezione. Di conseguenza, i reperti esposti nei musei delle metropoli occidentali divennero il simbolo dell'intero processo di 'produzione' del vero sapere scientifico e nello stesso tempo dell'espansione imperialistica.
Lo sviluppo di discipline teoriche come la biogeografia, che studia la distribuzione della flora e della fauna, e l'ecologia è legato in maniera evidente a quello dell'esplorazione geografica. Infatti, lo studio della fitogeografia e della zoogeografia, insieme a quello delle interazioni tra gli organismi e l'ambiente in cui vivono, dipende chiaramente dalla conoscenza della flora e della fauna locali. Nel 1866 Ernst Heinrich Haeckel, in Generelle Morphologie der Organismen (Morfologia generale degli organismi), definì una nuova disciplina, l'ecologia; egli coniò il termine Ökologie per indicare il modo in cui gli esseri viventi interagiscono tra loro e con l'ambiente circostante in un luogo determinato, nozione che aveva già una lunga storia, in quanto risaliva alla concezione di 'politica', 'equilibrio' o 'economia della Natura' di Linneo (Carl von Linné). I principî che dovevano guidare l'ecologia, invece, furono ampiamente discussi alla fine del secolo. Nel 1807 Alexander von Humboldt, in Essai sur la géographie des plantes, individuò alcune formazioni vegetali, che chiamò la physiognomie della vegetazione e le correlò con una serie di misurazioni fisiche, chimiche e ambientali. Egli notò che le fasce di vegetazione altitudinali erano simili alle zone di vegetazione latitudinali: la flora alla sommità del monte Chimborazo, per esempio, era paragonabile alla tundra siberiana. I botanici non tardarono a stabilire che le comunità vegetali, come le foreste di conifere, i boschi di caducifoglie o le brughiere, erano associate a particolari condizioni ambientali.
Nel 1820 Augustin-Pyramus de Candolle, in Essai élémentaire de géographie botanique, fornì una guida significativa dove definì con il termine station l'insieme delle condizioni favorevoli alla specie e con habitation il luogo geografico occupato dalla specie. Secondo Candolle, l'habitation naturale del riso era l'India; mentre la sua station era rappresentata dai terreni paludosi. Successivamente suo figlio, Alphonse, condensò in Géographie botanique raisonnée (1855) le idee dominanti in questo campo alla metà del secolo. Altri autori, inoltre, pubblicarono numerosi lavori sulla distribuzione degli uccelli e degli insetti. Tuttavia, l'innovazione più importante fu l'esaltazione della 'guerra' in Natura, proposta da Candolle. La competizione tra gli individui per lo spazio, per l'acqua e per soddisfare altre esigenze vitali e quella tra gruppi di specie per l'occupazione di aree geografiche rappresentavano la guerra, secondo la sua memorabile definizione; quest'ultima era considerata il fattore principale che determinava l'estensione e la forma delle aree di distribuzione geografica delle piante. Charles Lyell rese familiare tale concetto ai lettori britannici, descrivendo loro un'economia della Natura in cui nemici e alleati conducevano una battaglia continua nel tentativo di invadere i territori adiacenti. La chiave per comprendere le cause della presenza di determinati organismi in particolari condizioni era quindi individuata nel vigore e nelle caratteristiche fisiche di ciascuno di essi. Nello stesso tempo aumentarono le teorie biogeografiche e, spesso, furono inserite in una cornice cronologica di carattere geologico.
Il naturalista inglese Edward Forbes (1815-1854) avanzò l'ipotesi che piante e animali fossero migrati in Gran Bretagna in periodi differenti del suo passato geologico, quando il clima era più caldo e l'isola era ancora unita all'Europa continentale. La sua teoria si dimostrò particolarmente efficace nel giustificare l'esistenza di specie disgiunte, che risiedono, cioè, in due o più aree geografiche diverse e separate tra loro. Anche il botanico Joseph D. Hooker (1817-1911) suggerì allora la possibilità che ci fossero ponti di terraferma nelle regioni antartiche, spiegando così le somiglianze tra la flora dell'Australia, della Tasmania e dell'America Meridionale. In generale, per motivare la distribuzione di alcune specie, prima che fosse formulata la teoria della deriva dei continenti, i geologi e i botanici del XIX sec. proposero, indipendentemente, l'ipotesi dell'esistenza di precedenti ponti di terraferma.
Nel campo degli studi biogeografici europei vi era, innanzitutto, la tendenza a utilizzare metafore nazionalistiche e demografiche. Tutte le nuove competenze dello Stato colonialista emergente furono adattate a progetti di ricerca botanica e zoologica, specialmente di tipo statistico. Humboldt, Robert Brown e Candolle nel lavoro di catalogazione introdussero come essenziale, per esempio, la tecnica dell'aritmetica botanica basata sul rapporto tra le specie e i generi e su altre relazioni quantitative; i naturalisti, inoltre, usavano parole come Stato, regno, provincia ed espressioni quali madrepatria, avamposto e colono.
Un'altra tendenza degli studi biogeografici riguardava l'uso sempre più diffuso delle mappe ‒ strumenti indispensabili al viaggiatore ‒ per rappresentare la flora e la fauna. Nel 1850 Heinrich Berghaus pubblicò il Physikalischer Schul-Atlas (Atlante scolastico di geografia fisica), uno dei primi e più importanti atlanti che conteneva mappe del mondo, in cui le varie aree di vita animale e vegetale erano rappresentate da zone colorate in modo diverso. Nel 1858 Philip Sclater stabilì le basi per un ulteriore studio, dividendo l'avifauna mondiale in sei vaste regioni, dette anche regni biogeografici. Come conseguenza furono presto evidenziate le barriere naturali, quali gli oceani, le catene montuose, i deserti e i corsi d'acqua. Si iniziò a pensare che gli organismi possedessero un'insita e inesauribile capacità di espandersi e di crescere in numero, analogamente all'uomo. La diffusione di una specie poteva essere bloccata soltanto dalle barriere topografiche o dalle popolazioni che già occupavano lo stesso territorio. Wallace, tra il 1854 e il 1862, tracciò la linea divisoria che segna il confine biogeografico tra le forme di fauna e di flora del Pacifico e quelle indoasiatiche in Malesia; tale linea fu successivamente nominata 'linea di Wallace'.
La teoria dell'evoluzione di Darwin e di Wallace, fondata sulla selezione naturale, fornì una solida base alle discipline nascenti della biogeografia e dell'ecologia. Nella sua opera principale, On the origin of species (1859), Darwin utilizza i dati sulla distribuzione degli animali e dei vegetali per sostenere la propria idea, dedicando due capitoli del libro alla spiegazione delle sue opinioni. Secondo Darwin il clima dei tropici, che in passato era più freddo dell'attuale, aveva consentito a molte specie animali e vegetali del Nord di colonizzare il Sud, dove, in seguito, si sarebbero adattate alle nuove condizioni. Ciò avrebbe spiegato la presenza di specie simili (specie rappresentative) in entrambi gli emisferi, anche se separate dai tropici. Darwin suggerì, inoltre, altri possibili metodi di propagazione dei semi, oltre a quelli già noti, come il loro trasporto da parte degli uccelli. Individuò, infatti, la possibilità di diffusione grazie alle capacità dei semi di attaccarsi agli animali mediante uncini o sostanze appiccicose, oppure attraverso il vento, le correnti dei fiumi e degli oceani e, infine, tramite il trasporto involontario da parte dell'uomo. Darwin scartò la teoria basata sui ponti di terraferma per spiegare la distribuzione delle specie disgiunte, posizione che lo allontanava dalla maggior parte dei suoi contemporanei. Nel 1915 la teoria di Alfred Wegener sulla deriva dei continenti avrebbe dimostrato che Darwin, in questo caso, era caduto in errore. Wallace divenne un punto di riferimento per gli studi sulla distribuzione zoologica e il testo Geographical distribution of animals, pubblicato nel 1876, fu preso a modello dai naturalisti evoluzionisti per lo studio della biogeografia. In questo lavoro era mantenuta la divisione del globo in sei province zoologiche principali ‒ già proposta da Sclater ‒ che, secondo Wallace, si potevano considerare i centri dell'evoluzione e che furono chiamate: regione paleartica, neartica, indiana (od orientale), etiopica, neotropicale e australiana. In seguito il geografo francese Édouard-Louis Trouessart ne aggiunse altre due: quella artica e l'antartica. Wallace riteneva che il continente eurasiatico e l'America Settentrionale fossero i più importanti centri di cambiamento adattativo da cui gli animali e le piante migrarono altrove. Le forme meno evolute sarebbero state quindi spinte verso Sud dai gruppi dominanti meglio adattati, che si evolvevano più rapidamente, provenienti dal Nord. Analogamente alcuni botanici evoluzionisti, come Hooker, sostennero l'ipotesi che il continente eurasiatico fosse anche il principale centro di evoluzione delle specie vegetali. Tale tendenza a privilegiare le specie provenienti dal Nord, anche se sorretta da accurati studi di carattere biologico e geografico, rispecchiava le convinzioni del XIX sec. relativamente alla supremazia culturale delle nazioni più sviluppate. La teoria dell'evoluzione di Darwin e di Wallace avallava l'idea che le specie del Nord fossero più efficienti, più competitive e meglio adattate, comprendendo sia l'uomo sia gli animali e le piante.
La continua espansione tecnologica e territoriale delle nazioni più sviluppate sembrava giustificare, o perlomeno spiegare, il declino delle specie cosiddette 'primitive', comprese alcune razze 'primitive' della specie umana. Solamente verso la fine del secolo un esiguo gruppo di intellettuali denunciò i rischi di estinzione e di sfruttamento indotti da questa concezione dell'evoluzione. Tra di essi si ricorda lo statunitense George P. Marsh che, in Man and nature (1864), descrisse una Terra logorata dalla cupidigia umana. È stato spesso affermato che le relazioni sociali tra gli organismi proposte da Darwin e da Wallace costituissero la base teorica dell'ecologia nascente; in realtà altri orientamenti di ricerca preesistenti dominarono gli esordi dell'ecologia, come quelli riguardanti la fisiologia, lo studio delle comunità, delle successioni e altri ancora. Negli ultimi decenni del secolo il concetto di selezione naturale aveva perso gran parte della sua importanza e molti dei primi ecologisti non sembravano esserne stati particolarmente influenzati.
Tuttavia, le teorie di Darwin e di Wallace influenzarono notevolmente gli studi sulle caratteristiche biotiche e abiotiche dell'ambiente naturale, sulle catene alimentari e sull'equilibrio ecologico. Nel suo contributo sui banchi di ostriche del 1877, Karl Möbius stabilì il concetto di ciò che avrebbe in seguito preso il nome di comunità biotica; il naturalista americano Stephen Forbes descrisse l'interazione tra le specie nei laghi d'acqua dolce; nel 1881 Karl Semper sviluppò il concetto divenuto successivamente noto con l'espressione 'catena alimentare'. Le ricerche sui mari e sui laghi apportarono un notevole contributo agli studi sul funzionamento delle comunità biologiche. Il biologo marino Victor Hensen, nel 1889, guidò una serie di spedizioni in Groenlandia e nelle regioni tropicali, dimostrando che le acque fredde ospitavano una grande varietà di forme di vita; in un secondo momento egli fondò un centro di ricerca a Kiel, specializzato nello studio del plancton e delle riserve di pesca. Nel 1871 il governo degli Stati Uniti istituì la Fish Commission, sotto la direzione di Spencer Baird, per studiare il depauperamento delle riserve ittiche a causa dello sfruttamento commerciale.
Dieci anni più tardi, una nave appositamente equipaggiata fu messa a disposizione di Baird, che prese parte anche alla creazione del laboratorio di Woods Hole. Molti concetti biogeografici ed ecologici trovarono applicazione nei lavori dei botanici contemporanei: Andreas Wilhelm Schimper rinnovò gli studi riguardanti la relazione tra la fisiologia delle piante e i fattori ambientali; Eugenius Bülow Warming, in Plantesamfund (Comunità vegetali, 1895), sviluppò il concetto di successione intesa come una sequenza regolare di comunità vegetali. Il lavoro di Warming, insieme a quello di Schimper, Pflanzengeographie auf physiologischer Grundlage (Fitogeografia su base fisiologica, 1898) rappresenta una fusione delle ricerche di fitogeografia con quelle di fisiologia vegetale, segnando così l'inizio degli studi della moderna ecologia.