L'Ottocento: chimica. La chimica della vita
La chimica della vita
Lo studio degli esseri viventi e di ciò che si riusciva a produrre da essi ha giocato un ruolo significativo in chimica sin dall'Antichità. In medicina gli estratti vegetali costituivano una componente importante della materia medica; le piante fornivano anche spezie, profumi e coloranti naturali mentre le loro ceneri erano usate nella produzione del vetro e del sapone. Per quanto riguarda invece gli animali, dalla pelle si otteneva il cuoio, gli zoccoli e le corna davano la colla, i grassi erano usati per produrre saponi, mentre le ossa polverizzate, le interiora e gli escrementi per fertilizzare il terreno.
Si conosceva molto poco, tuttavia, sia dei processi chimici di queste lavorazioni tradizionali sia dei materiali coinvolti. La chimica delle funzioni animali, come la respirazione e il metabolismo, fu studiata a partire dal XVI sec. e la teoria del flogisto, che dominò il pensiero chimico nel XVIII sec., servì a confondere le idee piuttosto che a chiarire questi processi. Si riteneva, inoltre, che le proprietà e le reazioni chimiche delle sostanze naturali fossero controllate da forze 'vitali' che agivano in opposizione alle normali forze chimico-fisiche. Le forze vitali proteggevano la materia vivente dal decadimento, mentre quando la vita era cessata subentravano le normali forze chimiche e iniziava la decomposizione. Il vitalismo, abbracciato dai fisiologi, sembrava offrire una spiegazione semplice della complessa chimica della vita e venne accettato anche da molti chimici del XIX secolo.
All'inizio dell'Ottocento, si avvertiva fortemente la necessità di perfezionare la chimica delle sostanze naturali attraverso il miglioramento delle metodologie analitiche. La materia organica, spesso non cristallina, gelatinosa o glutinosa, veniva analizzata tradizionalmente mediante distillazione distruttiva, la quale produceva miscele di gas e vapori, liquidi volatili e sostanze solide. Sebbene questi prodotti fossero considerati i costituenti o "principî immediati" della materia organica, in realtà spesso essi si formavano durante il processo di distillazione. Poiché in genere si trattava di miscele, la loro composizione variava a seconda della temperatura e delle altre condizioni sperimentali nelle quali veniva realizzata l'analisi e quindi i risultati ottenuti non erano affidabili: ancora fino al secondo decennio del XIX sec., quando furono introdotti nuovi metodi di analisi organica basati sull'ossidazione del carbonio e dell'idrogeno, la distillazione era l'unico metodo disponibile per l'analisi della materia organica.
Il primo metodo efficace di analisi organica elementare ‒ per mezzo di un nuovo apparecchio e di nuovi sistemi di combustione ‒ fu introdotto nel 1811 da Joseph-Louis Gay-Lussac (1778-1850) e da Louis-Jacques Thenard (1777-1857) e ben presto fu impiegato per un'ampia gamma di sostanze naturali, per ciascuna delle quali fu determinata una formula empirica. I risultati erano buoni ma il metodo era scomodo, e intorno al 1814-1815 Jöns Jacob Berzelius (1779-1848) propose una nuova tecnica che faceva uso di un tubo di vetro duro chiuso a un'estremità, inserito in un tubo di ferro e appoggiato a un mattone, in posizione inclinata e rovesciata. Gli sforzi di Berzelius miranti a raggiungere un grado accettabile di accuratezza e di affidabilità segnarono un progresso importante nell'analisi organica elementare, ma fu Justus von Liebig (1803-1873) che, modificando a sua volta il metodo di Berzelius, rese relativamente facile ottenere risultati attendibili. Grazie ai metodi di Liebig l'analisi organica elementare poté essere usata anche da chimici di modesta abilità pratica, ottenendo dunque una maggiore diffusione. A Giessen gli allievi di Liebig analizzarono centinaia di composti organici e le relazioni tra questi divennero pian piano evidenti. Parallelamente a tali sviluppi nel campo della chimica organica vi fu anche un progresso nello studio dei processi fisiologici. L'incentivo a questo tipo di studi veniva più dalla medicina che dalla chimica, soprattutto da parte di quei medici che vedevano nella chimica un possibile mezzo per scoprire le cause delle malattie e per facilitare la loro diagnosi e migliorarne il trattamento. Essi operavano spesso nelle scuole mediche delle grandi strutture didattico-ospedaliere.
Coloro che si occupavano di chimica animale affrontavano l'argomento con la convinzione che il vivente potesse essere studiato mediante i comuni metodi di laboratorio, così cominciarono a esaminare quei problemi che sembravano i più adatti a questo tipo di ricerca, facendo alcune importanti scoperte. La maggior parte di questi ricercatori accettava l'idea che i fenomeni chimici della vita potessero essere controllati da forze vitali, ma nella misura in cui la chimica poteva essere applicata alla materia vivente e alle funzioni vitali, essi ritenevano che non vi fosse alcuna differenza dalla comune chimica minerale. I dibattiti sul vitalismo e sulla questione se la chimica fosse o meno in grado di spiegare le funzioni vitali continuarono per tutto il XIX secolo.
Non sorprende il fatto che, nell'Ottocento, i problemi medici più urgenti e quelli apparentemente più semplici fossero i primi a essere oggetto di attenzione da parte degli studiosi di chimica animale. Uno di questi, particolarmente importante in Inghilterra sin dal XVIII sec., era l'incidenza dei calcoli renali. Le cause fisiologiche dei calcoli erano sconosciute, ma considerando la loro struttura cristallina sembrava probabile che essi potessero essere studiati con i metodi chimici ordinari. Era anche ragionevole supporre che la loro composizione fosse correlata con quella dell'urina in cui si formavano, di conseguenza gli sforzi diretti a trovare una cura per la calcolosi renale si concentrarono maggiormente sull'analisi delle urine. Alexandre Marcet (1770-1822) fu tra i primi ad affrontare questo argomento presso la scuola medica del Guy's Hospital a Londra. Nel 1817 egli identificò e descrisse nove tipi di calcoli renali mediante semplici test chimici condotti con tecniche di piccola scala ideate da William H. Wollaston (1766-1828). Marcet individuò fosfati di calcio e magnesio in molti di questi calcoli, ma la parte più interna di solito era costituita da acido urico, una sostanza identificata da Carl Wilhelm Scheele (1742-1786) già nel 1780. Sembrava che i calcoli si formassero quando il metabolismo che avrebbe dovuto produrre urea procedeva in modo alterato. Altre malattie potevano essere diagnosticate mediante l'analisi delle urine, in particolare il diabete, e Richard Bright (1789-1858) usò l'analisi chimica dell'urina albuminosa per individuare una patologia del rene ('morbo di Bright', oggi noto come 'glomerulonefrite'). Egli fu uno dei primi a correlare la composizione chimica di un fluido corporeo con le osservazioni cliniche e la patologia dell'organo che lo secerneva.
La fonte dell'azoto contenuto nei tessuti animali era un argomento di grande interesse per la chimica animale. Per i carnivori era ovvio che l'azoto provenisse dalle proteine animali contenute nel cibo, ma anche i tessuti degli erbivori risultavano ricchi di azoto quanto quelli dei carnivori, e la sua origine in questo caso era assai meno chiara; si pensò quindi che una possibile fonte potesse essere l'aria. La questione riguardante l'azoto atmosferico durante la respirazione fu investigata da William Allen (1770-1843) e William H. Pepys (1775-1856): usando delle cavie essi osservarono che durante la respirazione una piccola frazione dell'ossigeno atmosferico era sostituita da azoto; ciò indicava che gli animali tendevano a espirare piccole quantità di questo elemento. Se dunque non proveniva dall'aria, si poneva il problema di come facevano gli erbivori ad acquisire tutto l'azoto necessario per i loro muscoli; la questione, tuttavia, non fu risolta fino alla scoperta delle proteine vegetali.
Il britannico William Prout (1785-1850), meglio noto per la sua ipotesi sui pesi atomici e sulla struttura della materia, fu anche un eminente studioso di chimica animale. Nel tentativo di correlare respirazione e digestione egli studiò le variazioni diurne della produzione di anidride carbonica durante e dopo i pasti, durante l'attività fisica, il riposo e il sonno; egli studiò anche la digestione e i processi metabolici mediante i quali il cibo viene trasformato in tessuto animale. Nel 1823, mentre si accingeva a pubblicare le sue teorie sulla nutrizione degli animali, fece una scoperta sorprendente: trovò che l'acido contenuto nel succo gastrico non era l'acido lattico, come pensava Berzelius, bensì l'acido cloridrico, ossia un acido minerale forte, e trovò conferma a questa scoperta analizzando il coniglio, la lepre, il cavallo, il vitello e il cane, oltre che l'uomo. La scoperta di Prout fu presto corroborata da altri studiosi. A Heidelberg, Friedrich Tiedemann (1781-1861), professore di anatomia e fisiologia, e Leopold Gmelin (1788-1853), professore di medicina e di chimica, ribadirono la presenza di acido cloridrico nello stomaco durante la digestione. La conferma più eclatante però venne da William Beaumont (1785-1853), un medico canadese che ebbe la possibilità di studiare direttamente la digestione. Si trovò infatti nelle condizioni di curare e assistere un individuo che era stato vittima di un incidente di caccia: un proiettile gli aveva attraversato il corpo, ma grazie alle sue buone condizioni fisiche e alle cure esperte di Beaumont era riuscito a sopravvivere. Tuttavia si era formata una fistola gastrica che non riusciva a cicatrizzarsi e attraverso di essa Beaumont poté compiere indagini dirette sullo stomaco. Tra il 1825 e il 1833 Beaumont osservò sistematicamente le sorgenti di secrezione dei succhi gastrici ed estrasse campioni dallo stomaco per analizzarli chimicamente. Egli trovò che il succo gastrico conteneva acido cloridrico libero e altri principî chimici attivi e una prima indicazione della presenza di un enzima nel succo gastrico fu più tardi confermata da Theodor Schwann (1810-1882).
Nel 1834 Prout pubblicò una teoria del metabolismo animale, la più completa prima di quella data alle stampe da Liebig nel 1842. Prout individuava tre categorie di cibi: 'saccarinosi', 'oleaginosi' e 'albuminosi', paragonabili rispettivamente ai moderni carboidrati, grassi e proteine. Egli riteneva che l'assimilazione procedesse per stadi, ciascuno dei quali aveva luogo in un settore specifico del canale alimentare. La digestione aveva inizio nello stomaco ed era seguita dalla produzione di chimo nel duodeno; il chimo diventava chilo nei vasi chiliferi e infine sangue nei polmoni e nelle arterie; chimo, chilo e sangue davano luogo a una successione continua e il problema principale era stabilire in quale stadio il cibo venisse 'vitalizzato' per diventare tessuto vivente. Prout riteneva che la bile e il succo pancreatico giocassero un ruolo nel processo e che la respirazione e la digestione fossero collegate attraverso il sangue. L'ossigeno dell'aria veniva sostituito nei polmoni dall'anidride carbonica volume per volume, mentre l'eccesso di carbonio nel cibo veniva bruciato in un processo simile alla combustione.
Nell'ultimo decennio del XVIII sec. Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) rivolse la sua attenzione ai fenomeni chimici connessi alla respirazione e all'origine del calore animale, diffondendo così l'interesse per questi argomenti tra i chimici. Antoine-François de Fourcroy (1755-1809) esplorò la chimica animale con l'aiuto di Nicolas-Louis Vauquelin (1763-1829), un giovane chimico pratico. Fourcroy studiò il tessuto muscolare, la natura e le cause dei calcoli renali, la funzione della bile e gli usi dell'ossigeno in medicina; insieme a Vauquelin analizzò un gran numero di sostanze naturali, tra cui la bile, il sangue, le fibre muscolari e il chilo. Essi esaminarono, inoltre, diversi acidi organici, ossa, fossili e calcoli renali; isolarono l'urea dall'urina animale e l'acido urico dagli escrementi degli uccelli e insieme fecero progredire lo studio delle sostanze animali e vegetali. Fourcroy, inoltre, mosse qualche passo verso la chimica fisiologica.
Se il lavoro di Fourcroy fu importante, quello di Jean-Baptiste-André Dumas (1800-1884) fu ancor più significativo per ampiezza e influenza. Nel 1839 Dumas collaborò con Jean-Baptiste Boussingault (1802-1887) in ricerche sulla composizione dell'aria e su alcuni problemi di agricoltura. Nel 1841 Dumas e Boussingault pubblicarono insieme un saggio di fisiologia comparata di animali e piante, Essai de statique chimique des êtres organisés, nel quale, tra l'altro, esaminavano il valore nutritivo dei mangimi degli erbivori quali la mucca, la pecora e il cavallo. Boussingault fu il primo a determinare il contenuto di azoto di diversi mangimi per aiutare gli allevatori a scegliere il foraggio più economico. Egli osservò che una mucca nutrita con una dieta povera di azoto perdeva costantemente peso perché formava il suo latte a spese dei tessuti e stabilì che non era possibile sostituire mangimi quali fieno, panelli e grano con materiali più economici come radici e patate. Nel 1846, sulla base di un'altra serie di esperimenti condotti sulle anatre, Boussingault concluse che le sostanze azotate come l'albumina, la fibrina e la caseina non costituivano come tali alimenti completi e dovevano essere integrate da altre sostanze quali l'amido e i grassi.
Claude Bernard (1813-1878) intraprese lo studio della chimica animale verso il 1840, quando era ancora studente di medicina. Egli cominciò a interessarsi al processo di digestione dopo aver seguito nel 1843 le lezioni di Dumas all'École de MÉdecine. Contemporaneamente, però, subì l'influsso di François Magendie (1783-1855) e Théophile-Jules Pelouze (1807-1867), i quali non nutrivano alcuna fiducia nelle teorie della digestione di Dumas e Liebig. Messo di fronte a posizioni tra loro contrastanti, verso il 1842 Bernard decise di intraprendere in questo campo ricerche personali che nel 1848 culminarono nella scoperta della funzione glicogenica del fegato. Successivamente egli propose il concetto di 'ambiente interno' dipendente dal sangue che bagna tutte le cellule del corpo. Ciò assicurava la stabilità dell'organismo, permetteva gli scambi chimici tra le cellule e correlava la composizione del sangue con le secrezioni e le funzioni fisiologiche degli organi interni. Con la pubblicazione dell'Introduction à l'étude de la médecine expérimentale (1865), Bernard si affermò come fisiologo sperimentale, ma le sue idee si fondavano sui suoi primi lavori di chimica animale.
Michel-Eugène Chevreul (1786-1889), allievo di Vauquelin, studiò la composizione dei grassi animali sin dal 1811. Egli fino al 1824 condusse una serie di ricerche progettate in modo così logico che Berzelius le indicò come modello per i giovani chimici. La distillazione distruttiva dei grassi produceva sempre un acido ed era anche noto che i grassi formavano con gli alcali i saponi, composti che Claude-Louis Berthollet (1748-1822) considerava analoghi ai sali. Ciò condusse all'idea che un grasso, nel suo insieme, si comportasse come un acido. Tuttavia la costituzione dei grassi sembrava essere più complessa, dal momento che Scheele aveva mostrato che, se venivano scaldati con litargirio, producevano una sostanza dal sapore dolce (il glicerolo). Chevreul iniziò a studiare un sapone di potassio ottenuto da grasso di maiale e potassa caustica; egli trovò che una parte di questo sapone si scioglieva in acqua e una parte si depositava in forma di cristalli bianchi perlacei che venivano decomposti da un acido. Partendo da questa osservazione, separò un acido grasso solido, solubile in alcol, che chiamò acido margarico, e un altro che denominò acido oleico. Dunque, il sapone originario conteneva almeno due sali di potassio di diversi acidi grassi e i grassi erano composti da questi acidi combinati con glicerolo. Mediante saponificazione quantitativa Chevreul trovò poi che gli acidi grassi si comportavano chimicamente come gli acidi minerali.
Poiché tutti gli acidi grassi avevano proprietà chimiche simili, la loro separazione richiedeva grande abilità. Chevreul faceva uso di solventi per separarli e li caratterizzava mediante il loro punto di fusione, un'innovazione importante nello sviluppo dell'analisi organica, che era stata usata anche da Fourcroy. Chevreul riunì i suoi risultati nell'opera Recherches chimiques sur les corps gras d'origine animale (1823), in cui confrontava i grassi con gli esteri e suggeriva che il glicerolo dovesse essere analogo agli alcoli. Il lavoro sperimentale di Chevreul indicò che non vi era alcuna differenza fondamentale tra la chimica della materia minerale e quella della materia organica, ovvero delle sostanze organizzate che si trovavano nella materia vivente. Divenne anche chiaro che i singoli grassi avevano formule chimiche definite e potevano essere preparati allo stato puro e identificati mediante il loro punto di fusione. Fino ad allora non era mai stato possibile raggiungere questo livello di precisione nello studio della materia organizzata.
Verso il 1840 Liebig dichiarò la sua intenzione di abbandonare la chimica organica teorica per dedicarsi alle sue applicazioni nella chimica animale e vegetale. Il suo nuovo obiettivo sarebbe stato quello di applicare la chimica organica ai processi fisiologici e alla composizione della materia animale e vegetale. Nel 1842 egli pubblicò l'opera Die Thierchemie oder die organische Chemie in ihrer Anwendung auf Physiologie und Pathologie (La chimica animale ovvero la chimica organica nelle sue applicazioni alla fisiologia e alla patologia), in cui tentava di dare un contenuto quantitativo alla chimica fisiologica per mezzo di equazioni in cui venivano aggiunte, sottratte e risistemate formule empiriche per mostrare come i prodotti animali potessero essere ottenuti dai tessuti costitutivi dei cibi. Queste equazioni riassumevano i risultati complessivi ottenuti considerando i prodotti formati e i loro probabili precursori nei cibi, nell'aria e nel metabolismo del tessuto muscolare. Sebbene fosse basata su dati analitici, la chimica fisiologica di Liebig andò oltre, suggerendo un quadro concettuale che abbracciava le funzioni vitali e le trasformazioni chimiche della materia vivente.
La sua tesi di fondo era che il metabolismo animale dipendesse dall'ossidazione. Seguendo Lavoisier egli sostenne che l'ossidazione del carbonio ad anidride carbonica e quelle dell'idrogeno ad acqua avevano luogo principalmente nei polmoni e costituivano la più importante fonte di calore animale. Misure più accurate di quelle dell'epoca di Lavoisier avevano evidenziato che l'ossigeno assunto durante la respirazione non era sufficiente a produrre tutto il calore animale, ma Liebig, convinto della conservazione dell'energia nei corpi viventi, assunse la sua teoria della 'metamorfosi ossidativa' come dato di fatto. Come Dumas, egli riconosceva due principali categorie di cibi, distinte dalla presenza o dall'assenza di azoto. Albumina, fibrina e caseina, contenenti azoto, erano gli elementi plastici dei cibi, mentre grassi, zucchero, amido e gomma, che ne sono privi, erano gli elementi respiratori. Questi ultimi erano responsabili della produzione della maggior parte del calore animale durante la respirazione, ma anche la degradazione ossidativa degli elementi plastici dava origine a una certa quantità di calore, così come a prodotti quali urea e acido urico. Confrontando le formule empiriche delle sostanze dei tessuti e dei loro prodotti, Liebig riuscì a descrivere le trasformazioni metaboliche e a esprimerle nelle sue equazioni. Egli scelse i processi che si adattavano alla sua teoria e molte delle sue equazioni esprimevano con notevole precisione le trasformazioni metaboliche complessive relative a questi processi; tuttavia, i suoi detrattori sostenevano che il suo lavoro fosse troppo speculativo. D'altra parte, vi era senza dubbio la necessità di uno schema concettuale capace di spiegare le osservazioni fisiologiche: la teoria di Liebig tentava di fornirlo e il suo trattato Die Thierchemie costituì uno spartiacque nella storia della chimica fisiologica.
Nel 1837 Gerardus Johannes Mulder (1802-1880), uno studioso olandese, scoprì che la composizione chimica dell'albumina, della fibrina e della caseina di origine animale e vegetale era quasi la stessa e affermò che tali sostanze contenevano un radicale comune che chiamò 'proteina'. Liebig sposò questa idea con entusiasmo, poiché sembrava offrire una semplice spiegazione del modo in cui il cibo assunto dagli erbivori potesse trasformarsi in tessuto animale. Egli attribuì alla proteina la formula C48N6H36O14 (C=6), usandola per supportare la sua teoria della metamorfosi ossidativa dei tessuti. Sostenne infatti che quando la proteina e l'amido erano ossidati, insieme producevano l'acido coleico, l'urea, l'ammoniaca e l'anidride carbonica (tab. 1).
Per spiegare il modo in cui gli erbivori potevano formare il grasso suggerì che tale processo avvenisse quando l'animale riceveva un eccesso di cibo non azotato. Le proporzioni di carbonio e di idrogeno nell'amido, nello zucchero, nella gomma e nei grassi erano simili, mentre l'amido e lo zucchero contenevano più ossigeno. Dunque, perdendo un po' del loro ossigeno, l'amido, lo zucchero e la gomma potevano essere convertiti in grassi. L'ossigeno che così si separava poteva poi ossidare il carbonio e l'idrogeno nei tessuti e ciò poteva spiegare la minore quantità di ossigeno che era necessario inspirare per produrre la quantità di calore animale osservata. Questi ragionamenti esemplificano chiaramente il lavoro di Liebig sulla chimica animale: tutto sembrava plausibile, ma stabilire queste teorie come base del metabolismo animale avrebbe richiesto lo svolgimento di ricerche lunghe e difficili. Gran parte della Thierchemie di Liebig poteva essere soggetta a critiche per il numero insufficiente delle sue verifiche sperimentali. Il più grande servizio reso da Liebig alla chimica animale, dunque, fu quello di aver fornito un nuovo approccio teorico che reclamava un esame dettagliato dei processi vitali e quindi di aver giocato un ruolo significativo nella crescita della chimica fisiologica, stimolando la ricerca in questo campo.
Liebig volle dedicare il suo libro a Berzelius che nonostante ciò lo accolse freddamente. Questi, infatti, ogni anno recensiva le ultime pubblicazioni sulla chimica nel suo "Jahresbericht", una rassegna che esercitò per vent'anni una forte influenza sullo sviluppo della disciplina. Liebig, ansioso di ricevere una buona recensione del suo libro, rimase molto deluso quando Berzelius liquidò il suo lavoro come "una chimica fisiologica semplicistica […] creata a tavolino", aggiungendo che Liebig aveva usato la sua notevole capacità di persuasione per presentare le sue ipotesi come fatti accertati e che le equazioni chimiche erano affrettate e inaffidabili. Berzelius aveva personalmente lavorato alla fondazione della chimica animale ponendo una scrupolosa attenzione ai dettagli della composizione e delle proprietà chimiche e riteneva l'approccio di Liebig sostanzialmente privo di fondamenti, perché tentava di costruire una teoria onnicomprensiva sulla base di un numero troppo scarso di dati sperimentali. Liebig replicò nel 1844 muovendo a sua volta alcune critiche dalle pagine degli "Annalen der Chemie und Pharmacie", dando così il via a un'aspra controversia.
Ci furono pochi altri chimici per i quali la Thierchemie di Liebig ebbe un significato così grande a livello personale e molti accettarono le sue teorie sulla base della sua grande autorità come chimico organico. Alcuni, come Carl Friedrich Mohr (1806-1879) in Germania e Lyon Playfair (1818-1898) in Gran Bretagna, lo elogiarono, altri applicarono le sue teorie nelle loro ricerche. L'apparente precisione e semplicità delle equazioni contenute nella sua opera gli valsero anche il sostegno da parte di alcuni fisiologi, ed equazioni simili cominciarono a comparire nei manuali di fisiologia. Altri furono più scettici; erano in pochi a dubitare che nei processi vitali avvenissero reazioni chimiche, benché non fossero considerate vitali in sé stesse, e le tradizioni vitalistiche da lungo tempo radicate non potevano essere spazzate via tanto facilmente. Liebig stesso aveva accettato il concetto di 'forza vitale', che considerava come una forza fisica paragonabile alla gravità, alla forza elettrostatica o al magnetismo, ma essa risiedeva nella morfologia dei tessuti e degli organi animali piuttosto che nei composti chimici in quanto tali. Molti fisiologi trovarono la chimica animale di Liebig non convincente e le critiche più utili vennero da coloro che provarono a farne una sistematizzazione obiettiva.
Verso il 1848 Friedrich Theodor Frerichs (1819-1885), professore di patologia a Gottinga, misurò il tasso di trasformazione dei tessuti, necessario per mantenere le normali funzioni negli animali, usando la teoria della nutrizione di Liebig. Egli scoprì che il tasso di secrezione dell'urea da parte degli animali a digiuno era solo una piccola frazione di quello osservato quando essi erano sottoposti a una dieta ricca di azoto e concluse, in contrasto con Liebig, che i nutrienti azotati assunti in eccesso rispetto alla quantità richiesta per mantenere il tasso normale venivano direttamente ossidati nel sangue, proprio come le sostanze non azotate. Questa teoria rimase in competizione con quella di Liebig per i successivi vent'anni, supportata dai risultati pubblicati nel 1852 da Friedrich Heinrich Bidder (1810-1894) e Carl Schmidt (1822-1894).
Theodor Ludwig Wilhelm von Bischoff (1807-1882), allievo del grande fisiologo tedesco Johannes Peter Müller (1801-1858), riteneva che la teoria di Liebig fosse in buona parte verosimile, sebbene necessitasse di una base fisiologica più solida. Bischof si recò perciò a Giessen per aiutare Liebig a mettere insieme le prove sperimentali necessarie per confutare Frerichs. Il suo scopo era dimostrare che i cibi azotati dovevano per prima cosa essere trasformati in tessuto muscolare, dal quale venivano prodotti tutti i composti azotati escreti: se la teoria di Frerichs dell'ossidazione diretta dei cibi azotati era corretta, essa avrebbe unificato quella di Leibig. Nel 1853 Bischof ritenne di poter dimostrare che Frerichs era in errore; a lui si unì successivamente un giovane assistente, Carl von Voit (1831-1908), e nel 1860 i due condussero uno studio dettagliato che sembrava confermare la teoria di Liebig. Tuttavia, attraverso alcuni esperimenti sui cani Voit scoprì che il metodo usato da Liebig per confrontare la quantità di cibo complessivamente assunta con la quantità totale di escrezioni era inaffidabile, e altri esperimenti condotti successivamente da vari chimici portarono nel 1870 alla sostanziale confutazione delle idee di Liebig sulla nutrizione. In ogni caso, questi tentativi di decidere tra le due teorie servirono a sviluppare tecniche sperimentali utili per la chimica fisiologica.
Un'altra controversia significativa fu quella tra Liebig e Louis Pasteur (1822-1895) riguardante la natura della fermentazione. Gli esperimenti di Pasteur sulla generazione spontanea lo portarono a considerare la fermentazione come un processo vitale piuttosto che come una funzione puramente chimica. Nel 1860 egli affermò che la fermentazione era inseparabile dall'attività vitale e non poteva avvenire in assenza di cellule viventi; mostrò che il lievito e altri microrganismi che causavano la fermentazione potevano crescere in assenza di aria, purché fossero in contatto con zucchero o con altre sostanze da cui potevano estrarre ossigeno. Propose di denominare rispettivamente 'aerobici' e 'anaerobici' gli organismi capaci di vivere in presenza o in assenza di aria e nei suoi Études sur la bière (1876) giunse alla famosa conclusione che la fermentazione fosse la conseguenza della vita in assenza di aria.
Liebig viceversa, come Lavoisier, propendeva per una spiegazione meccanica della fermentazione, secondo la quale le forze che la determinavano erano analoghe alle forze fisiche. Quando la resistenza a tali forze diventava troppo debole, le molecole più grandi venivano rotte dando origine a molecole più piccole. Liebig tracciò un'analogia tra l'azione dei fermenti e quella dei catalizzatori, che erano capaci di vincere 'l'inerzia' tra i reagenti, stimolando la trasformazione di un sistema chimico altrimenti stabile; il processo era per Liebig interamente chimico. Il punto più debole della sua teoria era che essa non spiegava la natura specifica dei fermenti; Liebig, pur riconoscendolo, non tentò di chiarire perché in alcuni casi funzionasse un certo fermento, mentre in altri ne era richiesto uno diverso. Furono compiuti molti esperimenti nel tentativo di decidere quale fra questi due approcci fosse corretto, ma i risultati furono spesso confusi, perché non si considerava con la necessaria attenzione il fatto che l'aria fosse esclusa dall'apparato sperimentale.
Nel 1897 Eduard Büchner (1860-1917) sminuzzò cellule di lievito triturandole con sabbia e farina fossile. Successivamente spremendo l'impasto attraverso un sacchetto di stoffa, ottenne un liquido privo di cellule di lievito ma ancora capace di causare la fermentazione alcolica. Questa soluzione, inotre, rimaneva attiva anche dopo averla fatta seccare mediante evaporazione e averla poi ricostituita aggiungendo acqua distillata: tale processo mostrava definitivamente che le cellule viventi non erano necessarie per la fermentazione. La soluzione di Büchner conteneva dunque un fermento chimico o 'enzima', denominazione introdotta nel 1878 da Wilhelm Friedrich Willy Kühne (1837-1900). Alcuni enzimi erano già noti: la diastasi, che converte l'amido in zucchero, era stata trovata negli estratti acquosi del malto da Anselme Payen (1795-1871) e Jean-François Persoz (1805-1868) nel 1833, la pepsina era stata isolata dalle pareti dello stomaco da Schwann nel 1836. Berzelius suggerì che questi composti fossero catalizzatori biologici. Per lui la catalisi era una forza diversa dalla normale affinità chimica e risultava utile in chimica fisiologica, dove si verificavano trasformazioni molto complesse. Moritz Traube (1826-1894) ipotizzò che gli enzimi fossero correlati alle proteine, tuttavia altri, dubitando di ciò, ritenevano addirittura che gli enzimi non fossero affatto corpi materiali, ma che qualche tipo di influenza vitale ancora rimanesse 'attaccata' alla materia che era stata vivente. A mano a mano che altri enzimi venivano scoperti, diveniva più chiaro che essi erano effettivamente proteine e che agivano intervenendo nelle reazioni per essere poi nuovamente ricostituiti.
Sebbene le idee di Liebig nel campo della chimica animale fossero errate, il suo ascendente come insegnante fu notevole. Sotto l'influenza di Liebig si formarono più di un centinaio tra i chimici di rilievo, ricercatori, insegnanti e professori, e soltanto pochi di loro erano direttamente suoi allievi. Tra quelli già segnalati per la loro importanza nella storia della chimica organica vi sono Friedrich Wöhler, Robert Bunsen, Edward Frankland, Alexander W. Williamson e Friedrich August Kekulé, ma molti altri hanno fornito notevoli contributi alla chimica organica e fisiologica, sia in Germania sia altrove. Traube, che aveva studiato a Giessen, fu il primo a segnare una netta rottura con la teoria della nutrizione di Liebig, ritenendo che vi fossero buone ragioni per pensare che l'ossidazione delle sostanze non azotate producesse energia muscolare oltre che calore animale. Più tardi egli diede significativi apporti allo studio dell'ossidazione biologica. In Inghilterra il più autorevole chimico della scuola di Liebig fu August Wilhelm von Hofmann (1818-1892), direttore del Royal College of Chemistry di Londra dalla sua fondazione, nel 1845, fino al 1865, quando divenne professore di chimica a Berlino. Hofmann adottò i metodi di insegnamento di Liebig e numerosi suoi studenti occuparono posti di prestigio nell'accademia e nell'industria britanniche. Tra i chimici medici, Henry B. Jones (1813-1873) basò le sue ricerche relative alla chimica dell'urina sulle teorie del metabolismo di Liebig e Ludwig Wilhelm Thudichum (1829-1901), un altro competente, seppur poco noto, chimico medico proveniente dalla scuola di Liebig, studiò la costituzione chimica del cervello, nel quale isolò circa 140 composti tra i quali la sfingomielina, la frenosina e la cherasina. Egli contestò il suggerimento di Oskar Liebreich (1839-1908) secondo cui il cervello era composto di una sola sostanza, il 'protagon', come ritenuto anche da eminenti biochimici quali Felix Hoppe-Seyler (1825-1895) e Arthur Gamgee (1841-1909). Tale teoria restò in auge nonostante Thudichum avesse sostenuto che il 'protagon' fosse in realtà una miscela di composti, da lui isolati singolarmente.
Si deve a un farmacista tedesco, Friedrich Wilhelm Sertürner (1783-1841), la scoperta, nel 1805, della morfina che, tuttavia, passò del tutto inosservata fino al 1817. In quell'anno infatti lo stesso Sertürner mostrò che tale sostanza reagendo con acidi formava sali; tali risultati furono presto confermati, su richiesta di Gay-Lussac, da Pierre-Jean Robiquet (1780-1840), professore presso l'École Supérieure de Pharmacie di Parigi. Cominciò così la ricerca di altre sostanze alcaline di origine vegetale. Nel 1820 Pierre-Joseph Pelletier (1788-1842) e Joseph-Bienaimé Caventou (1795-1877), due noti farmacisti di Parigi, avevano già isolato vari alcaloidi narcotici velenosi, quali la stricnina, la brucina, la chinina, la cinconina e altri; nel 1823 Dumas e Pelletier ne avevano analizzati nove, determinando le loro formule empiriche e le quantità di acido solforico richieste per neutralizzarli; essi attribuirono le proprietà alcaline di questi composti alla presenza dell'azoto. Altri alcaloidi furono analizzati da Dumas e Liebig, i quali stabilirono le formule corrette per la chinina (C20N2H24O2) e per la codeina (C18NH21O3), ma le strutture molecolari di tali composti si rivelarono molto difficili da determinare. Successivamente si comprese che alcuni degli alcaloidi erano correlati alla piridina o alla chinolina nello stesso modo in cui i composti aromatici erano correlati al benzene. Nel 1880 il chimico tedesco Wilhelm Königs descrisse gli alcaloidi come basi organiche naturali derivate dalla piridina. Questa definizione si rivelò troppo semplicistica e si dovette abbandonare l'idea che tutti gli alcaloidi derivassero da un solo capostipite. Ciononostante, tale tipo di descrizione stimolò un'intensa ricerca sulla chimica della piridina e di altri composti eterociclici contenenti un atomo di azoto nell'anello. Anche alcuni derivati della purina, come la caffeina e la teobromina, di cui si parlerà più avanti, appartengono alla classe degli alcaloidi.
Tra i chimici organici del XIX sec. interessati allo studio delle sostanze naturali, un posto di primo piano è occupato da Adolph von Baeyer (1835-1917). Nel 1860 Baeyer, che aveva studiato con Kekulé a Heidelberg, ottenne un posto di insegnante di chimica organica presso il Gwerbe-Institut, una piccola scuola tecnica di Berlino, dove ospitò nel suo laboratorio Carl Graebe, Carl Theodor Liebermann e Victor Meyer. Successivamente, dopo un periodo trascorso a Strasburgo, durante il quale ebbe come allievo Emil Hermann Fischer (1852-1919), nel 1875 Baeyer prese il posto di Liebig a Monaco e vi rimase fino al 1917, anno della sua morte. In questo lungo periodo eseguì numerose ricerche, a cominciare dallo studio dei derivati dell'acido urico, compresi l'allossano, l'acido barbiturico e i derivati dell'acido parabanico.
Baeyer realizzò una serie di reazioni di condensazione nella speranza di sintetizzare alcune sostanze naturali e di comprendere meglio le reazioni chimiche che hanno luogo nella materia vivente. Egli realizzò così la condensazione del fenolo con l'anidride ftalica, ottenendo la fenolftaleina, il più semplice tra i coloranti del trifenilmetano. Sostituendo il fenolo con il resorcinolo (m-diidrossibenzene) ottenne la fluoresceina e facendo reagire quest'ultima con bromo ottenne l'eosina (tetrafluoresceina). Fino alla metà del XIX sec. tutti i coloranti provenivano da fonti naturali; erano costosi, di qualità variabile e la quantità era incerta. L'industria dei coloranti sintetici cominciò a sorgere in Gran Bretagna nel XIX sec. a partire dalla fine degli anni Cinquanta, prendendo le mosse dal lavoro di William H. Perkin (1838-1907) sui coloranti dell'anilina. La scoperta di nuovi coloranti sintetici richiedeva, tuttavia, un considerevole sforzo di ricerca e in Gran Bretagna non vi era un numero di chimici esperti sufficiente a sostenerlo.
Nel 1865 Baeyer intraprese le ricerche sulla composizione dell'indaco e sulla sua sintesi dall'isatina. Il metodo di laboratorio però si dimostrò troppo costoso per produrre l'indaco su scala industriale. Altre sintesi dell'indaco furono proposte più tardi. La più semplice fu quella di Fischer, che lo preparò riscaldando il fenilidrazone della propanaldeide con cloruro di zinco. Fischer fu uno dei chimici più prolifici del XIX secolo. Quando era allievo di Kekulé e Baeyer, cominciò a interessarsi di chimica delle sostanze naturali e il titolo della Faraday Lecture da lui tenuta presso la Chemical Society a Londra nel 1907, Synthetical chemistry in relation to biology, riassume in modo chiaro il suo lavoro che aveva rivelato la composizione di molte sostanze naturali. Egli ideò alcune tecniche chimiche per determinare la struttura dei carboidrati (zuccheri e amidi) e delle proteine, due classi di composti fondamentali per piante e animali che, insieme ai grassi, costituiscono i componenti essenziali di una dieta umana bilanciata. Studiò la varietà e la complessità dei saccaridi prodotti dalle piante durante la fotosintesi; mediante reazioni di degradazione e di sintesi dedusse la struttura di polipeptidi e di proteine formati da amminoacidi e scoprì la natura chimica e le funzioni degli enzimi. Nel corso di questi studi arricchì notevolmente il patrimonio di conoscenze della chimica organica e i suoi risultati delinearono un ampio quadro concettuale della chimica organica strutturale, all'interno del quale altri ricercatori poterono poi lavorare in modo ancor più dettagliato.
Nel 1875 Fischer discusse la struttura della fenilidrazina, alla quale attribuì la formula C6H5NHNH2 e ne studiò le reazioni di condensazione che aveva con certe aldeidi, dando origine ai fenilidrazoni.
A quel tempo Fischer non colse il valore generale della fenilidrazina come reagente per il gruppo carbonilico =C=O e fu solo nel 1883, quando scoprì un derivato cristallino dell'acido piruvico (CH3∙CO∙COOH) e della fenilidrazina, che cominciò a esaminare le reazioni di quest'ultima con i gruppi carbonilici in generale e con gli zuccheri in particolare. Egli scoprì che la fenilidrazina, reagendo con gli zuccheri, dava origine a derivati cristallini ben definiti che consentivano di identificare gli zuccheri e separarli da sciroppi altrimenti intrattabili. Nel 1886 i chimici conoscevano soltanto nove diversi zuccheri: glucosio, galattosio, fruttosio, sorbosio, arabinosio, saccarosio, lattosio, maltosio e raffinosio. Ai primi tre furono attribuite strutture a catena lineare da Heinrich Kiliani intorno al 1880.
Molti zuccheri sono otticamente attivi. Esistono, per esempio, 16 isomeri ottici del glucosio e del galattosio, con 8 possibili miscele racemiche. Fischer riuscì a sintetizzare e a determinare le formule e le configurazioni molecolari di 20 di questi isomeri. La chiave del suo successo stava nel fatto che lo zucchero forniva un fenilidrazone cristallino caratteristico che poteva essere purificato e trattato chimicamente. Fischer, tuttavia, usò anche altri metodi per identificare gli zuccheri, separare gli isomeri ottici, convertire uno zucchero in un altro e determinare la loro struttura molecolare. Dal 1891 si impegnò ad assegnare le configurazioni specifiche a ciascuna molecola di zucchero. Nel corso di questo lavoro scoprì che il glucosio si combinava con l'alcol metilico in una soluzione di acido cloridrico per formare un metilglicoside che non mostrava alcuna reazione con la fenilidrazina. A partire da altre reazioni di questo composto, stabilì che nella struttura del glicoside dovesse esserci una combinazione interna, che dava origine a due stereoisomeri, identificati da Fischer come α e β. I metilglicosidi sono i composti più semplici, appartenenti a una classe che comprende l'amigdalina, e gli studi di Fischer su questi composti lo portarono a proporre strutture per gli zuccheri più complessi, i disaccaridi. Egli considerò questi ultimi come glicosidi in cui il gruppo metile era sostituito da una molecola di zucchero. Proprio come i metilglicosidi che esistono in due forme stereoisomere, anche i disaccaridi esistono in forme otticamente attive. Fischer scoprì anche che gli stereoisomeri dei metilglucosidi si comportavano diversamente nei confronti degli enzimi. Per esempio, l'enzima maltasi, che si trova nel lievito, idrolizzava facilmente un α-metilglicoside ad alcol metilico, ma non esercitava alcuna azione sul β-metilglicoside, mentre l'emulsina, presente nelle mandorle amare, aveva esattamente l'effetto opposto. Utilizzando questa e altre reazioni, Fischer riuscì a determinare la struttura molecolare dei disaccaridi. In tale lavoro egli conservò le formule a catena lineare che erano state suggerite da Kiliani, tuttavia la struttura ad anello che egli attribuì ai glicosidi, nell'aprire la strada al riconoscimento di una moltitudine di possibili isomeri, servì a suggerire l'esistenza di strutture ad 'anello lattonico', che più tardi sarebbero state usate da Sir Walter N. Haworth (1883-1950).
Nel 1838 Liebig e Wöhler studiarono le relazioni tra i prodotti di ossidazione dell'acido urico usando semplici formule molecolari, ma Fischer e i suoi collaboratori chiarirono la struttura molecolare dell'acido urico e la sua relazione con le purine. Gli inizi di questo lavoro risalgono all'incirca al 1880, quando Fischer era impegnato in uno studio sulla caffeina. Egli riuscì a scomporre la caffeina in metilcarbammide (NH2COOCH3) e dimetilallossano. La teobromina, composto simile alla caffeina, fu scomposta in metilcarbammide e metilallossano; ciò mostrò che quando la caffeina veniva ottenuta mediante metilazione della teobromina il nuovo gruppo metilico si attaccava all'anello dell'allossano.
Fischer preparò anche la xantina dalla guanina, ossidò la xantina ad allossano e carbammide e, facendo reagire con ioduro di metile il derivato della xantina ottenuto combinandola con il piombo, ottenne la teobromina. Come risultato di tali esperimenti assegnò le formule di struttura alla xantina, alla teobromina e alla caffeina. Egli era anche interessato alla relazione tra le formule di struttura e gli effetti fisiologici di questi composti.
Tra il 1882 e il 1900 Fischer e i suoi studenti isolarono circa 130 derivati dell'acido urico e delle purine. Il lavoro di Fischer si basava sul precedente studio di Baeyer riguardante la struttura dell'acido urico, ma la formula di struttura corretta dell'acido urico fu data da Ludwig Medicus (1847-1915) nel 1875; nello stesso articolo egli propose anche le formule di struttura per altri derivati purinici tra i quali la xantina, la teobromina e la caffeina.
La ricerca di Fischer confermò la formula di Medicus per l'acido urico e mostrò come si potessero sintetizzare altri composti a esso correlati. Egli inoltre isolò la purina, ma subito dopo abbandonò lo studio dei derivati della purina per ritornarvi solamente nel 1914 quando cominciò a lavorare sui nucleotidi, scoprendo che erano formati da purine e zuccheri. Così, questi due importanti aspetti del lavoro di Fischer furono collegati tra loro. I nucleotidi si trovano in tutte le cellule viventi e sono perciò essenziali per tutte le forme di vita. Di conseguenza il lavoro di Fischer si rivelò di grande importanza per il successivo sviluppo della biochimica.
Dal 1899 Fischer studiò le proteine, scoprendo che erano molecole complesse formate da aminoacidi. Nel 1907 era arrivato a sintetizzare un polipeptide contenente 18 aminoacidi, di cui 15 unità erano costituite da glicina (−NHCH2CO−) e 3 da leucina (−NHCH(C4H9)CO−). Tale composto aveva massa molecolare 113 e Fischer calcolò che possedeva 816 possibili isomeri ottici. Da altri studi di questo tipo sembrava che la varietà di possibili strutture proteiche fosse quasi infinita. Questo lavoro era importante per le sue implicazioni sulla natura e sulle funzioni degli enzimi. Fischer esaminò gli enzimi del tipo saccarasi e, avendo trovato che ciascuno di essi era altamente specifico, suggerì che l'enzima e il substrato su cui esso operava fossero in relazione l'uno con l'altro come una serratura con la sua chiave. Da allora, questa analogia è risultata applicabile in maniera estesa.
Lo studio dei fenomeni chimici che avvengono negli organismi viventi è intimamente connesso con lo sforzo teso a stabilire per la chimica un ruolo più centrale nell'ambito della fisiologia e della medicina. La complessità della chimica fisiologica sollevò problemi alquanto difficili, molti dei quali, considerate le tecniche disponibili nel XIX sec., erano di fatto insolubili soprattutto se si rimaneva all'interno di una singola disciplina. La collaborazione tra chimici, fisiologi e medici, sebbene fosse troppo spesso rifiutata, era dunque essenziale.
Un esempio in tal senso può essere fornito dalla nascita dell'endocrinologia. Il concetto, secondo il quale nel corpo vi erano organi che producevano secrezioni sconosciute ma molto attive nel controllo delle trasformazioni fisiologiche, può essere fatto risalire al XVII secolo. L'anatomista e fisiologo Albrecht von Haller (1708-1777) suggerì che la tiroide, il timo e la milza fossero ghiandole capaci di secernere tali sostanze (oggi chiamate 'ormoni') immettendole direttamente nel flusso sanguigno. Alla metà del XIX sec. non era ancora noto che alcune osservazioni attendibili a sostegno di questa idea erano state fatte da Thomas Addison (1793-1860), medico presso il Guy's Hospital di Londra. Addison aveva riconosciuto la distruzione della corteccia adrenale come causa di una forma mortale di anemia (morbo di Addison): con questa scoperta si fa solitamente coincidere l'inizio dell'endocrinologia, oggi settore molto esteso della moderna biochimica. L'adrenalina come tale fu isolata dalle ghiandole adrenali nel 1901; il diabete mellito, un'altra complessa patologia, è causato dalla carenza di insulina, una secrezione endocrina prodotta dalle isole di Langerhans nel pancreas e isolata nel 1922. Gli ormoni si suddividono in tre classi: steroidi, peptidi e proteine; per lungo tempo si è sospettata la loro presenza nelle secrezioni, ma la loro chimica è stata chiarita soltanto nel XX secolo.
Le vitamine costituiscono un altro gruppo di sostanze necessarie, in quantità molto piccole, per una dieta sana. La loro assenza ritarda la crescita dei bambini e sviluppa condizioni patologiche negli adulti. Oggi è noto che varie patologie, tra cui il beri-beri, lo scorbuto e il rachitismo, sono dovute la mancanza di particolari vitamine. Le prime indicazioni relative all'importanza, in una dieta sana, di alcuni componenti essenziali sconosciuti vennero dai marinai e, ancor prima che James Lind pubblicasse il suo A treatise of the scurvy nel 1753, si riconobbe che le arance e i limoni erano in grado di prevenire lo scorbuto.
Anche James Cook (1728-1779) dimostrò, durante i suoi viaggi nei mari del Sud, l'importanza della funzione degli agrumi nell'alimentazione. Dumas pubblicò un articolo sulla composizione del sangue e del latte in cui descriveva gli effetti nocivi provocati dall'uso di una miscela artificiale concepita per fungere da sostituto del latte. Durante l'assedio di Parigi nel 1871, la carenza di uova e latte nella dieta determinava un alto tasso di mortalità infantile e Dumas concluse che nelle miscele artificiali usate per sostituire questi alimenti mancava qualche componente essenziale per la vita. La sua considerazione sulla probabile presenza nei cibi di piccole quantità di ingredienti sconosciuti ma essenziali, rimase inascoltata per almeno un decennio.
Nel 1881 Voit suggerì che se i nutrienti noti venivano purificati prima di essere dati agli animali, non vi poteva essere alcun dubbio riguardo al loro valore e l'unico motivo per cui potevano non essere efficaci era la sgradevolezza del sapore. Questa ipotesi si rivelò errata quando Christiaan Eijkman (1858-1930), un medico olandese che lavorava nelle Indie orientali olandesi, mostrò che era possibile causare l'insorgere del beri-beri nei polli nutrendoli con riso raffinato, il nutrimento principale delle popolazioni umane nelle quali questa malattia era diffusa. Si scoprì anche che un estratto di crusca era in grado di curare la malattia e tra il 1890 e il 1897 Eijkman tentò senza successo di estrarre e identificare il componente attivo in esso contenuto; oggi è noto che si tratta della tiamina (vitamina B1), isolata nel 1926.
Negli ultimi due decenni del XIX sec. la chimica dei grassi, dei carboidrati, delle proteine, delle purine, dei lipidi e di altri importanti gruppi di composti organici presenti nella materia vivente era stata studiata; inoltre erano stati posti i fondamenti della chimica della digestione, della respirazione, della nutrizione e della secrezione ed era stata riconosciuta infine l'esistenza di composti dotati di specifiche funzioni biochimiche, quali gli enzimi, gli ormoni e le vitamine, anche se si conoscevano ancora pochi dettagli delle loro strutture chimiche e delle loro funzioni. Le tecniche chimico-fisiche, come l'elettroforesi, la cromatografia, l'analisi mediante raggi X e la chimica dei colloidi erano usate sempre più frequentemente per isolare e caratterizzare le sostanze complesse incontrate in chimica fisiologica. Così, le linee essenziali della nuova disciplina biochimica erano state tracciate e con la comparsa, nel 1877, della nuova rivista di Hoppe-Seyler "Zeitschrift für physiologische Chemie" e l'istituzione di dipartimenti di biochimica in alcune università, il settore aveva raggiunto ormai il rango di disciplina accademica indipendente. Ciononostante, la sua autonomia era ancora minacciata. Il fisiologo Eduard Friedrich Wilhelm Pflüger (1829-1910), curatore dell'"Archiv für physiologie", criticò aspramente la nuova rivista, sostenendo che la chimica fisiologica era parte di un'unica scienza, la scienza della vita; essa apparteneva alla fisiologia e non trovava posto come ambito di studio indipendente. Il rapido sviluppo della biochimica nel XX sec. ha dimostrato quanto sbagliato fosse questo giudizio.
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