L'Ottocento: biologia. Sistematica, paleontologia e trasformismo in Francia
Sistematica, paleontologia e trasformismo in Francia
I naturalisti del XIX sec. orientarono i propri studi sull'ordinamento logico del mondo vivente iniziato nel secolo precedente, estendendo l'indagine al passato grazie allo sviluppo della nascente paleontologia. A tal fine, essi utilizzarono i dati provenienti da due campi di ricerca: la morfologia e la fisiologia. Soprattutto quest'ultima assume un ruolo fondamentale per la zoologia a opera di Georges Cuvier il quale insegna che si deve "guardare la fisiologia, ossia la spiegazione delle macchine animali, come la parte essenziale e il fine autentico della zoologia" (1795, p. 153). A questa dichiarazione Henri Milne-Edwards farà eco nella seconda metà del secolo, proclamando che la fisiologia consiste nell'"intima unione […] fra l'indagine dei fenomeni della vita e l'esame degli organi che servono a produrli" (1857, p. 2).
L'ambizione dei naturalisti è quella di raggiungere, attraverso questi studi, la conoscenza di ciò che costituisce l'essenza del mondo vivente, applicando il metodo naturale, che, ancora secondo Cuvier, rappresenta la scienza stessa ridotta alla sua più semplice espressione. Assistiamo, in quest'epoca, all'ultima impresa che restava da compiere, la sistematizzazione del vasto dominio degli invertebrati, realizzata da Jean-Baptiste Lamarck. La sezione dei vermi, in particolare, si presentava fino a quel momento, secondo il giudizio di Cuvier e di Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, come "una sorta di classe di scarto, […] un'accozzaglia informe degli oggetti più disparati". Appare significativo, d'altronde, che la spiegazione evoluzionistica del mondo vivente sia nata nel momento in cui la scienza classificatoria realizzava i suoi ultimi progressi nella sistematizzazione degli esseri animati. È dunque lo stesso scienziato, il quale agli occhi di tutti i naturalisti ha riordinato quell'"accozzaglia informe" che ancora costituiva una parte importante della natura animata, colui che ha introdotto il concetto scientifico di trasformismo o di evoluzione degli esseri viventi.
Nella stessa prospettiva, è opportuno segnalare un altro progresso importante nella concettualizzazione del mondo vivente. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX sec. si è prodotta una rivoluzione concettuale nel dominio della storia naturale, che avrà anche una grande influenza sul nuovo volto della scienza del vivente: la nascita della biologia come disciplina scientifica autonoma. Grazie al Muséum d'Histoire Naturelle, appena istituito a Parigi, il contributo dei naturalisti francesi in questo campo sarà fondamentale. Basta soltanto ricordare che uno degli 'inventori' del termine 'biologia' fu ancora lo zoologo Lamarck. La sua opera è "caratterizzata da tre operazioni originali cruciali", che sono: "(1) l'identificazione del campo biologico, che conferisce alla biologia lo statuto di disciplina autonoma; (2) l'unificazione del campo biologico, attraverso cui si attribuiscono le stesse leggi ai regni vegetale e animale; (3) la delimitazione del campo biologico, che conduce Lamarck a compiere le operazioni più innovative rispetto alla tradizione" (Barsanti 1997, p. 367).
In seguito a ciò la storia naturale diventa anch'essa una scienza. La prova è offerta dal titolo del rapporto che Cuvier presentò all'imperatore nel 1808, Chimie et sciences de la nature, nel quale l'autore intenzionalmente mette sullo stesso piano la chimica, che considera come il modello di disciplina scientifica, e le ricerche condotte sugli esseri viventi.
La storia naturale diventa una scienza biologica soprattutto grazie ai due eminenti naturalisti del Muséum, vale a dire Lamarck e Cuvier. I poli principali di questo sviluppo sono rappresentati dagli studi condotti sugli animali del presente e su quelli del passato. I primi hanno prodotto una sistematica che è stata considerata ormai compiuta nelle sue grandi linee. I secondi hanno dato origine a una nuova disciplina scientifica, la paleontologia, che ha avuto un ruolo fondamentale nell'introduzione della teoria dell'evoluzione quale nuova visione del mondo.
La produzione scientifica in questi campi dei due grandi naturalisti del Muséum segnerà per molti anni la storia naturale, e perfino la storia del pensiero, non solo in Francia, ma anche in gran parte dell'Europa colta.
Cuvier si era specializzato nell'anatomia comparata, nella morfologia e fisiologia dei vertebrati. Sperava senza dubbio di affermarsi come il Newton della storia naturale; di certo egli volle stabilire alcune leggi. La storia naturale, scriveva, "inizia a essere riconosciuta per ciò che è realmente, vale a dire una scienza il cui oggetto è impiegare le leggi generali della meccanica, della fisica e della chimica, per spiegare i fenomeni particolari manifestati dai diversi corpi della Natura" (Cuvier 1810, pp. 147-148). Essa segue la regola cui sono ormai sottomesse tutte le scienze 'fisiche': esaminare i fenomeni, isolarli, compararli, e cercare quindi di "risalire alle cause generali" collocando i fatti in tal modo ordinati "sotto qualche legge comune".
La ricerca e la formulazione di queste leggi diventano dunque lo scopo principale degli studi zoologici di Cuvier. La più conosciuta, quella che ha decretato il successo delle sue ricostruzioni di fossili, è la legge di correlazione degli organi: "Ogni essere organizzato forma un insieme, un sistema unico e chiuso, le cui parti si corrispondono, e concorrono alla stessa azione definitiva per mezzo di un'azione reciproca. Nessuna di queste parti può cambiare senza che anche le altre cambino; e di conseguenza ognuna di esse, presa separatamente, indica e dà tutte le altre" (Cuvier 1812a, I, p. 58).
Applicando questo principio Cuvier riuscì, con successo, a ricostruire un gran numero di forme scomparse. "Un solo dente mi ha, per così dire, annunciato tutto", proclama trionfalmente a proposito della ricostruzione del Mosasaurus. Le leggi immutabili della zoologia lo hanno, in effetti, aiutato mirabilmente nel suo arduo lavoro di ricostruzione del passato: "Ero nella situazione di un uomo al quale vengano dati alla rinfusa i resti mutilati e incompleti di qualche centinaia di scheletri appartenenti a venti tipi di animali; era necessario che ogni osso ritrovasse quello al quale doveva tenersi; era pressappoco una risurrezione in piccolo, e non avevo a disposizione la tromba onnipotente; ma le leggi immutabili prescritte agli esseri viventi vi supplirono e, al richiamo dell'anatomia comparata, ogni osso, ogni porzione di osso riprese il suo posto" (Cuvier 1812b [1821-24, II, p. 231]).
La sua profonda conoscenza della morfologia e della fisiologia dei vertebrati lo condusse, nel 1812, ad attribuire il carattere di realtà concreta al tipo di organizzazione che definì con il termine embranchement, forma principale. Nelle Leçons d'anatomie comparée egli definiva ciascuna forma come un insieme di animali che "sembrano formati su un piano comune, che serve da base a tutte le piccole modificazioni esteriori" (Cuvier 1800-05 [1835-46, I, p. 61]). Nel Règne animal del 1817, Cuvier distingue quattro forme, i vertebrati, i molluschi, gli articolati e i raggiati: "Se si considera il regno animale […] con lo sguardo soltanto all'organizzazione e alla natura degli animali, […] si troverà che esistono quattro forme principali, quattro piani generali, se così si può dire, secondo i quali sembrano essere stati modellati tutti gli animali, e le cui divisioni ulteriori, con qualsiasi titolo li abbiano decorati i naturalisti, non sono che modificazioni abbastanza leggere, fondate sullo sviluppo o l'aggiunta di alcune parti, che non cambiano niente quanto all'essenza del piano" (Cuvier 1817 [1829, p. 48]). Ogni sottotipo è quindi un "sistema chiuso", costruito intorno a un solo "piano comune".
Per i suoi studi sistematici, Lamarck fu paragonato dai contemporanei a Linneo (Carl von Linné). In botanica, dal 1778 alla fine del secolo, e in zoologia, dalla fine del secolo alla morte nel 1829, rivelò appieno il suo spirito sistematico. Dopo aver iniziato la carriera militare si dedicò ben presto allo studio delle piante. Nel 1777-1778 pubblicò una Flore françoise in tre tomi, che ebbe un grande successo e due riedizioni: nel 1795, in tre tomi, e nel 1805, in cinque tomi, con il concorso del ginevrino Augustin-Pyramus de Candolle (1778-1841). Nel 1793 fu nominato professore di zoologia degli insetti e dei vermi al Muséum d'Histoire Naturelle, appena istituito a Parigi. All'epoca se ne conoscevano 135.000 specie, contro le circa 12.000 di vertebrati, situazione che spiega senza dubbio come questo sottoregno non fosse ancora padroneggiato dai naturalisti.
L'anatomia comparata che Cuvier stava sviluppando aveva fornito una base di studi che tutti applicavano, quella dell'organizzazione. Questo principio costituiva, dal punto di vista concettuale, uno strumento utilizzabile più facilmente per gli animali rispetto ai vegetali, e Lamarck lo applicava spesso: i termini 'organizzazione' o 'piano di organizzazione' tornano decine di volte nei suoi lavori. È a lui che si devono, nel 1797, la distinzione zoologica e la denominazione di 'invertebrato', e una distribuzione finalmente accettabile di questi animali, che fino ad allora erano stati suddivisi soltanto nelle due classi degli insetti e dei vermi. Infatti, in base all'organizzazione, Lamarck ne propose una divisione in quattordici classi, che fu rapidamente riconosciuta come la vera classificazione naturale. Il risultato finale di tale riordinamento culminò nella pubblicazione in sette tomi, dal 1815 al 1822, dell'Histoire naturelle des animaux sans vertèbres, che resta una delle opere fondamentali nell'ambito degli studi di zoologia del XIX secolo.
Il rimaneggiamento incessante dei taxa e della loro gerarchizzazione, al quale lo scienziato si dedicò per una ventina di anni, documenta l'enorme lavoro realizzato: egli ridefinì più di mille generi e più di settemila specie furono oggetto di una sua descrizione attenta (Linneo ne aveva classificate meno di seimila). La qualità riconosciuta di questa classificazione, divenuta un riferimento scientifico, valse a Lamarck una grande reputazione fra i naturalisti. La maggior parte degli studi sugli invertebrati veniva realizzata, in effetti, consultando le sue opere. Nel 1816 Jean-François Déterville, nella seconda edizione del Nouveau dictionnaire d'histoire naturelle, assicurava che le sue divisioni "in molte classi naturali" degli animali senza vertebre, "distribuiti fino ad allora in maniera assai confusa […] sono state generalmente adottate" (Déterville 1816, p. IV).
Molti naturalisti furono in contatto con Lamarck: François Péron per lo studio sulle meduse, Marie-Jules-César Lelorgne de Savigny per i tunicati, Pierre-André Latreille per gli insetti, Achille Valenciennes e Gérard-Paul Deshayes per le conchiglie, Jean-Vincent-Felix Lamouroux per i polipi, e anche il padre di Jacques Boucher de Perthes. La sua attività era apprezzata anche dagli studiosi inglesi: William Elford Leach del British Museum era un corrispondente fedele di Lamarck e applicava le sue classificazioni; William Smith basava anche sugli studi degli invertebrati i suoi confronti stratigrafici; Thomas Webster non esitava a sostenere che i nomi attribuiti da Lamarck agli invertebrati erano i veri nomi scientifici; John Children con Lamarck's genera of shells contribuiva a diffondere la sua sistematica tra i naturalisti inglesi; William Swainson nel 1824 con The characters of several new shells riconosceva "il merito di questo grande uomo". Si potrebbero ancora citare gli elogi o le traduzioni che fecero delle sue opere William Turton, Edmund A. Crouch o Samuel P. Woodward, senza parlare di Robert E. Grant, il maestro preferito di Darwin all'Università di Edimburgo. In Germania, dal 1824 Heinrich Georg Bronn faceva riferimento ai suoi studi geologici; negli Stati Uniti, Alpheus S. Packard assicurava che, verso la fine del secolo, i professori ne raccomandavano ancora la lettura agli studenti.
La grande opera zoologica di Lamarck venne, dunque, considerata nel XIX sec. il testo di base per lo studio degli invertebrati. Jean-Baptiste Bory de Saint-Vincent nel 1824 affermava che le "opere del Signor de Lamarck […] sono in tutte le mani" e Karl Ernst von Baer confermava nel 1864 che quasi tutti i naturalisti tedeschi della sua età conoscevano la Philosophie zoologique di Lamarck.
Cuvier e Lamarck realizzarono, ognuno nel proprio campo, un immenso lavoro di esposizione e di ordinamento del mondo animale, che fu salutato dai contemporanei come un progresso rimarchevole nelle 'scienze' della Natura. I domini e i metodi erano tuttavia diversi, poiché gli scopi erano opposti e lo divennero ancora di più quando i principî furono elevati al rango di dottrine.
Lamarck concepì la sua teoria dell'evoluzione mentre sistemava la classificazione degli invertebrati, sia viventi sia fossili. È controverso quanto questo influenzò la genesi delle sue idee trasformiste, ma lo stesso Lamarck espose chiaramente il ragionamento che lo portò al trasformismo.
Elaborando le sue teorie, egli arrivò a concepire che era possibile rovesciare il quadro di classificazione, costruito secondo l'uso tradizionale partendo dagli esseri più 'perfetti' e procedendo verso i più 'imperfetti'. Questa operazione, in effetti, gli fece comprendere meglio la natura della biologia. Tra il 1808 e il 1810 Lamarck assicurava che: "è estremamente importante attuare nella distribuzione generale degli animali un rovesciamento tale che gli animali più imperfetti e più semplici per organizzazione siano in testa alla distribuzione, e che i più perfetti, la cui organizzazione è la più complicata, la concludano" (Lamarck 1808-10, p. 224). "Questo procedere nell'esame ‒ continua ‒ sarà conforme a quello che ha seguito la Natura nelle sue operazioni; ci mostrerà come partendo dai corpi con un'organizzazione più fragile e con una consistenza più debole, la Natura nell'iniziare le sue operazioni di organizzazione, ha aumentato, a poco a poco, il volume e la consistenza dei corpi che possiedono la vita nell'uno e nell'altro regno" (ibidem, p. 225). Il metodo naturale era dunque in grado di fornire lo strumento per 'classificare' gli esseri viventi, ma anche e soprattutto di proporre una storia del loro sviluppo: la classificazione naturale degli esseri forniva la chiave della loro discendenza. Lamarck poté affermare nel 1820 nel Système analytique che l'ordine naturale stabilito negli invertebrati "prende origine nella produzione successiva di questi animali". A Darwin non resterà che ripetere la stessa cosa una quarantina di anni più tardi nella sua On the origin of species, quasi nei termini che aveva letto senza dubbio in Lamarck: "il sistema naturale ha per base la discendenza con modificazioni […] ogni vera classificazione è genealogica" (Darwin 1859 [1959, p. 454]).
Cuvier vedeva le cose in modo completamente diverso. Nel suo sistema di classificazione non vi era transizione possibile da un embranchement all'altro: "Qualunque disposizione si dia agli animali con vertebre e a quelli senza, non si arriverà mai a porre alla fine di una di queste grandi classi, né alla testa dell'altra, due animali che si assomiglino abbastanza da servire da legame fra loro" (Cuvier 1800-05, p. 60); in realtà "non si può ignorare l'intervallo o il salto molto marcato" che esiste quando si passa da un piano di costruzione a un altro. Per Cuvier il trasformismo era dunque un'ipotesi che la classificazione dimostra radicalmente falsa, manifestando alcune irriducibili rotture nella serie dei viventi.
La classificazione naturale non era la sola disciplina a partecipare al dibattito sulla teoria trasformista. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX sec. i naturalisti danno in effetti inizio alla grande impresa scientifica della 'risurrezione' degli esseri vissuti in passato. La paleontologia si afferma e raccoglie i dati materiali senza i quali questa operazione non può essere che gioco dell'immaginazione. Ci sono infatti due paleontologie che si affiancano, quella dei vertebrati da una parte e quella degli invertebrati dall'altra, e due paleontologi che si affrontano, Cuvier e Lamarck, fondatori ciascuno di una delle due discipline. Per fare il quadro della loro produzione in campo paleontologico e delle dispute conseguenti, lo storico si trova in una situazione per così dire ideale. I due protagonisti, infatti, non solo lavorano e insegnano nello stesso istituto, ma pubblicano anche osservazioni e conclusioni sulle stesse riviste, in particolare nelle "Annales" (poi "Mémoires") del Muséum d'Histoire Naturelle di Parigi. Spesso basta girare le pagine di un medesimo numero per seguire, passo dopo passo, le loro scoperte e le loro prese di posizione; essi si rispondono e si controbattono da un fascicolo all'altro, e a volte da un articolo e perfino da una pagina all'altra.
La teoria catastrofista di Cuvier
Cuvier comincia le pubblicazioni paleontologiche a partire dai vertebrati. Fedele al suo metodo di distinzione delle specie, mette l'accento sulle differenze che vi sono fra le forme fossili e quelle attuali, e sostiene che sono sempre esistite separazioni specifiche fra loro. Nel 1795 pubblica con Geoffroy Saint-Hilaire una breve scheda sugli elefanti. Il suo 'metodo', che consiste nel sottolineare le differenze fra le specie, è illustrato già in questa pubblicazione. Egli riesce a provare "che esistono almeno due specie distinte di elefanti" (quella asiatica e quella africana), e "che il Mammut, animale di cui si sono ritrovate le ossa in Siberia e altrove, e che era stato sempre considerato un elefante, è sì dello stesso genere, ma, per quanto vicino alla specie asiatica, ne differisce abbastanza da essere considerato come specie distinta" (Cuvier 1791-98a, p. 90). L'anno successivo pubblica una 'notizia' su un animale scomparso trovato in Paraguay. Questo fossile "aggiunge ai numerosi fatti che ci annuncia (sic) che gli animali del mondo antico differivano tutti da quelli che noi vediamo oggi sulla Terra; infatti non è affatto probabile che se questo animale esistesse ancora, una specie così rimarchevole sarebbe potuta sfuggire finora alle ricerche dei naturalisti" (Cuvier 1796a, p. 310).
Tuttavia l'intervento per lui fondamentale è la relazione su questi elefanti tenuta nello stesso anno all'Institut de France; la pubblica nel "Magasin encyclopédique" (1796), nei "Mémoires de l'Institut" (1799) e nel "Journal de physique" (1800), mostrando in tal modo quanta importanza attribuisse alle idee esposte e alla loro diffusione. Egli afferma che le "specie distrutte" provano la realtà delle catastrofi planetarie: "tutti questi fatti, analoghi fra loro, e ai quali non è possibile opporne alcuno fra quelli constatati, mi sembrano provare l'esistenza di un mondo anteriore al nostro, distrutto da una catastrofe qualsiasi" (Cuvier 1796b, p. 444). È nella stessa prospettiva che Cuvier presenta ai colleghi della Société Philomatique di Parigi il suo progetto di collezionare tutti i fossili conosciuti di vertebrati, nell'intenzione di dimostrare la loro appartenenza a un mondo scomparso (Extrait d'un mémoire sur le ossemens fossiles des Quadrupèdes, 1791-1798). Degna di nota è la cura con cui distingue le specie le une dalle altre, e come sottolinei la mancanza di un loro "analogo vivente". È il caso del mammut: "il suo vero analogo vivente non è conosciuto, per quanto lo si sia visto finora come un elefante ordinario"; come pure è il caso del rinoceronte: "il suo analogo vivente è sconosciuto"; per contro l'animale fossile rinvenuto in Paraguay è "una specie propria e distinta".
Questi fatti provano la falsità della teoria della trasformazione delle specie: "Quale possa essere l'influenza del clima per far variare gli animali, essa non va sicuramente così lontano; e dire che può cambiare tutte le proporzioni della struttura ossea e di quella intima dei denti, sarebbe sostenere che tutti i quadrupedi non possono derivare che da una sola specie; che le differenze che essi presentano non sono che degenerazioni successive: in una parola questo sarebbe ridurre a niente tutta la storia naturale, poiché il suo oggetto non consisterebbe che di forme variabili e di tipi fugaci" (Cuvier 1800, p. 212). Secondo Cuvier i fossili apportano, dunque, la prova inconfutabile che "fra i diversi sistemi sull'origine degli esseri organizzati, non ce n'è di meno verosimile che quello che ne fa nascere successivamente i diversi generi per mezzo di sviluppi o metamorfosi graduali" (Cuvier 1812b [1821-24, II, pp. 297-298]).
Lamarck e la paleontologia trasformista
Lo studio dei fossili pose Lamarck in diretta contraddizione con il collega Cuvier, sottolineando l'importanza delle specie analoghe.
Adesso si è convinti che sia fondamentale ricercare e determinare gli analoghi viventi o marini di un gran numero di conchiglie fossili che si trovano interrate perfino al centro dei nostri vasti continenti […]. Non è dunque grazie alla giustezza delle determinazioni di quelle fra le nostre conchiglie viventi o marine che sono analoghe ai fossili dei nostri continenti che si potranno ottenere conseguenze solide e fondate su numerosi punti importanti della teoria del nostro globo […]. In conseguenza di queste vedute mi è sembrato indispensabile dare al pubblico, e particolarmente agli allievi che seguono le mie lezioni al Muséum, degli elementi di conchiliologia, opera nella quale conto di presentare un'esposizione concisa dei principî relativi allo studio delle conchiglie, e alla loro distinzione in famiglie, generi e specie; senza dimenticare d'indicarvi, insieme al luogo che abitano, le conchiglie viventi o marine che sono veramente analoghe ad alcune nostre conchiglie fossili. (Lamarck 1799, pp. 63-64, 66-67)
Parallelamente allo studio e alla classificazione degli invertebrati viventi, Lamarck mise a punto lo studio della loro paleontologia, definendo più di un migliaio di specie fossili; questa conoscenza si sarebbe rivelata assai preziosa per il proseguimento delle sue ricerche e delle sue riflessioni. In Sur les fossiles, aggiunto in appendice al Système des animaux sans vertèbres, Lamarck cominciò a confutare direttamente l'argomentazione di Cuvier e a sviluppare la sua teoria trasformista basandosi in maniera concreta sui fossili. Le sue argomentazioni sono chiare, rigorose e definitive. Secondo Lamarck, che qui critica esplicitamente Cuvier, alcuni studiosi pretendono "che tutti i fossili appartengano a spoglie di animali o di vegetali, i cui analoghi viventi non esistono più in Natura". Avendo asserito che tutte le specie fossili sono differenti da quelle attuali, aggiunge Lamarck, "essi hanno concluso […] che questo globo ha subito un rovesciamento universale, una catastrofe generale, il cui risultato è stata la perdita o la distruzione di una moltitudine di specie di animali e di vegetali diversi" (Lamarck 1801a, p. 407).
Lamarck riconosce che "tra la gran quantità di fossili raccolti nelle diverse parti della Terra, c'è ancora soltanto un numero esiguo di specie i cui analoghi viventi o marini sono conosciuti" (ibidem, p. 408). Questo è ciò che concede a Cuvier. Dopo tale affermazione, Lamarck espone la sua metodologia scientifica, quella che è alla base della sua nuova dottrina trasformista e anticatastrofista, e che va tenuta presente durante tutta la lettura dei suoi lavori paleontologici: "Nondimeno, per quanto questo numero sia esiguo, finché non si saprà contestarlo, esso è sufficiente perché si sia forzati a sopprimere l'universalità enunciata nella proposizione citata sopra". E, del resto, "nonostante molte conchiglie fossili siano differenti da tutte le conchiglie marine conosciute, questo non prova in alcun modo che le loro specie siano estinte, ma solamente che esse sono cambiate con il passare del tempo, e che attualmente hanno forme diverse da quelle che avevano gli individui di cui ritroviamo le spoglie fossili" (ibidem, pp. 408-409).
Lamarck fornisce l'indicazione di tali cambiamenti, introducendo il concetto di tempo nella percezione degli avvenimenti biologici: "Tutto, con il tempo, subisce delle mutazioni diverse più o meno veloci, secondo la natura degli oggetti e delle circostanze". In effetti
se […] la diversità delle circostanze comporta, per gli esseri viventi, una diversità d'abitudini, un modo differente di esistere, e in seguito, modifiche o sviluppi nei loro organi e nella forma delle loro parti, si deve intuire che insensibilmente qualsiasi essere vivente deve variare nella sua organizzazione e nelle sue forme. Si deve ancora intuire che tutte le modifiche che proverà nella sua organizzazione e nelle sue forme, in seguito alle circostanze che avranno influito su questo essere, si propagheranno attraverso la generazione, e che dopo una lunga successione di secoli, non solamente avranno potuto formarsi nuove specie, nuovi generi e perfino nuovi ordini, ma che ogni specie sarà variata necessariamente nella sua organizzazione e nelle sue forme. (ibidem, pp. 409-410)
Avendo definito le basi del suo ragionamento, Lamarck comincia a mostrare che vi sono numerose specie che si ritrovano prima e dopo la pretesa catastrofe immaginata da Cuvier. Nei Mémoires sur les fossiles des environs de Paris, pubblicati dal 1802 al 1806 nelle "Annales du Muséum d'Histoire Naturelle", identifica le specie analoghe fossili e viventi, precisando perfino i gradi di somiglianza che constata fra esse. Tra le trecento specie fossili di cui fornisce una descrizione, egli ne segnala più di una trentina che si avvicinano alle specie viventi. Nella Philosophie zoologique Lamarck non esita a estendere le sue conclusioni trasformiste perfino all'uomo. I suoi
caratteri di organizzazione […] sono tutti il prodotto di antichi cambiamenti nelle sue azioni, e nelle abitudini che ha preso e che sono divenute peculiari degli individui della sua specie. Effettivamente, se una razza qualsiasi di quadrumani, soprattutto la più perfezionata fra esse, perdesse, per la necessità delle circostanze, o per qualche altra causa, l'abitudine di arrampicarsi sugli alberi, e di afferrarne i rami con i piedi, come con le mani, per attaccarvisi; e se gli individui di questa razza, durante una successione di generazioni, fossero forzati a servirsi dei loro piedi unicamente per camminare, e cessassero di impiegare le loro mani come dei piedi; non c'è dubbio […] che questi quadrumani sarebbero alla fine trasformati in bimani, e che gli alluci dei loro piedi cesserebbero di essere distanziati dalle dita, servendo questi piedi unicamente a camminare. Inoltre, se gli individui di cui parlo, mossi dal bisogno di dominare, e di vedere contemporaneamente sia in lungo sia in largo, si sforzassero di tenersi in piedi, e ne prendessero costantemente l'abitudine di generazione in generazione; non c'è dubbio ancora che i loro piedi prenderebbero insensibilmente una conformazione appropriata a tenerli in un'attitudine eretta. (Lamarck 1809, p. 349)
Ed ecco gli effetti di questo cambiamento di attitudine sui loro caratteri cefalici: "Se questi stessi individui cessassero d'impiegare le loro mascelle come delle armi per mordere, staccare o afferrare, o come delle tenaglie per tagliare l'erba e nutrirsene, e le utilizzassero soltanto per la masticazione, è indubitabile, anche se il loro angolo facciale diventasse più aperto, che il loro muso si accorcerebbe sempre di più, e che alla fine, essendo interamente cancellato, essi non avrebbero più i loro denti incisivi verticali" (ibidem).
In questo modo venne tematizzato il problema della storia della vita da Cuvier e, in risposta a questi, da Lamarck. I termini del dibattito rimasero successivamente pressoché invariati, così che questi elementi sono essenziali non solo per comprendere la polemica tra i due ma anche per la storia della biologia all'inizio del XIX secolo.
L'analisi dei lavori scientifici di Cuvier e Lamarck, enumerando tutte le pièces justificatives (come le definiva lo stesso Lamarck) a favore delle rispettive posizioni, sarebbe qui lunga e fastidiosa. Si sottolinea solamente il fatto che il numero degli articoli di argomento paleontologico uguaglia quello di Cuvier (quarantuno contro quaranta).
Va quindi considerato indispensabile lo studio delle relazioni tra paleontogia ed evoluzionismo per comprendere l'attuale teoria dell'evoluzione.
Lo sviluppo del dibattito
Il prestigio di questi due grandi zoologi-paleontologi del Muséum d'Histoire Naturelle dominerà in Francia per tutto il resto del secolo. Gli altri naturalisti si schierarono riguardo al problema delle specie analoghe e non analoghe, gli uni seguendo Cuvier, e gli altri, più numerosi, seguendo Lamarck. Geoffroy Saint-Hilaire, che nel 1793 occupava al Muséum la cattedra di zoologia dei mammiferi e degli uccelli, aveva tutto da imparare. Nel 1830, mettendo ordine nelle collezioni, notò nei Principes de philosophie zoologique che gli accostamenti globali che doveva fare per classificare gli esseri viventi presentavano frequentemente i medesimi elementi dello scheletro che si ripetevano in serie, e "in posti [che erano] rispettivamente gli stessi". Questa teoria delle analogie lo condusse a ridurre il mondo vivente all'unità di organizzazione. La Natura, con questo mezzo, "tende a far riapparire gli stessi organi nello stesso numero e nelle stesse relazioni, ed essa varia solamente la forma all'infinito" (Geoffroy Saint-Hilaire 1807, p. 344). È attraverso questo principio che ogni organo, o una sua porzione, è ricondotto a ciò che Geoffroy Saint-Hilaire chiama "l'identità filosofica" dell'essere. La legge delle connessioni è il filo conduttore che permette di riconoscere il tipo sotto tutte le sue modificazioni: "è in definitiva un fatto ben acquisito della filosofia naturale che gli animali siano decisamente il prodotto di uno stesso sistema di composizione, l'assemblaggio di parti organiche che si ripetono in modo uniforme" (Geoffroy Saint-Hilaire 1830, p. 85).
In paleontologia Geoffroy Saint-Hilaire non ebbe il ruolo rilevante di Cuvier, studiò comunque un certo numero di fossili di vertebrati, superando Cuvier nella determinazione di alcuni esemplari. Nel 1825, riconsiderando i resti di rettili scoperti in Normandia nel 1817, egli riuscí infatti a stabilire la vera identità di questi animali che Cuvier aveva ricostruito e interpretato in maniera errata come rettili con caratteri primitivi. Secondo Geoffroy Saint-Hilaire, al contrario, questi fossili, che denominò Teleosaurus e Stenosaurus ‒ divenuti poi i nomi definitivi ‒ avevano caratteri tali da metterli in relazione con i mammiferi. È sulla base di questa constatazione che egli propose una sorta di linea di discendenza da tali rettili ai mammiferi fossili e poi agli attuali. Geoffroy Saint-Hilaire affermò che esiste "una successione ininterrotta" fra "i coccodrilli dell'epoca attuale" e "le specie antidiluviane [sic!] ritrovate oggi allo stato fossile sul nostro territorio". Benché cosciente dell'imperfezione della serie proposta affermò che il lavoro dei secoli "spiega la storia delle loro modificazioni lente e successive" (Geoffroy Saint-Hilaire 1837, p. 77). Nelle mani di Cuvier la paleontologia dei vertebrati era risolutamente fissista e catastrofista. L'esempio di Geoffroy Saint-Hilaire dimostra che, in piena 'era cuvieriana', il 'pubblico' dei "Mémoires du Muséum d'Histoire Naturelle" poteva già leggere, accanto agli articoli di Cuvier, studi del tutto opposti ai suoi, e che si potevano utilizzare i fossili di vertebrati in una prospettiva trasformista.
Henri-Marie Ducrotay de Blainville (1777-1850) fu, dopo Cuvier, uno dei più grandi specialisti di vertebrati nella prima metà del XIX secolo. Nel 1832 occupò la cattedra di anatomia comparata al Muséum, succedendo a Cuvier, e tenne l'insegnamento fino alla morte. Piuttosto che al concetto di specie, Blainville dedicò i suoi studi al 'tipo', "un piano particolare di organizzazione", caratterizzato da una più ampia varietà di forme simili. In seguito, egli attirò l'attenzione sulla "importanza dello studio delle modificazioni che subisce la materia che compone i corpi organizzati, sia nelle sue combinazioni chimiche sia nella sua struttura o nella sua disposizione organica" (Blainville 1833, I, pp. 104-105). In questa prospettiva, Blainville rese omaggio a Lamarck, "il naturalista che ha più forza nella concezione generale degli esseri e dei fenomeni". Allo stesso modo, nella questione delle specie intermedie, che Lamarck chiamava 'analoghe', Blainville prese posizione contro Cuvier: l'asserzione secondo cui gli iati fra gli esseri non sono stati colmati dalle nuove scoperte "è evidentemente e indubitabilmente falsa, e questo per quasi tutte le classi dello stesso tipo; così, per esempio, fra i mammiferi e gli uccelli, [è possibile collocare] gli ornitorinchi e le echidne, fra gli uccelli e i rettili, le tartarughe; fra gli anfibi e i pesci, il proteo, i lepidosirenidi, e questo senza parlare di quei fossili che, per una singolarità assai rimarchevole, per quanto assai naturale, vengono quasi sempre a riempire una lacuna importante, il plesiosauro fra le tartarughe e i coccodrilli, l'ittiosauro fra i rettili e gli anfibi" (Blainville 1847, p. 29). A Cuvier, che aveva sostenuto che "un essere intermedio o di passaggio non può essere concepito", Blainville replica: "vi domando scusa: ciò può così bene concepirsi che avviene, e perfino in tutte le classi, in tutti i punti della serie" (ibidem, p. 32).
Se Blainville si opponeva a Cuvier su questo punto, la sua concezione del passato della Terra era diversa sia da quella di Cuvier sia da quella di Lamarck. Egli sosteneva la visione tradizionale insegnata dalla Bibbia, secondo cui non c'era stata che una sola Creazione all'inizio del mondo, in cui tutte le specie, compreso l'uomo, erano state originate. Per sostenere una dottrina simile era necessario accentuare le somiglianze fra le specie, e non sottolineare le differenze per separare meglio gli esseri del passato da quelli del presente, come invece era solito fare Cuvier. Per tale aspetto della sua epistemologia paleontologica, Blainville si avvicinava a Lamarck, del quale però rifiutò vigorosamente le conclusioni trasformiste: su questo punto, lo scienziato che ammirava si era "allontanato dalla verità".
La sua visione del passato non ebbe molto successo e, di fatto, non poteva averne. Come dimostrava a partire dal 1830 Jean-Baptiste d'Omalius d'Halloy (1783-1875), questa teoria entrava in contraddizione con troppi dati paleontologici già conosciuti e ammessi a quell'epoca. Il fondatore della geologia belga faceva notare che sarebbero state necessarie tre casualità sorprendenti perché tale teoria avesse potuto ottenere qualche opportunità di risultare corretta. Se gli esseri fossero stati creati allo stesso tempo, "ci vorrebbe una casualità assai singolare a motivo della quale non abbiamo ancora incontrato, nel gran numero di luoghi in cui si sono osservati i terreni antichi, resti di specie simili a quelle che vivono attualmente" (d'Omalius d'Halloy 1831, p. 527). D'altra parte, sarebbe stato necessario che gli esseri fossero stati distribuiti in gruppi diversi, non mescolati, come lo sono ai nostri giorni, nelle diverse regioni della Terra, e che non ci fossero stati, per esempio, mammiferi marini nè rettili mescolati a pesci. Infine, "per una terza casualità che cade ancora meno sotto i sensi, la distruzione avrebbe successivamente riguardato i gruppi più diversi dalla vita attuale" (ibidem, pp. 527-528). La teoria di Blainville, scriveva anche Jules Gosselet nel 1896, "è poco conosciuta oggi; è caduta del tutto nell'oblio, e lo merita".
Dopo la rapida eliminazione della teoria creazionista di Blainville, il dibattito andò di nuovo a fissarsi, con diversi esiti, sulla controversia che aveva opposto i due primi protagonisti, Cuvier e Lamarck. Le opere successive, che espongono in maniera estesa gli argomenti e i ragionamenti del dibattito, mostrano che in Francia il XIX sec. fu un'epoca ricca di pubblicazioni paleontologiche.
Il dibattito principale riguardò la storia della vita e ruotò intorno agli assi principali fissati da Cuvier e Lamarck: continuità o discontinuità, catastrofismo o attualismo, fissismo o trasformismo. La paleontologia ebbe un'importanza rilevante in questo dibattito, e i materiali fondamentali rimasero gli studi di Lamarck sugli invertebrati e quelli di Cuvier sui vertebrati. Grazie alla grande quantità di materiali raccolta da Lamarck nel corso delle sue ricerche, i risultati ottenuti dai suoi successori nei decenni seguenti non stupiscono. I discepoli di Cuvier, però, seguitarono anche a difendere le sue idee fissiste e catastrofiste.
Alexandre Brongniart (1770-1847), per esempio, accolse l'opinione del suo maestro e collaboratore Cuvier per quanto riguarda la nozione di 'specie'. Nonostante ciò, egli non rifiutava nettamente le idee di Lamarck: i cambiamenti fisici che il globo ha conosciuto hanno potuto "avere come risultato di distruggere certe specie e di modificare o perfino di cambiare interamente quelle che hanno vissuto dopo questi grandi avvenimenti geologici" (Brongniart 1829, p. 126). "Quale che sia l'ipotesi ‒ assicura ‒ o perfino la teoria che s'impiega per rendere conto di questi cambiamenti, si è sempre forzati a convenire che, al fine di operare delle trasformazioni simili nella natura organizzata, è stata necessaria una potente influenza da parte della natura inorganica; è quel che noi richiediamo" (Brongniart 1831, p. 457). Lamarck non richiedeva altro.
Adolphe-Théodore Brongniart (1801-1876), rispetto al padre, fu un più deciso sostenitore di Cuvier. Anch'egli fondò la definizione di specie sulla similitudine dell'organizzazione, ma soprattutto sull'eredità e la trasmissione degli stessi caratteri attraverso la generazione. Inoltre, a suo parere, la specie, malgrado la variabilità che può presentare entro certi limiti, sembra invariabile nella sua essenza e pare "non si possa trasformare in un'altra specie e dare nascita a specie nuove".
Candolle, nonostante avesse collaborato con Lamarck alla riedizione della Flore françoise, condivise la concezione di specie di Cuvier: "Esistono, negli esseri organizzati, differenze permanenti che non possono essere riportate a nessuna delle cause attuali delle variazioni; sono queste differenze che costituiscono le specie" (Candolle 1820, p. 419). "Le specie degli esseri organizzati sono permanenti, e […] ogni individuo vivente proviene da un altro essere simile a lui" (ibidem, p. 417).
Jean-Louis-Armand de Quatrefages de Bréau (1810-1892) fu meno perentorio rispetto agli autori già ricordati, ma espose i suoi dubbi scientifici.
L'esperienza e l'osservazione ci forniscono dei fatti sufficienti ad abbordare la questione della specie, considerata nel periodo geologico attuale; l'una e l'altra sono completamente mancanti quando vogliamo risalire alle età anteriori. Qui è necessario quasi sempre rinunciare alla certezza e perfino alla probabilità scientifica per accontentarsi delle possibilità. Ora si sa quant'è grande la distanza che separa il possibile dal reale: nessuno ha il diritto di concludere dall'uno l'altro. Secondo quanto ha espresso molto nettamente il signor Chevreul: "Se l'opinione della mutabilità delle specie, in circostanze diverse da quelle in cui viviamo, non è assurda ai nostri occhi, ammetterla di fatto per trarne delle conseguenze è allontanarsi dal metodo sperimentale, che non permetterà mai d'innalzare a principio la semplice congettura". (Quatrefages de Bréau 1861, pp. 164-165)
Claude Bernard (1813-1878) fu più esplicito, infatti considerò la fisiologia come la disciplina di base della biologia scientifica: "La fisiologia generale è la scienza biologica fondamentale verso cui tutte le altre convergono". E precisava: "Noi definiremo dunque la fisiologia: la scienza che ha per oggetto lo studio dei fenomeni degli esseri viventi e la determinazione delle condizioni materiali della loro manifestazione. È attraverso il solo metodo analitico o sperimentale che possiamo arrivare a questa determinazione delle condizioni dei fenomeni, sia nei corpi viventi sia nei corpi bruti; poiché ragioniamo allo stesso modo per sperimentare in tutte le scienze" (Bernard 1865 [1963, p. 113]). "Se si fosse fatta un'ipotesi che l'esperienza non potesse verificare, si uscirebbe per questo dal metodo sperimentale per cadere nei difetti degli scolastici o dei sistematici" (ibidem, p. 64).
Bernard non accordava molto credito alle teorie prive di basi sperimentali: "Le teorie che noi possediamo sono lontane dal rappresentare verità immutabili. Quando formuliamo una teoria generale nelle nostre scienze, la sola cosa di cui siamo certi, è che tutte queste teorie sono false parlando in assoluto. Esse non sono che verità parziali e provvisorie che ci sono necessarie, come fasi sulle quali riposiamo, per avanzare nell'investigazione; esse non rappresentano che lo stato attuale delle nostre conoscenze e, di conseguenza, dovranno modificarsi con l'accrescimento della scienza" (ibidem, p. 68).
Milne-Edwards, considerato anche da Darwin uno degli scienziati più qualificati del suo tempo, non condannava le teorie trasformiste, ma raccomandava di rispettare scrupolosamente il principio del rigore scientifico: "Le ipotesi di Lamarck e le vedute ingegnose di Darwin possono fornirci spiegazioni plausibili per l'introduzione di variazioni leggere nei caratteri degli animali che sarebbero discesi da un ceppo comune; ma niente ci autorizza ad applicare questi dati a differenze di un altro ordine […]. Quando si vuole restare sul terreno della scienza e non avventurarsi nell'incognito, bisogna dunque abbordare tali questioni con grande riserva" (Milne-Edwards 1865, p. 54). Come sottolineava il suo biografo Berthelot, egli non rifiutava di riconoscere l'evidenza dei fatti e delle relazioni di origine rivelata dalla geologia; tuttavia non voleva intraprendere la via congetturale dei sistemi e delle teorie attraverso le quali si era cercato di spiegare le discendenze animali.
Julien-Joseph Virey (1775-1846), curatore del Nouveau dictionnaire d'histoire naturelle, pubblicato in prima edizione fra il 1803 e il 1804 in ventiquattro volumi, poi in seconda edizione in trentasei volumi dal 1816 al 1819, aveva impegnato i suoi lettori in senso opposto. Contemporaneo del Dictionnaire des sciences naturelles di Cuvier, esso si distingue nettamente per le scelte operate dalla maggior parte dei suoi autori.
Noi pensiamo verosimilmente che la Natura abbia gettato sulla Terra un germe semplice e unico di vegetali e uno di animali, se è vero, tuttavia, che gli uni non siano una modificazione degli altri. Così, un solo germe, sviluppandosi successivamente, ha creato un gran numero d'individui simili, li avrà visti modificarsi e complicarsi poco a poco nel lungo spazio dei secoli, per l'influenza dei climi, delle temperature, e così via, in specie più o meno vicine […];queste si saranno ancora modificate durante il succedersi dei periodi, a seconda di quanto siano state più o meno profonde le influenze di tutto ciò che le circonda e di quanto si saranno mescolate fra loro. (Virey 1817a, pp. 130-131)
Jean-Baptiste Bory de Saint-Vincent (1778-1846), direttore e autore di numerose voci del Dictionnaire classique d'histoire naturelle, che ebbe numerose edizioni, e che Darwin aveva portato con sé nel viaggio sul Beagle, seguì anch'egli la tendenza trasformista, sostenendo, nel 1825, la realtà del "passaggio da certe modificazioni di organizzazione ad altre del tutto diverse". È lo stesso movimento che caratterizza lo sviluppo ontogenetico e quello della vita: "Le serie delle metamorfosi sono, per ogni formazione, una ripetizione di quello che si operò nell'insieme della Creazione stessa, passando dal semplice al complesso come ci ha appena detto l'illustre autore dell'Histoire naturelle des animaux sans vertèbres" (Bory de Saint-Vincent 1826, p. 465).
Ciò che lentamente, ma con fermezza, fece evolvere la situazione in favore delle tesi trasformiste dell''illustre autore' Lamarck fu il rapido sviluppo quantitativo che conobbe la paleontologia degli invertebrati di cui aveva aperto la strada. Nel 1834, Émile Le Puillon de Boblaye (1792-1843) nel Dictionnaire pittoresque d'histoire naturelle et des phénomènes de la nature scriveva che "i progressi della zoologia fossile sono stati così rapidi in questi ultimi anni che, per non citare che un solo fatto, Deshayes ha determinato più di 3000 specie di molluschi nei soli depositi terziari" (Boblaye 1834, p. 192). Ai suoi occhi, è proprio questo sviluppo della paleontologia che permette progressivamente alla teoria trasformista di affermarsi rispetto alle teorie fissiste; l'ipotesi che "la specie ha potuto e ha dovuto variare indefinitamente con i cambiamenti sopravvenuti nello stato fisico del globo" è, assicura, un "punto di vista fecondo" che può gettare "infine qualche lume sulla grande questione sollevata dalla scoperta degli animali fossili" (ibidem).
È di quest'avviso anche Gérard-Paul Deshayes (1796-1875) il quale informa che i conchiliologi, vale a dire coloro che erano in grado di raccogliere la maggior parte dei fossili analoghi, seguivano esattamente il metodo di Lamarck nelle loro ricerche: "Quando nel 1835 intrapresi la nuova edizione degli animali senza vertebre di Lamarck, gli zoologi in Francia erano ancora divisi in due campi: gli uni avevano adottato il metodo e la nomenclatura di Cuvier; gli altri, e in modo particolare i conchiliologi, avevano adottato senza restrizioni il metodo di Lamarck. Tale metodo, come quello di Linneo, ispirava una sorta di venerazione e poche persone osavano apportarvi modifiche" (Deshayes 1845, p. 45).
Gli anni successivi alla morte di Lamarck e di Cuvier sono costellati da dichiarazioni di naturalisti francesi che non lasciano alcun dubbio su quale fosse l'opinione predominante. Marcel-Pierre Toussaint de Serres (1780-1862), geologo e paleontologo di Montpellier, non esitava, nel 1847, davanti all'Académie des Sciences a dichiarare il suo disaccordo con Cuvier: "il filo delle operazioni non è spezzato", affermava, ricordando e negando la celebre formula di Cuvier. Ami Boué (1794-1881), uno dei fondatori della Société Géologique de France, rifutava anche il catastrofismo di Cuvier. Egli non credeva all'antica idea della fissità delle specie più di quanto credesse alle catastrofi. Su tale questione, preferiva piuttosto seguire "i Lamarck, i Geoffroy e altri grandi naturalisti" (Boué 1834, pp. 113-114).
L'idea della continuità della vita, indotta da questo sviluppo che sembrava regolare nella sua progressione, rinforzò in tal modo la credibilità della dottrina di Lamarck. Come scrive ancora Boblaye sempre nel 1834, solo due anni dopo la morte di Cuvier: "oggi che le scoperte della geognosia hanno dimostrato modificazioni successive nello stato fisico del globo, […] oggi che lo studio degli animali fossili ha allargato molto i limiti delle variazioni attribuite alle specie, e fa scoprire ogni giorno nella catena degli esseri delle transizioni insospettate, l'ipotesi ardita di Lamarck, modificata da Geoffroy Saint-Hilaire, acquista una probabilità che essa non aveva all'epoca in cui Cuvier la combatteva" (Boblaye 1834, p. 192).
Risulta così evidente, per lo meno in Francia negli anni compresi tra il 1830 e il 1850, il contributo degli studi zoologici e paleontologici all'affermazione della dottrina trasformista e anticatastrofista di Lamarck. Perciò non desta alcuna meraviglia se Frédéric Gérard (1806-1857) parla di "legge dell'evoluzione" e di "movimento evolutivo" di "evoluzione degli esseri organizzati", di "teoria dell'evoluzione delle forme organiche" e di "periodi evolutivi", e perfino sostenga propriamente "la dottrina dell'evoluzione".
Alcide d'Orbigny (1802-1857), autore di importanti studi paleontologici sugli invertebrati, cercò di dimostrare la realtà delle creazioni successive ma non fu ascoltato dai paleontologi della generazione seguente, cui apparteneva il suo assistente e cognato, Albert Gaudry (1827-1908), che divenne il capofila dei paleontologi evoluzionisti.
Isidore Geoffroy Saint-Hilaire (1805-1861), figlio di Étienne, riprese l'eredità lasciata da suo padre e riuscì a trasmetterla in maniera definitiva ai naturalisti francesi, divenendone la guida intellettuale. Nominato nel 1841 professore di zoologia al Muséum d'Histoire Naturelle di Parigi, nel 1844 ispettore generale dell'istruzione, nel 1850 professore di zoologia alla Facoltà di scienze di Parigi, incarico che cumulò con quello al Muséum, esercitò una forte influenza sulla formazione dei suoi studenti. In queste due prestigiose istituzioni, sotto la sua guida, si formò la generazione di scienziati naturalisti francesi convertiti al trasformismo prima di avere conosciuto il pensiero di Darwin. Sostenendo le sue idee in modo più pacato rispetto al padre, egli insegnò la dottrina del trasformismo a coloro che ne saranno i principali sostenitori nella seconda metà del secolo. Riguardo alla capacità dell'addomesticamento di cambiare durevolmente la specie, egli afferma che "più una specie è ridotta allo stato domestico da molto tempo, […] più l'influenza dell'uomo è durata a lungo, più è stata potente; più la specie è stata modificata profondamente, più le diverse varietà sono numerose e differenti fra loro". In questo modo l'uomo "crea per così dire, nuove specie nelle razze che fa nascere" (Geoffroy Saint-Hilaire 1826, pp. 113-114, 125). "Esiste fra le variazioni degli animali domestici e quelle degli animali selvaggi un'analogia che va quasi fino all'identità" (Geoffroy Saint-Hilaire 1841, p. 294). è noto l'uso che farà Darwin di questi accostamenti fra l'influenza dell'addomesticamento e quella della Natura.
Nel 1836 Geoffroy Saint-Hilaire aveva condannato definitivamente il fissismo e si era dichiarato seguace del trasformismo. Pubblicamente ‒ all'Académie des Sciences ‒ seguendo l'esempio di Lamarck e di suo padre, si schierò contro la dottrina della fissità delle specie che è "un'ipotesi completamente gratuita" e perfino "un errore". "La dottrina che sosteneva Cuvier ha contro di essa tutti i fatti", dichiara ancora (Geoffroy Saint-Hilaire 1838, p. 765). La trasformazione delle specie, insegna ai suoi lettori, non è senza dubbio che un'ipotesi, ma anche la loro fissità lo è: "così, ipotesi da un lato, ma ipotesi anche dall'altro: non avete che da scegliere fra due ipotesi, e la sola differenza risiede nella semplicità dell'una, nella complessità dell'altra" (Geoffroy Saint-Hilaire 1847, p. 357). Non essendo egli stesso un paleontologo, ma avendone di futuri fra i suoi studenti, raccomandava loro di considerare i legami degli animali attuali con "gli animali analoghi che hanno vissuto nell'epoca geologica anteriore" (Geoffroy Saint-Hilaire 1859, p. 434); di fare "la comparazione delle specie attuali con quelle dell'epoca anteriore, o più generalmente di due epoche consecutive, per stabilire i loro rapporti di filiazione" (ibidem, p. 437).
L'influenza di Geoffroy Saint-Hilaire sulle scienze naturali in Francia è stata decisiva. Camille Dareste, alla vigilia della pubblicazione dell'opera di Darwin, lo conferma, quando assicura che si vedono "gli uomini più eminenti avviarsi lungo la strada aperta da Lamarck, e fare dell'idea della variabilità limitata delle specie il punto di partenza delle loro teorie scientifiche" (Dareste 1859, p. 62).
Si è visto dunque che la trasformazione degli esseri viventi fu uno degli argomenti più ricorrenti negli studi dei naturalisti francesi e, soprattutto, dei paleontologi degli invertebrati della prima metà del XIX secolo. Essa ha poi continuato a interessare grandi ingegni, come dimostra, in particolare, l'apporto di Darwin. Come è noto, gli scienziati francesi, abituati alla scienza sperimentale, hanno comunque manifestato grande reticenza verso la teoria della selezione naturale. Volevano restare fedeli all'epistemologia scientifica della disciplina che Ernst Mayr (1988) ha chiamato "la biologia del funzionamento", fondata sull'esperienza, contro "la biologia dell'evoluzione" che, a suo giudizio, ha il carattere di una disciplina storica. Si può dire, quando ormai è troppo tardi, che essi hanno avuto torto. Nondimeno è necessario comprendere il loro punto di vista, caratterizzato dall'attaccamento a quello che era stata la scienza fino a quell'epoca, e che continua ancora a essere nelle discipline sperimentali.
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