L'Ottocento: matematica. Dalla geometria proiettiva alla geometria euclidea
Dalla geometria proiettiva alla geometria euclidea
La carriera del matematico francese Gaspard Monge riassume per molti versi la storia della geometria intorno al 1800. Nato nel 1746 a Beaune dove studiò, Monge realizzò nel 1764 una pianta della sua città che gli valse un posto di disegnatore all'École Royale du Génie di Mézières, presso la quale si fece ben presto apprezzare per i suoi metodi grafici per la progettazione di fortificazioni, considerati quasi un segreto militare, e per il talento che mostrò in molti altri campi. Dopo essere stato nominato professore di matematica e fisica fu eletto, nel 1780, membro dell'Académie Royale des Sciences di Parigi e, nel 1784, iniziò a lavorare per le scuole della Marina. Le sue ricerche, grazie alle quali aveva ormai acquisito una solida posizione economica e una sicura reputazione scientifica, riguardavano le equazioni alle derivate parziali, la geometria differenziale e, essendo stato assistente di Antoine-Laurent Lavoisier, anche la chimica.
Quando, nel 1789, la Rivoluzione ebbe inizio, Monge era tra i più noti scienziati francesi e con la caduta della monarchia divenne ministro della Marina per otto mesi, trascorsi i quali, giudicato troppo moderato, fu rimosso dall'incarico. Dopo che, nell'agosto del 1793, l'Académie fu soppressa, Monge ebbe vari incarichi, finché fu nominato professore di geometria in quella che, nel luglio del 1795, sarebbe diventata l'École Polytechnique che, nel 1797, fu chiamato a dirigere. Nominato da Napoleone senatore a vita, lasciò la direzione dell'École pur rimanendovi a insegnare fino al 1809, quando l'artrite lo costrinse al ritiro. Dopo i rivolgimenti politici del 1816 cadde in disgrazia e trascorse nell'ombra gli ultimi anni di un'esistenza divisa tra la matematica e il servizio allo Stato.
In questa vita movimentata ci sono molti aspetti importanti da sottolineare. Da un lato, il passaggio da Mézières all'École Polytechnique significò il passaggio dalla formazione di un corpo di ufficiali a quella di professionisti, dal segreto militare all'insegnamento pubblico. La stessa creazione dell'École, che pure era una scuola militare, fu infatti un evento determinante nella vita intellettuale francese. Oltre all'influenza decisiva sull'istruzione superiore in Francia, questa scuola costituì un modello per le riforme universitarie di tutta Europa nell'epoca delle conquiste napoleoniche. D'altro lato, la vita di Monge illustra le alterne vicende di un matematico e organizzatore assai capace che cavalca gli alti e bassi della grande politica. Infine, molto più importante dal nostro punto di vista, nel periodo della sua massima influenza Monge insegnava geometria descrittiva, una materia che egli, insegnante eccellente, aveva la capacità di presentare ai suoi studenti con particolare efficacia. La geometria descrittiva consiste nell'uso sistematico di proiezioni di figure solide tridimensionali su due piani mutuamente perpendicolari e nell'uso delle coordinate piane per ottenere una formulazione algebrica di fatti geometrici. Questa tecnica si rivelò uno strumento di grande potenza nelle mani di architetti e ingegneri.
L'École Polytechnique era una scuola preparatoria a quelle di applicazione, una specie di 'collo di bottiglia' attraverso cui dovevavo passare tutti coloro che aspiravano alla professione di ingegnere civile o al servizio dello Stato, a entrare cioè a far parte del gruppo di coloro che in larga misura sostennero il processo di modernizzazione in Francia. Gli esami di ammissione all'École divennero più selettivi, e crebbe l'influenza degli insegnanti. Ben presto, il numero di candidati superò quello dei laureati delle università inglesi o tedesche e Parigi divenne una specie di Mecca per chi in Europa aspirava a diventare un matematico.
Monge, pur con tutti i suoi talenti, non era certo un matematico di prim'ordine né la geometria descrittiva un argomento profondo. Benché strumento usuale di architetti e ingegneri, tale disciplina si sarebbe rivelata suscettibile di scarsi sviluppi nei cento anni successivi, fino a sparire quasi del tutto dall'insegnamento universitario dopo la Prima guerra mondiale. In Francia, tuttavia, Monge aveva restituito alla geometria un ruolo centrale nell'ambito degli studi matematici e la geometria descrittiva divenne un importante argomento dei programmi dell'École Polytechnique, in particolare di quelli relativi agli esami di ammissione. Si avvertì quindi l'esigenza di manuali appropriati e i vantaggiosi aspetti economici di questa situazione non sfuggirono a molti studiosi, tra i quali Adrien-Marie Legendre (1752-1833), matematico assai più capace e profondo di Monge. Egli scrisse gli Éléments de géométrie (1794), che con le loro numerose edizioni avrebbero dominato l'insegnamento della materia nelle scuole superiori per tutto il XIX sec. e che si riavvicinavano in qualche modo al rigore dell'impostazione euclidea dopo un secolo di 'cartesiana' fiducia nelle astrazioni originate dalle intuizioni semplici. Il testo di Legendre iniziava con definizioni e assiomi e procedeva con lunghe deduzioni e accurati ragionamenti su figure elementari come cerchi o triangoli. Questa era la missione educativa della matematica nella Francia rivoluzionaria, e questa è rimasta da allora.
La prevalenza della geometria nell'insegnamento e della figura di Monge all'École Polytechnique favorirono la formazione di un gruppo di geometri tra i quali spicca Jean-Victor Poncelet (1788-1867) il quale, catturato dai Russi durante la ritirata da Mosca, occupò il periodo della prigionia riflettendo sulla geometria che aveva imparato come allievo di Monge. Egli notò che le proiezioni della geometria descrittiva erano casi speciali di proiezioni da una sorgente luminosa puntiforme. Mentre le proiezioni considerate da Monge non preservavano alcune proprietà geometriche come la lunghezza dei segmenti, conservandone altre come i rapporti tra le lunghezze lungo una retta, le proiezioni centrali studiate da Poncelet, pur non preservando neppure i rapporti tra lunghezze, trasformavano rette in rette, coniche in coniche e, con definizioni opportune, mantenevano l'intersezione tra rette.
Tornato a Parigi, Poncelet si accinse a sviluppare nei dettagli una geometria basata sulle proprietà che si conservavano per proiezioni centrali, scoprendo una feconda teoria delle sezioni coniche che poteva costituire la base della teoria metrica classica, risalente ad Apollonio. Scoprì anche di non essere stato il primo ideatore di tale approccio, avendo avuto un predecessore di rilievo in Girard Desargues (1591-1661), i cui lavori giacevano quasi dimenticati e, apparentemente, completamente perduti. Dato che le proprietà di una figura che si conservano per proiezione centrale sono molto poche, quelle che lo sono meritano di essere considerate fondamentali e la geometria proiettiva di Poncelet segnò l'inizio di una nuova, promettente e innovativa branca della matematica.
Mentre nella geometria euclidea si può parlare di lunghezza di un segmento e tutte le trasformazioni consentite la conservano, in geometria affine un segmento può essere trasformato in uno di lunghezza diversa. Tuttavia se due segmenti consecutivi, AB e BC, su una stessa retta, si trasformano nei segmenti A′B′ e B′C′, il rapporto tra le lunghezze dei segmenti resta invariato: AB/BC=A′B′/B′C′. In geometria proiettiva neanche questa invarianza dei rapporti si mantiene, ma una quantità più complicata, chiamata 'birapporto', è preservata dalle trasformazioni proiettive.
Il birapporto di 4 punti allineati A,B,C e D, si definisce come AB∙CD/AD∙CB e può assumere 6 valori distinti a seconda dei 24 possibili ordinamenti dei quattro punti; si ha comunque AB∙CD/AD∙CB=A′B′∙C′D′/A′D′∙C′B′.
Poncelet desiderava fornire alla geometria un livello di generalità pari a quello dell'algebra, essendo la seconda considerata da molti garante della validità della prima, e tentò di risolvere tale problema, che giudicava estremamente serio, formulando i concetti geometrici nel modo più generale. In algebra, per esempio, si possono eseguire calcoli con le lettere prescindendo dal loro possibile valore e può infatti accadere che queste non rappresentino affatto grandezze reali come nel caso dell'incognita di particolari equazioni di secondo grado. In geometria, tuttavia, la misura di un segmento è considerata positiva secondo un assegnato orientamento della retta e negativa in quello opposto, nella dimostrazione di un teorema si dovranno pertanto considerare separatamente le due eventualità, perdendo così di generalità. Analogamente si deve adattare un ragionamento su punti e figure ai vari casi riguardanti la posizione di quelli relativamente a queste. Il metodo che Poncelet proponeva per affrontate tali e altre simili questioni consisteva essenzialmente in un ampliamento del significato di vari termini geometrici ma, come Augustin-Louis Cauchy ebbe modo di osservare, si rivelò insoddisfacente. Il libro più importante di Poncelet, il Traité des propriétés projectives des figures (1822), conteneva nella prefazione una dalle critiche di Cauchy, all'epoca astro nascente dell'École Polytechnique. In tali critiche Cauchy sosteneva che Poncelet, nella sua ricerca di generalità, non faceva che estendere argomenti spesso effettivamente validi, a casi nei quali semplicemente non lo erano e ricordava, per analogia, l'uso delle serie di potenze in analisi: uso legittimo quando le serie convergono, ma privo di significato altrimenti.
Anche dopo che Poncelet ebbe abbandonato il campo delle ricerche geometriche per dedicarsi alla progettazione di macchine, attività che considerava più utile, la geometria proiettiva restò una disciplina viva e studiata. Indicativa degli aspetti da essa esplorati è la vivace controversia sulla dualità cui presero parte, negli anni Venti, vari matematici francesi tra i quali Joseph-Diez Gergonne (1771-1859). Data un'ellisse nel piano e un punto P esterno a essa, si possono tracciare le due tangenti all'ellisse che passano per il punto P e quindi la retta L individuata dai due punti di tangenza. Si può così considerare L associata a P. Allo stesso modo, data una retta L′ che incontra in due punti un'ellisse, è possibile considerare le tangenti all'ellisse in questi due punti e il loro punto di intersezione P′, che, anche in questo caso, si può pensare associato a L′.
In geometria proiettiva questa corrispondenza tra punti e rette, che può essere estesa al caso generale senza dover operare le distinzioni necessarie nel contesto euclideo, è appunto la dualità, e il punto e la retta che si corrispondono sono detti 'polo' e 'polare'. Una proprietà fondamentale della dualità è quella di essere un'involuzione: il polo della polare e la polare del polo sono, rispettivamente, il punto e la retta ai quali inizialmente si applica la dualità. Inoltre, le tre polari di tre punti allineati sono concorrenti e i tre poli di tre rette concorrenti sono allineati.
Poncelet, che aveva introdotto il concetto di dualità, pensava che l'ellisse fosse indispensabile per la sua definizione, mentre Gergonne riteneva possibile una definizione di dualità che non ne richiedeva necessariamente l'uso. La questione fu risolta solo quando il matematico e astronomo tedesco August Ferdinand Möbius (1790-1868) scoprì che nel piano e in ogni spazio di dimensione pari, qualsiasi processo di dualità è associato a una conica, mentre in uno spazio di dimensione dispari, si hanno dualità che non dipendono da una conica.
È opportuno ricordare che l'uso dei termini polo e polare deriva dalla geometria sferica, dove era ben noto come associare a ogni coppia di punti diametralmente opposti (il polo) un cerchio massimo corrispondente, o equatore (la polare), e viceversa. Si poteva così passare da un triangolo formato da tre coppie di punti, a un triangolo determinato da tre equatori. Su una sfera la lunghezza di un segmento geodetico è essenzialmente determinata dall'angolo che esso sottende al centro della sfera, e le formule trigonometriche che mettono in relazione gli angoli e i lati di un triangolo sferico coinvolgono quindi soltanto angoli, anche se di due tipi diversi. Nel XVIII sec. si era scoperto come scambiare questi angoli tra loro in modo da dedurre le formule valide per il triangolo che si otteneva dalla corrispondenza tra poli e polari. In realtà, il fatto che la geometria sferica fosse ben nota contribuì a rendere problematica per Legendre la questione del postulato delle parallele: nella geometria sferica le lunghezze dei lati di un triangolo, e quindi le sue dimensioni, sono determinate dagli angoli, cioè dalla forma del triangolo, e questo fece apparire speciosi gli argomenti che Legendre propose riguardo al postulato delle parallele.
Per gli storici un elemento di notevole importanza è rappresentato dal fatto che la geometria sferica non fu considerata all'epoca come il primo esempio di geometria non euclidea. Questo avvenne perché, pur non verificando il postulato delle parallele, in quanto due cerchi massimi si incontrano sempre, questa geometria non verifica neppure un'altra delle ipotesi euclidee, e cioè che qualsiasi segmento possa essere prolungato indefinitamente. La ragione addotta dai matematici che cercavano di difendere l'unicità della geometria euclidea era, tuttavia, che la geometria sferica non fosse plausibile da un punto di vista fisico. La possibilità di una geometria non euclidea era considerata una questione che riguardava la natura dello spazio e quindi quasi un problema filosofico nell'ambito della matematica applicata.
Negli anni Trenta iniziò il declino della scuola geometrica francese. Come Poncelet, anche se con un'impostazione meno originale, gli esponenti di questa scuola avevano preferito i metodi sintetici a quelli offerti dall'algebra. Ciò non costituiva un problema nel caso delle coniche nel piano o in quello delle quadriche nello spazio tridimensionale ma, quando si passava allo studio di curve e superfici più complicate, al metodo sintetico si presentavano seri impedimenti. Anche nel XVIII sec., infatti, i maggiori progressi della geometria erano stati compiuti facendo uso di metodi algebrici. Möbius era uno dei tanti matematici tedeschi che non esitavano a utilizzare l'algebra per lo studio della geometria e, più o meno in modo indipendente, arrivò all'idea di spazio proiettivo, dandone una descrizione in termini di coordinate. Egli elaborò un sistema di coordinate baricentriche nel quale, scelto un triangolo, si assegnavano pesi positivi o negativi ai suoi vertici. Il baricentro del triangolo è determinato dai pesi assegnati e, viceversa, ogni punto del piano è il baricentro di un'unica terna di pesi (a meno di un multiplo comune). Möbius riuscì a dare una semplice descrizione algebrica della geometria proiettiva che era una generalizzazione immediata e naturale delle coordinate cartesiane risultando quindi facile da usare e da estendere alle dimensioni superiori e allo studio di curve più complicate.
Come Carl Friedrich Gauss (1777-1855) e Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846), anche Möbius era uno dei matematici tedeschi impiegati come astronomi. L'astronomia era all'epoca una professione altamente considerata e la Germania un paese all'avanguardia in questo settore, principalmente grazie ai progressi nella produzione di lenti, ambito in cui Joseph von Fraunhofer (1787-1826) svolse un ruolo pioneristico. Assorbito dal suo lavoro di astronomo e a causa del suo carattere schivo, Möbius fu messo in ombra, come geometra, da Julius Plücker (1801-1868), che scrisse i due libri più influenti del periodo. Con questi lavori, il primo sulle cubiche e il secondo sulle quartiche, i matematici entrarono in un nuovo regno in cui la geometria algebrica si mostrava realmente originale e profonda.
Lo studio delle curve richiede necessariamente la conoscenza dei modi in cui queste sono definite e, di fatto, è possibile definire una curva in molti modi. Anche René Descartes aveva distinto le curve in geometriche e non. Le prime, nella sua concezione, potevano essere tracciate da qualche macchina complicata, mentre le altre erano dette 'meccaniche' e richiedevano, nelle loro definizione, il concetto di movimento. Nel corso del XVIII sec. le curve geometriche preferite da Descartes divennero le cosiddette 'curve algebriche', definite da un'equazione polinomiale in due variabili, mentre le altre, situate oltre i confini del dominio dell'algebra, furono chiamate 'trascendenti'. Questo non significava, tuttavia, che le curve trascendenti non fossero considerate argomento della geometria e infatti una delle più semplici tra queste, la cicloide, fu oggetto di numerose e importanti ricerche. Questa curva è generata dal movimento di un punto di un cerchio che rotola senza strisciare lungo una linea retta. Isaac Newton, in una delle sue molte polemiche contro Descartes, l'aveva apprezzata per la semplicità della definizione. In seguito altri matematici scoprirono che era spesso più semplice applicare il calcolo a curve meccaniche che non a curve definite da complicati polinomi.
Ciò che distingueva le curve algebriche dalle altre non era la semplicità della loro definizione, ma la facilità con la quale esse potevano essere create. Un matematico doveva semplicemente scrivere un'equazione, verificare che era di fatto soddisfatta da qualche punto nel piano, e aveva ottenuto una curva. Altre caratteristiche della teoria delle curve algebriche emersero rapidamente come conseguenza della loro definizione per mezzo di polinomi. Una curva di grado m interseca una retta in, al massimo, m punti e questo risultato si generalizza con quello che è ora conosciuto come teorema di Bézout, il quale afferma ‒ ed è una caratteristica della geometria algebrica che si possano contare gli oggetti che essa studia ‒ che due curve algebriche, di grado m e n rispettivamente, si incontrano in mn punti. Del teorema di Bézout furono date molte dimostrazioni ed esso si rivelò gradualmente un risultato basilare della teoria.
Un altro notevole risultato di geometria algebrica era stato scoperto da Newton che lo pubblicò in un'appendice dell'Opticks del 1704. Dopo aver enumerato le differenti curve piane definite da equazioni cubiche (elencandone 78 tipi e omettendone altri 6 che non riuscì a individuare) Newton presentava senza alcuna spiegazione la straordinaria osservazione che queste curve proiettavano soltanto cinque diversi tipi di ombra. In seguito numerosi matematici raccolsero la sfida di spiegare il senso di questa affermazione, ma mentre Jean-Paul de Gua mantenne questo approccio proiettivo, autori più influenti come Gabriel Cramer e Leonhard Euler lo abbandonarono.
Dopo gli anni Sessanta del XVIII sec., la geometria algebrica attraversò un periodo di stagnazione che ebbe termine con l'entrata in scena di Plücker. In Analytisch-geometrische Entwicklungen (Sviluppi analitico-geometrici), in due volumi (1828, 1831), egli studiava da un punto di vista proiettivo la geometria piana delle coniche con tecniche algebriche simili a quelle adottate da Möbius. La reale potenza di questo metodo venne però in luce soltanto nei suoi libri del 1835, System der analytischen Geometrie (Sistema di geometria analitica) sulle curve cubiche, nel quale veniva presentata una loro nuova classificazione diversa da quella di Newton, e del 1839, Theorie der algebraischen Kurven (Teoria delle curve algebriche), non meno importante, sulle curve di grado 4. Plücker risolse un noto paradosso che appariva un'inevitabile conseguenza del principio di dualità. Secondo tale principio si può sostituire un punto con una linea retta e, quindi, l'insieme dei punti di una curva con un insieme di rette che determinano così, con il loro inviluppo, una nuova curva detta duale. Se la prima curva è algebrica, risulta algebrica anche la curva duale e ci si può quindi chiedere se esista una relazione tra i gradi delle due curve. La curva duale di una conica, curva di grado 2, è ancora una conica, ma con le curve di grado 3 e 4, si ottengono curve di grado, rispettivamente, 6 e 12. In generale da una curva di grado n si ottiene, per dualità, una curva di grado n(n−1). Tuttavia, la curva duale della duale è, punto per punto, la curva di partenza e il paradosso risulta dal fatto che il suo grado deve essere ancora n e non n(n−1)[n(n−1)−1]. Plücker intuì che un punto singolare di una curva abbassa il grado della duale. Un punto doppio lo abbassa di 2, una cuspide di 3 e quindi, se una curva di grado n ha d punti doppi e r cuspidi, il grado della duale è k=n(n−1)−2d−3r.
Questa formula, detta prima formula di Plücker, va interpretata dopo aver ricordato che egli, nel 1829, aveva generalizzato il concetto di polare a curve algebriche arbitrarie. Preso un punto P, si considera la polare alla curva data rispetto a esso. Questa è una curva di grado n−1 e incontra la curva iniziale in n(n−1) punti. Le rette condotte da questi punti a P sono tangenti alla curva. Se però la curva ha punti doppi e cuspidi, la polare passa due volte per ogni punto doppio e tre volte per ogni cuspide, da cui la formula precedente. Si può tracciare un'altra curva che passa per i punti di flesso della curva data e un argomento più complicato dimostra che essa passa anche per i punti singolari. Si ottiene così una seconda formula di Plücker: ϱ=3n(n−2)−6d−8r.
Passiamo ora a illustrare il significato di queste formule. La retta duale di un punto doppio (detta 'bitangente') tocca la curva duale in due punti distinti, e la retta duale di una cuspide ha un contatto triplo con la curva duale (tangente di flesso). Nel caso di una curva cubica non singolare, la sua duale avrà grado k=6, e un certo numero di cuspidi, diciamo ϱ, che provengono dai punti di flesso della curva originale. La duale della duale, che essendo la curva di partenza ha grado 3, deve pure avere grado 30−3ϱ, e quindi ϱ=9. Si riottiene in tal modo un risultato di Colin Maclaurin, secondo il quale una cubica ha nove punti di flesso. Plücker riuscì a dimostrare che essi giacciono in gruppi di 3 su 9 rette, con 3 rette per ogni punto e, inoltre, che al massimo 3 punti di flesso sono reali.
Per una quartica non singolare, invece, si otterrà una curva duale di grado 12, con un certo numero di punti doppi e di cuspidi, diciamo rispettivamente δ e ϱ. Per un ragionamento analogo al precedente deve risultare 132−2δ−3ϱ=4, tuttavia per la seconda formula di Plücker, ϱ=24 e quindi δ=28: la quartica ha quindi 28 bitangenti. Plücker mostrò che esse potevano essere tutte reali e diede inizio a una lunga serie di studi su tali configurazioni.
Nel 1846 Plücker abbandonò la ricerca in geometria algebrica e intraprese con successo la carriera di fisico sperimentale, studiando le proprietà spettrali e magnetiche di gas e cristalli e scoprendo, prima di Robert Bunsen (1811-1899) e Gustav Robert Kirchhoff (1824-1887), le prime tre righe dello spettro dell'idrogeno. Per i suoi meriti scientifici la Royal Society gli conferì la medaglia Copley. Nel 1864, però, Plücker ritornò alla matematica pura, forse influenzato in questa decisione, come è stato scritto talvolta, dalla morte, avvenuta l'anno prima, dell'irascibile Jacob Steiner (1796-1863). Grande e profondo sostenitore dei metodi sintetici Steiner aveva l'irritante abitudine di annunciare risultati senza dimostrazione. Alcuni di questi si erano rivelati scorretti, così come accadde ad alcuni risultati e metodi di Plücker che erano stati sostituiti da altri più rigorosi, dovuti principalmente al matematico di Königsberg, Ludwig Otto Hesse (1811-1874). Nel 1866 Plücker, affiancato dal giovane Felix Klein che aveva già messo in luce il suo precoce talento, iniziò a esaminare le conseguenze derivanti dal considerare lo spazio tridimensionale costituito da rette. Egli aveva mostrato come una retta nello spazio possa essere descritta da 4 coordinate. L'insieme di tutte le rette dello spazio è quindi a 4 dimensioni e da questo segue il sorprendente risultato che uno stesso spazio possa avere una dimensione, se lo si pensa formato da punti, e un'altra se lo si pensa formato da rette. Questa scoperta fu ritenuta molto importante dall'educatore Rudolf Steiner, ed essa rimane ancora oggi un punto importante del pensiero steineriano. Plücker morì nel 1868, l'anno in cui fu pubblicato il primo volume del suo lavoro sulla geometria delle rette, tuttavia Klein, che aveva avuto con lui lunghe conversazioni, era in possesso di un numero sufficiente di suoi manoscritti per realizzare, con l'aiuto di Alfred Clebsch (1833-1872), un secondo volume che apparve nel 1869. Clebsch, che aveva studiato con Hesse a Königsberg, aveva cominciato a radunare intorno a sé giovani matematici dando vita a Gottinga a una scuola di geometria proiettiva algebrica. Con Carl Gottfried Neumann (1832-1925), fondò una nuova rivista, i "Matematische Annalen", che dava spazio alla geometria (a Berlino si preferiva l'analisi) e offriva a matematici stranieri la possibilità di raggiungere un pubblico tedesco. Prima di prendere in esame l'opera di Klein e di Clebsch si deve, tuttavia, considerare lo studio delle superfici algebriche.
Una superficie algebrica nello spazio è definita da un'equazione polinomiale in tre variabili. Gli esempi meglio studiati nel corso della prima metà del XIX sec. furono le superfici quadriche, definite da equazioni di secondo grado, che sono la naturale generalizzazione delle sezioni coniche nel piano. Il primo significativo passo oltre le quadriche fu probabilmente compiuto dal giovane matematico inglese Arthur Cayley (1821-1895), il quale, nel 1847, scoprì che una superficie cubica generica contiene un numero finito di linee rette. Cayley comunicò questa scoperta al suo amico irlandese George Salmon (1819-1904) il quale mostrò ben presto che in generale tali rette sono 27. Questo risultato sorprendente richiamò l'attenzione dei matematici in molti paesi; il numero 27 non è così grande da precludere il tentativo di visualizzare la disposizione delle rette. Cayley, d'altra parte, aveva mostrato che tali rette potevano essere tutte reali.
Le loro complesse relazioni furono descritte in molti modi tra i quali particolarmente interessante fu quello scoperto dal matematico svizzero Ludwig Schläfli (1814-1895), al quale Steiner aveva proposto il problema. Nella sua descrizione egli introdusse una particolare configurazione di rette: 'il doppio sei', formato da due insiemi di sei rette ciascuno e tali che una retta di un insieme intersechi tutte quelle dell'altro tranne la sua corrispondente. Le configurazioni a doppio sei sono quindi 36. Altri risultati seguirono: Camille Jordan calcolò il gruppo di simmetria della configurazione di Schläfli, Clebsch trovò un'elegante descrizione in termini di coordinate delle rette e della loro superficie e Karl Friedrich Geiser scoprì una stretta connessione tra le 27 rette e le 28 bitangenti a una curva quartica piana.
Un'altra superficie molto studiata fu scoperta da Ernst Eduard Kummer (1810-1893) nello studio della geometria delle rette di Plücker. Egli stava utilizzando questa geometria nelle sue ricerche di ottica e scoprì una superficie quartica con 16 punti doppi, nell'intorno dei quali essa ha l'aspetto di un doppio cono. La superficie di Kummer risultò in relazione con la superficie d'onda di Fresnel, che il fisico francese aveva precedentemente scoperto nei suoi pioneristici studi sulla rifrazione. La confluenza degli interessi divenne ancora più profonda quando Cayley mostrò che la superficie di Kummer si presentava in modo naturale nello studio di un'importante e tuttavia piuttosto oscura classe di funzioni complesse: le funzioni theta in due variabili. In tal modo improvvisamente una superficie veniva a trovarsi al centro dell'interesse nell'ottica, nella geometria delle rette, nella geometria algebrica, nonché nella teoria delle funzioni di variabili complesse.
Inevitabilmente, dopo un periodo dedicato allo studio delle proprietà di singole superfici, i matematici avrebbero cercato di creare una teoria generale. In modo altrettanto inevitabile tale teoria si sarebbe basata su intuizioni tratte da una teoria generale delle curve. Pertanto, si rivolgerà ora l'attenzione al processo che condusse alla creazione di due contrapposte teorie delle curve.
La creazione della geometria proiettiva aveva permesso ai matematici di assumere che due rette nel piano abbiano sempre un punto in comune: in geometria proiettiva non esistono rette parallele. Più in generale, come si è visto, il teorema di Bézout afferma che due curve algebriche di grado rispettivamente m e n, si incontrano in mn punti. Questo risultato era una conseguenza di fatti di natura completamente algebrica: la coordinata x dei punti di intersezione delle due curve soddisfa infatti un'equazione di grado mn e il teorema di Bézout è pertanto conseguenza del teorema fondamentale dell'algebra. Naturalmente tale teorema richiede che si possano considerare soluzioni complesse, potrebbe quindi sembrare che i matematici della metà del XIX sec. accettassero l'idea che le curve possedessero punti complessi, cioè coppie di numeri complessi che soddisfano l'equazione della curva, in perfetta analogia con la familiare geometria cartesiana reale.
Stranamente, non sembra che le cose siano andate in questo modo. Ancora nel 1879 Cayley lamentava che una tale teoria, che egli pensava essere certamente ben nota, non fosse esposta in alcuna opera pubblicata. Ciò che si poteva trovare, per esempio nel libro del 1839 di Plücker, era una teoria che interpretava i numeri complessi in termini di involuzioni reali (trasformazioni che coincidono con la propria inversa) prive di punti fissi reali. Il primo a padroneggiare le possibilità offerte dall'uso dei numeri complessi, benché non nel modo ingenuo prefigurato da Cayley, fu infatti Georg Friedrich Bernhard Riemann (1826-1866), il matematico la cui opera avrebbe trasformato in larga parte la matematica della seconda metà dell'Ottocento.
Riemann, nella sua tesi del 1851, Grundlagen für eine allgemeine Theorie der Functionen einer veränderlichen complexen Grösse (Fondamenti per una teoria generale di una quantità complessa variabile), e nel lavoro più facilmente accessibile del 1857, Theorie der Abelschen Functionen (Teoria delle funzioni di Abel), aveva sistematicamente interpretato un'equazione polinomiale in due variabili come equazione di due variabili complesse, così come Cayley in un certo senso auspicava. Riemann andò però oltre in molti aspetti della questione. Anzitutto osservò che un'equazione della forma F(z,w)=0, di grado n in z e m in w, definisce una superficie e in particolare una superficie che si applica sulla sfera complessa, in modo che quasi ogni punto z della sfera si trovi sotto m punti (z,w) della superficie. Egli inoltre cercò di rappresentare la superficie senza immergerla nel piano complesso, pur mostrando che tale immersione si poteva realizzare in molti modi.
Le idee di Riemann suscitarono reazioni diverse. Tra i geometri, Clebsch era in parte favorevole ad accettarle e a estenderle, ma con la sua morte prematura nel 1872, all'età di 39 anni, la guida della scuola passò ad Alexander Wilhelm von Brill (1842-1935) e a Max Noether (1844-1921), che avevano una decisa propensione per l'algebra. Nel 1873 essi proposero una teoria completamente algebrica nella quale intendevano riformulare tutte le conquiste di Riemann in un modo che essi giudicavano sufficientemente chiaro e rigoroso. Nel loro approccio un'equazione polinomiale definiva una curva nel piano e conseguentemente essi furono costretti a prendere in considerazione tutti i tipi di singolarità che una curva piana può avere, ignorando l'idea di Riemann di studiare la curva dal punto di vista intrinseco e poi le sue possibili immersioni. Le difficoltà per una completa comprensione dei punti singolari non sarebbero state del tutto risolte prima degli anni Trenta del XX secolo.
La differenza più rilevante tra l'impostazione di Riemann e quella di Brill e Noether riguardava la definizione di genere di una curva algebrica, un concetto introdotto da Riemann ma sfruttato per la prima volta da Clebsch. Nella teoria di Riemann, data quella che oggi si chiamerebbe una superficie di Riemann, è necessario mostrare che essa ammette funzioni analitiche a un solo valore. A tal fine Riemann mostrava che sulla superficie possono essere tracciate 2p curve in modo che due punti qualsiasi possano essere collegati da un cammino che non incontra alcuna delle curve; ma che questa proprietà di connessione non può essere mantenuta per alcun insieme di 2p+1 curve. Il numero p è detto 'genere della superficie' e se questa viene tagliata lungo le 2p curve essa appare come un poligono con 4p lati curvi.
Riemann aveva in seguito mostrato, applicando il principio di Dirichlet, che la superficie ammette anche p integrandi (1-forme) ovunque olomorfi e linearmente indipendenti. Integrando queste 1-forme si ottengono funzioni complesse definite sulla superficie, che sarebbe possibile anche ottenere per prolungamento analitico di funzioni definite localmente specificando i loro poli semplici, cioè un arbitrario insieme di m punti nei quali la funzione ha l'andamento di 1/z. Tali funzioni, tuttavia, possono non essere a un solo valore. Riemann riuscì comunque a mostrare che una superficie di Riemann ammette almeno m−p+1 funzioni a un solo valore linearmente indipendenti e quindi, in particolare, funzioni non costanti quando m>p.
Questa disuguaglianza fu precisata nel 1864 dal suo studente Gustav Roch, il quale mostrò che lo spazio delle funzioni a un solo valore su una superficie di Riemann ha dimensione m−p+1+r, dove r è la dimensione dello spazio delle 1-forme che si annullano in qualcuno o in tutti i punti in cui la funzione può avere dei poli.
Nella formulazione di Brill e Noether tutte queste informazioni vengono espresse in termini di curve nel piano che incontrano la curva data che si assume di grado n. C'è uno spazio di curve, dipendenti linearmente da un certo numero di parametri, che passano per un dato insieme di m punti della curva. La dimensione di questo spazio, che è il numero dei parametri liberi, è m−p+1+r, dove p è il genere e r è la dimensione dello spazio delle curve di grado n−3 che passano per ogni punto multiplo della curva il giusto numero di volte (j−1 volte per ogni punto j-uplo). Infine, il genere è ridefinito come (n−1)(n−2)/2−d−k, dove d è il numero di punti doppi e k è il numero delle cuspidi.
La chiarezza e il rigore dell'approccio di Brill e Noether si dovevano pagare però a caro prezzo. Esso era adeguato soltanto per le curve le cui sole singolarità fossero punti doppi o cuspidi: le cosiddette 'singolarità ordinarie'. Iniziò così un lavoro estenuante per dimostrare che gli altri casi si potevano ricondurre a questo. Fino a quando questo lavoro non fu concluso, la portata del concetto di genere rimase incerta. Il numero n−3 è dovuto a un formalismo per esprimere 1-forme olomorfe esplicitamente in termini dell'equazione della curva data, ma si avverte la mancanza di una chiara motivazione intuitiva. Ciononostante, poiché Riemann e Roch morirono entrambi nel 1866, e i pochi studenti di Riemann passarono ad altri argomenti, il futuro della teoria fu affidato alla formulazione di Brill e Noether. La sola concorrente, se così si può dire, fu la formulazione, data nel 1882 da Richard Dedekind e Heinrich Weber, di una teoria ancora più marcatamente algebrica.
Una trasformazione proiettiva non può chiaramente modificare un punto singolare e per semplificare le singolarità i geometri introdussero una classe di trasformazioni, chiamate 'trasformazioni birazionali', che sono in genere applicazioni biunivoche del piano in sé stesso, ma non sono ovunque definite, o meglio può accadere che l'immagine di certi punti sia una retta o che rette vengano trasformate in punti. Esse potevano essere utilizzate per mandare un punto doppio sulla retta all'infinito e i due rami della curva in un punto doppio in due curve che incontrano la retta all'infinito in due punti distinti, rimuovendo in questo modo il punto doppio. Similmente singolarità più complicate si sarebbero semplificate. Si poteva sperare di dimostrare che una curva qualunque poteva essere trasformata in una curva non singolare in uno spazio di dimensione superiore, tuttavia, se si richiedeva una curva piana, inevitabilmente sarebbero rimaste alcune singolarità; la questione più delicata divenne così quella di mostrare che le singolarità rimanenti erano soltanto quelle ordinarie. Allo stesso tempo si doveva anche mostrare, cosa che Clebsch realizzò nel 1863, che una trasformazione birazionale non alterava il genere di una curva. Più generali delle trasformazioni proiettive, ma ben lontane dalle generalità di quelle topologiche di Riemann, le trasformazioni birazionali erano lo strumento fondamentale della teoria, che si trasformò in larga misura nello studio delle proprietà birazionalmente invarianti delle curve e divenne nota come geometria birazionale.
Una reazione a queste tecniche venne dall'interno della scuola di Clebsch quando, negli anni Settanta, Klein iniziò a insistere per un approccio alla geometria più visivo e intuitivo e a richiedere per ogni problema matematico, se possibile, una formulazione in tale stile geometrico. Tra il 1880 e il 1882, quando si affacciò sulla scena il matematico francese Jules-Henri Poincaré, Klein fu spinto a lavorare a ritmi frenetici. Poincaré trasformò la teoria delle superfici di Riemann argomentando che esse si potevano tutte costruire con un metodo esattamente opposto a quello adottato da Riemann. Mentre quest'ultimo era partito dalla 'superficie di Riemann', tagliandola e ottenendo in questo modo un poligono con 4p lati, incollando poi questi a coppie, Poincaré iniziava con il poligono che, come sosteneva, esisteva o sulla sfera di Riemann, o nel piano complesso, oppure nel disco unitario, a seconda del genere della superficie di Riemann che avrebbe dovuto formare. Là esso veniva spostato globalmente, come una piastrella, senza cambiare forma o dimensioni, dall'azione di un gruppo di trasformazioni geometriche. Allo scopo, nel caso del disco unitario Poincaré introdusse una geometria non euclidea. Questo processo di pavimentazione della superficie forniva un accoppiamento dei lati che dava origine alla superficie di Riemann.
Sebbene molti dei dettagli della sua costruzione richiedessero dimostrazioni, la visione delle superfici di Riemann che Poincaré delineava convinse Klein, il quale, in un lungo scambio epistolare, stabilì con il matematico francese un rapporto in parte di collaborazione, in parte di competizione. Questo intenso periodo di ricerche stremò Klein che ebbe bisogno di un anno per riprendersi, e confessò che non sarebbe stato più in grado di lavorare efficacemente come matematico creativo. Il suo ruolo conseguentemente si trasformò in quello di grande divulgatore e organizzatore di ambiziosi progetti per i matematici più giovani che radunava intorno a sé. Dalla metà degli anni Novanta assunse la direzione dell'Istituto di matematica dell'Università di Gottinga, divenendo guida autorevole per i matematici del XX secolo. In quest'opera Klein sventolava con sempre maggior vigore il vessillo di Riemann, proponendosi come il continuatore della grande tradizione matematica di Gottinga che, da Gauss a Riemann conduceva se non a Klein stesso, almeno al gruppo di matematici che ora padroneggiavano la materia con pari maestria.
Riemann, facendo uso del principio di Dirichlet, si era servito abbondantemente della stretta analogia tra funzioni armoniche e funzioni analitiche. In questo spirito, Klein scrisse una magistrale esposizione delle parti elementari della teoria riemanniana delle funzioni algebriche su una superficie di Riemann, che presentava anche a lezione in questo modo. Klein arrivò a sostenere che Riemann era pervenuto alle sue idee grazie ad analogie con la fisica, benché quelli che avevano conosciuto personalmente Riemann dissentissero su questo punto. Klein mantenne ferme le sue convinzioni nonostante le violente critiche che a lungo gli furono mosse. All'inizio del XX sec. David Hilbert (1862-1943) si schierò in difesa di quella impostazione, seguito poi da un altro brillante matematico di Gottinga, Hermann Weyl (1885-1955), che se ne servì per ricondurre l'approccio di Riemann al suo aspetto originale, ma su basi più rigorose.
Come era prevedibile, un progresso analogo nella teoria della superfici algebriche era più difficile da conseguire. Clebsch aveva tentato di formulare una definizione del concetto di genere di una superficie e, ricalcando il caso relativo alle curve, aveva definito il genere di una superficie in funzione del suo grado, aggiungendo alcuni termini correttivi dovuti alla presenza di punti e curve singolari sulla superficie. Attraverso considerazioni di natura puramente formale, egli aveva poi identificato il numero ottenuto con il numero di integrandi linearmente indipendenti di integrali doppi che la superficie ammette. Cayley, che aveva studiato una classe di superfici, dette scrolls, per le quali tale numero poteva essere calcolato, mostrò che per molte di queste il numero di Clebsch risultava negativo, e non poteva essere quindi il numero di integrandi linearmente indipendenti. La formula di Clebsch venne allora utilizzata per definire quello che fu chiamato 'genere aritmetico', mentre al numero di integrandi linearmente indipendenti si attribuì il significato di genere geometrico. Dal momento che entrambi questi numeri si rivelarono birazionalmente invarianti, lo studio della geometria birazionale delle superfici poteva essere avviato, pur essendo chiaro che questa disciplina sarebbe stata molto più complicata rispetto a quella delle curve.
Un certo numero di tentativi finalizzati a estendere il teorema di Riemann-Roch alle superfici furono compiuti nel corso degli anni Ottanta del secolo da Noether e Giovanni Battista Guccia, che tuttavia ottennero soltanto risultati parziali. I progressi decisivi furono conseguiti dai matematici italiani negli anni compresi tra il 1890 e il 1914: inizialmente Corrado Segre mostrò come formulare la teoria delle curve algebriche in un modo veramente geometrico, il che consentì a due altri matematici italiani, Guido Castelnuovo e Federigo Enriques, di sviluppare un programma analogo per le superfici. In una serie di articoli essi infatti elaborarono una classificazione delle superfici algebriche in termini di vari invarianti birazionali, da loro introdotti. Nello stesso periodo, in Francia, Charles-Émile Picard (1856-1941) sviluppava la difficile generalizzazione della teoria riemanniana delle funzioni alle funzioni di variabili complesse su una superficie algebrica. I due approcci, nonostante fossero diversi, coglievano aspetti della materia complementari.
La geometria differenziale può essere definita come lo studio della geometria con gli strumenti del calcolo. Durante il XIX sec. l'oggetto di questa disciplina fu principalmente lo studio di curve e superfici nello spazio e benché un significativo ampliamento della materia fosse proposto nel 1854 da Riemann, gli sviluppi delle sue idee non si realizzarono pienamente prima del XX secolo.
Lo studio delle curve piane fu la maggiore fonte di ispirazione in queste ricerche e sarà quindi opportuno richiamarne i concetti fondamentali che possono esser fatti risalire al tempo di Newton. In genere una curva piana ha una tangente in ogni suo punto e una normale, la perpendicolare alla tangente e quindi alla curva. Così come la tangente è la retta che meglio approssima la curva in un determinato punto, esiste un cerchio, che ha il centro sulla normale, che approssima la curva in un suo punto meglio di ogni altro cerchio. Questo è detto 'cerchio osculatore della curva', mentre il suo centro e il suo raggio sono chiamati, rispettivamente, 'centro di curvatura' e 'raggio di curvatura'. La curvatura della curva in un suo punto è il reciproco del raggio di curvatura; per una linea retta la curvatura è zero, diversamente in un punto in cui la curva ha una deviazione molto accentuata da una retta la curvatura risulta grande. In termini fisici, se la curva è percorsa da un punto P che si muove a velocità costante, la tangente corrisponde alla direzione istantanea del moto in P e il cerchio di curvatura consente di fornire una misura dell'accelerazione in P. L'esperienza quotidiana della guida conferma la percezione della curvatura nei cambi di direzione: più è stretto il cerchio, maggiore è la curvatura. In termini analitici, la tangente riflette l'andamento della derivata prima della funzione che definisce la curva e la curvatura definisce quello della derivata seconda.
Lo studio di superfici che non appartenevano a famiglie speciali, come le quadriche, iniziò nel XVIII secolo. Le ricerche si basavano in gran parte sullo studio di curve sulle superfici. Per esempio, data una superficie, in generale essa ha in ogni punto P un piano tangente e una normale alla superficie in P. Si possono considerare i piani che contengono la normale e studiare le curve che essi tagliano sulla superficie. Per quasi tutte le superfici (la sfera costituisce un'eccezione) queste curve hanno in P una curvatura che varia, ma nel 1767 Euler mostrò che esistono due curve, che si incontrano perpendicolarmente in P, per le quali la curvatura assume i valori estremi. Questi costituiscono le curvature principali, e una curva che abbia in ogni punto della superficie una curvatura che sia principale è detta 'linea di curvatura della superficie'.
Euler mostrò anche che tra le curve che congiungono due punti, quella che genera una superficie di rivoluzione di area minima è una catenaria (la superficie corrispondente è detta 'catenoide'). Ciò ispirò nel 1760 Joseph-Louis Lagrange a formulare il problema di determinare la superficie di area minima, tra quelle con un determinato contorno, come un problema di calcolo delle variazioni. Egli mostrò che la funzione che definiva la superficie doveva soddisfare un'equazione alle derivate parziali. Nonostante la natura geometrica del problema, i metodi di Lagrange erano tipicamente analitici; tuttavia poco dopo il 1776 il giovane matematico francese Jean-Baptiste Meusnier de La Place fornì la prima caratterizzazione geometrica delle curve che generano superfici di area minima, dando inizio allo studio delle superfici minime: in un punto di tali superfici la media delle curvature principali (detta 'curvatura media') si annulla. Il lavoro di Meusnier fu in realtà pubblicato soltanto nel 1785, poco prima che egli morisse nel 1793 durante l'assedio di Mayenne da parte dei Prussiani. Il problema di risolvere l'equazione per la superficie minima con un dato contorno risultava particolarmente difficile e dovette attendere i matematici del XIX sec. per avere una soluzione. Prima di allora vi furono solamente scoperte isolate: si dimostrò, per esempio, che l'elicoide è l'unica superficie rigata che sia anche una superficie minima.
Maggiori progressi in ricerche di geometria differenziale si ottennero nella risoluzione di problemi di altra natura. Nel 1820 Carl Friedrich Gauss era impegnato nei rilevamenti topografici del territorio di Hannover. Egli affrontò con grande serietà questo compito, partecipando personalmente alle ricognizioni e ideando un teodolite per migliorare l'accuratezza del lavoro. In teoria, assegnata una lunghezza di riferimento, il problema era essenzialmente quello di ricoprire la regione con triangoli, misurare i loro angoli e quindi applicare la trigonometria elementare per calcolare le distanze tra i punti di osservazione. In pratica, invece, si ponevano due problemi fondamentali: gli errori di misurazione e il compito di adattarli alla superficie curva della Terra, la cui forma precisa era sconosciuta. Si poteva limitare l'effetto degli errori di misurazione nei calcoli utilizzando varie lunghezze di riferimento, ma il problema della forma della Terra era più serio. Gauss calcolò che con un'approssimazione fino alla quarta cifra significativa, si poteva assumere che la Terra fosse una sfera, invece di un ellissoide schiacciato. A poco a poco, elaborando i dati, giunse a ripensare i fondamenti della geometria differenziale.
La grande scoperta di Gauss, resa nota nel 1827, fu che il prodotto delle curvature principali in un punto può essere calcolato mediante misurazioni effettuate interamente sulla superficie; in altre parole questa quantità è intrinseca alla superficie. Se la superficie viene trasformata isometricamente in un'altra, i valori di questo prodotto in punti corrispondenti saranno gli stessi e ciò consente lo studio della geometria intrinseca della superficie indipendentemente da come essa è immersa nello spazio. Tale quantità si comporta quindi in maniera molto diversa dalle curvature principali e dalla curvatura media, che dipendono chiaramente dal modo in cui le curve sono situate nello spazio ambiente. Gauss fu colpito da questo risultato che chiamò theorema egregium e attualmente il prodotto delle curvature principali è noto come curvatura gaussiana. Con le ricerche effettuate da Gauss si apriva, di fatto, una prospettiva completamente nuova alla geometria differenziale.
Più precisamente, Gauss definì la sua misura di curvatura considerando dapprima la superficie immersa nello spazio tridimensionale. La normale in ciascun punto è diretta verso un punto sulla sfera celeste, definendo così un'applicazione, detta 'applicazione di Gauss', dalla superficie alla sfera. Gauss definì la curvatura gaussiana in un punto P come il limite
dove S è una piccola regione intorno al punto P, e S′ è la sua immagine secondo l'applicazione di Gauss. Egli mostrò poi che il valore della curvatura in un punto era sempre dato dal prodotto dei raggi di curvatura estremanti.
Si può facilmente evincere che l'applicazione di Gauss trasforma un piano in un punto e che, di conseguenza, un piano ha curvatura gaussiana uguale a zero. Anche un cilindro ha curvatura nulla, in quanto l'applicazione di Gauss lo trasforma in una linea: in effetti, queste due superfici sono localmente isometriche. La curvatura gaussiana di una sfera di raggio R risulta essere uguale a 1/R2 e regioni a forma di sella hanno una curvatura negativa. Gauss aveva precedentemente studiato il problema di stabilire condizioni che rendessero conforme un'applicazione di una superficie sul piano: un'applicazione conforme infatti conserva gli angoli ed è una proprietà auspicabile per le mappe usate negli atlanti. Nel suo lavoro, che nel 1822 vinse il premio della Det Kongelige Danske Videnskabernes Selskab (Reale Accademia Danese delle Scienze), egli mostrava che su una superficie si può sempre introdurre un sistema di coordinate (u,v) per il quale una funzione F(u,v)=(g(u,v); h(u,v)) a valori nel piano, sia conforme se e soltanto se le sue componenti g e h verificano una determinata condizione.
Questa condizione è stata in seguito considerata da alcuni studiosi equivalente alla richiesta che la funzione F sia una funzione della variabile complessa u+iv. Matematicamente tale interpretazione risulta corretta, ma Gauss non la esplicitò se non circa venti anni dopo, e soltanto nei suoi appunti. L'onore di aver messo in luce la relazione tra le applicazioni conformi e la teoria delle funzioni di variabili complesse, spetta dunque al matematico francese Joseph Liouville (1809-1882) che nel 1843 trattò l'argomento forse in modo più esplicito. Nel 1860 un altro matematico francese, Pierre-Ossian Bonnet (1819-1892), mostrò che, nel caso di una superficie minima, l'applicazione di Gauss è conforme.
Verso la fine degli anni Quaranta del secolo, Riemann apprese, parlando con Gauss, che una funzione complessa è conforme se la sua derivata non si annulla. In seguito Riemann considerò il carattere conforme di una funzione complessa come una delle sue proprietà fondamentali; le equazioni di Cauchy-Riemann sono un'evidente testimonianza di questo punto di vista. Dopo le ricerche di Riemann, il passaggio da applicazioni conformi a funzioni complesse fu per i matematici un fatto scontato. Egli scoprì anche la sorprendente connessione tra funzioni complesse e superfici minime. Negli appunti che rimasero inediti prima della sua morte, Riemann mostrava che ogni funzione complessa può essere considerata come l'applicazione di Gauss di una superficie minima. Egli, tuttavia, riuscì a trovare soluzioni esplicite soltanto per casi particolari, come, per esempio, famiglie di cerchi posti su piani paralleli.
Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897) arrivò indipendentemente alle stesse conclusioni, sfruttando formule precedentemente ottenute da Alfred Enneper (1830-1885) in modo formale. Le equazioni di Weierstrass-Enneper sono ancora oggi lo strumento basilare per scoprire superfici minime. Esse pongono però due problemi: è difficile adattarle a un dato contorno e non garantiscono che la superficie che individuano sia priva di autointersezioni. Hermann Amandus Schwarz (1843-1921), il più stretto collaboratore di Weierstrass, riuscì comunque a far progredire notevolmente la ricerca in questo settore ben oltre l'accumulazione di esempi ad hoc. Egli, come ci si aspetta da un matematico così vicino a Weierstrass, mostrò che la stessa idea di area di una superficie non era ben chiara.
Riemann nella sua Habilitationsschrift del 1854 aveva portato la geometria differenziale oltre il dominio delle curve e superfici nello spazio. Egli sosteneva infatti che la geometria fosse lo studio delle grandezze, che andavano concepite come n-dimensionali, descritte da n-uple di numeri, in analogia con le coppie di numeri che rappresentano punti del piano. Data una tale varietà n-dimensionale, ovvero un insieme di punti così definiti, era possibile sviluppare la geometria di tale varietà, non appena si fosse introdotto un concetto di distanza tra i punti. A tal fine si richiedeva la possibilità di misurare lunghezze infinitesimali e di integrarle lungo le curve, esattamente nello stesso modo in cui i matematici erano abituati a operare nel contesto familiare delle superfici. Il formalismo così introdotto è una metrica o, nel linguaggio usato nel XIX sec., un 'elemento di linea'. L'introduzione di una metrica consente di definire le geodetiche, vale a dire le curve di lunghezza minima tra due punti. Tali curve generalizzano il concetto di linea retta che è infatti una geodetica nel piano euclideo.
Le radicali implicazioni della concezione di Riemann erano profonde ed esplicite. Una proprietà risultava geometrica, secondo la definizione di Riemann, se era intrinseca e definita attraverso la metrica. L'esempio classico era la curvatura gaussiana e Riemann descriveva tre tipi di superfici con curvatura gaussiana costante. Egli ammetteva anche geometrie su superfici con curvatura variabile, su spazi di tre o più dimensioni e anche, egli lasciò intuire, su spazi di dimensione infinita. Inoltre, la geometria della superficie, essendo intrinseca, era indipendente dalle immersioni della superficie in un altro spazio e poteva quindi essere studiata con profitto, senza riferimento ad alcuna immersione.
Tutto ciò aveva una diretta rilevanza per lo studio della geometria non euclidea, alla quale Riemann alludeva soltanto. I tre tipi di superfici con curvatura gaussiana costante sono: la sfera di raggio R, che ha curvatura 1/R2, il piano, che ha curvatura zero, e un oggetto elusivo che avrebbe dovuto avere curvatura negativa (la pseudosfera). I matematici avevano già familiarità con porzioni di una tale superficie, che può essere ottenuta come superficie di rotazione. Questa era però considerata un modello insoddisfacente, in particolare perché una sua geodetica può intersecare sé stessa e perché esistono curve chiuse sulla superficie, come su un cilindro, che non possono contrarsi in un punto. A causa di queste e altre difficoltà di simile natura, non era mai stata scoperta una superficie completa con curvatura gaussiana costante e negativa. Era chiaro, tuttavia, che se una tale superficie fosse esistita, i suoi triangoli sarebbero stati correttamente descritti dalla trigonometria iperbolica.
Riemann sembrava suggerire che il problema non era che la superficie non esistesse, ma che potesse non essere immersa isometricamente nello spazio euclideo tridimensionale (Tav. II). Nel 1868 il matematico italiano Eugenio Beltrami riuscì a costruire una tale superficie e nel 1901 Hilbert mostrò che non poteva essere immersa nello spazio a tre dimensioni. Era invece già noto che la superficie poteva essere immersa nello spazio a cinque dimensioni. È un fatto sorprendente che negli ultimi decenni dell'Ottocento siano state piuttosto poche le ricerche di geometria differenziale intraprese secondo lo spirito riemanniano.
Dopo la morte di Riemann nel 1866, Rudolf Otto Sigismund Lipschitz e Elwin Bruno Christoffel, indipendentemente l'uno dall'altro, dimostrarono come estendere il formalismo di Riemann, ben compreso soltanto per le superfici, alle varietà n-dimensionali.
Un'idea della complessità che ciò comporta può essere fornita dal fatto che la curvatura gaussiana si generalizza in un oggetto a tre componenti, nel caso di una varietà tridimensionale, e a n(n−1)/2 componenti, in quello di una varietà n-dimensionale. La ricerca di un sistema di coordinate che faciliti il calcolo di tali quantità risulta spesso laboriosa e si deve inoltre disporre di formule che ne esprimano la trasformazione dopo un cambio di coordinate. Lipschitz stabilì anche che meccanica e teoria del potenziale potevano essere sviluppate in questo contesto più generale. D'altra parte, come è stato recentemente messo in evidenza, numerosi matematici mostrarono che la formulazione hamiltoniana o lagrangiana della meccanica portava a equazioni per l'evoluzione di un sistema di masse puntiformi, le quali potevano essere interpretate come equazioni di una geodetica nello spazio delle fasi del sistema.
Sembra invece che non ci siano stati tentativi di sviluppare una teoria analoga a quella delle superfici per le varietà tridimensionali, con la conseguente ricerca di oggetti geometrici corrispondenti a superfici interessanti.
Nel 1867 fu pubblicata l'Habilitationsschrift di Riemann. La lettura di quest'opera rafforzò le convinzioni di Beltrami, il quale l'anno successivo diede alle stampe una sua ricerca sulla geometria non euclidea. Tale lavoro, nel quale lo spazio non euclideo è descritto essenzialmente nei termini di una rappresentazione all'interno di un disco, contribuì in maniera determinante ad accrescere l'interesse per le geometrie non euclidee. Dopo l'affermazione delle idee di Riemann e la diffusione del pensiero di Gauss sulla geometria non euclidea, questa diventava per i matematici un campo di ricerca particolarmente attraente.
Le conseguenze della scoperta della geometria non euclidea rivestono certamente una grande importanza. Una volta riconosciuta la possibilità logica di due geometrie, decidere quale sia quella effettivamente 'vera', diventa un problema sperimentale. Molte parti della fisica dell'Ottocento dipendevano dalla geometria e venivano quindi messe in discussione, anche se nessuno dubitava che lo spazio fosse o euclideo o almeno praticamente tale, eccetto forse per quanto riguardava la scala astronomica. La situazione era anche più grave per la matematica che per oltre due millenni aveva rivendicato la possibilità di dedurre, per mezzo del pensiero puro, verità sul mondo esterno. Tale pretesa cominciava ora a vacillare e forse la si sarebbe dovuta restringere ai domini dell'aritmetica e di quella che János Bólyai (1802-1860) aveva denominato 'geometria assoluta'. Il colpo era stato comunque inferto e la geometria non era più considerata in grado di fornire una conoscenza logicamente incontrovertibile sullo spazio. La fiducia che i matematici vi avevano lungamente riposto appariva adesso ingiustificata e quasi scandalosa. Iniziò così, negli anni Ottanta del secolo, un profondo lavoro di rifondazione della geometria.
È ragionevole domandarsi se non ci sia stata qualche causa nascosta che possa chiarire perché una tale rivoluzione concettuale si sia verificata a partire dagli anni Trenta con i lavori di Lobačevskij, Bólyai e dello stesso Gauss. Qualunque sia questa causa, è però certo che i matematici diedero presto avvio alla loro opera di ricostruzione. Il testo, molto chiaro, del Programma di Erlangen, enunciato da Christian Felix Klein nel 1872, è spesso considerato un contributo decisivo per la rifondazione della geometria e, tradotto in molte lingue, ebbe negli anni Novanta un'ampia diffusione. L'idea centrale del Programma è che esistano diverse geometrie (vale a dire le geometrie proiettiva, affine, euclidea e non euclidea), ciascuna caratterizzata da un proprio gruppo di trasformazioni: le proprietà di una geometria sono quelle invarianti rispetto all'azione del gruppo che le corrisponde. A causa delle relazioni tra i gruppi, c'è però una gerarchia tra queste geometrie.
La geometria fondamentale è quella proiettiva, mentre quella non euclidea si ottiene considerando i punti situati all'interno di una data conica arbitraria e il sottogruppo delle trasformazioni proiettive che trasformano la conica in sé. La geometria affine piana si ottiene eliminando una retta dal piano proiettivo e considerando soltanto le trasformazioni proiettive che trasformano quella retta in sé. La geometria euclidea è associata con una conica degenere.
Una fonte per queste idee fu un articolo di Arthur Cayley (1821-1895) nel quale egli illustrava la relazione tra la geometria euclidea e quella proiettiva. Klein intuì due concetti che erano sfuggiti a Cayley. Per prima cosa egli comprese che si poteva analogamente mettere in relazione la geometria non euclidea con quella proiettiva e, di fatto, in modo anzi forse più semplice e profondo. In secondo luogo egli osservò che erano i diversi gruppi che consentivano di parlare di proprietà differenti, fossero esse proiettive, non euclidee, affini o euclidee. Klein descrisse inizialmente la geometria non euclidea che risultava dalla sua impostazione in 2 dimensioni e passò poi al caso di n dimensioni. Nel suo modello di piano non euclideo le linee rette apparivano effettivamente come porzioni di retta all'interno della conica fondamentale, ma quando Klein sviluppò i dettagli della metrica, scoprì che la sua geometria concordava con la descrizione di Beltrami. Tale risultato costituì un ulteriore importante passo verso l'accettazione della geometria non euclidea.
Nonostante l'attenzione che gli hanno riservato gli storici, il Programma di Erlangen non ebbe grande influenza negli anni Settanta. Pubblicato in occasione della nomina a professore ordinario di Klein, alla stupefacente età di soli 23 anni, il testo ebbe una distribuzione limitata ai partecipanti alla lezione inaugurale e fu forse inviato a pochi amici e a qualche biblioteca universitaria. I suoi argomenti non furono neppure l'oggetto della lezione inaugurale, che diversamente riguardò il tema dell'insegnamento matematico. L'idea che la geometria non euclidea fosse subordinata a quella proiettiva era comunque evidente in due articoli che Klein scrisse nel 1871 e nel 1873. Egli non dimenticò mai la potenza concettuale che la combinazione di geometria e teoria dei gruppi offriva, tuttavia non svolse molte ricerche ispirate a questa concezione fino agli anni Ottanta, quando comparve sulla scena Poincaré.
Il giovane matematico aveva appena completato il suo dottorato, presentando una tesi sulle equazioni alle derivate parziali, quando l'Académie des Sciences di Parigi bandì un concorso sulle equazioni differenziali lineari nel dominio complesso. Poincaré raccolse la sfida e presentò un saggio nel quale prendeva in esame e rielaborava alcune idee recenti del tedesco Immanuel Lazarus Fuchs (1833-1902), un esperto della materia.
Poincaré, che era stato tra i più brillanti allievi dell'École Polytechnique, si trovava allora a Caen, presso l'École des Mines. Un giorno, durante una gita in campagna, mentre passava per Coutances, a bordo di un bus, comprese che le trasformazioni che stava utilizzando allo scopo di studiare il lavoro di Fuchs, erano esattamente quelle della geometria non euclidea ‒ sono parole sue, riprese quasi alla lettera da una sua successiva rievocazione dell'episodio del 1909.
Egli aveva concluso l'articolo per il concorso considerando alcuni triangoli e le loro successive immagini sotto l'azione di una funzione ottenuta da un'equazione differenziale e ora si rendeva conto di aver già studiato figure di questo tipo: esse erano quelle del modello di Beltrami-Klein della geometria non euclidea. Meglio ancora, nel suo saggio egli aveva inizialmente considerato all'interno di un disco triangoli che avevano per lati archi di cerchio perpendicolari alla frontiera del disco. Le trasformazioni di questi triangoli preservavano gli angoli, ossia erano conformi. Per verificare che tali triangoli godessero di alcune proprietà, Poincaré li aveva poi sostituiti con triangoli i cui lati erano segmenti rettilinei. Il procedimento inverso trasformava però il modello di Beltrami-Klein in un modello conforme, che era per molti aspetti più semplice da studiare. Poiché, come egli sosteneva, "la geometria non è altro che lo studio di un gruppo", poteva ora concepire le trasformazioni dei triangoli, nel suo problema sulle equazioni differenziali, come trasformazioni della geometria non euclidea.
Queste notevoli scoperte furono sviluppate in tre supplementi al suo saggio, pubblicati soltanto nel 1997, e successivamente divulgate in una serie di articoli apparsi tra il 1881 e il 1884. In questi scritti Poincaré creava una branca completamente nuova della matematica, nella quale venivano a fondersi in modo unitario geometria non euclidea, teoria dei gruppi e teoria delle funzioni di una variabile complessa. Poincaré affermava correttamente, senza tuttavia fornire una dimostrazione adeguata, che ogni superficie di Riemann, eccetto quelle di genere 0 o 1, si poteva costruire in modo nuovo, partendo da pavimentazioni del disco non euclideo.
A distanza di più di un secolo tale risultato inaspettato può apparire meno sorprendente. Il piano può essere ricoperto da copie congruenti di un parallelogramma spostato da traslazioni. A ogni traslazione i lati della piastrella fondamentale si trovano a combaciare con quelli delle altre sue immagini traslate adiacenti. Si stabilisce dunque un'equivalenza tra coppie di lati dei vari parallelogrammi che permette, dopo vari avvolgimenti e incollamenti, di costruire la superficie di un toro. Riemann era invece partito dalla curva algebrica corrispondente al toro e, dopo averla tagliata, aveva ottenuto un parallelogramma. Egli era ben consapevole che con esso si poteva ricoprire l'intero piano complesso, tuttavia quando era passato al caso di una curva algebrica, o di una superficie di Riemann di genere superiore, ottenendo dopo i tagli un poligono con 4p lati, non si era domandato cosa sarebbe accaduto utilizzandolo come piastrella per tassellare il piano.
Tra i vari risultati raggiunti da Poincaré troviamo l'affermazione che quando p è maggiore di 1, il poligono può essere spostato in modo tale da ricoprire il disco non euclideo, e gli spostamenti della piastrella fondamentale possono essere pensati come trasformazioni che conservano le lunghezze nella geometria non euclidea.
I frutti di questa intuizione furono notevoli per la teoria delle funzioni di una variabile complessa. Inoltre, sfruttando la geometria non euclidea in modo tanto proficuo, in una branca della matematica di così alto livello come era quella della teoria delle equazioni differenziali, Poincaré contribuiva a dare credito alla nuova geometria. Ora, come la geometria euclidea era messa in relazione con la teoria delle funzioni ellittiche, la geometria non euclidea svolgeva un ruolo analogo rispetto al territorio, peraltro ancora largamente inesplorato, che andava oltre le funzioni ellittiche. Tra le altre idee e intuizioni di Poincaré, quelle relative alla possibilità di sfruttare anche la geometria non euclidea tridimensionale dovettero attendere, per essere correttamente comprese, il XX secolo.
Nel corso di queste ricerche, Poincaré iniziò una corrispondenza con Klein e addirittura pubblicò uno dei suoi articoli nei "Mathematische Annalen" di Klein. Tale collaborazione, che evidenziò anche uno scontro di personalità, suscitò in Klein il desiderio di precisare il ruolo della geometria non euclidea e gli fornì l'opportunità per criticare la scelta dei termini usati da Poincaré. Il matematico francese aveva infatti chiamato fuchsiani i gruppi da lui introdotti, ma Klein giudicò assurda questa decisione, suggerendo come più appropriato il nome di Schwarz. Poincaré non volle recedere (anche perché il nome di Fuchs era ormai già compreso in testi e stampa) ma, dopo aver letto il lavoro di Schwarz, riconobbe che il suo nome sarebbe stato più adatto.
Tutto ciò testimonia semplicemente che Klein conosceva a fondo la letteratura matematica, mentre Poincaré mostrava un'impressionante capacità di creare nuova matematica senza immergersi nel lavoro di altri. In seguito Klein tornò a insistere sul medesimo argomento e Poincaré aggirò l'ostacolo elegantemente, suggerendo che se il nome di Fuchs indicava ora una classe di gruppi relativi alla geometria non euclidea a due dimensioni, quello di Klein avrebbe potuto essere adottato per un'analoga classe di trasformazioni nel caso tridimensionale. Il trucco funzionò nonostante le proteste di Klein e attualmente parliamo infatti di gruppi fuchsiani e di gruppi kleiniani.
Poincaré divenne rapidamente il più importante matematico francese, e forse del mondo, anche per merito dei suoi lavori di fisica, materia della quale egli era, del resto, professore. A partire dalla fine degli anni Ottanta, inoltre, la sua fama aumentò notevolmente grazie a numerosi saggi che ancora oggi non hanno perso il loro interesse. Tra questi scritti, presto tradotti in inglese e in tedesco e letti in molti paesi da altri matematici e dal pubblico colto, molti hanno come argomento i fondamenti della geometria considerati da vari punti di vista.
La scoperta della geometria non euclidea provocò molte vivaci polemiche che riguardavano la questione della vera geometria dello spazio. Poincaré era del parere che in realtà la questione fosse totalmente priva di senso. In un saggio del 1887, egli sosteneva che esistono tre geometrie bidimensionali, ossia la geometria euclidea, quella non euclidea e quella sferica. In un'appendice a questo scritto, Poincaré chiariva inoltre le differenze esistenti tra il suo approccio e quello di Riemann, che sembrava aprire la strada a una quantità infinita di geometrie. Egli sosteneva che le ipotesi che stanno alla base di ogni geometria non erano fatti sperimentali, giudizi analitici oppure proposizioni sintetiche a priori. Se fossero stati fatti sperimentali la geometria avrebbe dovuto subire lo stesso processo di revisione continua che caratterizzava la scienza, cosa che Poincaré escludeva in maniera decisa. Anche le altre possibilità venivano negate, in quanto avrebbero necessariamente condotto a un'unica e definitiva geometria, conclusione smentita dall'esistenza di più geometrie.
Come già osservato, Poincaré sosteneva invece che una geometria non è altro che lo studio di uno specifico gruppo. Quale sia quello più appropriato lo si apprende dal comportamento dei corpi solidi. Sono queste le premesse di una celebre affermazione di Poincaré, secondo la quale non si può sostenere che la geometria euclidea sia vera e quella non euclidea falsa, esattamente come non ha senso asserire che le coordinate cartesiane siano vere e quelle polari invece false. Queste osservazioni riassumono il famoso convenzionalismo del matematico francese, un principio filosofico secondo il quale non ha senso domandarsi se lo spazio sia euclideo o non euclideo, ma soltanto valutare quale sia la scelta più conveniente.
In un saggio del 1898 Poincaré considerò il modo in cui si formano le nostre conoscenze geometriche a partire dall'esperienza dei corpi solidi e sviluppò un'analisi lunga e dettagliata sulla costruzione dello spazio sensibile che la mente opera per mezzo di esperienze, costantemente correlate, come i movimenti dell'occhio, della testa o del corpo. Ogni tipo di attività corporea conduce alle idee di una geometria o dell'altra: la geometria proiettiva è essenzialmente una geometria della visione, quella euclidea è principalmente muscolare. Lo spazio sensibile che la mente perviene a costruire, non è lo spazio geometrico, non essendo isotropo, omogeneo o infinito. Lo spazio geometrico è piuttosto una forma della comprensione. Noi arricchiamo tale comprensione con l'idea di gruppo, che ci proviene dai movimenti descritti; diversi tipi di movimenti corrispondono a differenti sottogruppi, come rotazioni intorno a una retta o traslazioni.
Un gruppo sufficientemente ricco, restringe la scelta a tre possibili geometrie. La geometria euclidea è quella in cui le traslazioni ‒ che nel caso non euclideo neppure formano un gruppo ‒ costituiscono un sottogruppo normale. La maggiore semplicità della geometria euclidea si deve alla presenza di un ampio sottogruppo commutativo e questa caratteristica, sorprendentemente, rappresenterebbe il motivo della preferenza, da parte di un convenzionalista, per la geometria non euclidea.
In Francia il convenzionalismo di Poincaré venne accolto favorevolmente, mentre in altri paesi non mancarono né critiche né obiezioni. Per molti matematici il punto più spinoso era costituito proprio dalla sua interpretazione della geometria non euclidea.
In un saggio pubblicato nel 1902 Poincaré sosteneva che creature viventi su un disco nel quale la temperatura variasse secondo una legge che egli esplicitava, avrebbero tracciato come linee rette, cioè come curve di lunghezza minima, linee che apparirebbero ai nostri occhi come archi di cerchio perpendicolari al bordo del disco. Noi definiremmo curve le loro linee rette distorte a causa delle variazioni di temperatura. Essi potrebbero tuttavia o concordare con noi, o considerare le loro linee rette realmente tali, e la geometria del loro spazio non euclidea. Come potremmo noi fare altrimenti? Supponiamo di realizzare in qualche modo, per esempio con raggi di luce, delle linee rette nel nostro Universo, e supponiamo di scoprire che la geometria dello spazio sia non euclidea. Sarebbe una conclusione corretta? Non necessariamente, pensava Poincaré. Sarebbe infatti possibile sostenere che lo spazio sia effettivamente euclideo e che i raggi di luce abbiano qualche proprietà finora inaspettata, senza riuscire a fornire alcun argomento che decida a favore di una di queste due alternative. Il matematico e filosofo Federigo Enriques (1871-1946) non era però di questo avviso. Egli riteneva possibile distinguere le proprietà fisiche da quelle geometriche, sostenendo che si potrebbe in questo caso logicamente decidere se una proprietà fisica come la temperatura possa influire sulla geometria delle rette.
Questo dibattito proseguì fino all'avvento della teoria della relatività generale, quando il convenzionalismo perse gran parte delle sue attrattive. Si trattò tuttavia di un dibattito di grande importanza. L'apparente possibilità di due sole geometrie plausibili dal punto di vista fisico era in contrasto con la concezione della geometria differenziale riemanniana, che sembrava offrire un'infinità di geometrie, e con la relatività generale, che ne proponeva esattamente una. La discussione si sviluppò sia in ambito strettamente matematico sia a un livello più divulgativo e insieme ai dibattitti sulla possibilità di una quarta dimensione, generando un diffuso interesse popolare nei confronti delle scoperte dei matematici. Indubbiamente queste discussioni contribuirono a preparare il terreno per i grandi cambiamenti culturali che le idee di Albert Einstein avrebbero provocato. Del resto non solo Einstein, ma anche artisti come Marcel Duchamp e Francis Picabia, trassero ispirazione dai saggi di Poincaré sulla geometria.
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