L'Ottocento: biologia. Le scienze della Terra
Le scienze della Terra
La geologia si affermò come disciplina scientifica autonoma verso l'inizio del XIX sec.; nonostante il termine fosse già utilizzato in maniera sporadica, nel periodo precedente per designare tale campo d'indagine erano più usati vocaboli quali 'mineralogia', 'geognosia' e 'teorie della Terra'. La prima società scientifica dedicata in maniera specifica alle scienze della Terra fu la Geological Society di Londra, la cui fondazione nel 1807 coincise grosso modo con la nascita di questa disciplina.
Nel XVIII sec. erano state create in Europa diverse accademie minerarie, le cui attività erano incentrate sia sull'identificazione e la classificazione delle rocce e dei minerali, sia sulle tecniche minerarie e sulle procedure cartografiche e tecnologiche a esse associate. A Freiberg, in Sassonia, Abraham Gottlob Werner (1749-1817) insegnava anche una teoria generale della Terra, secondo la quale in origine il pianeta era costituito da un nucleo primordiale, dotato di una superficie irregolare, e da un oceano universale che conteneva in soluzione materiali successivamente precipitati secondo un ordine ben definito quando l'oceano stesso (in qualche modo) scomparve. Il materiale granitico era stato il primo a depositarsi, coprendo l'intero nucleo. Quindi si erano formati (al livello più basso) gli gneiss e gli scisti, seguiti, soprattutto ai livelli meno elevati, da una successione regolare di strati di rocce secondarie (floetz) stratificate o sedimentarie. Gli attuali oceani erano i resti dell'oceano universale originario. Vi erano poi i vulcani, che si riteneva avessero origine dalla combustione di depositi sotterranei infiammabili, e i recenti depositi alluvionali. Probabilmente la Terra aveva una considerevole età, ma la sua storia era unidirezionale. Questa teoria si basava sugli studi condotti da Werner sui corpi rocciosi della Slesia e della Sassonia; così, per i suoi allievi la successione litostratigrafica di quella regione assunse un valore paradigmatico per lo studio degli strati delle altre regioni del mondo.
James Hutton (1726-1797) sosteneva una teoria contraria. Dopo aver effettuato una serie di osservazioni sul terreno nel lungo periodo in cui si era occupato delle aziende agricole che possedeva nello Berwickshire, Hutton giunse alla conclusione che l'azione costantemente esercitata dalle piogge sul sedimento avrebbe finito per portare alla scomparsa del terreno coltivabile, se quest'ultimo non fosse stato in qualche modo reintegrato. L'idea della progressiva scomparsa del suolo non si conciliava con la sua convinzione che la Terra fosse stata 'creata con saggezza' come stabile dimora dell'uomo; egli tentò quindi di elaborare una teoria che giustificasse la circolazione della materia e la reintegrazione del suolo. Secondo Hutton, la Terra era dotata di un grande deposito interno di materia liquefatta; compressi dal depositarsi di altri materiali, i sedimenti accumulati si sarebbero consolidati sotto l'azione del calore in rocce sedimentarie; di tanto in tanto, il magma di materia liquefatta sarebbe sgorgato in superficie, formando catene montuose e cristallizzandosi in forma di materia granitica. Esso poteva inoltre deformare le rocce adiacenti, trasformandole in quelle che oggi chiameremmo rocce metamorfiche; con il tempo, le regioni sopraelevate si sarebbero logorate sotto l'azione degli agenti atmosferici e dell'erosione, dando luogo alla formazione di nuovi terreni. Così, la Terra di Hutton era una macchina animata da un moto perpetuo, benché egli riconoscesse l'importanza della costante ricezione dell'energia del Sole ('sostanza solare') raccolta dalle piante. Nell'insieme, questo processo ciclico 'illimitato' era privo di una direzione e quindi l'età della Terra era incalcolabile. Non vi erano, scrisse Hutton, "vestigia di un inizio, né indizi di una fine" (1788, p. 304). Egli previde la discordanza, vale a dire la sovrapposizione ad angolo degli strati più recenti agli strati più antichi, e riuscì a verificare la sua ipotesi attraverso il rinvenimento di numerosi esempi sul terreno.
All'Università di Edimburgo, un allievo di Werner, Robert Jameson (1774-1854), insegnava il sistema del suo maestro: ciò determinò, in Scozia, la nascita di una lunga controversia circa i relativi meriti della teoria di Werner e di quella di Hutton. All'inizio del XIX sec., un amico di Hutton, Sir James Hall (1761-1815), dimostrò che si poteva convertire il calcare in marmo, semplicemente riscaldandolo in un contenitore chiuso, senza decomporlo, ma non riuscì a provare in modo incontrovertibile che le rocce 'ignee' potessero essere fuse e poi ricostituite per raffreddamento. D'altro lato, l'idea secondo la quale la temperatura della Terra tendeva ad aumentare in profondità fu confermata dalle analisi termometriche delle miniere, effettuate soprattutto da Louis Cordier (1777-1861). Il sistema di Hutton prevedeva una generale uniformità di condizioni; emerse così la convinzione che, attraverso lo studio dei processi e delle condizioni presenti, sarebbe stato possibile giungere alla conoscenza del passato della Terra.
Benché, all'inizio del XIX sec., in Gran Bretagna non esistesse un sistema di educazione pratica mineraria analogo a quelli del Continente, nel paese vi erano molti individui interessati agli aspetti pratici della guerra, dell'esplorazione, dell'agricoltura e dell'estrazione mineraria che richiedevano un'attività di studio e di rilevamento. Analizzando gli strati del terreno della sua città natale, Bath, nell'Inghilterra sudoccidentale, William Smith (1769-1839) constatò che gli strati formati da rocce simili, per esempio da calcari oolitici, potevano essere distinti gli uni dagli altri grazie ai loro contenuti fossili caratteristici e che lo stesso valeva per le maioliche, le sabbie glauconitiche, e così via. Smith iniziò a ordinare gli strati del terreno dell'Inghilterra meridionale dal carbone alla maiolica, elencando i fossili caratteristici di ciascuna unità. Nel 1799 quest'elenco fu mostrato a due gentiluomini appassionati di scienze naturali, i reverendi Benjamin Richardon (m. 1832) e Joseph Townsend (1739-1816), che trovarono estremamente interessante l'idea secondo cui ogni tipo di strato si trovasse sempre nello stesso ordine di sovrapposizione e presentasse uno specifico contenuto fossile. Incoraggiato dalla loro reazione, Smith diede inizio al vasto progetto di disegnare la carta geologica di tutta l'Inghilterra e del Galles, distinguendo le rocce che presentavano diversi caratteri litologici e verificando le loro correlazioni attraverso i fossili. I risultati di quest'indagine, conseguiti grazie alla meticolosità di Smith e alle sue attività di topografo e ingegnere (specializzato nella costruzione di canali), che gli offrivano l'opportunità di spostarsi da una regione all'altra, furono pubblicati, nel 1815, sotto forma di mappa colorata a mano, con il titolo A delineation of the strata of England and Wales, with part of Scotland […] according to the variation of the substrata.
Smith, tuttavia, era essenzialmente un uomo pratico, come molti altri fra i protagonisti della rivoluzione industriale e agricola che svolsero indagini di questo genere, in gran parte oggi dimenticate perché pubblicate non sulle pagine di riviste scientifiche ma su quelle di giornali o perché redatte in forma di relazioni destinate ai proprietari terrieri. I suoi interessi non riguardavano più di tanto gli aspetti squisitamente teorici. Per lui e per i suoi seguaci, l'importanza del principio stratigrafico era soprattutto economica: esso, infatti, avrebbe potuto servire da guida nella valutazione dei terreni destinati ad attività agricole e minerarie; inoltre, se si fosse tenuto conto delle regole relative all'ordine stratigrafico, si sarebbero evitate avventure insensate nel campo della ricerca dei giacimenti di carbone.
Nel frattempo, emerse un crescente interesse per la geologia come occupazione secondaria delle persone istruite e di elevata condizione sociale. I primi membri della Geological Society si interessarono inizialmente soprattutto di questioni di carattere mineralogico, ma in seguito le loro collezioni di fossili si ampliarono, in particolar modo dopo la scoperta dei resti di un ittiosauro e di un plesiosauro lungo le coste meridionali dell'Inghilterra. All'interno della Geological Society si discuteva anche di questioni specificamente teoriche. A Edimburgo, Jameson fondò la Wernerian Society per diffondere le idee del suo maestro e, con la nomina dei reverendi William Buckland (1784-1856) e Adam Sedgwick (1785-1873) rispettivamente a Reader e Professor di geologia a Oxford (1819) e a Cambridge (1818), la questione del rapporto tra geologia e descrizione biblica delle origini e della storia della Terra divenne oggetto di animate discussioni nelle università.
Nel frattempo, in Francia la fine del Settecento portò grandi novità anche nell'ambito scientifico. Il governo rivoluzionario diede vita nel 1793, in sostituzione del Jardin des Plantes, al Muséum d'Histoire Naturelle, al cui interno vennero create nuove cattedre dedicate allo studio della zoologia. Dal 1795 l'insegnamento di anatomia comparata venne affidato al giovane George Cuvier (1769-1832) come supplente di Jean-Claude Mertrud. Cuvier, abilissimo nella comparazione anatomica degli organismi viventi, applicò i medesimi principî alla paleontologia dei vertebrati: fu così in grado di ricostruire i resti fossili di numerosi animali estinti. Egli comprese inoltre che ogni organismo doveva essere formato da parti che si combinavano in maniera da costituire un insieme vitale e organizzato per sopravvivere in determinate condizioni ambientali (temperatura, reperimento del cibo, ecc.). Inoltre, in collaborazione con Alexandre Brongniart (1778-1847), egli analizzò e rilevò i depositi del Terziario del bacino di Parigi, giungendo alla conclusione che esso possedeva una storia leggibile, caratterizzata da un'alternanza di depositi di acqua dolce e di depositi marini, che rappresentavano condizioni di esistenza diverse. I fossili marini e quelli d'acqua dolce potevano essere distinti tra loro in base allo spessore dei gusci e al confronto con le forme moderne. Nei depositi più profondi, furono rinvenuti resti di mammiferi (per es., Anoplotherium e Palaeotherium) che non assomigliavano ad alcuna creatura ancora vivente. Cuvier osservò che i cambiamenti dei caratteri litologici e delle forme dei fossili sembravano essere improvvisi e, per spiegare questo fenomeno, ipotizzò che il corso della storia della Terra fosse stato periodicamente interrotto da grandi inondazioni o catastrofi. Alcuni autori del XVII sec. si erano mostrati inclini a invocare le catastrofi poiché non si rendevano conto dell'antichissima età della Terra, di conseguenza la loro storia del globo era, per così dire, compressa, questo, tuttavia, non era il caso di Cuvier. Egli scrisse: "Il genio e la scienza hanno forzato i limiti dello spazio; […]. Non sarebbe una grande vittoria per l'uomo forzare anche i limiti del tempo e conoscere, attraverso l'osservazione, la storia di questo mondo, e la successione degli eventi che hanno preceduto la nascita del genere umano?" (Cuvier 1825, p. 3). Le sue osservazioni però lo indussero a pensare che "nella storia fisica il filo delle operazioni è spezzato; il cammino della Natura è cambiato; e nessuno degli agenti che essa ora impiega, sarebbero stati sufficienti a produrre le sue antiche opere" (ibidem, pp. 27-28). Questa dottrina fu definita 'catastrofismo' dal mineralogista e filosofo inglese William Whewell (1794-1866). Secondo Cuvier l'improvviso apparire e scomparire dei fossili suggeriva il verificarsi di eventi catastrofici nella storia della Terra, che probabilmente avevano assunto la forma di grandi inondazioni, l'ultima delle quali sembrava essersi prodotta in un periodo piuttosto recente ‒ forse 5000 anni prima. Nei suoi scritti, egli espresse opinioni contraddittorie sulla questione dell'universalità delle inondazioni.
Contrariamente a Cuvier, Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829), al quale può essere riconosciuto il merito di aver fondato la paleontologia degli invertebrati, non poteva concepire un meccanismo in base al quale le specie marine avrebbero potuto estinguersi. Così, egli pensò che un certo tipo avrebbe potuto trasformarsi gradualmente in un altro, secondo un processo regolare e continuo. Tra i due scienziati si aprì un lungo dibattito che si concluse soltanto con la morte di Lamarck. Cuvier non offrì una spiegazione soddisfacente riguardo alla fonte delle nuove forme che apparivano nella documentazione fossile.
Per quanto concerneva la stratigrafia, il modello di storia paleontologica di Cuvier (che si accordava alle scoperte empiriche di Smith) era più convincente di quello elaborato da Lamarck, perché implicava nette distinzioni paleontologiche tra strati di diversa età, che facilitavano il lavoro degli stratigrafi. Le principali divisioni della colonna stratigrafica (in sistemi) furono stabilite come si vede in tab. 1.
L'idea era quella di individuare le principali divisioni della storia geologica della Terra, ognuna delle quali si distingueva per la presenza di fossili caratteristici, per esempio, le piante nel Carbonifero o certi tipi di trilobiti, di coralli e di brachiopodi nel Siluriano. Il Precambriano (in precedenza chiamato 'Primario', 'Primitivo' oppure 'Azoico') non sembrava essere caratterizzato da fossili ben definiti.
Per quanto riguardava il Devoniano, il Siluriano e il Cambriano, la divisione in sistemi si rivelò estremamente problematica. Lavorando durante gli anni Trenta con Sedgwick, Roderick Murchison (1792-1871) trovò nella zona di confine del Galles una serie di rocce contenenti fossili caratteristici che definì sistema siluriano. Nella regione montagnosa situata nell'area nordoccidentale del Galles, invece, il suo amico Sedgwick scoprì un complesso di rocce non ben caratterizzato dal punto di vista del contenuto fossile che decise di chiamare sistema cambriano. La linea di demarcazione che divideva i due sistemi, tuttavia, non era nettamente definita e Murchison a poco a poco tentò di ampliare il suo sistema a spese di quello di Sedgwick, finendo con l'espandere i confini del Siluriano alle prime tracce riconoscibili di vita fossile (a quello cioè che oggi chiameremmo Precambriano). A sua volta, Sedgwick cercò di estendere i limiti del suo Cambriano verso l'alto. La controversia ebbe fine soltanto nel 1879, quando, su suggerimento di Charles Lapworth (1842-1920), si optò per una triplice suddivisione del Paleozoico, che corrispondeva alla triplice divisione della fauna fossile della Boemia operata da Joachim Barrande (1799-1883). Nel corso di questa controversia, Murchison si comportò, per così dire, correttamente nel porre in rilievo la straordinaria importanza dei fossili per quanto riguardava la caratterizzazione dei sistemi geologici, ma operò alcune correlazioni erronee, dimostrando di non possedere le conoscenze strutturali di Sedgwick.
In Scozia, la cosiddetta old red sandstone era un'unità ben conosciuta che riposava piuttosto scomodamente su un letto di strati del Siluriano; Smith l'aveva rilevata con il nome di red and dunestone, collocandola al di sotto del Carbonifero e di un calcare affiorato nel Derbyshire e in altre regioni. Nel Devonshire vi erano rocce contenenti resti di piante che, secondo il direttore del Geological Survey, Henry T. De la Beche (1796-1855), appartenevano ai complessi del Cambriano o del Siluriano del Devonshire. Secondo Sedgwick e Murchison, tuttavia, tali rocce risalivano in realtà al Carbonifero. Esse coprivano rocce contorte apparentemente antiche che contenevano coralli diversi da quelli presenti nelle rocce del Siluriano. Secondo William Lonsdale (1794-1871), quei coralli occupavano una posizione intermedia tra gli esemplari del Siluriano e quelli del Carbonifero; ciò significava che le rocce del Devonshire probabilmente risalivano a un periodo che si collocava tra il Siluriano e il Carbonifero. Sedgwick e Murchison suggerirono, così, di introdurre il Devoniano, un sistema che presentava facies diverse a seconda delle località. In questo caso, la prova paleontologica dei coralli servì a superare l'incerta attendibilità stratigrafica dei fossili di piante e gli argomenti strutturali che erano stati avanzati da De la Beche. Questi problemi, che peraltro diedero luogo a discussioni piuttosto aspre, illustrano il carattere delle controversie stratigrafiche del XIX secolo.
In Francia, il viaggiatore, paleontologo e zoologo Alcide d'Orbigny (1802-1857) suggerì di suddividere i sistemi, dal Siluriano al limite superiore del Terziario, in 27 stadi che si distinguevano l'uno dall'altro per la presenza di tipologie fossili caratteristiche e spesso anche per le discontinuità angolari degli strati. Tali divisioni erano state ideate soprattutto per rendere più facili le correlazioni stratigrafiche, ma Orbigny era anche un seguace del catastrofismo di Cuvier e, in definitiva, riteneva che la storia della Terra fosse caratterizzata da una serie di estinzioni e di creazioni; egli non era in alcun modo un evoluzionista o un trasmutazionista. Inoltre, Orbigny formulò il concetto di 'zone' stratigrafiche, unità più piccole degli stadi, anch'esse distinguibili in base alla presenza di fossili caratteristici, anche se nella sua opera questo concetto non è ben definito.
La situazione in parte si chiarì grazie allo stratigrafo tedesco Albert Oppel (1831-1865), che tentò di sintetizzare le conoscenze stratigrafiche e paleontologiche dei geologi tedeschi, inglesi e francesi. La 'zona di Oppel' è caratterizzata da un insieme di specie approssimativamente contemporanee ed è delimitata verso il basso dalla comparsa di determinati gruppi tassonomici e verso l'alto dalla loro scomparsa. In questo caso, i fossili erano utilizzati per misurare il trascorrere di un certo periodo di tempo; i fossili guida o indicatori dovevano preferibilmente essere diffusi nello spazio e limitati nel tempo. Furono proposte molte varianti del concetto di zona, che fu oggetto di lunghe discussioni e rappresenta, ancora oggi, una nozione di grande importanza nel campo della stratigrafia. Tuttavia, come dimostrò nel 1889 Sidney Buckman (1860-1929), usando i fossili per stabilire correlazioni stratigrafiche, gli strati formati da rocce di diverse litologie potevano risultare diacronici. Quando un sedimento riempiva un bacino, i materiali tra loro dissimili si depositavano probabilmente in luoghi diversi nello stesso tempo e i sedimenti dello stesso genere potevano depositarsi in differenti luoghi in tempi diversi.
Il catastrofismo di Cuvier non era stato elaborato solamente per assecondare le interpretazioni letterali della Scrittura: il celebre naturalista riteneva che il verificarsi di grandi episodi catastrofici nella storia geologica fosse dimostrato da prove empiriche. Spesso però il catastrofismo era stato interpretato in termini che corrispondevano all'interpretazione letterale del racconto biblico, sia nel passato sia negli scritti dei moderni creazionisti: questa teoria, infatti, esercitava un forte potere d'attrazione su coloro che credevano nella storicità del Diluvio di Noè. Verso il 1800, emerse un particolare tipo d'approccio al tempo geologico, alle prove empiriche e alla storia biblica che si basava su una divisione tra tempi 'antidiluviani' e 'postdiluviani', ere separate dagli eventi verificatisi nel corso del Diluvio universale. Il naturalista svizzero Jean-André de Luc (1727-1817), per esempio, riteneva che le prove empiriche relative ai tempi di formazione della torba o di sedimentazione dei laghi indicassero un'estensione di tempo postdiluviale che corrispondeva approssimativamente a quella fissata dalla storia biblica (in realtà, molti dei depositi superficiali menzionati da de Luc a sostegno delle sua 'storia binaria' erano, secondo la geologia moderna, prodotti dell'attività glaciale). La durata dei tempi antidiluviani poteva essere molto lunga e indefinita. Così, per gran parte del XIX sec. ci si sforzò ripetutamente di interpretare i depositi superficiali come prodotti del Diluvio universale. Si pensava che la geologia potesse assumere il ruolo, per così dire, di 'ancella' della teologia; infatti oltre a costituire una rigorosa attività pratica e teorica, la nuova scienza sembrava racchiudere in sé un grande valore morale.
In questo contesto, le lezioni tenute da Buckland a Oxford e da Sedgwick a Cambridge richiamarono un vasto pubblico. Buckland operò una distinzione tra diluvium e alluvium e si specializzò nella ricerca all'interno delle grotte, ritenendo, infatti, che il contenuto di queste ultime fosse il prodotto dell'attività diluviale. Egli negò, tuttavia, che esistessero resti umani conosciuti che risalissero al Diluvio o al periodo che lo aveva preceduto. Benché fosse un catastrofista, Buckland non esitava a ricorrere ad analogie moderne per spiegare le osservazioni geologiche, per esempio, fece camminare una tartaruga sulla pasta sfoglia per dimostrare che le sue impronte erano molto simili a quelle rinvenute su certe rocce in Scozia e, di conseguenza, queste ultime potevano essere considerate impronte fossili.
Il catastrofismo era avvalorato da numerose prove empiriche, ma alcuni geologi e, in particolare, Charles Lyell (1797-1875) nel suo Principles of geology (1830-1833), sostenevano che questa dottrina fosse erronea sia dal punto di vista filosofico sia da quello scientifico. Lyell accettava a grandi linee la teoria huttoniana: le condizioni terrestri erano essenzialmente 'stazionarie', non progressive (vale a dire, cicliche o, comunque, prive di una direzione) e non mostravano di essere soggette a cambiamenti improvvisi. Le leggi della Natura erano immutabili e, come aveva affermato Archibald Geikie (1835-1924), in termini di metodologia geologica si doveva adottare il principio secondo cui "il presente è la chiave del passato" (Geikie 1897 [1962, p. 403]). In seguito all'introduzione dei termini 'uniformista' e 'catastrofista' (1832) a opera di Whewell, questo insieme di concezioni iniziò a essere chiamato 'uniformismo'.
Lyell supponeva che in un mondo 'huttoniano' le condizioni sarebbero cambiate continuamente a seguito dell'azione degli oceani che lasciavano affiorare o sommergevano la Terra e che il clima globale sarebbe mutato in base alla distanza delle terre elevate dalle regioni polari o equatoriali. Così, per ragionare in termini cuvieriani, le specie avrebbero potuto rivelarsi inadatte alle condizioni di esistenza ed estinguersi. Di tanto in tanto si sarebbero formate nuove specie (anche se Lyell non sapeva dire come) e, di conseguenza, vi sarebbe stato un lento ricambio. Pertanto, più le rocce erano antiche più diminuiva il numero delle forme ancora esistenti che era possibile rinvenire in esse. Sulla base di queste considerazioni, Lyell propose di dividere il Terziario in Eocene, Miocene e Pliocene. Egli affermò anche che le principali discontinuità della colonna stratigrafica, per esempio quella tra Paleozoico e Mesozoico, indicavano un ricambio quasi completo di forme perché i tipi intermedi erano andati perduti, probabilmente a causa dell'azione degli agenti atmosferici e dell'erosione.
Lyell era inoltre in possesso di un importante argomento che tendeva a dimostrare l'antichità della Terra. Esaminando l'Etna e la registrazione storica delle sue eruzioni, egli valutò il ritmo di accumulazione delle colate di lava che avevano formato il vulcano. Quindi, basandosi su questo dato e sull'altezza del monte, riuscì a offrire una stima della sua età (mezzo milione di anni circa), supponendo che il ritmo di accumulazione della lava fosse costante. Si poteva però osservare che quelle lave coprivano sedimenti contenenti fossili sostanzialmente identici agli organismi che vivevano nel Mediterraneo: quegli strati dunque erano geologicamente recenti, benché molto remoti dal punto di vista della storia del genere umano, in quanto erano più antichi della lava che li copriva. La Terra nel suo insieme era dunque estremamente antica e secondo Lyell essa non aveva una storia binaria: il Diluvio universale, ammesso che si fosse verificato, era soltanto un evento analogo a tanti altri. Lyell assunse una posizione agnostica per quanto riguardava il problema dell'origine biologica degli esseri umani, ma pensava che il loro intelletto e la loro natura spirituale fossero di origine divina. Benché non fosse ateo, nel corso della sua vecchiaia finì comunque per accettare la teoria evoluzionistica di Darwin, che non entrava in conflitto con l'approccio alla stratigrafia da lui delineato molti anni prima.
In Svizzera era possibile osservare il movimento verso valle dei ghiacciai. Dalle loro 'lingue' fuoriuscivano corsi d'acqua che trasportavano materiale di dilavamento glaciale e depositavano sedimenti di ghiaia mista. Raggiungendo un dato limite, il cosiddetto fronte, i ghiacciai si scioglievano formando accumuli di materiali rocciosi e terrosi, le morene. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX sec., alcuni osservatori, come Bernard Kuhn, Jean-Pierre Parraudin, Jean de Charpentier e Ignatz Venetz, si resero conto del fatto che i ghiacciai delle Alpi svizzere nel passato dovevano essere molto più estesi. In alcune aree non ghiacciate vi erano morene e grandi 'massi erratici', molto distanti dai più vicini affioramenti di corpi rocciosi dello stesso tipo. Queste osservazioni colpirono Jean-Louis-Rodolphe Agassiz (1807-1873), professore di storia naturale nell'Università di Neuchâtel e insigne studioso di pesci fossili. Per spiegarle, egli avanzò (in una conferenza oggi conosciuta con il titolo Discours de Neuchâtel, 1837) l'ipotesi che la Terra si fosse raffreddata lentamente, anche se in un modo piuttosto curioso: la temperatura si era abbassata e poi era risalita fino a raggiungere per un certo periodo una condizione stazionaria, per poi abbassarsi ancora di più, e così via. Di conseguenza, alcune migliaia di anni prima, nel corso di quella che Agassiz chiamava l'Era glaciale, il clima sulla Terra doveva essere molto più freddo di quanto non fosse nel presente. Se questo processo fosse continuato, probabilmente in futuro la temperatura terrestre sarebbe scesa a un livello ancora più basso.
In gran parte del terreno dell'Europa settentrionale era rinvenibile un'argilla pastosa eterogenea, contenente sassi dalla forma irregolare, spesso non modellati dall'acqua e in alcuni casi misti a conchiglie, comunemente chiamata 'tillite' o 'argilla in massi'. Secondo Agassiz, questo materiale era stato depositato dalle vaste coltri di ghiaccio che un tempo ricoprivano quella regione del continente europeo. Si trattava del genere di materiale che i seguaci delle teorie del Diluvio, per esempio Buckland, avevano ascritto al Diluvio universale. Su alcune superfici rocciose, inoltre, furono osservati segni di abrasione, che avrebbero potuto essere stati prodotti dai corpi rocciosi imprigionati nel ghiaccio.
Verso la fine degli anni Trenta, i geologi inglesi, che avevano già iniziato a studiare questi materiali, ipotizzarono che le tilliti e i massi erratici fossero stati depositati da iceberg alla deriva; di qui il nome collettivo di 'detrito' attribuito a essi. Nel 1831 una certa quantità di questa 'argilla in massi', incluse conchiglie e striature su superfici rocciose compatte, era stata rinvenuta in cima a una spoglia collina del Galles settentrionale. Data la situazione, era impossibile che un ghiacciaio avesse potuto scorrere fino a quel luogo a partire da una catena montuosa. Si avanzò così l'ipotesi che quel terreno in tempi passati fosse sprofondato sotto il livello del mare, e che il materiale detritico fosse stato depositato sulla sua superficie da un iceberg alla deriva (il cui fondo avrebbe potuto produrre le striature). Si sviluppò così, in diverse forme, la teoria della 'sommersione glaciale', secondo la quale vi era stato un periodo di freddo intenso accompagnato dall'abbassamento del terreno. Questa dottrina ebbe un vasto consenso e suoi promotori furono Lyell e Darwin.
Nel 1840 Agassiz visitò la Gran Bretagna, dove apprese che alcuni geologi avevano aderito alla sua teoria delle glaciazioni. Tra questi ultimi si distingueva Buckland, che aveva finito per attribuire ai ghiacciai il ruolo di principale agente geologico in precedenza assegnato al Diluvio universale. Lyell per un certo periodo aderì all'ipotesi di Agassiz, ma ben presto la rinnegò a favore della teoria della sommersione glaciale. Il suo sistema poteva conciliarsi con periodi di grande freddo e il 'direzionalismo' (raffreddamento globale) di Agassiz era per lui inaccettabile.
Successivamente, divenne evidente che l'epoca glaciale (il Pleistocene) era estremamente complessa dal punto di vista stratigrafico, e che la teoria della sommersione glaciale sollevava alcuni problemi di fondo. I depositi isolati, infatti, non potevano essere correlati in modo soddisfacente. Era lecito aspettarsi, inoltre, che durante i periodi di glaciazione l'acqua fosse racchiusa nelle calotte polari e che quindi il terreno tendesse ad affiorare e non a essere sommerso. D'altro lato, il peso del ghiaccio poteva aver favorito l'abbassamento della superficie del suolo. In Svizzera Charles Morlot (1820-1867) scoprì le tracce di quelle che sembravano essere due tilliti, separate da sabbia e ghiaia fluviale. Si avanzò così l'ipotesi che si fossero verificate molteplici glaciazioni. Tale idea fu difesa soprattutto da Albrecht Penck (1858-1945) ed Edouard Brückner (1862-1927), a partire da alcuni studi su una serie di terrazzi fluviali condotti sul versante settentrionale delle Alpi e dei Pirenei, considerati depositi di dilavamento glaciale. Le quattro grandi glaciazioni ‒ Günz, Mindel, Riss e Würm ‒ proposte dai due geologi furono universalmente accettate, almeno fino alla metà del XX secolo. Questa teoria sembrò convalidata dall'opera dello scozzese James Croll (1821-1890), secondo cui potevano essersi verificate molteplici glaciazioni (legate alla precessione degli equinozi) in epoche in cui la Terra seguiva un'orbita eccezionalmente ellittica, causata dalle interazioni gravitazionali con gli altri pianeti. Inoltre, potevano essersi prodotte glaciazioni anche in epoche diverse dal Pleistocene, come dimostrava, per esempio, la scoperta nell'Australia meridionale di striature glaciali su superfici rocciose del Permiano. La teoria astronomica delle età glaciali sopravvive nella moderna geologia, mentre l'idea della quadruplice glaciazione del Pleistocene proposta da Penck e Brückner è stata abbandonata, poiché la prova dei terrazzi fluviali non gode più di grande credito.
Secondo la teoria di Lamarck, in via di principio tutte le forme viventi si trasformavano gradualmente, mentre per Cuvier, il suo oppositore, quelle portate alla luce dalle testimonianze stratigrafiche erano forme distinte e separate. Nel 1837 Darwin iniziò a elaborare la sua teoria dell'evoluzione basata sulla selezione naturale, in seguito pubblicata in forma dettagliata in On the origin of species (1859), in cui tentò di spiegare la natura delle testimonianze fossili, senza tuttavia riuscire a predire il futuro corso dell'evoluzione. Le lacune che Cuvier considerava indizi di catastrofiche interruzioni nella storia della Terra, per Darwin erano il risultato dell'incompletezza delle testimonianze fossili: la grande maggioranza degli organismi non si era preservata in forma di fossili, e parte dei fossili prodottisi era successivamente andata perduta a causa dell'erosione. Il modello evolutivo delle forme viventi di Darwin era quello dell'albero a ramificazione regolare in cui, nel corso del tempo, appaiono gradualmente forme più avanzate, un numero sempre maggiore di 'nicchie' sono occupate e ogni forma di vita diventa a poco a poco più complessa. Ciò non escludeva, tuttavia, che alcune specie potessero estinguersi. Darwin si aspettava di entrare in possesso di una prova fossile diretta della graduale trasformazione delle specie; tale prova non fu però rinvenuta nelle testimonianze stratigrafiche del tempo, e anche attualmente questo processo può essere osservato nei dettagli soltanto in piccoli organismi, come per esempio i foraminiferi, prelevando dal fondo del mare, con speciali sonde, nuclei di rocce che ospitano un gran numero di esemplari di questi animali unicellulari.
La teoria di Darwin presupponeva, naturalmente, che il processo evolutivo si svolgesse in tempi molto lunghi ed egli cercò di valutare l'estensione del tempo geologico mediante criteri uniformisti. Nella prima edizione della sua opera, Darwin ipotizzò che una valle situata nei pressi della sua casa (il 'Weald' del Kent) fosse stata scavata dal mare, che aveva eroso il fondo roccioso al ritmo di un pollice al secolo; calcolò così che la valle si fosse formata in trecento milioni di anni, un periodo di tempo eccessivamente lungo. Nella seconda edizione, ridusse della metà questa cifra e, in seguito, riconobbe l'erroneità dell'intero procedimento. Nel calcolare il tempo di formazione della valle, egli non aveva preso in considerazione l'erosione fluviale; la sua era una valutazione congetturale che, tuttavia, dimostrava la propensione a riconoscere l'enorme durata dei tempi geologici.
Nell'ultima parte della sua carriera, Darwin si mostrò sempre più incline a pensare che i fattori ambientali potessero stimolare le variazioni (come sembrava dimostrare il caso della domesticazione) e che, come aveva affermato Lamarck, i caratteri acquisiti fossero trasmissibili ereditariamente. Verso la fine del XIX sec., molti autori abbandonarono la teoria della selezione naturale, ritenendo che le testimonianze stratigrafiche dimostrassero la direzionalità dell'evoluzione. Alcuni organismi sembravano essersi sforzati di adattarsi alle condizioni di esistenza. Si trattava di una nuova versione del lamarckismo (neolamarckismo) tra i cui esponenti si segnalò il paleontologo americano Edward D. Cope (1840-1897). Una variante di questa teoria era rappresentata dall''ortogenesi' (evoluzione direzionale rettilinea), sostenuta dal biologo tedesco Theodor Eimer (1843-1898), secondo il quale una specie si evolveva fino a divenire disadatta, come probabilmente dimostrava il caso dell'evoluzione dell'alce irlandese, le cui corna erano divenute con il tempo tanto pesanti da provocarne l'estinzione. Queste indagini furono effettuate in relazione alla scoperta di alcuni esemplari di dinosauri fossili, soprattutto in America occidentale, dove Cope e Othniel C. Marsh (1831-1899) polemizzarono aspramente, compiendo, al tempo stesso, sorprendenti scoperte.
Lapworth e alcuni geologi svedesi, fra i quali Gustav Linnarsson (1841-1899), dimostrarono che fossili relativamente insignificanti, quali i graptoliti, erano di grande utilità per quanto riguardava la stratigrafia zonale e consentivano di interpretare correttamente pieghe complesse e strutture di faglia; l'attenzione del pubblico fu però attratta soprattutto dai dinosauri che potevano essere ammirati in nuovi e grandi musei. I loro scheletri erano ricostruiti ed esposti in base al principio secondo cui vi erano archetipi o piani anatomici comuni, come quelli dei vertebrati, che potevano essere presentati ai visitatori dei musei. La paleontologia postdarwiniana era quindi ben lungi dall'essere interamente basata su principî evolutivi.
All'inizio del XIX sec., la cristallografia registrò importanti sviluppi grazie al francese Haüy, agli inglesi William H. Wollaston, Whewell e William A. Miller e al tedesco Eilhard Mitscherlich. René-Just Haüy (1743-1822) suppose che i cristalli fossero costituiti da un piccolo numero di 'molecole integranti' (tetraedri, prismi triangolari e parallelepipedi) che potevano essere rivelate dal clivaggio (i piani di divisione) e dall'analisi dei cristalli stessi. Forme diverse avrebbero potuto essere composte da molecole simili, secondo alcune presunte regole di decremento per l'aggiunta di molecole. Benché parzialmente circolare, l'argomentazione di Haüy rendeva più intelligibile la cristallografia, attraverso l'ipotesi secondo cui forme simili mostravano una differente composizione chimica o cristalli di composizioni simili presentavano forme diverse. La nozione di 'molecola integrante', inoltre, prefigurava il moderno concetto chimico di molecola. Per misurare gli angoli interfacciali (diedri), Haüy utilizzò diversi tipi di goniometri di applicazione, ma essi avevano una precisione limitata. Nel 1809, Wollaston ideò uno strumento molto più accurato, il goniometro a riflessione, attraverso il quale giunse a contestare la validità dei metodi e dei risultati di Haüy. Nel 1824, Whewell, sviluppando i concetti di Haüy, riuscì a descrivere i cristalli attraverso l'uso di coordinate geometriche, ottenendo le equazioni x/h+y/k+z/l=1 o p/x+qy+rz=m per rappresentare le facce del cristallo, in cui tutti i coefficienti erano numeri interi. Ciascuno degli indici (p,q e r), oggi conosciuti con il nome di 'indici di Miller', erano reciprocamente associati alle coordinate di un vettore perpendicolare al piano di una faccia del cristallo. Grazie a queste analisi, la cristallografia divenne una scienza matematizzata e quantificabile, mentre la geologia rimase legata a metodi storici e in gran parte qualitativi. Eilhard Mitscherlich (1794-1863) introdusse i concetti di isomorfismo, diamorfismo e polimorfismo, che facilitarono la comprensione degli aspetti più complessi della mineralogia empirica. Alexandre Brongniart offrì la prima spiegazione fondata (1827) della distinzione tra minerali e rocce e Henry Sorby iniziò a studiare le rocce in sottili sezioni con l'aiuto del microscopio (1851).
Benché le rocce sedimentarie fossero state da lungo tempo riconosciute come sedimenti consolidati, la distinzione tra rocce sedimentarie, ignee e metamorfiche fu formalizzata per la prima volta solamente nel 1857 da Henri Coquand. Tra il 1839 e il 1840 Christian Gottfried Ehrenberg (1795-1876) pubblicò una serie di indagini microscopiche di maioliche e calcari. Ehrenberg studiò inoltre i granuli del polline fossile e diversi microfossili, diventando così uno dei fondatori della palinologia. Tuttavia, nel XIX sec., nell'area d'indagine della petrologia sedimentaria o sedimentologia, non si registrarono molti contributi decisivi. Nel corso degli anni Trenta la scoperta del criterio dell''orientamento a partire dall'alto', da parte di Patrick Ganly (1809-1899), mediante l'osservazione delle stratificazioni sottili, rimase inutilizzata fino al XX secolo. Nel 1894 Johannes Walther (1860-1937) mise in rilievo il fatto che sedimenti differenti erano in generale depositati in posizioni adiacenti nello stesso tempo, secondo l'ambiente di deposizione (profondità dell'acqua, ecc.), e che una sequenza verticale di sedimenti differenti poteva registrare la deposizione sequenziale, nonché la conseguente sovrapposizione dei prodotti dei diversi ambienti adiacenti l'uno all'altro in un dato tempo.
Le rocce cristalline, per esempio i graniti, i porfidi e i basalti, ecc., erano conosciute sin dall'Antichità, ma all'inizio del XIX sec. non era ancora stato stabilito se si fossero formate sotto l'azione del fuoco o dell'acqua. Nel corso del secolo furono proposte molte classificazioni, di volta in volta incentrate sulla composizione chimica e minerale, sulla tessitura o sulla presunta modalità di formazione, però in quest'area d'indagine seguitava a regnare una grande confusione, accentuata dalla proliferazione delle informazioni. La teoria huttoniana trionfò sulla dottrina enunciata in origine da Werner, ma l'interesse per il ruolo svolto dalle acque nella formazione delle rocce non venne meno. Nel 1841 Theodor Scheerer (1813-1875) affermò che la presenza di acqua nei magmi accresceva la loro fluidità e riduceva il grado di temperatura a cui potevano consolidarsi. Nel 1857 e nel 1859 Gabriel-August Daubrée (1814-1896) sottopose una serie di materiali ad alte temperature e ad alte pressioni, con o senza acqua, giungendo alla conclusione che i nuovi minerali potessero cristallizzarsi anche senza una fusione completa. Egli riteneva che le condizioni del passato avrebbero potuto essere radicalmente diverse da quelle presenti e che potesse essere esistito un oceano primitivo. Daubrée pensava anche che il granito si fosse prodotto per 'plasticità acquea' e non per fusione ignea. A Freiberg Bernhard von Cotta (1808-1879) sosteneva concezioni analoghe.
Il concetto di metamorfismo fu delineato negli anni Venti da Ami Boué (1794-1881), secondo il quale i vapori e i gas, insieme al calore e alla pressione, potevano trasformare i sedimenti in rocce cristalline. Nel 1833 Lyell introdusse la categoria di metamorfico in riferimento a rocce sfaldate, per esempio gli scisti e gli gneiss. Egli scrisse di rocce 'ipogeniche' (formatesi in profondità) ‒ e non di rocce 'primarie' o 'primitive' ‒ che potevano essere 'stratificate' (per es., gli scisti) o 'non stratificate' (per es., i graniti). Le rocce metamorfiche erano 'alterate stratificate' e l'alterazione era presumibilmente prodotta dal calore o dalla pressione. Lyell non chiarì se il metamorfismo (foliazione) fosse possibile nelle rocce cristalline, così come in quelle sedimentarie. Nel 1846 Darwin operò una distinzione tra clivaggio, 'foliazione' (presenza di strati o lamine di diversi materiali minerali) e 'stratificazione'. Il clivaggio era conosciuto da molto tempo dai cavatori, ma la distinzione tra quest'ultimo e la stratificazione sottile di rocce sedimentarie fu attuata soltanto verso il 1823 da Sedgwick. L'introduzione di questa distinzione consentì di rilevare e studiare le strutture delle rocce più antiche, un lavoro prima di allora praticamente impossibile.
La grande varietà di rocce ignee portò a chiedersi se esistessero diversi tipi di magma sotterraneo (roccia fusa) o se i processi di differenziazione si verificassero essenzialmente a partire dallo stesso materiale di partenza. Nel 1844 Darwin concepì l'idea della differenziazione magmatica attraverso la sedimentazione per gravità dei primi cristalli formatisi. Nel 1849 il geologo americano James D. Dana (1813-1895) sostenne che la differenziazione del magma poteva precedere la cristallizzazione e che la formazione dei differenti minerali potesse avvenire in base alle condizioni di temperatura, pressione e velocità di raffreddamento. Il chimico Robert Bunsen (1811-1899), invece, dopo aver effettuato una serie di osservazioni in Islanda, giunse alla conclusione che probabilmente esistevano due distinte camere magmatiche al di sotto dell'isola, che producevano rocce 'trachitiche' e 'pirosseniche' oppure combinazioni di questi due tipi di rocce. Nel 1853 Wolfgang Sartorius von Waltershausen (1809-1876), petrologista di Gottinga, ipotizzò l'esistenza di differenti zone sotterranee, sostenendo che l'eruzione dei tipi più silicei precedeva quella dei tipi più basici, connettendo così, nel solco della tradizione werneriana, le composizioni ignee all'età. Nel 1857 Joseph Durocher (1817-1860) propose il modello della 'liquazione' (vale a dire della separazione del magma liquido in aree di differente composizione chimica prima della cristallizzazione), rivendicando la priorità della concezione di quest'idea nei confronti di Bunsen. Durocher affermò che i filoni metalliferi erano il prodotto di émanations motrices (e che non era esclusa l'esistenza di émanations fixatrices sulfuree).
Nel 1868 Ferdinand von Richthofen (1833-1905), in seguito a indagini svolte in Ungheria e in California, ipotizzò l'esistenza di una successione di magmi, il primo dei quali era più siliceo degli altri, così le grandi effusioni di basalti del Terziario erano successive alla deplezione di magma siliceo. Nel 1887, nell'America Settentrionale, Clarence King (1842-1901) affermò che il rilascio di pressione poteva facilitare la fusione. Nel 1880 il suo connazionale Clarence Dutton (1841-1912) sostenne che la fusione poteva essere successiva al rilascio di pressione, all'aumento della temperatura locale e all'assorbimento dell'acqua. Nel 1890 il geologo norvegese Waldemar Brøgger (1851-1940), che allora lavorava a Stoccolma, invocò il cosiddetto 'principio di Soret' per render conto di una serie di rocce eruttive scoperte nei pressi di Oslo. Supponendo che due parti di una soluzione si trovino a gradi diversi di temperatura, il solvente proveniente dalla parte più fredda e diluita (per es., dal margine di una camera magmatica) con ogni probabilità doveva spostarsi per osmosi verso la parte più calda e concentrata; se questo era quanto avveniva all'interno di un magma, allora nel corso del raffreddamento e della solidificazione la composizione della roccia variava di continuo attraverso il solido.
In quel periodo i maestri indiscussi della petrologia erano Harry Rosenbusch, che operava a Strasburgo, Ferdinand Zirkel, che lavorava a Lipsia, e i parigini Ferdinand Fouqué e Auguste Michel-Lévy, che si erano specializzati nello studio dei feldspati. Tutti questi studiosi avevano acquisito una grande perizia nell'uso del microscopio petrografico. Nel 1873 Rosenbusch (1836-1914) pubblicò un catalogo di tutti i tipi di rocce magmatiche e metamorfiche allora conosciuti. Egli rifiutò (1889) il modello della 'liquazione' di Durocher e propose di sostituirlo con il suo modello dello Spaltung (differenziazione), che non era sostanzialmente diverso.
Nel celebre Mikroskopische Physiographie der petrographisch wichtigen Mineralien (Fisiografia microscopica dei minerali importanti dal punto di vista petrografico, 1873), Rosenbusch descrisse l'uso del microscopio petrografico e i risultati ottenuti con questo strumento, classificando le rocce ignee in base alle loro composizioni chimiche e mineralogiche. Nella seconda edizione della sua Mikroskopische Physiographie der massigen Gesten (Fisiografia microscopica delle rocce compatte, 1888) adottò un metodo più geologico o genetico di classificazione, operando nette distinzioni tra rocce plutoniche, intrusive o ipoabissali (dicchi) ed eruttive (colate di lava), in questo modo il luogo di rinvenimento sul terreno e la tessitura divennero, in sostituzione della composizione mineralogica, i principali fattori di classificazione delle rocce ignee. Nel solco dell'antica tradizione werneriana tedesca, Rosenbusch tendeva a porre in relazione il tipo di roccia con l'età: così, per esempio, un porfido era paleovulcanico mentre un basalto era neovulcanico. Per Michel-Lévy tali generalizzazioni erano però semplicistiche: le differenti strutture e le diverse composizioni dovevano essere ricondotte alle variazioni di temperatura e di pressione o alla presenza di gas e di vapori riscaldati e non all'età.
Nel XIX sec. furono intrapresi alcuni esperimenti nel campo della petrologia, per esempio quello, già menzionato, effettuato da Daubrée, ma fino al XX sec. ‒ quando si sono sviluppate le tecniche di alta pressione per simulare la formazione delle rocce, gli studi sui diagrammi di equilibrio e le idee relative alla struttura interna della Terra mediante la ricerca sismologica ‒ la petrologia rimase una disciplina speculativa, a livello della storia naturale. Tuttavia, con l'introduzione del concetto di composizione eutectica e con la sua applicazione allo studio della cristallizzazione del granito a opera di Frederick Guthrie (1884), le conoscenze petrologiche si ampliarono. Il primo diagramma di equilibrio fu elaborato da Richard Löwenherz (1894) per i depositi del sale di Stassfurt. Nel 1878 Fouqué e Michel-Lévy riuscirono a produrre feldspati riscaldando insieme i loro costituenti chimici e a preparare artificialmente materiali sostanzialmente identici alle lave naturali.
Nel XIX sec. emerse un crescente interesse per il ruolo svolto dalle acque nella formazione delle rocce ignee e metamorfiche; ciò equivale a dire che ci si occupò anche del metasomatismo. Nel 1839, a Monaco, Johann Nepomuk von Fuchs (1774-1856) affermò che, se il granito si fosse prodotto per raffreddamento di materiale fuso, sarebbe apparso per primo il quarzo, e ciò avrebbe impedito una completa miscelazione di quarzo, feldspato e mica. Egli quindi ipotizzò che gli scisti, gli gneiss, i graniti e i porfidi si fossero formati per distacco da una primordiale massa acquosa o pastosa. Il canadese Thomas S. Hunt (1826-1892) tentò di sviluppare (1858, 1859 e 1867) una geologia chimica in base alla quale nella Terra primordiale le rocce si erano formate secondo un ordine naturale da una grande massa di prodotti chimici, in relazione alle loro affinità chimiche. Gli scisti si erano presumibilmente formati a partire dai sedimenti, mediante processi in parte meccanici e in parte chimici. Hunt presagì l'esistenza di calcari e di grandi depositi di ossidi di ferro, di solfuri di metallo e di grafite, così come di gneiss, nell'area dello 'scudo' canadese, suggerendo che alla loro formazione nell'era azoica avessero contribuito organismi viventi. Tuttavia, sfortunatamente, l'idea di una presunta forma di vita primitiva portata a sostegno della sua tesi si rivelò falsa e la teoria neowerneriana subì un duro colpo. È interessante però osservare che alcuni funzionari del British Geological Survey, per esempio Andrew Ramsay (1814-1891), presero in considerazione l'ipotesi secondo cui le rocce metamorfiche derivavano dall'azione di acque alcaline riscaldate, contenute in rocce sepolte sotto grandi accumulazioni di strati andati perduti per denudazione, e che il granito stesso fosse il prodotto di un'estrema attività metamorfica in presenza di acqua e senza fusione integrale.
Nel 1877 gli studi condotti da Rosenbush sul metamorfismo a partire dal granito Barr-Andlau dei Vosgi si rivelarono estremamente importanti poiché consentirono allo studioso il riconoscimento di zone di metamorfismo di contatto (scisti, scisti nodosi, cornubianite), apparentemente prive di feldspati. Egli pensò quindi che l'assenza di questi ultimi fosse una caratteristica distintiva delle rocce metamorfiche, ma Michel-Lévy scoprì alcuni feldspati nell'aureola di contatto del granito Flamandville in Normandia e, con Fouqué, ritenne che non vi fosse una netta distinzione tra il metamorfismo di contatto e il metamorfismo regionale. Influenzato dai risultati ottenuti in laboratorio da Daubrée, Rosenbusch pensò che la foliazione gneissica si producesse per deformazione, ipotesi che lo portò a introdurre il concetto di dinamometamorfismo.
Nel 1883, in Scozia, Lapworth descrisse le rocce che si trovavano lungo una linea di intensa fagliatura affermando che sembravano essere state macinate, per così dire, da un mulino, fino a essere ridotte a una sottile tessitura di minerali frantumati. L'analogia con la macinatura lo indusse a chiamare queste rocce 'miloniti'. Il direttore del Survey, Archibald Geikie, introdusse il termine 'faglie sovrascorse' in riferimento ai processi geologici che avevano dato origine a questo tipo di roccia metamorfica (anche se non tutte le faglie sovrascorse erano accompagnate da formazioni di milonite).
Sempre in Scozia, il topografo George Barrow (1853-1932), svolgendo nel 1893 alcune ricerche sulle rocce metamorfiche delle Highlands scozzesi, si imbatté in alcuni minerali metamorfici caratteristici (sillimanite, cianite e staurolite) adiacenti a un masso granitico nella sua aureola metamorfica, ciascuno dei quali indicava una diversa intensità di metamorfismo, il che gli suggerì le suddivisioni rilevabili nella regione. Le sue idee furono sviluppate nel XX sec., periodo in cui entrò in uso l'espressione 'zone barroviane'.
Le linee che congiungevano i punti della superficie terrestre nei quali la declinazione magnetica aveva lo stesso valore erano state tracciate verso il 1701 da Edmond Halley (1656-1742), ma nel corso del XVIII sec. divenne evidente che esse non erano costanti nel tempo. Nel 1828 Alexander von Humboldt (1769-1859) intraprese una serie di tentativi volti a sincronizzare le osservazioni da lui effettuate a Berlino con quelle compiute da altri ricercatori a Parigi e all'interno di una miniera di Freiberg; ciò costituì il punto di partenza di un programma di indagini per determinare le leggi dei fenomeni geomagnetici. Nel 1829 si stabilirono alcuni contatti con la Russia, dove fu creata una vasta rete di osservatori. Quindi, nel 1834, su suggerimento di Humboldt, il matematico Carl Friederich Gauss (1777-1855) fondò un'associazione 'magnetica', per incoraggiare la creazione di osservatori in tutti i paesi del mondo e per coordinare e pubblicare le indagini svolte. Grazie ai contatti stabiliti con la Royal Society di Londra, furono allestiti osservatori in tutti i paesi dell'Impero britannico. Più tardi, anche l'US Coast and Geodetic Survey diede il suo contributo a questo progetto, come, del resto, la Carnegie Institution di Washington.
I risultati di questi sforzi lasciarono spesso perplessi i ricercatori. A volte le linee di uguale intensità del geomagnetismo (isolinee) sembravano formare anelli che si intersecavano. Per spiegare i dati raccolti, fu presa in considerazione l'esistenza di più poli geomagnetici, ma nessuna di queste ipotesi sembrava offrire una spiegazione soddisfacente. Così, dopo aver abbandonato l'idea dell'esistenza di una o più 'sbarre magnetiche' all'interno della Terra, Gauss avanzò l'ipotesi secondo cui esistevano due fluidi magnetici, costituiti da un gran numero di poli 'nord' e 'sud', che si attraevano e si respingevano l'un l'altro secondo una legge dell'inverso dei quadrati di impronta newtoniana. Quindi, sviluppò una serie di equazioni per rappresentare il campo, in cui inserì i dati raccolti attraverso la rete degli osservatori. Alla fine, furono effettuate predizioni corrette come, per esempio, quella relativa alla posizione del polo sud magnetico, ma Gauss fece osservare che la causa prima del geomagnetismo rimaneva sconosciuta. Era, in effetti, un problema che sarebbe stato risolto soltanto nel corso del XX secolo. Achille Delesse nel 1849, Macedonio Melloni nel 1853 e Bernard Brunhes nel 1906, fornirono le prove della magnetizzazione delle lave in base allo stato del magnetismo terrestre al tempo delle relative eruzioni, a partire dalle quali furono rivelate le passate inversioni geomagnetiche.
Furono ideati molti strumenti destinati a rivelare o a registrare i terremoti. Si trattava perlopiù di congegni a pendolo, in cui era in qualche modo rivelato e registrato il movimento di un peso in relazione al suo supporto. Inizialmente gli strumenti più efficaci furono fabbricati in Italia e, più tardi, anche in Giappone e in Germania. Tra questi ultimi, si ricordano quello destinato a misurare con precisione la durata degli eventi sismici ideato nel 1856 da Luigi Palmieri e quelli costruiti da Filippo Cecci e Giovanni Cavallere. I paesi citati assunsero una posizione di primo piano nel campo delle ricerche sismiche; ma esistevano osservatori in tutte le regioni del mondo: all'interno dei laboratori universitari, degli osservatori astronomici (spesso diretti dai gesuiti), delle stazioni meteorologiche, e così via.
Gli effetti del terremoto verificatosi a Napoli nel 1857 furono analizzati da Robert Mallet (1810-1881), che nel 1859 svolse una serie di indagini in questa città su incarico della Royal Society di Londra. Studiando le crepe degli edifici, Mallet tentò di individuare le direzioni seguite dalle scosse, riuscendo a risalire approssimativamente al punto da cui aveva avuto origine il terremoto. Egli constatò che due statue adiacenti avevano ruotato una in senso orario e l'altra in senso antiorario e giunse così alla conclusione che le scosse implicavano movimenti analoghi a onde. Inoltre, a partire dalle crepe degli edifici, che davano un'idea degli angoli secondo i quali le onde sismiche erano emerse dal suolo, Mallet riuscì a valutare la profondità del punto da cui aveva avuto origine il terremoto (il centrum). Il punto della superficie del suolo situato in diretta corrispondenza fu chiamato epicentrum. Mallet disegnò una mappa dell'area della città in cui erano indicate le linee di uguale intensità sismica e, in seguito, anche una pianta della distribuzione mondiale degli eventi sismici. Possiamo dire a posteriori che le aree di intensa attività sismica indicate corrispondono grosso modo ai confini delle zolle litosferiche della moderna teoria tettonica.
In Giappone, tra gli anni Settanta e Ottanta, i professori europei che insegnavano presso le nuove istituzioni educative create in questo paese e, più tardi, alcuni ricercatori giapponesi che avevano adottato metodi 'occidentali', svolsero un gran numero di indagini in campo sismologico. Thomas Gray (1850-1908) e James A. Ewing (1850-1935) idearono strumenti destinati a rivelare e a registrare le componenti orizzontali e verticali delle vibrazioni. Strumenti sempre più sensibili consentivano ormai di rilevare i singoli eventi sismici in tutte le regioni del mondo e quindi di determinare l'intervallo di tempo necessario alle vibrazioni per arrivare ai diversi osservatori. Nel 1889 Ernst Rebeur-Paschwitz (1861-1895) analizzò le registrazioni di un terremoto verificatosi a Tokyo effettuate da due diversi osservatori tedeschi, giungendo alla conclusione che le vibrazioni si erano trasmesse attraverso il nucleo terrestre. All'Università di Königsberg, Emil Wiechert (1861-1928) ideò il sismografo più avanzato del XIX sec. che, in seguito, fu fabbricato da una ditta di Gottinga ed è ancora oggi in produzione.
Nel 1899 Richard Oldham (1858-1936), direttore dell'Indian Geological Survey, nella relazione sul terremoto verificatosi nell'Assam nel 1897, affermò che l'evento sismico aveva inviato due separate onde di impulsi in Italia le quali, in seguito, furono chiamate onde P ('prime' o 'longitudinali') e onde S ('seconde' o 'trasversali'). Le onde P giungevano prima agli osservatori e sembravano emergere dal suolo generando vibrazioni verticali. Le onde S, invece, davano luogo a vibrazioni trasversali provocando danni maggiori. L'intera Terra sembrava comportarsi come un corpo in vibrazione. Nel 1906 Oldham affermò di aver scoperto ‒ a partire dalla registrazione del tempo impiegato dalle vibrazioni provocate dai terremoti per raggiungere i diversi osservatori ‒ che le velocità delle onde sembravano aumentare con la loro distanza dal centro dell'evento sismico e ciò poteva dimostrare che esse viaggiavano più veloci a grandi profondità, dove la temperatura e la pressione erano più alte. Oldham scoprì inoltre che per distanze angolari maggiori di 120° dalla posizione del sismografo, le onde S subivano un ritardo di dieci minuti circa. In seguito, si interpretò questo dato ipotizzando che la parte interna della Terra fosse fluida e quindi non idonea a trasmettere le onde S. Oldham stimò che il raggio di questo nucleo centrale fluido fosse pari allo 0,4 di quello della Terra; l'uso degli strumenti sismologici del XIX sec. condusse quindi ben presto all'enunciazione di importanti ipotesi generali sulla struttura interna della Terra.
Anche la determinazione delle differenze dell'accelerazione di gravità terrestre osservabili in diverse località portò al conseguimento di risultati di grande importanza. Queste misurazioni potevano essere effettuate con strumenti a pendolo: inizialmente fu impiegato il pendolo ad asta lunga, per esempio, quello utilizzato nel 1818 da Henry Kater (1777-1835) e, in seguito, il pendolo ad asta corta, come quello a cui ricorse nel 1888 Robert von Sterneck (1839-1910). Le indagini svolte dal Great Indian Trigonometric Survey per giungere alla determinazione dell'arco meridiano indiano produssero un risultato inaspettato, in quanto i dati ottenuti attraverso l'osservazione astronomica non combaciavano esattamente con quelli ricavati dalla triangolazione diretta. Il matematico John Pratt, arcidiacono di Calcutta, suppose che tale discordanza forse era imputabile all'Himalaya che esercitava un'attrazione sui fili di piombo degli strumenti. Questa ipotesi portò l'astronomo reale George B. Airy (1801-1892) a considerare le forze che agivano sulle catene montuose e a suggerire (1855) che queste ultime erano paragonabili a iceberg alla deriva, poiché le loro 'radici' affondavano nelle profondità della Terra. Nel 1881 Osmond Fischer (1817-1914) osservò che i fondali marini poco elevati erano formati da una densa materia basaltica, mentre le catene montuose tendevano a essere costituite da rocce granitiche meno dense.
Nel 1892 Dutton introdusse la nozione di 'isostasia' (condizione di uguaglianza) per spiegare l'idea secondo la quale la Terra non aveva la forma di uno sferoide ideale in quanto 'si gonfiava' dove vi era una preponderanza di rocce meno dense e formava depressioni dove i materiali erano più densi. Ciò consentiva all'insieme di permanere in uno stato d'equilibrio, formando un solido chiamato 'geoide', turbato soltanto dai movimenti della Terra, provocati soprattutto dai processi di erosione e di sedimentazione; tuttavia, in seguito a queste perturbazioni, si producevano aggiustamenti che restauravano uno stato d'equilibrio o equilibrio isostatico.
Per poter verificare tale idea era necessario conoscere la forma del geoide: essa era identificabile con la forma che avrebbe assunto un rivestimento d'acqua che coprisse l'intera Terra (e quindi non con quella di uno sferoide perfetto) estendendosi idealmente attraverso tutti i continenti (la superficie del geoide è in ogni punto perpendicolare alla direzione dell'attrazione gravitazionale). In America Settentrionale questo lavoro fu svolto dall'US Coast and Geodetic Survey, che realizzò un programma di esami trigonometrici e gravimetrici condotto su larga scala, inizialmente soprattutto sotto la guida di John Hayford (1868-1925) e, successivamente insieme a William Bowie (1872-1940). Hayford (1905, 1906, 1909 e 1910) giunse alla conclusione che la Terra si trovava perlopiù in una condizione di equilibrio isostatico. Le montagne non erano trattenute da uno stato di tensione e vi era una plasticità sotterranea sufficiente a consentire aggiustamenti isostatici. L'idea di Dutton fu così confermata, benché contrastasse con la concezione abitualmente sostenuta nel corso del XIX sec., secondo la quale le irregolarità della superficie terrestre derivavano dal raffreddamento e dalla contrazione del pianeta.
La spiegazione delle irregolarità della crosta terrestre in termini di raffreddamento e contrazione del globo fu formulata in maniera dettagliata nel 1831 dal francese élie de Beaumont (1798-1874). Egli sosteneva che nella crosta terrestre si producevano periodicamente corrugamenti (orogenesi) che provocavano ondate di marea e improvvise estinzioni biologiche (come, del resto, aveva affermato Cuvier). Beaumont riteneva inoltre che le catene montuose prodotte da ogni contrazione su grande scala si formassero parallelamente all'incirca nello stesso tempo, tanto che, nella sua opera, il termine 'sistema' era usato in riferimento a un certo gruppo di catene montuose e a un particolare episodio di creazione di montagne (tettonico), piuttosto che a un lungo periodo della storia geologica (per es., il sistema giurassico). Nel 1852, sviluppando tale teoria, Beaumont suppose che sulla superficie del globo fosse riconoscibile una rete pentagonale di catene montuose. Questa idea esercitò una grande influenza in Francia; negli altri paesi fu accolta meno favorevolmente, anche se, nel corso di tutto il XIX sec., la tesi secondo cui le catene montuose e i bacini oceanici si erano prodotti principalmente per contrazione seguitò a predominare sulle altre.
A livello mondiale, l'influenza dell'opera di James D. Dana fu probabilmente più profonda di quella esercitata dai lavori di Beaumont. Dana, che aveva viaggiato a lungo al seguito della spedizione Wilkes, individuò nel 1847 una fondamentale differenza tra i continenti e i bacini oceanici che riteneva si fossero formati in un periodo molto antico della storia del pianeta e fossero sostanzialmente sue caratteristiche permanenti. Le catene di isole orientate verso nord-est e nord-ovest indicavano presumibilmente 'linee di clivaggio' risalenti all'Archeano che influenzavano ancora l'evoluzione della crosta. I continenti si erano raffreddati e solidificati prima, mentre i bacini oceanici erano situati in aree dove si era concentrato il successivo processo di raffreddamento e contrazione e dove i vulcani erano in gran parte ancora attivi. La subsidenza dei bacini generava una pressione laterale e quindi il ripiegamento e il sollevamento dei margini continentali.
Nel 1856 Dana prese in esame la crescita del continente nordamericano, a partire dall'antico nucleo (o nucleo azoico) a forma di V delle rocce metamorfiche della regione della Baia di Hudson, che in seguito aveva accolto integrazioni da sud-est e da sud-ovest (teoria che rappresenta il diretto antecedente del concetto di 'cratoni' formulato nel XX sec.). Dana pensava, inoltre, che le aree interne dei continenti fossero relativamente stabili e che i fenomeni di ripiegamento e di fagliamento si concentrassero ai loro margini, come sembrava dimostrare la catena degli Appalachi. L'intero processo di contrazione e produzione di nuovi terreni era presumibilmente un processo guidato da Dio o teleologico.
Nel 1859 Dana fu contestato da James Hall (1811-1898), il quale sosteneva che i movimenti verticali della crosta erano una risposta alla spinta gravitazionale e che il sedimento si depositava in lunghe fosse (poi chiamate geosinclinali) parallele ai margini continentali. La contrazione del globo provocava il corrugamento dei sedimenti più elevati, mentre il fondo rigonfio convesso delle fosse sarebbe stato fratturato e intruso da materia ignea. Le catene montuose lineari, come gli Appalachi, avrebbero potuto accumulare i loro sedimenti in queste strutture geosinclinali, ma il processo del loro sollevamento, successivo alla deposizione del sedimento, rimaneva avvolto nell'oscurità. Le linee di elevazioni montuose di Beaumont erano l'equivalente delle linee di accumulazione originaria di Hall. Tuttavia, come osservò Dana nel 1866, Hall aveva proposto una teoria delle origini delle montagne, in cui "non si parlava dell'origine delle montagne".
Nel 1873 Dana coniò il termine 'geosinclinale' e il termine complementare 'geoanticlinale'. L'evoluzione della geosinclinale e della geoanticlinale e la concomitante crescita del margine continentale secondo la teoria di Dana sono illustrate nella fig. 10.
In Svizzera, in particolare nel cantone di Glarona, sin dagli anni Quaranta alcuni geologi, tra cui Arnold Escher von der Linth (1807-1872), avevano scoperto prove concrete dei movimenti laterali del terreno, con apparenti inversioni dell'ordine degli strati stabilito in base alle prove paleontologiche. Nel 1878 Albert Heim (1849-1937) ipotizzò che la regione di Glarona fosse costituita da una grande doppia piega, formata da due masse montuose ripiegate l'una verso l'altra. In tal modo egli affrontava un problema strutturale reale, ma la soluzione da lui fornita non era plausibile dal punto di vista meccanico. La grande sintesi in riferimento alle Alpi e, in realtà, a tutte le regioni del mondo, fu offerta da Das Antlitz der Erde (Il volto della Terra 1883-1909) del geologo austriaco Eduard Suess (1831-1914).
Secondo la teoria di Suess, la contrazione del globo aveva dato origine alla subsidenza di alcune parti della Terra, generando forze tangenziali che si manifestavano in forma di faglie sovrascorse (così come potevano essere osservate nelle montagne della regione di Glarona). In tal modo, le Alpi potevano essere state spinte verso nord, sull''avampaese' della Germania, mentre il 'retroterra' del Mar Mediterraneo e del Mar Adriatico poteva subire ancora un collasso e ospitare attività vulcaniche. Analogamente, i Carpazi erano stati spinti verso nord sull''avampaese' russo. In Cina, invece, il movimento laterale aveva luogo verso sud, come, per esempio, nello Yunnan. La teoria di Suess era legata anche alla stratigrafia. I collassi del fondo oceanico avrebbero potuto causare regressioni marine in tutte le regioni del mondo; ma un collasso oceanico avrebbe comportato l'erosione delle superfici terrestri più esposte e l'accresciuta quantità di sedimento avrebbe riempito i bacini provocando trasgressioni marine. Di conseguenza si sarebbero verificati cicli di erosione e di sedimentazione e, dal momento che tutti gli oceani erano collegati, sarebbe stato possibile spiegare perché la natura delle principali divisioni della colonna stratigrafica era simile in tutte le regioni del mondo. Nel 1888 Suess introdusse la nozione di 'movimento eustatico' o 'eustatisismo', che riveste ancora una certa importanza, benché non sia più spiegata nei termini esposti da Suess. In seguito, la teoria americana della 'geosinclinale' subì una lunga serie di rielaborazioni e correzioni e nel corso del XX sec. divenne sempre più complessa e oscura, pur continuando a occupare una posizione predominante fino all'avvento, negli anni Sessanta, della teoria della tettonica a zolle.
Nel 1887 il geologo francese Marcel Bertrand (1847-1907) analizzò le prove dell'esistenza in Europa di molte fasi distinte di formazione delle montagne o fasi orogenetiche, come la 'caledoniana', la 'ercinica' e l''alpina' e tentò di correlare questi movimenti della Terra al di là dell'Atlantico. Inoltre, egli suggerì che le inversioni stratigrafiche osservate dai geologi svizzeri nel cantone di Glarona potevano essere state causate da movimenti di spinta verso sud piuttosto che dalla 'doppia piega' di Heim. I movimenti laterali erano già stati presi in considerazione nel 1883 da Lapworth in relazione alle rocce del versante nordoccidentale delle Highlands scozzesi, in cui una massa di scisti era stata spinta su sedimenti più recenti, così come su antichi gneiss, deformandoli.
All'inizio del XIX sec., si era soliti supporre, sulla scia delle idee di Hutton e di Cordier, che la crosta relativamente sottile della Terra circondasse un'immensa parte interna costituita da materia ignea o fusa. Tuttavia, William Hopkins (1793-1866), un matematico di Cambridge che nutriva un profondo interesse per la geologia, nel 1842 asserì che una tale struttura sarebbe stata intrinsecamente instabile a causa dei movimenti prodotti all'interno della Terra dalle forze gravitazionali esercitate dal Sole e dalla Luna. La Terra doveva essere dotata di una crosta spessa, benché non del tutto solida. Questa tesi sollevava però la questione dell'alimentazione dei vulcani; di conseguenza, Hopkins ipotizzò l'esistenza di una crosta spessa, ma munita di laghi di lava ‒ appunto origine dei vulcani ‒ in zone che non si trovavano molto al di sotto della superficie.
A questo punto, furono proposti molti argomenti, sostenuti da modelli matematici e fisici diversi. Il fisico William Thomson (lord Kelvin, 1824-1907) affermò che la Terra era quasi del tutto solida e in grado di opporre resistenza alle forze gravitazionali (precessionali) esercitate dai vicini corpi celesti del Sistema solare. George Howard Darwin (1845-1912) ritenne che la sua parte interna dovesse essere quantomeno estremamente viscosa. Queste tesi, tuttavia, lasciavano irrisolto il problema della fonte delle lave vulcaniche. Così, nel 1886 Mellard Reade (1832-1909) avanzò l'ipotesi secondo cui, molto vicino alla superficie, avrebbe potuto esservi una roccia abbastanza calda da fondersi con il rilascio della pressione o con l'aumento della temperatura a livello locale. Dal momento che con ogni probabilità questa roccia era piuttosto plastica, la teoria di Reade era compatibile con la nozione di isostasia di Dutton. Tra i teorici si distinse Fisher che nel 1889 ipotizzò l'esistenza al di sotto della crosta di uno strato molto stretto e fluido, che spiegava la formazione dei vulcani a partire dal rilascio occasionale di bolle di gas (in gran parte vapore) provocato da riduzioni di pressione transienti. Alcuni teorici tedeschi, per esempio August Ritter (1826-1908) e Siegmund Günther (1848-1897), ipotizzarono che la Terra fosse dotata di una parte interna gassosa, al centro della quale la temperatura era estremamente alta. Tali idee, tuttavia, non erano altro che modelli e, all'alba del nuovo secolo, il lavoro sismologico di Oldham rivelò l'esistenza di uno strato esterno solido e spesso e di un nucleo interno di materia fusa. Le indagini sismiche condotte nel XX sec. evidenziarono che la parte esterna solida era costituita da differenti strati, uno dei quali relativamente viscoso (ma non liquido) ‒ l'astenosfera ‒ situato non molto al di sotto della crosta esterna, che rendeva possibili i movimenti isostatici e persino la 'deriva continentale'; queste indagini rivelarono inoltre l'esistenza di un nucleo interno solido, nel quale la pressione era tanto forte da impedire la fluidificazione del magma.
Dopo Lyell, la maggior parte dei geologi si era mostrata incline a riconoscere l'indefinita durata della storia della Terra; i tempi fissati dalla Bibbia erano accettati solo dai teologi e da coloro che non avevano particolare confidenza con la geologia. Darwin ritenne di poter assegnare una durata indeterminata ai processi di erosione e di deposizione e all'evoluzione organica ma, nel 1862, Thomson affermò che il Sole aveva acquistato il suo calore originario attraverso una serie di impatti meteorici e che a partire da quel momento era in fase di raffreddamento. Il Sole avrebbe potuto avere tra 10 e 500 milioni di anni. Thomson riteneva che una Terra in via di raffreddamento con lo stesso gradiente di temperatura e la stessa perdita di calore del presente poteva avere tra 20 e 400 milioni di anni. Nel 1871 egli sostenne che se la Terra aveva assunto la sua forma sferoidale quando era ancora allo stato liquido, allora era possibile calcolare la sua velocità di rotazione al momento della solidificazione diminuita in seguito a causa della frizione di marea sino a raggiungere il valore attuale. In base alla stima della diminuzione della velocità di rotazione e della contrazione termica, sembrava che l'età della Terra si aggirasse intorno a 100 milioni di anni. Ciò era difficilmente accettabile per gli evoluzionisti e per i geologi che avrebbero preferito una cronologia con tempi più lunghi, ma non erano in grado di discutere i calcoli di Kelvin. La questione rimase in sospeso fino al 1909, anno della pubblicazione dell'opera di John Joly (1857-1933), in cui si considerava l'effetto del calore radiometrico e si metteva in luce la necessità di rivedere la presunta velocità del raffreddamento terrestre. Caddero così le obiezioni di carattere fisico all'enorme durata della storia della Terra che, nel corso della seconda metà del XIX sec., sembravano essere dotate di solide basi.
La più importante teoria del XVIII sec. sull'origine della Terra era stata quella, enunciata da Immanuel Kant e da Pierre-Simon de Laplace, secondo cui i pianeti avevano avuto origine da una coalescenza di materia sotto l'azione della forza di gravità a partire da una primordiale 'nube' di materia in rotazione. La Terra avrebbe avuto così origine da uno sferoide di gas caldo che, raffreddandosi, aveva assunto uno stato liquido e poi solido. Questa ipotesi sollevava problemi dinamici simili a quelli già menzionati e, alla fine del XIX sec., l'autorevole geologo Thomas C. Chamberlin (1843-1928) e l'astronomo Forest R. Moulton (1872-1952) proposero la loro teoria dei 'planetesimi' (pianeti minuscoli), secondo cui la materia strappata al Sole in rotazione da un'altra stella poteva essersi aggregata fino a formare piccoli corpi solidi che, scontrandosi, avrebbero dato origine ai diversi pianeti. Ciò segnò la nascita della geologia planetaria, una disciplina che combina tra loro la geologia, la cosmologia e l'astronomia.
Nel XIX sec., l'interesse per la forma del suolo e la configurazione dei fiumi, così come le idee relative alle lente elevazioni e denudazioni della superficie terrestre, condusse alla spiegazione di molte peculiarità geomorfologiche. In Irlanda, Joseph Jukes (1811-1864) pose in risalto, nel 1862, il ruolo svolto dai fiumi nell'erosione della copertura del periodo Carbonifero che in passato rivestiva il paese, producendo configurazioni fluviali che avrebbero potuto non essere state determinate dal mare (benché tali fiumi avessero presumibilmente eroso una superficie in precedenza sottoposta a planazione marina). Successivamente, Jukes enunciò il principio secondo cui i fiumi trasversali a una struttura geologica sono in generale più antichi dei loro rami laterali. I fiumi scavano le loro valli adattando, tuttavia, il loro corso alle sottostanti strutture geologiche. All'incirca nello stesso periodo (1862), Ramsay sostenne che i ghiacciai potevano aver scavato bacini di roccia in strati relativamente soffici, formando laghi che, a partire dalla fine dell'era glaciale, avevano iniziato a riempirsi di sedimento. Questa tesi spianava la strada ai difensori dell'ipotesi glaciale, per i quali l'esistenza stessa dei laghi costituiva un grave problema. Negli anni immediatamente successivi, la teoria dell'alternanza di terra e di ghiaccio sostituì quella della sommersione glaciale, spiegando in modo convincente la presenza da lungo tempo osservata di conchiglie tipiche di climi freddi in cima a una collina del Galles settentrionale.
La geomorfologia registrò notevoli progressi grazie alle esplorazioni geologiche delle regioni occidentali americane ‒ nelle cui aree aride, per esempio il Grand Canyon, le caratteristiche geomorfologiche erano chiaramente evidenti ‒ intraprese da John W. Powell, Grove Karl Gilbert, Dutton e William M. Davis. Nel 1875 Powell concepì l'idea del 'livello di base' e quella secondo cui era possibile che la rete idrografica fosse più antica delle montagne attraverso le quali scorrevano i fiumi. In tal modo i fiumi potevano aprirsi un varco negli strati a una velocità equivalente a quella a cui la terra cresceva di livello; si spiegavano così reti idrografiche altrimenti anomale. Gilbert introdusse l'idea dei fiumi 'regolarizzati', ossia quelli il cui corso e il cui letto avessero subito lavori di consolidamento o di altra natura, e tentò di dedurre le leggi che governavano il modellamento della superficie della Terra. Nel 1882 Dutton richiamò l'attenzione sull'influenza delle differenze di durezza degli strati sulla sezione trasversale delle valli fluviali e quindi sullo sviluppo dei profili dei canyon. Ricorrendo a una serie di metafore biologiche, Davis scrisse dei 'cicli vitali' delle forme della Terra ‒ dalla 'giovinezza' fino alla 'maturità' e alla 'vecchiaia' ‒ i fiumi potevano però essere 'ringiovaniti' dall'elevazione del suolo. Egli parlò di 'drenaggio antecedente' e in generale considerò l'evoluzione dei paesaggi presentandoli come entità viventi.
Nel XIX sec. la storia della geologia è stata caratterizzata soprattutto dalla formulazione di principî largamente accettati riguardo alla suddivisione degli strati in base al contenuto fossile, dall'uso di questi principî nel campo della rilevazione e dall'estensione del lavoro di rilevazione in molte regioni del mondo grazie alla fondazione di istituti nazionali per il rilevamento geologico. Si entrò in possesso delle prove della antichissima età del mondo e furono confermate le teorie cicliche della formazione e della decomposizione delle rocce. I geologi si investirono del compito di descrivere la storia della Terra, utilizzando le osservazioni di processi contemporanei per tentare di ricostruire le circostanze del passato. Le rocce sedimentarie, ignee e metamorfiche furono distinte tra loro e molti tipi furono caratterizzati, spesso con l'aiuto di indagini microscopiche di sottili sezioni. Quasi tutte le teorie relative alla formazione delle montagne si basavano sull'idea della contrazione e del raffreddamento della Terra. L'ipotesi dell'era glaciale fu usata per spiegare la diffusa presenza di depositi superficiali e, in seguito, si giunse all'identificazione di molteplici glaciazioni. La conoscenza dell'origine e della struttura interna della Terra rimase ipotetica, ma la creazione di reti di osservatori geofisici coordinati tra loro fornì informazioni che condussero all'acquisizione di conoscenze più approfondite e all'emergere di nuove teorie nel XX secolo.
Nel corso dell'Ottocento, la geologia gradualmente si trasformò in una professione, divenendo, al tempo stesso, un hobby molto popolare. Il primo congresso internazionale di geologia fu organizzato a Parigi nel 1878 allo scopo di unificare a livello internazionale le suddivisioni stratigrafiche. Questo primo tentativo fallì, ma si è continuato a lavorare in questa direzione fino ai nostri giorni attraverso una serie di conferenze e grazie alle iniziative dell'International Union of Geological Science.
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