L'Ottocento: fisica. Il caso francese
Il caso francese
A metà del XIX sec., il laboratorio di Henri-Victor Regnault (1810-1878) al Collège de France di Parigi figurava come il più promettente tra i laboratori di fisica dell'epoca, richiamando giovani scienziati da tutta Europa. L'importanza del lavoro di Regnault era largamente riconosciuta: in Inghilterra, la Royal Society di Londra gli conferì le prestigiose medaglie Rumford (1848) e Copley (1869); in Germania, il chimico Justus von Liebig era profondamente convinto dell'eccellenza della fisica di Regnault; in Francia, sul finire del secolo, il fisico Pierre-Maurice-Marie Duhem parlava di "una vera e propria rivoluzione nella fisica sperimentale". La sensazione generale era che Regnault avesse inaugurato per la fisica sperimentale un'era nuova, moderna e promettente. Ciò che rimane del suo contributo non è l'elaborazione di ardite idee teoriche, né le esatte ed estremamente importanti misure di parametri come i calori specifici, bensì lo sviluppo sistematico del laboratorio quale luogo indispensabile e obbligatorio per la produzione della conoscenza scientifica. Per Regnault il lavoro di laboratorio, svolto con un grado di precisione che non aveva precedenti, deve precedere qualsiasi considerazione teorica.
Tale impostazione del lavoro ha avuto due conseguenze importanti per la fisica: in primo luogo, ha richiesto un nuovo approccio all'esperimento, poiché affermare il primato dell'esperimento sulla teoria implicava l'invenzione di una nuova metodologia di laboratorio che contenesse un insieme minimo di assunti teorici. Nell'ideale di oggettività coltivato da Regnault, i dati sperimentali figuravano come giudici indipendenti ed obiettivi dei fenomeni fisici e costituivano pertanto una base insostituibile per ogni possibile sintesi e teoria. Questo nuovo metodo trovava la sua esemplificazione in quello che Regnault chiamava il suo 'metodo diretto', consistente nel dedicare grande attenzione allo sviluppo e al perfezionamento delle apparecchiature scientifiche e delle procedure sperimentali. La seconda rilevante conseguenza di tale approccio è che il suo laboratorio ha segnato il passaggio della fisica da impresa individuale a impresa collettiva, da ricerca sporadica a pratica giornaliera, una direzione che già la chimica aveva cominciato a percorrere.
Tradizionalmente, gli scienziati delle istituzioni francesi parigine lavoravano nel locale in cui erano raccolti gli strumenti destinati all'insegnamento: il cabinet de physique. Le prestigiose istituzioni come l'École Polytechnique, il Conservatoire des Arts et Métiers, la Sorbonne e il Collège de France possedevano considerevoli collezioni di strumenti i quali, tuttavia, rimanevano il più delle volte inutilizzati nelle loro bacheche, anche se potevano essere mostrati durante le lezioni (una situazione, questa, che sarebbe cambiata lentamente nel corso del XIX sec.). Per i fisici un'alternativa al cabinet erano i sotterranei delle sedi delle loro istituzioni, locali che molto spesso non soddisfacevano gli standard richiesti per l'esecuzione di un esperimento corretto a causa dei limiti di spazio, dell'umidità, della temperatura e delle vibrazioni. Taluni scienziati, disponendo di risorse finanziare sufficienti, investivano il loro denaro per allestire laboratori nei propri appartamenti, o per commissionare a officine la costruzione di strumenti adeguati.
Attorno al 1840 la situazione non era cambiata, dal momento che lo Stato francese, impegnato a fronteggiare carenze più urgenti in altri settori (per es., l'igiene), non era disposto a investire nella ricerca e nei laboratori. Del resto, fino a quando i vantaggi che sarebbero derivati dalla ricerca pura restavano oscuri o imprevedibili, i provvedimenti politici a breve termine per far fronte alle carenze strutturali avrebbero continuato a prevalere sugli investimenti a lunga scadenza. Nel frattempo, come risultato della creazione dell'École Polytechnique, che sceglieva i suoi studenti in base al talento e non alla discendenza, era cresciuto considerevolmente, in seno all'Académie des Sciences, il numero degli scienziati borghesi relativamente poveri. Regnault, rimasto orfano di padre, un ufficiale dell'esercito di Napoleone, dovette superare dure difficoltà finanziarie durante la sua istruzione e quando incominciò la ricerca non disponeva di mezzi propri. Anche se esistevano famosi laboratori privati con numerosi studenti ‒ come quello del chimico parigino Jean-Baptiste-André Dumas (1800-1884) ‒ la maggior parte degli scienziati era costretta a lavorare con finanziamenti minimi, usufruendo il più delle volte di denaro originariamente destinato all'acquisto di strumenti didattici. Le sovvenzioni erano concesse soltanto in casi eccezionali, in genere a particolari progetti di durata limitata o di immediato interesse militare, pratico o commerciale. Il programma di Regnault (v. oltre) soddisfaceva questa condizione, sicché egli ricevette un ampio finanziamento che utilizzò per estendere il raggio d'azione della sua ricerca e andare ben al di là di quelli che erano gli usuali limiti di tempo dei progetti precedenti. Per il suo lavoro sulle grandezze calorimetriche, Regnault usufruì di un contributo continuo di circa 5000 franchi l'anno, una somma adeguata per gli standard dell'epoca, corrispondente all'incirca allo stipendio annuale di un professore. Le condizioni migliorarono sensibilmente all'epoca del Secondo Impero, quando Regnault, essendo tra i protetti di Napoleone III, godette di un eccellente aiuto economico e fu nominato direttore della Manufacture de porcélaine di Sèvres; la maggior parte del denaro fu spesa nella realizzazione di apparecchiature sperimentali, che richiedevano la costruzione di apparati di notevoli dimensioni e l'impiego di un materiale costoso come il platino.
Agli inizi degli anni Quaranta, Regnault poteva basarsi su due modelli ben consolidati di laboratorio: il primo era l'osservatorio astronomico, solitamente collocato in modo adeguato, dove si effettuavano accurate osservazioni con apparecchiature sofisticate. Il passo decisivo e più difficile consisteva nel passare da un tipo di scienza meramente osservativa a una che fosse più esplorativa, in grado di intervenire attivamente nell'indagine. L'esempio di riferimento di questo tipo era il laboratorio del chimico tedesco Liebig a Giessen. Formatosi come chimico alla École des Mines, Regnault visitò nel 1834 il laboratorio di Liebig, dove svolse anche un discreto lavoro di ricerca. La permanenza a Giessen lasciò una forte e duratura impressione su Regnault il quale, durante gli anni Quaranta, mantenne stretti contatti con Liebig. Il grande merito del chimico tedesco era quello di aver reso complementari l'insegnamento e la ricerca, suscitando negli studenti l'interesse a seguire un proprio programma di lavoro. Egli, infatti, offrendo nel suo laboratorio uno spazio a coloro che avevano già conseguito il dottorato, riuscì a formare un numero consistente di allievi dotati di senso critico e stimolati a scambiarsi opinioni e a discutere sulle strategie di ricerca e sulle tecniche più promettenti. Il laboratorio di Liebig ha segnato una fase di transizione cruciale dalla ricerca individuale a quella collettiva, più adatta a un settore come quello della chimica organica, dove la presenza di una vasta area di sostanze inesplorate, dava facilmente luogo a una suddivisione dei compiti rendendo particolarmente interessante il lavoro collettivo di laboratorio. Quando Regnault fu nominato professore al Collège de France, volle trasferire questo modello alla situazione francese, adattandolo a un programma di ricerche fisiche.
L'esclusivo Collège de France, fondato nel 1530 da FrancescoI, riuniva i più importanti scienziati francesi in ogni campo del sapere, che dovevano tenere conferenze rivolte al pubblico. Sopravvissuto ai tumulti della Rivoluzione francese, il Collège figurava tra le poche istituzioni francesi che si dedicavano principalmente alla ricerca. Questa impostazione influenzò decisamente lo sviluppo del laboratorio, che presentava importanti differenze rispetto agli altri laboratori parigini. Il Collège de France aveva una cattedra di fisica generale e matematica, fondata nel 1769, e una di fisica generale e sperimentale, risalente all'epoca della Rivoluzione francese. La prima fu occupata dal fisico Jean-Baptiste Biot dal 1801 fino alla sua morte, e successivamente dal matematico Joseph-Louis-François Bertrand. La seconda fu tenuta da fisici quali Louis Lefèvre-Gineau, André-Marie Ampère, Félix Savart, Regnault ed Eleuthère Mascart. Nonostante occupasse la cattedra di fisica matematica, Jean-Baptiste Biot (1774-1862) pubblicò nel 1816 il Traité de physique, avendo svolto anche ricerche sperimentali in diverse aree, senza, tuttavia, istituire un laboratorio permanente di fisica con propri collaboratori; egli nutriva forti speranze per il giovane Regnault, che appoggiò nella sua richiesta per l'incarico di professore. Invece André-Marie Ampère (1775-1836), pur insegnando presso la cattedra di fisica sperimentale, non era propriamente uno sperimentatore, avendo eseguito complessivamente pochi, anche se cruciali, esperimenti nel campo dell'elettricità e del magnetismo. Louis Lefèvre-Gineau (1751-1829) aveva contribuito a un altro filone di ricerca di fisica sperimentale: le misurazioni accurate dei parametri fisici e la definizione e determinazione delle unità di misura per ottenerle lavorando, per esempio, a un campione per il chilogrammo. Del resto, la determinazione delle unità campione in tutti i settori era uno dei principali compiti della fisica del XIX secolo. Fino a che le unità e le procedure sperimentali non fossero state definite in maniera precisa, non ci sarebbe stata alcuna speranza di comunicare e diffondere i risultati delle misurazioni. A Parigi, alla fine del XVIII sec., era stato compiuto un lavoro di gran rilievo in tal senso (con la definizione del metro), e per tutto il secolo la capitale francese rimase un centro importante per la ricerca e le conferenze metrologiche, una tradizione nella quale rientreranno Regnault e il suo successore Mascart. Le ambizioni iniziali di Regnault andavano però ben al di là delle semplici ricerche metrologiche.
Il Collège de France offriva lo spazio adeguato per un laboratorio di fisica, assegnando anche appartamenti ad alcuni dei suoi professori per permettere loro di rimanere vicini al posto di lavoro. Pur godendo di eccellenti condizioni per gli standard dell'epoca, Regnault incontrò alcune difficoltà nel trasferire il modello di Liebig a Parigi; sotto molti aspetti, il Collège de France era infatti diverso dall'Università di Giessen, non essendo un'istituzione dedita all'insegnamento. Il numero delle persone che lavoravano nel laboratorio, attorno agli anni Quaranta, si aggirava sulle cinque unità e non fu mai superato di molto. Significativamente, gli altri scienziati che svolgevano la propria attività nel campo della fisica, quali Joseph-Louis Gay-Lussac (1778-1850) all'École Polytechnique, Antoine-César Becquerel (1788-1878) al Muséum d'Histoire Naturelle, Alexandre-Edmond Becquerel (1820-1891) al Conservatoire National des Arts et Métiers o Biot al Collège de France, non avevano creato scuole di ricerca, forse anche a causa della loro attitudine al lavoro solitario e al numero esiguo rispetto a quello dei chimici. Peraltro, all'epoca, la carenza di fisici bene istruiti e promettenti era tale che Regnault, malgrado sino ad allora avesse operato quasi esclusivamente nel campo della chimica, aveva addirittura pensato, nel 1840, alla possibilità di ottenere un posto nella sezione di fisica dell'Académie.
Probabilmente le scarse attitudini didattiche di Regnault contribuirono a rendere esiguo il numero di studenti. Le sue lezioni erano infatti giudicate noiose, anche se nei confronti di coloro che lavoravano nel laboratorio egli rimaneva aperto al dialogo e alla discussione. Regnault poteva contare qui su un modesto gruppo di collaboratori francesi, appassionati ed entusiasti, e su visitatori occasionali, provenienti generalmente da paesi stranieri. I visitatori non conseguivano una laurea e di solito frequentavano anche corsi presso altre istituzioni parigine; nel laboratorio essi acquisivano conoscenze fondamentali per la preparazione degli esperimenti. Questo lavoro assomigliava per molti versi a quello che, in un'officina, si svolgeva con un maestro e i suoi apprendisti, con la fondamentale differenza che nel laboratorio di Regnault gli studenti si occupavano perlopiù di scienza pura e non di scienza applicata. Gli allievi imparavano a lavorare manualmente e a fare un buon uso dei propri sensi al fine di ottenere dati il più possibile accurati. Per contro, questioni fisiche più ampie e riflessioni teoriche svolgevano soltanto un ruolo secondario.
Grazie all'attrezzatura sofisticata di cui era dotato e alla sua tecnica sperimentale professionale, il laboratorio di Regnault divenne un passaggio obbligato per i fisici interessati a compiere esperimenti. Gli studenti erano in genere relativamente giovani e solitamente rimanevano alcuni mesi; essi non pagavano per il loro soggiorno presso il laboratorio e tale circostanza era considerata insolita per l'epoca. Regnault dipendeva moltissimo dalla presenza di questi visitatori, dal momento che i suoi esperimenti richiedevano spesso la partecipazione di collaboratori non sempre facilmente reperibili a Parigi. I suoi studenti ricevevano un'impressione diretta del modo in cui si faceva scienza sperimentale avanzata, acquisivano una certa attitudine a lavorare quantitativamente e apprendevano le abilità connesse all'esecuzione di esperimenti, quali la produzione del vetro o l'interpretazione di un dato sperimentale. La maggior parte dei collaboratori lavorava direttamente per Regnault e aveva poco tempo per la ricerca personale.
Dopo il soggiorno a Parigi, un buon numero di studenti stranieri ritornava nel proprio paese d'origine, dove creava laboratori di fisica, spesso continuando l'attività di ricerca nella direzione tracciata da Regnault. Uno degli studenti francesi più famosi fu Jean-Bernard-Léon Foucault (1819-1868), che in seguito lavorò sulla misurazione della velocità della luce, sul pendolo del Pantheon e sviluppò strumenti ingegnosi, come il giroscopio. La lista degli studenti stranieri che fecero esperienza nel laboratorio di Regnault è impressionante. Tra di essi, il più illustre fu certamente William Thomson (1824-1907), il futuro lord Kelvin, che, introdottovi da Biot, visitò il laboratorio nel marzo del 1845 e vi rimase per alcuni mesi, trascorrendovi l'intera giornata, dalle otto della mattina fino alle cinque o alle sei di sera. Egli ha descritto così il proprio debito nei confronti di Regnault: "una tecnica irreprensibile, un amore per la precisione in tutte le cose, e la virtù suprema dello sperimentatore ‒ la pazienza". Come hanno osservato Norton M. Wise e Crosbie Smith nel 1989, "l'impegno di Thomson nei confronti della sperimentazione di precisione deve molto alla sua conoscenza di Regnault". Nell'importante articolo On the absolute thermometric scale (1848), Thomson fa spesso riferimento al lavoro di Regnault e utilizza le sue misure. Da parte sua, Regnault scrisse alcune lettere per Thomson, sostenendone la candidatura per l'incarico di professore a Glasgow nel 1846.
A partire dagli anni Cinquanta gli studenti cominciarono a frequentare la Manufacture de porcélaine a Sèvres, appena fuori Parigi, dove Regnault, sotto il regime di Napoleone III, aveva allestito il suo nuovo laboratorio.
Tra i laboratori francesi, quello di Regnault ha costituito per diverse ragioni un'eccezione. È stato infatti l'unico a concentrare la propria attività su misurazioni quantitative su vasta scala nell'ambito di una prospettiva a lungo termine, creando un lavoro collettivo giornaliero e continuo; inoltre, esso è stato l'unico a usufruire di un generoso sostegno da parte del governo, laddove la maggior parte dei laboratori di inizio Ottocento era finanziata con risorse private oppure con piccole sovvenzioni.
Lo scopo di Regnault era eseguire una misurazione completa nel campo del calore. Stabilendo nuovi standard di precisione, egli sperava di dare un fondamento numerico solido e definitivo alle proprietà termiche dei gas e di altre sostanze. Sono stati i suoi dati a far nascere la teoria meccanica del calore. Le procedure adottate da Regnault negli esperimenti consistevano, in una prima fase, in quello che egli definiva il 'metodo diretto', e, in una seconda fase, in quello che Biot chiamava il 'metodo di induzione progressiva'. Il primo si riferiva all'esecuzione dell'esperimento stesso, il secondo all'elaborazione dei dati sperimentali. Storicamente, il metodo di induzione progressiva consisteva nell'elaborazione di una serie di esperimenti quantitativi, che gli scienziati del XVIII sec. avevano iniziato a compiere in campi come l'elettricità e il magnetismo. La matematizzazione della fisica sperimentale significava la quantificazione dei fenomeni fisici e lo stabilire leggi derivate da analogie numeriche tra variabili fisiche. Ulteriormente sviluppato e diffuso da Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) e da Claude-Louis Berthollet (1748-1822), questo metodo fu consolidato da Biot, con la pubblicazione, nel 1816, del Traité de physique. A quell'epoca i fisici francesi erano senza rivali quanto all'accuratezza numerica nella fisica sperimentale. Quando, dopo il 1815, era entrato in crisi il paradigma laplaciano, basato sulla ricerca di forze che agiscono a distanza tra molecole di materia, l'attenzione fu rivolta sempre più alla precisione delle misure, nel tentativo di compensare la perdita di una cornice teorica e di dare alla fisica nuovi fondamenti, utilizzando i metodi sviluppati in astronomia.
Regnault combinò le abilità pratiche acquisite in chimica con l'intelligenza fisica di Biot e intraprese una nuova fondazione della fisica sperimentale. Biot aveva lavorato con attrezzature semplici su fenomeni complessi, calcolando tutte le possibili fonti di errore, Regnault invece lavorava con apparati complessi su fenomeni semplici, cercando di evitare, modificando l'apparato, ogni correzione dei dati. Per Regnault il metodo di Biot si rivelava a lungo andare infruttuoso, dal momento che le massicce correzioni (che nel caso di Biot, secondo una procedura discutibile, arrivavano a volte sino alla tredicesima cifra decimale) non avrebbero potuto rendere vero un risultato dubbio. Per Regnault il risultato di ogni esperimento doveva mostrarsi in maniera chiara e distinta. Ciò implicava la necessità di evitare tutte le possibili correzioni a posteriori mediante l'utilizzazione a priori di attrezzature sofisticate: una procedura chiamata 'metodo diretto', il cui scopo era la 'realizzazione materiale' del fenomeno in esame. Allo scopo di raggiungere questo obiettivo, Regnault costruì congegni ingegnosi affrontando direttamente le questioni fisiche.
Biot trovava l'approccio di Regnault in sintonia con la propria lunga e ostinata lotta per una matematizzazione della scienza e in particolare di quella fisica. Biot rappresentava assieme la fisica sperimentale e la fisica matematica. Il suo lavoro era meno sistematico di quello di Regnault, a causa di un carattere sporadico ed eclettico che non teneva in gran conto l'accuratezza degli esperimenti. Se, da un lato, Biot perorava la diffusione di uno spirito matematico, dall'altro non arrivava a definire chiaramente cosa intendesse per matematizzazione, un termine che poteva riferirsi a molti processi dell'indagine: dalla quantificazione dei fenomeni, al calcolo dell'errore sperimentale, alla formulazione di leggi matematiche. La matematizzazione era l'obiettivo comune di tutte le discipline sperimentali che in essa ricercavano una solida base, ma poteva significare sia la semplice utilizzazione, per esempio, delle tavole logaritmiche per le moltiplicazioni, sia, invece, l'uso della matematica per stabilire analogie e leggi numeriche. Biot riteneva che la quantificazione fosse particolarmente utile come guida nelle indagini sperimentali delle scienze fisiche, la cui complessità era notevole. Essa proteggeva anche dal caos, dalla speculazione affrettata e dall'esprit de système, dando allo scienziato la possibilità di astenersi, nelle prime fasi dell'indagine, dall'invocare forze astratte e spesso oscure in qualità di cause. La quantificazione metteva ordine in un vasto insieme di fenomeni, svolgendo il ruolo di un giudice indipendente per una prima classificazione. Storicamente, questa quantificazione si opponeva a un più vecchio e ampio modo di intendere la fisica come una mera esposizione e conoscenza dei fenomeni naturali; essa s'inseriva all'interno della tradizione inaugurata da Charles-Augustin Coulomb, grazie alle misurazioni effettuate con la bilancia di torsione. La descrizione e la narrazione da sole non erano dunque più sufficienti a un'adeguata comprensione della natura fisica dei fenomeni.
L'applicazione del metodo di induzione progressiva, sviluppato in astronomia, ha rappresentato un cambiamento significativo per la fisica. Si cominciava con un'esatta determinazione quantitativa dei fenomeni presi in considerazione, seguita da una classificazione dei fenomeni da stabilire, costruita in base ad analogie matematiche. In questa fase le analogie meccaniche non svolgevano alcun ruolo ed erano prese in considerazione, quali ipotesi ausiliarie, soltanto le analogie matematiche, il cui valore era provvisorio. Tali analogie davano origine a una serie di leggi, nelle quali il fisico cercava un ordine naturale, in modo da ottenere progressivamente un quadro generale che giustificasse alla fine l'introduzione della spiegazione meccanica. Pertanto la ricerca si svolgeva in due fasi successive: una convenzionalista, nella quale i risultati numerici venivano raggruppati secondo principî matematici, e l'altra esplicativa, che conduceva a una teoria meccanica basata su una moltitudine di prove raccolte in suo favore. Il metodo aveva vantaggi e svantaggi: se da un lato preveniva l'uso troppo disinvolto della spiegazione meccanica, dall'altro però correva il rischio di ritardare, nel complesso, una rappresentazione meccanica, posticipando la spiegazione definitiva all'interminabile costruzione di analogie matematiche.
La ricerca di Regnault si sviluppò in un periodo in cui le discussioni sulla natura del calore erano scemate, nell'impossibilità di risolvere la questione se esso fosse un fluido o una vibrazione. Quando Regnault cominciò a pubblicare studi dedicati ai calori specifici, si aspettava ottimisticamente di trovare risposte definitive. Egli sottolineava esplicitamente l'importanza che avrebbe avuto la determinazione dei calori specifici per la chimica e le teorie chimiche, indicando le sue conseguenze sulla determinazione dei pesi atomici. Il lavoro di Regnault traeva origine dalla necessità di ordinare le sostanze chimiche, in particolare quelle della chimica organica, il cui numero era aumentato in modo considerevole; egli pensava a una classificazione che non si basasse sul peso, ma su altre proprietà fisiche. Innanzi tutto, distingueva le proprietà fisiche da quelle chimiche, poiché mentre queste ultime si alterano in seguito alla sostituzione di un atomo, la forma complessiva della molecola rimane invariata. Egli faceva l'ipotesi della conservazione delle disposizioni molecolari, che paragonava a un sistema planetario in equilibrio, il quale, entro ampi limiti, rimane stabile se si sostituisce un pianeta con un altro di diversa grandezza. Un'equazione utile per il primo sistema si sarebbe applicata anche al secondo, perché i due sistemi planetari sono fondamentalmente analoghi.
Durante gli anni Quaranta, Regnault mosse i passi preliminari verso la realizzazione del suo ambizioso programma, raffinando il metodo sperimentale diretto. Egli voleva rifondare l'intero settore del calore mediante l'induzione progressiva, stabilendo una spiegazione meccanica definitiva del calore che fosse sostenuta da una base numerica solida e duratura: un progetto che sembrava essere notevolmente promettente a molti fra gli scienziati dell'epoca.
La ricerca di Regnault si trasformò rapidamente in uno studio sistematico di tutti i parametri in gioco nella macchina a vapore. Egli era preoccupato delle significative discrepanze tra il lavoro effettivo di una macchina e il suo calcolo teorico. Immaginò che la differenza fosse dovuta solo in parte alle perturbazioni causate dalla macchina e che potesse essere attribuita piuttosto alla conoscenza inesatta delle leggi fondamentali. I fisici Pierre-Louis Dulong (1785-1838) e Alexis-Thérèse Petit (1791-1820) avevano già fornito le misure dei calori specifici di diverse sostanze all'inizio del secolo; ma dopo oltre venticinque anni questi dati richiedevano un esame più accurato e completo che tenesse conto dei recenti progressi nel campo delle misure esatte. Tuttavia, l'obiettivo di Regnault andava ben oltre quelle che presumibilmente erano le preoccupazioni immediate degli ingegneri: egli desiderava risolvere una volta per tutte la difficile questione fisica del calore, basandosi solamente sull'autorità dell'esperimento e sui dati quantitativi derivati da esso. Affidandosi alle proprie abilità sperimentali, Regnault sperava di ottenere una definizione sistematica e una determinazione dei parametri fisici che intervenivano nelle macchine a vapore (temperatura, pressione, calori specifici); egli si aspettava che i dati risultanti avrebbero infine condotto alle leggi e, in ultimo, alla spiegazione meccanica dei fenomeni in gioco; un obiettivo che rimase irraggiungibile.
Regnault considerava le leggi classiche ‒ come quella di Boyle-Mariotte ‒ semplificazioni inammissibili, ritenendo che la determinazione delle minuscole differenze esistenti tra i valori ideali e quelli reali avrebbe portato alla fine a leggi fenomenologiche definitive. Per rendere rigorosamente confrontabili le misure del calore, Regnault dovette studiare a fondo il termometro, valutando tre differenti metodi per misurare la temperatura (il termometro a gas, il termometro a mercurio e le correnti termo-elettriche) al fine di determinare quale fosse la procedura più esatta per proseguire l'indagine. La taratura dei termometri richiede la determinazione di costanti naturali addizionali, quali l'espansione dell'aria e del mercurio, il peso di un litro di aria, la densità dell'aria e del mercurio, e la comprimibilità del mercurio. Così, benché inizialmente lo scopo di Regnault fosse quello di determinare i parametri delle macchine a vapore, per un certo periodo suo principale interesse divennero i cosiddetti strumenti ausiliari, arrivando a costruire, per esempio, strumenti di dimensioni fino ad allora impensabili, tra cui, nel 1844, un manometro di 23 m di altezza. In seguito, in occasione della pubblicazione, nel 1847, del primo volume di esperimenti sul calore, egli esprimeva la sorpresa di fronte a questa deviazione dal suo originario programma di ricerca. Il lavoro preliminare di questo tipo occupò Regnault per più di sei anni, riempiendo quasi due terzi delle ottocento pagine del volume del 1847. Soltanto allora Regnault si sentì di affrontare lo studio delle forze elastiche del vapore dell'acqua a differenti temperature, del calore latente del vapore in condizioni di saturazione sotto differenti pressioni e del calore specifico dell'acqua a differenti temperature.
Regnault pubblicò i risultati dei suoi esperimenti in tre volumi monumentali (1847-1870) contenenti perlopiù compilazioni di dati. In essi dimostrava anche per i gas la natura approssimata di leggi come quelle di Dulong e di Petit, mostrava inoltre che il coefficiente di dilatazione termica di Gay-Lussac varia a seconda dei gas e della loro pressione iniziale, e allo stesso modo faceva notare le inesattezze della legge di Boyle-Mariotte.
Regnault spese una notevole quantità di tempo per indagare in dettaglio queste deviazioni, probabilmente nella speranza di poter ottenere da esse, a un certo punto dell'indagine, conclusioni generali. I suoi risultati hanno costituito la base per tutto il lavoro pratico e teorico nel settore in via di sviluppo della termodinamica, fornendo quei dati che fisici come Thomson, Rudolf Clausius (1822-1888) e William Rankine (1820-1872) avrebbero utilizzato nel loro rivoluzionario lavoro sul principio di conservazione dell'energia e nella creazione di una nuova teoria.
Verso la fine degli anni Quaranta dell'Ottocento, Regnault dovette ammettere che, dopo oltre dieci anni di attività sperimentale, la spiegazione meccanica non era ancora disponibile. Durante gli anni Cinquanta egli fu superato da altri fisici che s'imposero con la legge di conservazione dell'energia e con la definizione del calore come movimento. Mentre Regnault aveva passato tutta la vita cercando una definizione della temperatura, la termodinamica aveva nel frattempo fornito, racchiusa nella legge di conservazione dell'energia, una teoria della macchina a vapore. I fisici ora sapevano come calcolare il comportamento dei gas e potevano evitare di effettuare complicati esperimenti. Regnault, diffidente fino all'ultimo, non abbracciò mai pienamente la legge di conservazione dell'energia e continuò nella sua linea di ricerca nonostante divenisse sempre più scettico riguardo agli ostacoli sperimentali che incontrava.
I problemi e le critiche
La reputazione di Regnault si rovinò con la stessa rapidità con cui si era compiuta la sua ascesa come giovane scienziato. Dopo la morte cominciarono a diffondersi severe critiche sul suo lavoro. Benché lodato per la meticolosità, gli si rimproverava di essersi perso nei numeri e di essere stato troppo timoroso e dubbioso nei confronti della teoria. Più la sua conoscenza sugli esperimenti e sugli strumenti aumentava, più i risultati apparivano affetti da errori e da complicazioni sempre crescenti. Nessuna conclusione poteva essere tratta prima di aver esaminato ogni singolo dettaglio e ogni possibile trappola nascosta nella procedura sperimentale impiegata. L'esperienza gli insegnava che spesso la Natura tende a ingannare l'osservatore. Una lettera indirizzata a Liebig nel 1851 rivelava la sua crescente preoccupazione nei confronti del compito che si era assunto e, nella prefazione al secondo volume delle Expériences, egli riconosceva con franchezza di aver sottovalutato il compito originario, arrivando ad ammettere che non avrebbe mai scelto questa linea di ricerca se avesse saputo in anticipo quali difficoltà lo avrebbero atteso. Più approfondiva la conoscenza dei suoi esperimenti, più si rendeva conto che diverse misurazioni che aveva compiuto richiedevano ancora un ulteriore studio degli strumenti coinvolti, ma questi problemi andavano al di là dell'ambito pratico. Mentre inventava ingegnose strategie sperimentali, confrontando tra loro diverse opzioni per identificare la procedura più affidabile, rimaneva tuttavia una grande varietà di possibili errori da individuare. Inoltre, per quanto Regnault cercasse di lavorare con un insieme minimo di assunzioni teoriche, doveva nondimeno far uso di alcune leggi nei suoi esperimenti, anche quando aveva forti dubbi sulla loro esattezza. Per esempio, mentre studiava la comprimibilità dei gas, misurava la pressione atmosferica con un manometro applicando la formula di Laplace basata sulla legge di Boyle-Mariotte, di cui era determinato a dimostrare l'inesattezza.
In definitiva, Regnault raggiunse un incontestabile grado di virtuosismo sperimentale che, tuttavia, implicava la presenza di metodi non quantificabili e fortemente idiosincratici i quali conducevano in ultima analisi all'isolamento sociale e al relativismo scientifico. Il considerevole sostegno finanziario di cui disponeva scoraggiava fin dall'inizio ogni rivale; incontrastato, il virtuosismo dello sperimentatore non incontrava obiezioni: l'intera impresa di misurazione diveniva un'impresa artistica facendo sì che il giudizio soggettivo prevalesse sulle misure riproducibili oggettivamente. I contemporanei, abbagliati dalle abilità tecniche di Regnault, lo incoraggiavano in tale ricerca, considerando quest'arte come un segno del suo talento. Essi continuarono a farlo fino a quando ebbero ragione di credere alla possibilità di ottenere risultati definitivi, ma il virtuosismo sperimentale si trasformò in un percorso privo di sbocchi nel momento in cui divenne fine a sé stesso.
Per molti versi Regnault è stato il tipico esponente di una certa tendenza presente nella fisica della seconda metà del XIX sec., che cercava di rimpiazzare le crude leggi con interpretazioni più finemente strutturate che sembravano rappresentare il mondo naturale in modo sempre più veritiero e oggettivo. Questa visione scettica, tuttavia, ha avuto vita breve e verso la fine del secolo è stata rapidamente oscurata sia dalla teoria sia da importanti scoperte.
L'unicità della posizione occupata dal laboratorio di Regnault nel panorama della ricerca francese diviene più manifesta se confrontata con il modo in cui gli altri fisici francesi conducevano gli esperimenti nelle rispettive istituzioni, dove la ricerca di laboratorio non svolgeva alcun ruolo centrale. Tipica era la situazione dell'Académie des Sciences, che nemmeno disponeva di laboratori, dopo il fallimento degli sforzi compiuti per ottenerne uno durante gli anni Quaranta. L'Académie pensò di creare una collezione di strumenti con la collaborazione del fisico Antoine-César Becquerel in qualità di curatore onorario, ma questo piano fu abbandonato nel 1864 per mancanza di spazio. Inoltre, data la difficile situazione finanziaria, sarebbe stato impossibile offrire adeguate opportunità di ricerca ai membri dell'Académie des Sciences. Coloro che desideravano svolgere tale attività si affidavano all'iniziativa personale o alle istituzioni di appartenenza le quali, in ogni caso, non si aspettavano che i loro scienziati vi si dedicassero necessariamente.
Un'altra ragione dello scarso interesse per i laboratori era il diffuso sentimento della scienza quale impresa elitaria. Del resto, se il progresso scientifico era attribuito, in definitiva, al genio individuale, non c'era motivo di incrementare il numero degli scienziati e la produzione scientifica in generale. Questa concezione della scienza contribuiva non poco a frenare gli sforzi di giovani scienziati promettenti, che volevano lavorare in nuovi laboratori come associati alla ricerca.
Inoltre, uno sguardo alla situazione della fisica sperimentale nella Francia della metà del XIX sec. mostra che essa non costituiva una singola attività ben definita, ma riuniva piuttosto modi diversi di fare ricerca su tematiche differenti. La ricerca sperimentale spesso includeva aree che, a partire dalla fine dell'Ottocento, non figureranno più sotto il titolo di fisica, rientrando, per esempio, nel settore della meteorologia. Vi erano illustri fisici e accademici francesi che si occupavano di meteorologia, come Dominique François Arago nella sua veste di direttore dell'Observatoire, Jacques Babinet, l'astronomo Urbain-Jean-Joseph Le Verrier e Becquerel. Altri fisici conducevano la ricerca in maniera humboldtiana, come Auguste Bravais (1811-1863), un esploratore divenuto successivamente professore di fisica all'École Polytechnique, che lavorava in aree quali la geologia, la cristallografia, la botanica e la meteorologia. La ricerca di Becquerel copriva settori come la fisica applicata alla botanica e si trovava perciò molto al di fuori degli sviluppi teorici della fisica.
In generale, una specializzazione ristretta come quella di Regnault era abbastanza inusuale. I fisici erano abituati a cambiare settore a seconda dei mutamenti di interesse e di opportunità di ricerca. Gli esperimenti erano spesso frutto di idee spontanee e non erano perciò effettuati nel modo sistematico di Regnault. La maggior parte di essi svolgeva la propria attività in maniera eclettica. Claude-Servais-Mathias Pouillet (1791-1868), che tenne la cattedra di fisica applicata al Conservatoire National des Arts et Métiers e insegnò alla Facoltà di scienze, lavorava in aree diverse come la diffrazione, l'interferenza, il calore, le tecniche per misurare le correnti deboli, la ricerca atmosferica e il parafulmine, senza offrire contributi decisivi in alcuno di questi settori. Illustri fisici con un'inclinazione più teorica, come Augustin-Jean Fresnel (1788-1827) e Ampère, producevano, rispettivamente nel campo dell'ottica e in quello dell'elettricità e del magnetismo, nuovi e importanti fenomeni e teorie con esperimenti relativamente semplici, che non richiedevano una lunga elaborazione, essendo frutto di preparativi ingegnosi e di intuizioni rapide.
La roccaforte della ricerca francese era l'ottica, un settore che, intorno alla metà del XIX sec., era trascurato nelle altre nazioni e godeva del forte sostegno di Arago, il potente segretario permanente dell'Académie des Sciences. Il lavoro di Fresnel aveva assegnato un ruolo di primo piano all'ottica francese, destinato a durare per tutta la metà del secolo. Una delle ricerche più importanti in questo ambito, la determinazione della velocità della luce, era stata realizzata da due fisici sperimentali, Hippolyte Fizeau (1819-1896) e Jean-Bernard-Léon Foucault (1819-1868), che lavoravano in laboratori privati. Fizeau era dotato di risorse proprie tali da garantirgli l'indipendenza da ogni obbligo di insegnamento, mentre Foucault si era creato il suo laboratorio dove progettava strumenti di precisione. A continuare la linea di studi in campo ottico vi erano Jules-Célestin Jamin (1818-1886) con misurazioni rifrattometriche, Mascart, che succedette a Regnault al Collège de France e lavorò in spettroscopia, e Marie-Alfred Cornu (1841-1902), che raffinò il lavoro di Fizeau sulla velocità della luce.
In altri settori di ricerca si poneva un forte accento sulle questioni applicative: l'accademico e fisico Charles Cagniard de La Tour (1777-1859), per esempio, progettò un dispositivo per misurare l'altezza dei suoni denominato 'sirena di Cagniard de La Tour'. A metà del XIX sec. il settore dell'elettricità ebbe un rapido sviluppo, anche se non nelle rivoluzionarie aree dell'elettrodinamica. César-Mansuète Despretz (1798-1863), professore alla Facoltà di scienze, confermò le leggi formulate in precedenza compiendo esperimenti più rigorosi, mentre Alexandre-Edmond Becquerel approfondì tematiche applicative di elettrochimica, studiando la galvanoplastica, il telegrafo elettrico, il meccanismo delle celle e dei loro elettroliti, prima di dedicarsi al fenomeno della luminescenza.
Tra questi fisici nessuno attirò un numero significativo di studenti. Pouillet, considerava il suo cabinet de physique come uno spazio privato; le cose cambiarono solo lentamente con il suo successore Becquerel. Di fatto, fu soltanto nel 1917 che gli studenti videro mutare il loro ruolo di semplici osservatori degli esperimenti e iniziarono a realizzarli effettivamente. Altri fattori che ritardavano la creazione di laboratori di ricerca furono i modelli di carriera dei giovani scienziati, la mancanza di spazio, una certa preferenza per la ricerca compiuta in isolamento, o i modesti mezzi finanziari. I giovani scienziati promettenti preferivano una carriera ben pagata nell'industria a una ricerca scientifica; mentre coloro che sceglievano una carriera accademica non avevano quasi nessuna possibilità di lavorare nei laboratori durante il periodo di studio. Di solito, essi dovevano cominciare la carriera insegnando nelle scuole secondarie prima di ottenere un incarico di professore in provincia e tornare, infine, a Parigi. Soltanto pochi scienziati riuscivano a ottenere le risorse necessarie per costruire piccoli laboratori di ricerca con fondi statali, come avveniva all'École Normale Supérieure. Chiaramente, l'importanza data alla ricerca si spostò, durante la seconda metà dell'Ottocento, dalle diverse istituzioni come il Muséum d'Histoire Naturelle, il Collège de France, l'Académie des Sciences e l'École Polytechnique alle università e in special modo all'École Normale Supérieure, il cui obiettivo primario era quello di formare insegnanti di scienze per le scuole secondarie. I pochi laboratori di ricerca di successo durante il Secondo Impero erano perlopiù orientati verso la chimica, come quello di Louis Pasteur e Henri Deville Sainte-Claire all'École Normale Supérieure, di Charles-Adolphe Wurtz all'École de Médecine, e quello di Edmond Frémy al Muséum d'Histoire Naturelle, che riuscì ad avere studenti malgrado l'istituzione in sé non fosse finalizzata all'insegnamento.
In Francia il laboratorio di ricerca per la fisica più moderno e promettente era stato inaugurato nel 1868 alla Sorbonne, sotto la direzione di Jamin, e fu visitato personalmente dall'imperatore. In quello stesso anno fu aggiunto un laboratorio per l'insegnamento, diretto da Quentin-Paul Desains. Né Jamin né Desains svolsero un lavoro di ricerca rilevante per l'epoca; Desains si era occupato quasi esclusivamente del calore radiante, mentre Jamin aveva svolto la maggior parte dei suoi studi in campo ottico. Tuttavia, si trattava del primo laboratorio di fisica che, in un'università francese, si muoveva nella direzione di un'integrazione tra l'insegnamento e la ricerca; gli studenti vi imparavano a usare gli strumenti ed erano persino autorizzati a completare i loro esperimenti, anche se, generalmente, essi non producevano ricerca nuova e promettente. Nel 1871, Fernand Papillon sottolineò la notevole grandezza del laboratorio e la sua adeguata attrezzatura e si disse convinto del fatto che esso avrebbe esercitato un'eccellente influenza sulla fisica francese. Mentre Jamin durante gli anni Settanta ebbe in media un solo laureato all'anno e non riuscì a creare una scuola di ricerca, Desains trasformò il suo laboratorio in una rinomata istituzione di insegnamento, che a qualche osservatore ricordava il laboratorio di Regnault. Il numero degli studenti passò da quaranta, durante gli anni Settanta, a centotrentasei, nel decennio successivo. Il collaboratore più noto di Desains fu Édouard Branly (1844-1940), i cui studi hanno contribuito allo sviluppo della telegrafia senza fili.
I ritardi della ricerca di laboratorio in Francia rispetto agli Stati della Germania, divenuti evidenti già negli anni Cinquanta, nel corso del decennio successivo, quando il regime divenne più liberale, hanno dato luogo a una critica aperta. Curiosamente, all'inizio del XIX sec., i laboratori francesi come quello di Gay-Lussac avevano ispirato Liebig nella costruzione del laboratorio di Giessen, che a sua volta divenne il modello per i laboratori francesi nella seconda metà del secolo. Paragoni sfavorevoli con la Germania erano espressi nel campo della chimica e in quello della fisiologia da imponenti figure scientifiche, come Claude Bernard e Pasteur. Quest'ultimo, in particolare, fece sfoggio delle sue doti tattiche e politiche scrivendo nel 1868 un articolo polemico dal titolo Le budget de la science, nel quale deplorava lo stato miserevole dei laboratori francesi.
Questa iniziativa sfociò nel corso dello stesso anno in un'azione concertata da Napoleone III, dal ministro dell'istruzione Victor Duruy e da importanti scienziati come Pasteur, Bernard, Deville Sainte-Claire e Henri Milne-Edwards. L'incontro portò a una decisiva riforma nell'ambito dell'istruzione superiore e alla creazione dell'école Pratique des Hautes études. Non si trattava di una nuova scuola, bensì di un nuovo meccanismo di assegnazione di borse di studio per le istituzioni esistenti al fine di incoraggiarle a fare ricerca e consentire agli studenti di svolgere i loro esperimenti; essa significava anche la creazione di nuove figure, come quella degli assistenti alla ricerca. La sezione di chimica e fisica, che fu diretta dai chimici Antoine-Jérôme Balard e Wurtz e dal fisico Jamin, ottenne un finanziamento di circa 80.000 franchi.
La creazione dell'école Pratique ridiede vigore alla fisica francese. Le iscrizioni (settantacinque per la fisica e la chimica) superarono di gran lunga le aspettative e raddoppiarono nel giro di pochi anni. Con l'aumento del numero di corsi di laboratorio, la ricerca e le nuove pubblicazioni crebbero con grande rapidità. Parallelamente, la creazione del "Journal de physique théorique et appliquée" segnava una svolta verso un'ulteriore professionalizzazione della fisica. L'iniziativa era stata presa da Charles d'Almeida (1822-1880), professore di fisica in un liceo di Parigi, e fu presto condivisa da altri importanti fisici. D'Almeida è anche uno dei fondatori della Société Française de Physique (1873), che sorse in seguito ad alcuni incontri privati organizzati presso l'école Normale Supérieure da Henri-Léonard Bertin, vecchio allievo di Regnault, a partire dal 1867.
La ricerca in fisica si sviluppò in maniera notevole negli anni Ottanta. I laboratori risultavano essere un terreno fertile per una nuova e assai promettente generazione di fisici che, dopo una lunga eclissi durante la metà del secolo, riuscirono a riportare in vita la grande tradizione di Laplace. Alla Sorbonne, quando Edmond Bouty (1846-1922) divenne direttore aggiunto del laboratorio, il numero degli studenti salì a oltre cento, e tra essi vi erano futuri premi Nobel come Gabriel Lippmann (1845-1921). Questi assunse la direzione della Sorbonne, formando negli anni Novanta gruppi di ricerca di circa venticinque persone, che includevano fisici come émile-Hilaire Amagat e Marie Sklodowska (Curie). Similmente, il laboratorio di fisica alla école Normale Supérieure, sotto la direzione di Jules Violle e di Marcel-Louis Brillouin, annoverava tra i suoi studenti il futuro premio Nobel Jean-Baptiste Perrin.
I nuovi laboratori portarono a ulteriori sviluppi sia in fisica sperimentale sia in fisica teorica, educando un gruppo di fisici il cui numero aumentava parallelamente alla crescita generale delle università. Il laboratorio di Regnault, creato mezzo secolo prima in condizioni finanziarie e professionali molto diverse, aveva rappresentato il punto di inizio di questa moderna fisica di laboratorio di fine XIX secolo. Esso aveva inaugurato una nuova epoca, ridefinendo il posto occupato dall'esperimento all'interno dell'indagine scientifica.
Blondel 1997: Blondel, Christine, L'électricité au Conservatoire des arts et métiers. Des physiciens aux électrotechniciens (1850-1940), in: La naissance de l'ingénieur-électricien. Origines et développement des formations nationales électrotechniques, édité par Laurence Badel, Paris, Association pour l'Histoire de l'Électricité en France, 1997, pp. 23-39.
Buchwald 1989: Buchwald, Jed Z., The rise of the wave theory of light. Optical theory and experiment in the early nineteenth century, Chicago, University of Chicago Press, 1989.
Chang 2001: Chang, Hasok, Spirit, air, and quicksilver. The search for the 'real' scale of temperature, "Historical studies in the physical and biological sciences", 31, 2001, pp. 249-284.
Crosland 1978: Crosland, Maurice P., Gay-Lussac. Scientist and bourgeois, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1978.
‒ 1992: Crosland, Maurice P., Science under control. The French Academy of Sciences, 1795-1914, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1992.
Davis 1986: Davis, John L., The influence of astronomy on the character of physics in mid-nineteenth century France, "Historical studies in the physical sciences", 16, 1986, pp. 59-82.
Dörries 1997: Dörries, Matthias, Visions of the future of science in nineteenth-century France (1830-1871), (Diss.), München, 1997.
‒ 1998a: Dörries, Matthias, Vicious circles, or, the pitfalls of experimental virtuosity, in: Experimental essays - Versuche zum Experiment, hrsg. von Michael Heidelberger, Friedrich Steinle, Baden-Baden, Nomos, 1998, pp. 123-140.
‒ 1998b: Dörries, Matthias, Easy transit. Crossing boundaries between physics and chemistry in mid-nineteenth century France, in: Making space for science. Territorial themes in the shaping of knowledge, edited by Crosbie Smith and Jon Agar, Basingstoke, Macmillan, 1998, pp. 246-262.
‒ 2001: Dörries, Matthias, Purity and objectivity in nineteenth-century metrology and literature, "Perspectives on science" 9, 2001, pp. 233-250.
Fox 1971: Fox, Robert, The caloric theory of gases. From Lavoisier to Regnault, Oxford, Clarendon, 1971.
‒ 1973: Fox, Robert, Scientific enterprise and patronage of research in France, 1800-70, "Minerva", 11, 1973, pp. 442-473.
‒ 1974: Fox, Robert, The rise and fall of Laplacian physics, "Historical studies in the physical sciences", 4, 1974, pp. 89-136.
‒ 1980: The organization of science and technology in France, 1808-1914, edited by Robert Fox and George Weisz, Cambridge, Cambridge University Press, 1980.
‒ 1999: Fox, Robert - Guagnini, Anna, Laboratories, workshops, and sites: concepts and practices of research in industrial Europe, 1800-1914, Berkeley, Office for History of Science and Technology, University of California, 1999.
Frängsmyr 1990: The quantifying spirit in the 18th century, edited by Tore Frängsmyr, John L. Heilbron and Robin E. Rider, Berkeley, University of California Press, 1990.
Frankel 1972: Frankel, Eugene, J.-B. Biot. The career of a physicist in early nineteenth-century France, Princeton, Princeton University Press, 1972.
‒ 1977: Frankel, Eugene, J.-B. Biot and the mathematization of experimental physics in Napoleonic France, "Historical studies in the physical sciences", 8, 1977, pp. 33-72.
‒ 1978: Frankel, Eugene, Career-making in post revolutionary France. The case of Jean-Baptiste Biot, "The British journal for history of science", 11, 1978, pp. 36-48.
‒ 1985: Frankel, Eugene, A research school of chemistry in nineteenth century. Jean Baptiste Dumas and his research students, "Annals of science", 42, 1985, pp. 1-40.
Fruton 1990: Fruton, Joseph S., Contrasts in scientific style. Research groups in the chemical and biochemical sciences, Philadelphia, American Philosophical Society, 1990.
Henning 1910: Henning, Fritz, Henri Victor Regnault, "Physikalische Zeitschrift", 11, 1910, pp. 770-774.
Hofmann 1996: Hofmann, James R., André-Marie Ampère. Enlightenment and electrodynamics, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1996 (1. ed.: Oxford-Cambridge (Mass.), Blackwell, 1995).
Holmes 1989: Holmes, Frederic L., The complementarity of teaching and research in Liebig's laboratory, in: Science in Germany. The intersection of institutional and intellectual issues, edited by Kathryn M. Olesko, "Osiris", Special issue, s. 2, 5, 1989, pp. 121-164.
Langevin 1911: Langevin, Paul, Centenaire de M. Victor Regnault, "Annuaire du Collège de France", 11, 1911, pp. 42-56.
‒ 1932: Langevin, Paul - Lefranc, Abel J.M. [et al.], La physique au Collège de France, in: Le Collège de France, 1530-1930. Livre jubilaire composé à l'occasion de son quatrième centenaire, Paris, Presses Universitaires de France, 1932, pp. 61-79.
Le Châtelier 1911: Le Châtelier, Henri, Victor Regnault (1810-1878), "Annales des mines", 19, 1911, pp. 49-63.
Paul 1985: Paul, Harry W., From knowledge to power. The rise of the science empire in France, 1860-1939, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1985.
Reeves 1989: Reeves, Barbara J., Le tradizioni di ricerca fisica in Italia nel tardo diciannovesimo secolo, in: La scienza accademica nell'Italia post-unitaria. Discipline scientifiche e ricerca universitaria, a cura di Vittorio Ancarani, prefazione di Filippo Barbano, Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 53-95.
Rocke 2001: Rocke, Alan J., Nationalizing science. Adolphe Wurtz and the battle for French chemistry, Cambridge (Mass.)-London, MIT Press, 2001.
Smith 1989: Smith, Crosbie - Wise, M. Norton, Energy and empire. A biographical study of Lord Kelvin, Cambridge, Cambridge University Press, 1989.
Zwerling 1980: Zwerling, Craig, The emergence of the École Normale Supérieure as a centre of scientific education in the nineteenth century, in: The organization of science and technology in France, 1808-1914, edited by Robert Fox and George Weisz, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1980, pp. 31-60.