L'Oulipo: la creazione letteraria tra gioco e matematica
A metà del Novecento, la Francia matematica visse l’originale esperienza del bourbakismo. Bourbaki è un nome di fantasia – uno pseudonimo collettivo – dietro il quale si celavano alcuni dei più brillanti matematici francesi. La sua avventura era cominciata negli anni Trenta. Nato su iniziativa di André Weil e Henri Cartan, insoddisfatti dei classici manuali che circolavano nelle università e che ritenevano superati e poco rigorosi, Bourbaki espresse ben presto tutta la volontà di rinnovamento di quella giovane generazione che era riuscita a evitare lo scempio della prima guerra mondiale. L’intero edificio della matematica – secondo Bourbaki – andava considerato in una luce nuova. Non ci si poteva più basare su vecchie e anacronistiche suddivisioni (geometria, algebra, analisi ecc.). L’idea nuova era quella di struttura. Tutti i capitoli della matematica andavano riscritti e riaccorpati in una nuova unità a partire da alcune strutture fondamentali e procedendo in modo astratto e assiomatico.
Una tale “rivoluzione”, di matrice formalista e strutturalista, nata da alcune pieghe della cultura di inizio Novecento, avrebbe poi fornito materiale e ispirazione per analoghe operazioni su altri linguaggi. Così, in effetti, è accaduto per la letteratura con l’Oulipo. Il nome sta per Ouvroir de littérature potentielle (Laboratorio di letteratura potenziale). Venne fondato nel 1960 da un gruppo di amici dagli interessi diversi ma complementari – matematici appassionati di letteratura e letterati cultori delle scienze esatte – con lo scopo di procedere a una sistematica esplorazione delle strutture letterarie in una prospettiva non più semantica ma sintattica e strutturalista, nella convinzione che la vera realtà della letteratura risiede appunto nella struttura. Tra i membri fondatori vi erano il matematico-ingegnere-scacchista François Le Lionnais (1901-84), sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi e autore di La pittura a Dora (1946), e lo scrittore Raymond Queneau (1903-76), che già negli anni prima della guerra aveva seguito, con curiosità e interesse, gli incontri dei giovani bourbakisti al Café Capoulade a Parigi, nel Quartiere latino. Del laboratorio facevano parte anche Jacques Bens (1931-2001), Jean Lescure (1912-2005), Jean Queval (1913-90), Claude Berge (1926-2002), Jacques Duchateau (1929). Successivamente il gruppo accolse tra i suoi membri Jacques Roubaud (1932), Georges Perec (1936-82) e Italo Calvino (1923-85). Fondamentale per Oulipo è il principio del «potenziale», termine con il quale si intende ciò che esiste in potenza nel linguaggio e nella letteratura e che può essere fatto emergere attraverso una serie di restrizioni formali (contraintes) capaci di generare nuove forme e strutture. La creazione letteraria è tanto più inventiva quanto più stringenti sono i vincoli e le costrizioni, anche di natura matematica, che l’autore decide di assumere a priori. Fedeli alla poetica della «restrizione», i membri dell’Oulipo esplorarono le potenzialità creative delle regole formali e strutturali in letteratura. Obiettivo dell’Ouvroir era ampliare il numero delle limitazioni già conosciute e codificate per individuare nuove forme, nuovi procedimenti, nuove modalità di invenzione letteraria. Si deve a Queneau, autore degli emblematici Esercizi di stile (1947), in cui un piccolo, insignificante episodio di cronaca viene raccontato in 99 stili diversi, la riscoperta del lipogramma, componimento letterario da cui si omettono intenzionalmente le parole contenenti una lettera dell’alfabeto prestabilita. Ne sono un mirabile esempio La sparizione (1969) di Perec, un romanzo in cui non compare mai la «e», la lettera dell’alfabeto più frequente in francese, e, dello stesso autore, il romanzo Le ripetizioni (1972), dove la «e» è per contro l’unica vocale utilizzata. Oltre alle costrizioni alfabetiche (lipogramma, tautogramma, palindromo, acrostico, olorima), tra i metodi utilizzati dal gruppo figurano le restrizioni fonetiche (le alternanze di rime maschili e femminili di Noël Arnaud), sintattiche e lessicali, le ricerche sulle procedure di trasformazione del testo da applicare a materiali esistenti (per esempio la regola S + 7 di Lescure, che sostituisce tutti i sostantivi di un testo con il settimo che segue in un determinato dizionario) e il ricorso a concetti e procedure espressamente mutuate dalla matematica (calcolo combinatorio, teoria degli insiemi, teoria dei grafi), proprio in quella visione incentrata sulla assiomatizzazione che era stata rilanciata con forza da Bourbaki. Nei Centomila miliardi di poemi (1961) Queneau ricorre al calcolo combinatorio per offrire un dispositivo di lettura che rende intercambiabili i versi di un insieme di dieci sonetti (ciascuno formato da 14 versi) scritti con le stesse rime e con una identica struttura grammaticale. In tal modo ogni verso può essere scambiato con ogni altro collocato nella stessa posizione; in termini matematici, si tratta di una disposizione con ripetizione (con n = 10 e k = 14), per un totale di 1014 combinazioni (appunto i centomila miliardi del titolo). L’opera è il prototipo di quella che è stata definita «letteratura combinatoria», nella quale l’ordine del testo non è fissato a priori ma può essere smontato e rimontato a piacere dal lettore seguendo le “regole del gioco” definite dall’autore. Il lettore assume così un ruolo attivo nell’opera: non si limita a fruirne e a interpretarla ma concorre alla sua creazione e manipolazione. Anche il capolavoro di Perec, La vita. Istruzioni per l’uso (1978), considerato uno dei più importanti romanzi del secondo Novecento, è costruito su una struttura matematica suggerita dal matematico oulipiano Claude Berge. L’opera racconta la vita in un grande caseggiato parigino di 10 piani composto di 99 stanze: la struttura dell’immobile coincide con quella di una scacchiera quadrata di lato 10 (propriamente, un biquadrato ortogonale di ordine 10). La narrazione procede tra le stanze dell’immobile secondo lo schema a L del movimento del cavallo nel gioco degli scacchi toccando tutte le caselle tranne una (i capitoli del libro sono infatti 99) e soggiace al vincolo dell’«algoritmo del cavaliere», un problema scacchistico-topologico che consiste, partendo da una casella qualsiasi, nel visitare tutte le altre una sola volta. Concepito secondo la tecnica del puzzle, è un libro di deliri elencatori, brulicante di personaggi e storie, autentica summa del parossismo nomenclatorio e classificatore del suo autore.
Tra gli oulipiani più celebri vi è J. Roubaud, letterato ma anche matematico, che aveva studiato con bourbakisti del calibro di L. Schwartz, C. Chevalley, A. Grothendieck. La sua raccolta poetica d’esordio, pubblicata nel 1967, ha come titolo ∈, simbolo insiemistico di appartenenza, ed è formata da una serie di 361 trasformazioni geometriche del sonetto disposte su una scacchiera secondo le regole del go, tradizionale gioco giapponese. Anche un’altra raccolta poetica di Roubaud, Trentuno al cubo (1973), è una collezione di 31 poemi di 31 versi di 31 sillabe, mentre nel ciclo romanzesco di Ortensia (La bella Ortensia, 1985; Il ratto di Ortensia, 1987; L’esilio di Ortensia, 1990) la struttura è ispirata dalla sestina: ogni romanzo è diviso in 6 parti di 6 capitoli ciascuna, i cui argomenti vengono ripresi da una parte all’altra secondo lo schema della sestina, un tipo di struttura strofica composta da 6 strofe di 6 versi ciascuna (più 3 di congedo), in cui le parole terminali di verso si ripetono identiche in ogni strofa (parole-rima) variando da una strofa all’altra l’ordine di successione secondo una rigorosa legge di permutazione riassunta dallo schema 6 1 5 2 4 3: una regolare alternanza d’inversione e progressione (retrogradatio cruciata) per cui l’ultima parola-rima di una strofa diventa la prima nella strofa successiva, mentre la prima slitta a seconda, la penultima passa al terzo posto, seguita al quarto dalla seconda, la terzultima diviene quinta e la terza resta ultima; in termini matematici, una permutazione di 6 elementi di ordine 6 che ritorna cioè al punto di partenza dopo 6 ripetizioni. Il progetto di Roubaud di scrivere 6 romanzi di 6 parti ciascuno, una sorta di grande sestina di sestine, si interruppe a metà e i 3 romanzi sono quel che resta dell’ambizioso disegno.
Anche Italo Calvino, scrittore interessato ai rapporti tra letteratura e scienza e suggestionato dalle infinite possibilità della combinatoria, partecipò alle ricerche sperimentali dell’Oulipo durante il suo lungo soggiorno parigino, contribuendo poi a fondare nel 1990 la “sezione” italiana che si chiamò Oplepo (Opificio di letteratura potenziale). Con la trilogia Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959) egli può essere considerato il primo vero rappresentante dell’Oulipo semantico, complementare a quello combinatorio. «La struttura è libertà – scrive Calvino nella prefazione a Segni, cifre e lettere – produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo. Questa è la novità che sta nell’idea della “molteplicità potenziale”, implicita nella proposta di una letteratura che nasca dalle costrizioni che essa sceglie e si impone». E il pensiero va alle Cosmicomiche (1965), a Ti con zero (1968), a Le città invisibili (1972), e soprattutto agli oulipiani Il castello dei destini incrociati (1973), definito dallo stesso Calvino «una macchina per moltiplicare le narrazioni partendo da elementi figurali dai molti significati possibili come può essere un mazzo di tarocchi», e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), dieci inizi di romanzi che sviluppano in modi diversi un nucleo comune tenuti insieme da una “cornice”.
Sono arruolati e considerati come oulipiani tutti quei letterati che non credono alla finitezza della lingua. Ancora oggi, l’Oulipo continua a smontare e riassemblare lettere e parole e a esplorare sistematicamente le potenzialità della lingua, con l’obiettivo di produrre nuove forme e nuove strutture letterarie rispondenti a determinate contraintes (costrizioni), prescindendo almeno in parte dal tradizionale concetto di ispirazione. L’idea è che questa venga (ri)suscitata sottoponendosi a nuove rigide regole. Chi in arte e in letteratura non è in grado di darsi delle regole formali diventa schiavo di altre regole di cui neppure è consapevole. Chi per contro scrive la sua opera letteraria osservando un certo numero di contraintes, che conosce, è più libero di chi scrive seguendo la pura ispirazione e rischia di diventare schiavo di norme che ignora. L’invenzione non è più nel testo, ma nelle regole. La loro adozione non soffoca la libertà, ma la stimola. «Nel metodo dell’Oulipo – scrive l’ingegnere ed enigmista Raffaele Aragona nella sua introduzione a La biblioteca oplepiana – in primo luogo conta la qualità delle regole, la loro ingegnosità ed eleganza; se a esse corrisponderà subito la qualità dei risultati ottenuti, tanto meglio; in ogni caso l’opera sarà un esempio delle potenzialità raggiungibili attraverso la strettoia di quelle regole. Nessun oulipiano naturalmente pretende di sostenere che le proprie esercitazioni costituiscano compiute opere letterarie: si tratta, in ogni caso, di esercitazioni che, in prospettiva, possono produrre nuove, originali strutture compositive».