L'Ottocento: biologia. La citologia
La citologia
La teoria cellulare, formulata da Theodor Schwann e rielaborata nel corso del decennio 1850-1860 da Robert Remak e da Rudolf Virchow, dà origine, a partire dalla seconda metà del XIX sec., a un vasto programma di ricerca volto all'indagine congiunta delle aree della morfologia e della fisiologia. La cellula, ormai riconosciuta come l'organismo elementare e il costituente vitale primordiale di tutti i tessuti dell'organismo complesso, richiede di essere esplorata nelle sue molteplici strutture integranti e nelle diverse proprietà funzionali a esse associate.
La teoria cellulare, così come era stata enunciata da Schwann tra il 1838 e il 1839, assegnava un'importanza rilevante non soltanto all'identificazione, ma anche alla presunta genesi dei nucleoli e dei nuclei. Spetta alla generazione di Schwann il merito di aver individuato la presenza non occasionale ma costante di tali strutture nelle parti elementari degli animali e dei vegetali. Nel 1833 il botanico inglese Robert Brown aveva notato la presenza costante di nuclei (areola o nucleus) nelle cellule dell'epidermide di numerosi esemplari di orchidacee e, in seguito, di liliacee, iridacee e commelinacee. In questo periodo furono effettuate osservazioni analoghe sugli animali, soprattutto grazie ai lavori di Rudolph Wagner, di Jan Evangelista Purkynje, di Friedrich Gustav Jacob Henle e di Gabriel Gustav Valentin, il primo naturalista a impiegare il termine 'nucleo' in riferimento alla citologia animale. Tali risultati furono utilizzati da Schwann nelle sue Mikroskopische Untersuchungen über die Uebereinstimmung in der Struktur und dem Wachstum der Thiere und Pflanzen (Ricerche microscopiche sulla concordanza della struttura e della crescita negli animali e nelle piante, 1839). Egli dimostrò la presenza di nuclei e di corpuscoli nucleari (Kernkörperchen, rinominati 'nucleoli' da Valentin nel 1839) in un numero considerevole di formazioni cellulari, individuate a partire dalla loro sequenza di derivazione embriogenetica e, soprattutto, presentò la cellula dotata di nucleo non come un morfotipo riscontrabile frequentemente, ma come la base strutturale di tutte le organizzazioni vitali. Schwann concepiva la morfogenesi cellulare quale processo orientato e governato dal centro alla periferia, in cui il nucleo svolgeva con ogni probabilità un ruolo formativo dominante. L'interesse dei naturalisti si era concentrato sul nucleo perché, al contrario degli altri costituenti cellulari, questa struttura era facilmente individuabile con l'impiego dei coloranti; correlativamente, la struttura nucleare costituiva il principale criterio d'identificazione delle formazioni cellulari in ogni tipo di strutturazione organica. Si delineò così uno schema di ricerca programmatica basato sull'osservazione delle modalità di alterazione dei nuclei nel corso delle differenziazioni cellulari successive che fu applicato in particolare al caso dell'embriogenesi e delle formazioni tissulari che avevano luogo durante questo processo. È da tale impostazione che scaturiranno i principî fondamentali della futura teoria cellulare.
La formulazione del concetto di 'protoplasma' si deve tuttavia a Purkynje, il quale nel 1840 enunciò l'idea secondo cui la struttura di base di tutte le forme viventi andava identificata nelle sfere o granuli gelatinosi che occupavano una posizione intermedia tra le strutture fluide e le strutture solide; sulla base di tale concetto fu formulata la Körnchentheorie. Nei vegetali questi granuli subivano una trasformazione che comportava la separazione dei componenti fluidi da quelli solidi, ma nella maggior parte dei tessuti animali il protoplasma della fase embrionale si riproduceva sotto forma di vescicole dello stesso tipo o si trasformava in elementi di tipo fibrillare. Negli anni seguenti, diversi botanici, tra cui Friedrich Traugott Kützing e Karl Wilhelm von Nägeli, contribuirono a precisare l'identificazione del foglietto gelatinoso (Amylidzelle, Schleimschicht) che si formava sulla faccia interna della parete, via via che il contenuto cellulare diveniva più acquoso, le cui proprietà si rivelarono analoghe a quelle del sarcode dei protozoi. Il concetto di protoplasma riaffiorò in campo botanico a partire dal 1846, grazie agli studi di Hugo von Mohl (1805-1872), in particolare i Grundzüge der Anatomie und Physiologie der vegetabilischen Zelle (Fondamenti di anatomia e fisiologia della cellula vegetale, 1851). Mohl constatò che nelle cellule giovani la materia organica granulosa occupava la parte più chiara dello spazio, soprattutto in prossimità del nucleo; ritenne, inoltre, che tale materia potesse dare origine a tutte le strutture emergenti della cellula, incluse quelle che rappresentavano l'organizzazione delle nuove cellule. Per designare questa materia, che costituiva la struttura primordiale di sviluppo delle più diverse forme vegetali, si fece ricorso al termine 'protoplasma'. Una volta costituitasi una tale struttura protoplasmatica intorno al nucleo, poteva avere luogo la vacuolizzazione della cellula, così come la successiva produzione di linfa. Era questo il morfotipo da cui, secondo Mohl, derivavano tutti i processi cellulari che si verificavano nei vegetali.
Il compito di individuare un morfotipo analogo per le cellule animali spettò ad Alexander Ecker e a Ferdinand Julius Cohn. Ecker sottolineò la similitudine esistente tra la sostanza organica degli infusori, gli organismi studiati da Félix Dujardin, e quella delle cellule specializzate dei metazoi e attribuì a questa sostanza la sensibilità e la contrattilità che caratterizzavano i tessuti complessi. Attraverso il suo studio comparativo sugli infusori e sulle idre, Ecker giunse all'identificazione di una ungeformte contractile Substanz (materia uniforme contrattile) da cui si sarebbero costituite per derivazione alcune strutture, tra le quali, per esempio, i tessuti muscolari. Basandosi sulle osservazioni di Ecker, nel 1850 Cohn affermò che tale sostanza contrattile era simile al protoplasma delle cellule vegetali e indicò in essa la sede principale dell'attività vitale e il centro dei movimenti specifici che avevano luogo nella cellula. La dimostrazione di una similitudine protoplasmatica fra vegetali e animali si fondava non soltanto sull'individuazione di proprietà ottiche, fisiche e chimiche analoghe, ma anche sulla capacità di dar luogo alla formazione di vacuoli e di produrre strutture secondarie. Pur indicando che la caratteristica distintiva principale delle cellule vegetali era la membrana di cellulosa che le costringeva al solo movimento interno, la ciclosi (o movimento circolatorio protoplasmatico), Cohn riteneva che la 'cellula primordiale' fosse caratterizzata dalla forma utricolare e dalla struttura protoplasmatica, indipendentemente dalla presenza di qualsiasi presunta membrana cellulare. Sul modello di Cohn, riproposto nel 1855 da Franz Unger, si fonderanno tutte le successive ricerche dedicate al protoplasma. Nel 1852, il termine protoplasma fu integrato da Remak nella teoria cellulare propriamente detta, ma furono soprattutto Max Johann Sigismund Schultze, con lo studio dedicato ai rizopodi, ed Ernst Heinrich Haeckel, con le ricerche sui radiolari, che nel corso degli anni Sessanta ne sanzionarono l'uso in campo citologico. In questo periodo fu anche avviato il progetto di ridurre la teoria cellulare di impronta virchowiana, allora dominante, a una teoria di tipo protoplasmatico che, secondo una formula presa in prestito da Thomas H. Huxley (1825-1895), avrebbe dovuto dimostrare che "il protoplasma, da solo o con il nucleo, [costituisce] la base formale di ogni forma di vita" (Baker 1988, p. 98).
In modo più specifico, l'individualità della cellula, in quanto protoplasma dotato di nucleo, presupponeva tuttavia una delimitazione rispetto al mezzo ambientale: si pensava che quest'ultima fosse costituita da una membrana meccanicamente inseparabile dal citoplasma fondamentale. Gli esperimenti effettuati da Karl Bogislaus Reichert (1811-1883) e da Remak sui blastomeri di anfibio suggerivano l'esistenza di una tale membrana, sede di scambi osmotici e separabile dal protoplasma propriamente detto. Dalla fine degli anni Cinquanta, con l'emergere delle teorie protoplasmatiche, numerosi autori sottolinearono il carattere di non essenzialità di questa presunta membrana, almeno per quanto concerneva l'identità cellulare. Come affermò Franz von Leydig nel 1857, l'idea morfologica della cellula richiedeva soltanto l'esistenza di una sostanza organica di forma più o meno sferica, il protoplasma, all'interno della quale era distinguibile un corpo centrale, il nucleo. Dagli anni Sessanta tale tesi sarà riproposta e argomentata in modo magistrale da Schultze sulla base di una serie di osservazioni incentrate sul protoplasma dei foraminiferi, che in seguito tentò di estendere ai corpuscoli muscolari dei metazoi e, in particolare, ai blastomeri dell'embrione. Inoltre, da queste osservazioni Schultze trasse la conclusione che la formazione della membrana periferica segnava l'inizio della degenerazione della cellula propriamente detta che, dunque, rappresentava una sorta di "infusore incistato". La parte essenziale della cellula, quella che costituiva la sua forma primordiale e dinamica, andava identificata nella massa protoplasmatica propriamente detta: "La cellula è una massa protoplasmatica al cui interno è presente un nucleo" (Schultze 1861, p. 9). Indubbiamente lo studio dei fenomeni osmotici relativi al contenuto cellulare avrebbe consentito di riconoscere la vera e propria membrana cellulare. Tuttavia, fu soltanto con le ricerche condotte a partire dal 1895 da Charles E. Overton (1865-1933) sulla plasmolisi e sull'assorbimento differenziale delle sostanze da parte dei citoplasmi, in base alla presunta struttura del rivestimento periferico, che fu attestata in maniera definitiva l'esistenza di una tale membrana. La ragione di questo periodo di latenza va ricercata soprattutto nell'adozione del modello di protoplasma nudo da parte di un gran numero di naturalisti sull'esempio di Ernst Wilhelm von Brücke (1819-1892), così come nel fatto che i fenomeni osmotici erano quasi sempre osservati a partire da cellule vegetali dotate di vacuoli, in cui gli effetti plasmolitici attribuibili alla vera e propria membrana risultavano mascherati.
Gli autori delle analisi citologiche non potevano evitare di far riferimento ai dispositivi osservabili della riproduzione cellulare. La rielaborazione della teoria cellulare, effettuata nel corso degli anni Cinquanta da Remak e Virchow in funzione del principio omnis cellula e cellula, fu seguita dal tentativo di descrivere le fasi della divisione del nucleo e del protoplasma, un compito che richiese un lungo periodo di tempo. John R. Baker ha diviso in tre periodi la storia della scoperta della mitosi. Fino agli anni Settanta, l'osservazione episodica delle strutture interne al nucleo e, in particolare, dei cromosomi, non mette assolutamente in luce i dispositivi a queste connessi. Nel secondo periodo (1870-1878) si giunge all'identificazione nella mitosi della metafase e dell'anafase; in tal modo sono elaborati i primi modelli sintetici destinati a rappresentare la morfogenesi dei nuclei, soprattutto negli studi di Otto Bütschli (1848-1920) e di Eduard Adolf Strasburger (1844-1912). Quest'ultimo, nelle tre edizioni del suo trattato Über Zellbildung und Zelltheilung (Sulla formazione e divisione della cellula, 1875, 1876, 1880), integra le osservazioni di Bütschli fino a sostenere che il processo di divisione nucleare prevede la divisione della piastra equatoriale accompagnata dalla ripartizione dei 'corpuscoli o bastoncini intranucleari' (i cromosomi) e lo spostamento verso il rispettivo polo delle due masse cromosomiche. Wilhelm August Oscar Hertwig (1849-1922) osservò tale processo in un gran numero di cellule animali. Il terzo periodo ha inizio dopo il 1878, quando il meccanismo mitotico è descritto con maggiore precisione grazie all'individuazione della profase e della telofase. Walther Flemming (1843-1905) offre una rappresentazione quasi del tutto esatta dei processi mitotici, complessivamente indicati con il termine 'mitosi' nel trattato Zellsubstanz, Kern und Zelltheilung (Materia cellulare, nucleo e divisione cellulare, 1882). Basandosi su campioni di tessuti costituiti da cellule dotate di un grande nucleo, Flemming pone in evidenza la partizione longitudinale di ogni cromosoma e lo spostamento verso i rispettivi poli delle parti costituitesi con la scissione: ciascuno dei due nuovi nuclei è quindi dotato di un corredo completo dei cromosomi che caratterizzano la cellula madre. Nello stesso periodo il naturalista belga Edouard van Beneden (1845-1910) effettua osservazioni analoghe, cadendo nell'errore di sostenere che nel corso della profase i cromosomi si fondono tra loro da un'estremità all'altra. Carl Rabl (1853-1917) rettifica questa inesattezza e, al tempo stesso, dimostra che in generale ogni specie ha un numero dato di cromosomi. Nel 1888 Wilhelm Waldeyer (1836-1921) introduce, infine, il termine 'cromosoma' per indicare i filamenti nucleari evidenziati con la colorazione e che con ogni probabilità costituiscono le strutture su cui si basa la replicazione del nucleo e, quindi, la riproduzione cellulare.
Le ricerche empiriche condotte nel secondo e nel terzo periodo mettono in luce anche i processi di fecondazione e il meccanismo meiotico. Era stato osservato che, al momento della fecondazione, i due nuclei trovandosi l'uno di fronte all'altro si fondevano tra loro; dalla fusione nucleare aveva origine la divisione ulteriore dei blastomeri. Nel 1877 Hermann Fol e Hertwig dimostrarono sperimentalmente che uno dei due nuclei proveniva dallo spermatozoo che penetrava nella cellula-uovo e l'altro dalla cellula-uovo stessa. Il nucleo originario dell'embrione era quindi il prodotto della sintesi dei due 'pronuclei' forniti dalle cellule germinali maschili e femminili. In seguito, la descrizione del principio della fusione fu completata da quella della meiosi delle cellule germinali che dava origine ai due gameti. Si deve a Beneden l'aver evidenziato nel 1884 il processo attraverso il quale ciascuno dei due pronuclei forniva la metà dei cromosomi della cellula originaria dell'embrione. Come la mitosi, la riduzione dei cromosomi nei gameti fu evidenziata da Theodor Heinrich Boveri nel 1887-1888 e da Hertwig nel 1890. Il termine 'meiosi', successivamente divenuto di uso comune, fu tuttavia introdotto soltanto nel 1905, grazie a Farmer e Moore.
La descrizione dei meccanismi della mitosi e della meiosi mise ulteriormente in risalto la necessità di elaborare la teoria citologica a partire da una comprensione adeguata di tutti i fenomeni in cui si articolava la vita delle cellule, inclusi quelli relativi al nuovo principio teorico omnis nucleus e nucleo e ai modelli descrittivi ed esplicativi a esso connessi.
Benché, nel decennio 1850-1860, gli elementi dell'organismo cellulare fossero stati oggetto di osservazioni e di speculazioni esplicative, l'insieme delle indagini analitiche dedicate ai costituenti strutturali della cellula fu definito dalla cornice metodologica della seconda teoria cellulare. Si è in presenza, a grandi linee, di due casi rappresentativi: l'obiettivo a cui tendono i ricercatori è costituito dall'approfondimento e dal perfezionamento della teoria dominante o è rappresentato dalla riduzione di quest'ultima a una cornice considerata più radicale, perché più vicina a modelli fisico-chimici applicabili sia alla natura organica sia a quella inorganica. La prima prospettiva, illustrata in modo eccellente nelle edizioni successive (1859, 1867 e 1889) dello Handbuch der Gewebelehre des Menschen (Manuale di istologia umana, 1852) di Rudolf Albert von Kölliker apparse dopo i lavori di Remak e di Virchow, costituì la trama principale delle molteplici indagini empiriche che si basavano in primo luogo sulla strutturazione organica integrata della cellula come fondamento dell'organizzazione vitale e sarà posta in risalto da Hertwig in Die Zelle und die Gewebe. Grundzüge der allgemeinen Anatomie und Physiologie (La cellula e i tessuti. Fondamenti di anatomia e fisiologia generali, 1893-1898). La seconda prospettiva diede luogo, tra i successori di Schultze, di Brücke e di Lionel Beale (1828-1906), ai più importanti tentativi di sostituire la teoria cellulare con una protoplasmatica che avrebbe dovuto rivelare l'ordine vitale di base, relativo cioè alle combinazioni della materia organica stessa, a un livello ancora più elementare di quello rappresentato dall'organismo cellulare dotato di nucleo.
Nel suo manuale (1867), tra le premesse della citologia Kölliker include: il principio omnis cellula e cellula, la cui validità era stata dimostrata dalle ricerche embriologiche sue, di Reichert e di Remak, così come dalle indagini patologiche di Virchow; la scoperta di cellule prive di membrane identificabili che era alla base delle ipotesi di Schultze; la dimostrazione dell'identità chimica e istologica del protoplasma delle cellule vegetali e animali, e, soprattutto, la scoperta della contrattilità come proprietà vitale del protoplasma animale. Già nel 1850, Cohn aveva suggerito che il protoplasma dei botanici e la sostanza intracellulare degli zoologi corrispondessero alla stessa struttura fondamentale per ogni processo vitale: la costruzione della cellula come unità morfologica era quindi semplicemente la risultante del potenziale morfogenetico attribuito al protoplasma dotato di nucleo. Gli istologi e gli embriologi tentarono di accreditare questo principio d'interpretazione a diversi livelli. È per questo che Kölliker si schierò a favore di una metodologia ibrida che prevedeva l'analisi delle caratteristiche fisico-chimiche delle cellule e delle forze molecolari che in esse agivano e, al tempo stesso, l'analisi morfogenetica delle sequenze di sviluppo relative alle diverse unità vitali elementari dell'organismo. L'obiettivo era quello di specificare, coniugando questi due approcci, le proprietà generali della cellula che erano alla base della sua attività fisiologica e di declinare queste caratteristiche in base alla specificità delle formazioni che ne derivavano.
In aggiunta a ciò, Kölliker individua quattro fasi nello sviluppo delle cellule che definivano l'analisi differenziale delle proprietà cellulari: il periodo delle sfere di protoplasma prive di nucleo; il periodo delle sfere di protoplasma dotate di nucleo ma prive di membrana; il periodo delle vere e proprie cellule dotate di rivestimento di protoplasma e di nucleo e, infine, quello delle cellule trasformate, nelle quali una o più parti costitutive hanno subito considerevoli modifiche. Questa tipologia si fondava su un principio che noi abbiamo definito "principio di compiutezza fisiologica" (Duchesneau 1987, p. 330). Infatti secondo Kölliker: "[…] La cellula ha uno sviluppo e una storia, come un organismo intero e come il regno animale e […] di conseguenza, la nozione di cellula deve essere desunta non da un solo fenomeno, ma dall'insieme dei fenomeni riscontrabili in questi elementi" (1852 [1868, p. 14]). In base a questo principio olistico, la definizione dell'unità morfologica vitale presupponeva l'esame del sistema più completo possibile delle metamorfosi strutturali e funzionali che, a sua volta, avrebbe consentito lo sviluppo di una concezione sintetica delle diverse proprietà che trovavano espressione in queste metamorfosi. La fisiologia cellulare, in quanto "scienza delle funzioni normali delle cellule e della loro provenienza" (ibidem, p. 17), doveva fondarsi sull'osservazione delle fasi di derivazione morfogenetica che dividevano gli oociti dalle cellule trasformate dell'organismo compiuto. Egli tentò quindi di collegare a queste fasi una serie di analisi di funzioni espresse nei termini dei processi fisico-chimici interni alle microstrutture variabili delle cellule o legati alle interazioni tra le cellule e i mezzi ambientali intraorganici.
Per quanto concerne il contenuto cellulare così concepito, Kölliker pone in evidenza in particolare le combinazioni proteiche che avevano luogo nel protoplasma e le modificazioni chimiche che interessavano a differenti livelli le interazioni tra il protoplasma e il mezzo organico. Egli si interessò anche alle diverse particelle figurate cui questi scambi molecolari davano origine e che costituivano le granulazioni complesse interne agli organismi cellulari, concentrandosi inoltre sulle proprietà di contrattilità del protoplasma; Kölliker, infatti, aveva l'impressione che queste ultime fossero alla base di processi funzionali più globali che dipendevano dalle architetture cellulari e dalle loro interazioni complesse, nelle quali il mezzo organico ambientale fungeva da intermediario. Secondo questa interpretazione, l'attività protoplasmatica che si esprimeva nella contrattilità e negli effetti funzionali che ne derivavano dipendeva dall'integrazione della cellula nella sua interezza, che sembrava a sua volta essere governata e controllata dai processi di trasformazione e di replicazione dei nuclei. In definitiva, il protoplasma sembrava essere determinato dagli elementi primordiali della forma della cellula, a cominciare dal nucleo. È per questo che Kölliker propose di sostituire il termine 'protoplasma' con quello di 'citoplasma' che traduceva meglio l'integrazione della materia organica costitutiva dell'unità strutturale e funzionale rappresentata dalla cellula nella sua organizzazione complessa, in quanto "elemento tipo dell'organismo animale" (ibidem, p. 26).
Una volta riconosciuta l'eterogeneità dell'organizzazione elementare vitale in rapporto ai fenomeni della natura inorganica a cui si era tentati di ridurla, i naturalisti che ricercavano le leggi della crescita e della riproduzione cellulare potevano dedicarsi alla determinazione delle concatenazioni dei processi fisico-chimici attraverso le quali si esprimevano le mutazioni del nucleo, del citoplasma e delle strutture figurate delle loro parti costitutive. La differenziazione delle sequenze in base ai tipi di cellula presi in esame dipendeva soprattutto dalla variazione dei determinanti materiali che influivano sui processi citogenetici. Kölliker pensava, in particolare, che il nucleo agisse come centro di attrazioni specifiche che davano origine alle diverse morfologie cellulari. Quanto alla forma complessiva della cellula, essa 'incorniciava' in qualche modo i meccanismi di accrescimento e di scambio di materia che ne dipendevano; l'accrescimento era funzione dell'assorbimento attivo di materia e della relativa escrezione. Kölliker tentò di mettere a punto un modello prospettico di questo duplice processo, basandosi sull'integrazione di diversi meccanismi: la pressione sanguigna, la pressione ambientale, le azioni nervose, così come le reazioni chimiche sui generis di cui la cellula era sede. Si considerino, a titolo di esempio, le cellule semplici dei blastomeri o le cellule incolori del sangue che caratterizzano lo stato embrionale. I processi chimici che si svolgono all'interno di queste cellule determinano l'assorbimento di sostanza vitellina o di plasma sanguigno; il protoplasma subisce cambiamenti e dà spazio a composti specifici come l'emoglobina. I rapporti della cellula con il suo mezzo ambientale sono a loro volta modificati lungo la catena delle trasformazioni. Questi diversi processi metabolici presupponevano l'esistenza di "regolatori speciali" (ibidem, p. 47), cioè di dispositivi interni alla cellula che assicuravano, attraverso una serie di attrazioni specifiche, una certa stabilità strutturale e funzionale all'interno di dati limiti di variabilità. Kölliker in questo caso si limita ad avanzare l'ipotesi secondo la quale tali regolatori agivano combinando trasformazioni chimiche di senso opposto ed erano caratterizzati da fenomeni analoghi a quelli elettrici, un'ipotesi che sembrava confermata dalle cellule trasformate di cui erano costituiti gli organi muscolari e nervosi. Per passare dalle strutture semplici a quelle complesse, occorreva studiare le combinazioni dei fattori che condizionavano l'assimilazione e la disassimilazione cellulari in base alla progressione morfogenetica.
I fenomeni funzionali che Kölliker associa alla problematica dell'assorbimento prefigurano il campo di applicazione delle future leggi della citologia. Tra questi fenomeni si distingue quello della ricostituzione del plasma cellulare attraverso i meccanismi immanenti al citoplasma: tale "sostanza essenzialmente vivente delle cellule" (ibidem, p. 48) avrebbe comunicato l'impulso nutritivo agli elementi figurati che in essa si depositavano. Kölliker segnala anche l'universalità dei fenomeni respiratori per tutto l'insieme delle formazioni cellulari: per contatto diretto o veicolato dai fluidi interni all'organismo, l'ossigeno si presentava come un catalizzatore di scambi metabolici. Vi era, però, un altro fenomeno attestato: il nucleo era sede di scambi molecolari sui generis che a loro volta influenzavano le sequenze di reazioni che intervenivano nella massa protoplasmatica. Su questo orientamento analitico occorreva fondare la descrizione del sostrato 'meccanico' dei processi di fecondazione e di riproduzione cellulare. Kölliker sottolinea infine l'influenza dei nervi sulla contrattilità di alcune cellule (fibre muscolari, cellule pigmentarie dei batraci, ecc.): questi movimenti contrattili si traducevano in processi di assorbimento e di riassorbimento specifici che corrispondevano all'ossidazione di composti protoplasmatici. In tal modo era possibile ricostruire le condizioni di attualizzazione organica della vita cellulare e, attraverso la decodificazione analitica delle attività metaboliche del protoplasma dotato di nucleo e circoscritto, descrivere le modalità di produzione e di funzionamento delle strutture più inglobanti dell'organismo. Secondo questo modello, la citologia, nella sua dimensione morfologica e fisiologica, si presentava come una teoria della formazione e delle funzioni di base dell'organismo.
La fase di espansione della citologia relativa all'opzione teorica rappresentata da Kölliker coincise con il riaffiorare delle teorie riduzionistiche. Ispirandosi ai lavori dedicati da Hermann von Helmholtz (1821-1894) alla legge di equivalenza che governava le conversioni di energia, alcuni giovani fisiologi, in particolare, Emil Du Bois-Reymond (1818-1896) e Carl Ludwig (1816-1895), demolirono sistematicamente la tesi secondo cui le forze formatrici o vitali svolgevano un ruolo architettonico di primo piano nell'organismo. Secondo questi studiosi soltanto un approccio rigorosamente analitico era conforme allo spirito della scienza sperimentale. Così, nel suo Lehrbuch der Physiologie des Menschen (Trattato di fisiologia umana, 1852-1856), Ludwig tenta di accordare la teoria cellulare a una metodologia di riduzione dei fenomeni fisiologici ai soli scambi molecolari e alla 'causalità meccanica' che governava le interazioni delle particelle organiche. Malgrado il carattere astratto di tale modello e benché non fosse facile ricondurre a esso le sequenze dei fenomeni morfogenetici, il protoplasma, il suo metabolismo e i processi che in esso si svolgevano divennero il punto focale dell'analisi. Tra le questioni più discusse, ricorderemo quella della possibilità di derivare i fenomeni di strutturazione complessa dai processi fisici e chimici che hanno luogo nel protoplasma.
Tra i primi rappresentanti del riduzionismo protoplasmatico figuravano Brücke, Schultze e Beale. Riduzionista radicale, Brücke ricondusse l'organismo elementare al solo protoplasma, dal momento che, a suo parere, la membrana e il nucleo erano strutture non essenziali per l'esistenza della cellula. Secondo Brücke, il sostrato dei processi di assimilazione e di disassimilazione, che erano all'origine dell'attività cellulare, era costituito da alcuni composti chimici inerenti al protoplasma; una chimica analitica delle combinazioni molecolari, quindi, avrebbe potuto rivelare il dispositivo generale che governava la strutturazione organica. In questa prospettiva, le strutture emergenti come, per esempio, il nucleo e la membrana, rappresentavano soltanto gli effetti derivati della meccanica morfogenetica immanente alle strutture protoplasmatiche.
Schultze, che potremmo definire il morfologo per eccellenza, notò che solamente il protoplasma dotato di nucleo determinava la replicazione delle unità vitali nel corso delle prime fasi dell'embriogenesi: queste strutture possedevano quindi un potere di formazione da cui dipendevano tutte le attività metaboliche delle cellule derivate e, di conseguenza, tutte quelle dell'organismo compiuto. La comparsa della membrana avrebbe segnato l'inizio della fase terminale dell'evoluzione morfogenetica: tale struttura, a suo parere, era il risultato della sedimentazione periferica prodotta dai processi chimici interni al protoplasma e isolava quest'ultimo dalle interazioni attive con il mezzo ambientale, interazioni che, da parte loro, determinavano la replicazione cellulare attraverso la scissione del protoplasma. La forma utricolare della membrana, così costituitasi, avrebbe segnato l'isolamento e quindi la morte delle parti elementari.
Nel trattato intitolato On the structure of the simple tissues of the human body (1861), Beale sostiene invece che le parti elementari dei tessuti sono costituite da due tipi di materia, germinale e strutturata. La prima (germinal matter), estremamente variabile nella sua composizione e priva di una struttura ben definita, è suscettibile di provocare la comparsa di nuove forme viventi. La seconda (formed matter) è un prodotto non vivente della materia germinale in cui, per un certo tempo, si stabilizza il metabolismo generato da quest'ultima, prima dell'inizio della sclerosi e della degenerazione tissulare. Beale attacca soprattutto le concezioni basate sulla nozione monadica della cellula come elemento dotato di forze vitali autonome che avrebbero agito dal centro alla periferia, analoghe a quella che Virchow aveva promosso nel campo della fisiologia patologica.
La concezione analitica delle strutture protoplasmatiche, elaborata a partire da queste teorie programmatiche, era associata a una serie di determinanti, alcuni dei quali di carattere tecnico, legati cioè al progresso dei metodi di fissazione e di colorazione e a quello dei mezzi strumentali di osservazione microscopica, e altri attinenti a modelli metodologici e teorici, se non speculativi. Con questi modelli ci si proponeva di identificare le 'unità di materia organizzata' suscettibili di spiegare la produzione stessa degli organismi elementari e delle strutture complesse che da essi derivavano. Tale ricerca fu rafforzata dall'adozione di prospettive trasformistiche che presupponevano l'esistenza di organismi primitivi strutturalmente rudimentali e dunque privi di nucleo, che erano soggetti a ulteriori differenziamenti e a complessi sviluppi evolutivi. È in questa tendenza che va ricercato il significato dei concetti di 'citode' e di 'monera' proposti dal darwiniano Haeckel sin dal 1868. Il primo indicava gli ammassi elementari di protoplasma privi di nucleo, mentre il secondo designava le forme viventi ugualmente prive di nucleo prodotte dai citodi. Successivamente, quando fu possibile osservare la presenza del nucleo, le monere furono considerate cellule (cytes).
Durante l'ultimo trentennio del XIX sec., la citologia conoscerà numerosi tentativi di modellizzazione legati alla ricerca degli elementi strutturali e fisico-chimici di base. La tipologia relativa a queste teorie protoplasmatiche particellari è stata delineata da Augustín Albaraccín Teulón, che menziona le teorie granulo-fibrillo-reticolari, le teorie granulari o particellari e quelle delle molecole proteiche. Per illustrarne il primo gruppo, si può far riferimento alla nozione di 'micella' definita nel 1879 da Nägeli: le micelle erano granulazioni cristalloidi che si agglomeravano formando un plasma nutritivo (trofoplasma) che a sua volta si sarebbe trasformato producendo strutture filamentose (idioplasma) alla periferia dei protoplasmi cellulari. Un'altra teoria riconducibile a questo gruppo è quella formulata in Die Elementarorganismen und ihre Beziehungen zu den Zellen (Gli organismi elementari e i loro rapporti con le cellule, 1890) da Richard Altmann, secondo cui la struttura organica di base era costituita dal 'bioplasma' che possedeva il potere di ricostituirsi identico a sé stesso e che determinava, d'altro lato, la formazione di fibre disposte in forma di rete negli interstizi delle cellule, le quali servivano da materiale architettonico nella costruzione dell'organismo complesso.
Anche per Hertwig la cellula si poteva considerare come un insieme di innumerevoli particelle distinte tra loro, alcune delle quali dotate di proprietà metaboliche e altre, chiamate 'idioblasti', suscettibili di accrescimento e di riproduzione e dunque investite della funzione morfogenetica oltre che responsabili della sintesi delle particelle del primo genere nel citoplasma. Gli idioblasti, che provenivano dal nucleo, avrebbero quindi prodotto, direttamente o per associazione, tutte le strutture protoplasmatiche che formavano i diversi tipi di unità viventi o 'plasomi'. Secondo Hertwig, tuttavia, questa ipotesi era ammissibile soltanto nella misura in cui si rivelava conforme alle sequenze morfogenetiche relative alle cellule e ai loro derivati. Da questo punto di vista, Hertwig si allontana dal riduzionismo per avvicinarsi a un modello di teoria citologica piuttosto vicino a quello messo a punto da Kölliker. Il terzo tipo di teoria protoplasmatica illustra invece una prospettiva decisamente riduzionistica, imperniata sullo sviluppo di modelli di analisi chimica. Si tratta in questo caso di ricondurre l'unità vitale protoplasmatica alla sua base costitutiva formata da molecole proteiche. Eduard Friedrich Wilhelm Pflüger (1829-1910) e Paul Ehrlich (1854-1915) concepirono la cellula come una gigantesca macromolecola, la cui parte centrale, che costituiva il nucleo, era dotata delle funzioni di sintesi, di regolazione e di replicazione; le catene laterali di questa macromolecola avrebbero rappresentato le diverse strutture del corpo cellulare che esercitavano funzioni metaboliche. Max Verworn, che si richiamava alla stessa tendenza, espose nell'Allgemeine Physiologie (Fisiologia generale, 1895) una dottrina della materia organica intracellulare dotata del potere di autoformazione. Egli attribuiva in effetti i processi vitali, di cui la cellula era sede, a una sostanza organica identificata con un insieme di 'molecole biogene proteinoidi'. Tali molecole determinavano i processi di assimilazione e di disassimilazione che caratterizzavano il metabolismo cellulare ed erano in grado di riprodursi per replicazione e di svolgere un'attività regolatrice per quanto riguardava gli effetti prodotti dalle altre molecole proteiche.
Queste ipotesi non erano verificabili in base alle conoscenze empiriche a quel tempo disponibili e tendevano ad accordare ad alcune strutture citoplasmiche più o meno correttamente circoscritte una serie di poteri morfogenetici e metabolici che, secondo il programma di ricerca concorrente, dipendevano dalla cellula concepita come organismo integrale debitamente integrato. Il vantaggio dell'approccio riduzionistico era quello di promuovere un programma di analisi allo stesso tempo morfologiche, fisiologiche e biochimiche sulle interrelazioni complesse tra i componenti cellulari, accompagnato dal tentativo di precisare e di distinguere queste interrelazioni. Il programma olistico impiegò modelli analitici in una certa misura analoghi, situandone, tuttavia, la comprensione nel solco dell'idea architettonica della cellula come organismo elementare. Tale idea riaffiorerà continuamente nella descrizione delle funzioni e dei processi che avevano luogo all'interno di questa unità vitale e che non erano riducibili agli elementi della sua composizione materiale. L'approccio riduzionistico, invece, attribuirà alle funzioni e ai processi cellulari globali soltanto una relazione di 'sopravvenienza' in rapporto ai dispositivi organici inerenti al protoplasma, al nucleo e in ultima istanza alla vera e propria membrana. La 'meccanica' di questi dispositivi rimaneva quindi in gran parte inesplorata, una situazione destinata a restare immutata fino alla metà del XX sec., periodo in cui nacque la biologia molecolare. Nelle sue Leçons sur la cellule. Morphologie et reproduction (1896), Louis-Félix Henneguy riassume le opzioni analitiche e sintetiche offerte alla fine del XIX sec. dalla teoria cellulare che, tuttavia, non aveva potuto attuarle pienamente: "La teoria cellulare rappresenta un primo insieme di dati positivi sulla costituzione degli esseri viventi: essa lascia il campo libero a tutte le ricerche dedicate ai fenomeni intimi di cui la materia vivente è sede, fenomeni che in gran parte oggi ignoriamo e che, una volta compresi, permetteranno forse di dare una soluzione ai numerosi problemi che questa teoria non ha risolto e che non può pretendere di risolvere" (Henneguy 1896, p. 465).
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