Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Filo conduttore della storia ucraina nel XX secolo è il tentativo di costruire uno Stato indipendente, effettuato per la prima volta, ma senza successo, tra il 1917 e il 1920. L’Ucraina sovietica, frutto indiretto degli sforzi in tal senso, è teatro delle più gravi fra le molte tragedie connesse allo stalinismo – incluso il genocidio per fame del 1932-1933 –, ma è nel suo ambito che, nel 1945, per la prima volta viene raggiunta l’unificazione delle terre ucraine. È però solo nel 1991, in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, che nasce la Repubblica ucraina indipendente.
È possibile dire che per l’Ucraina il XX secolo ha inizio con la rivoluzione del 1905 – dopo cui l’ucraino viene per la prima volta riconosciuto come lingua a sé stante. E tuttavia, si può dubitare del fatto che in assenza di un conflitto generalizzato si sarebbe messa in moto la catena di eventi che, entro la fine del secolo, porta alla nascita di uno Stato ucraino indipendente: è la guerra, infatti, a causare il crollo degli imperi multietnici che si dividevano l’Europa centro-orientale, permettendo alle nazionalità precedentemente inglobate in essi di tentare di costruire propri stati.
La rivoluzione ucraina ha inizio pressoché in contemporanea con rivoluzione russadel marzo 1917; la Rada – l’organo rappresentativo degli ucraini, cui si uniscono in seguito anche le nazionalità minoritarie – rivendica inizialmente il solo autogoverno (parzialmente concesso dal governo provvisorio nel luglio 1917) e radicalizza le sue posizioni solo dopo l’invasione da parte della Russia bolscevica nel dicembre. Una Repubblica ucraina indipendente viene quindi proclamata nel gennaio 1918, ma ben presto diventa un satellite della Germania e dell’Austria-Ungheria, le cui forze armate occupano il Paese dopo averne scacciato i bolscevichi, imponendo un regime a loro favorevole. La ritirata degli occupanti causa il crollo di tale regime e permette la temporanea unificazione con la Repubblica ucraino-occidentale creata nei territori un tempo asburgici (gennaio 1919), ma presto subentra il caos più totale. L’Ucraina è attaccata dalla Polonia, che le strappa le regioni occidentali, e nuovamente dalla Russia bolscevica; alcuni ucraini si alleano con la prima contro la seconda, mentre altri cercano il sostegno dei russi antibolscevichi. A ciò si aggiungono le insurrezioni contadine e i pogrom (in russo “distruzione”) antiebraici perpetrati da tutte le parti in causa. Da ultimo i bolscevichi prevalgono e, col trattato di Riga, riconoscono il dominio polacco sulla parte occidentale dell’Ucraina.
A dispetto del suo sostanziale fallimento, la rivoluzione ucraina produce almeno un risultato duraturo, ancorché non voluto, vale a dire la Repubblica socialista sovietica ucraina proclamata nel 1919 in opposizione all’UNR e divenuta, nel 1922, una delle entità fondanti dell’Unione Sovietica. Nei suoi primi anni di vita, quest’ultima si regge principalmente su due “compromessi” raggiunti tra lo Stato centrale da un lato e i contadini e le nazionalità dall’altro, di cui sono espressione la Nuova Politica Economica (NEP) e la struttura federale dello Stato, che lo rende qualcosa di diverso da una riedizione del vecchio impero zarista (nonostante innegabili continuità con esso). In Ucraina, garanti del compromesso sono i “comunisti nazionali”, che perseguono una politica di “ucrainizzazione” delle istituzioni culturali ad ogni livello.
L’equilibrio è rotto dalla decisione di Stalin (condivisa peraltro dalle élites repubblicane) di perseguire l’industrializzazione a spese delle campagne: in breve tempo, una vera e propria carestia segue in tutta l’URSS alla combinazione tra le deportazioni di milioni di contadini, che disorganizzano l’agricoltura riducendo la produzione, e le enormi requisizioni di grano destinato a essere esportato per finanziare l’acquisto di beni capitali industriali all’estero. La scarsità di cibo viene scientemente utilizzata per piegare la resistenza alla collettivizzazione, e rivolta in particolare contro determinati gruppi nazionali e/o sociali considerati particolarmente riottosi: in Ucraina tutto ciò sfocia in una tragedia nazionale con milioni di morti, la cosiddetta “fame sterminatrice” (Holodomor) cui si accompagna l’epurazione delle élites culturali e politiche della Repubblica (compresi i “comunisti nazionali”), che di fatto continua quasi senza soluzione di continuità fino al cosiddetto “Grande Terrore” del 1937-1938.
L’unica parte dell’Ucraina a sfuggire alle tragedie degli anni Trenta è quella all’epoca divisa tra Polonia, Cecoslovacchia e Romania, che diviene la roccaforte del movimento nazionalista dopo la fondazione (da parte di un gruppo di veterani della guerra tra Polonia e Repubblica ucraino-occidentale) dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), la cui ideologia si ispira al “nazionalismo integrale” e che di fatto si dedica soprattutto al terrorismo antipolacco in Galizia e Volinia, prendendo però di mira anche personalità ucraine favorevoli al raggiungimento di un modus vivendi con le autorità polacche. Le ripetute repressioni (fra cui la più conosciuta è la “pacificazione” del novembre 1930) portano al fallimento di qualsiasi tentativo di compromesso e ad una crescente radicalizzazione della minoranza ucraina in Polonia, che nel 1939 accoglie favorevolmente l’annessione di Galizia e Volinia all’Ucraina sovietica.
L’atteggiamento degli abitanti dell’Ucraina occidentale, tuttavia, muta dopo soli pochi mesi di occupazione sovietica. A partire dal 1940, deportazioni in massa colpiscono tutti gli oppositori reali o potenziali – non solo i polacchi e gli ebrei, quindi, ma anche i nazionalisti ucraini, molti dei quali saranno giustiziati sommariamente nelle carceri al momento dell’invasione tedesca nel giugno 1941. Queste atrocità e il comportamento oppressivo delle autorità sovietiche in generale spiegano l’accoglienza favorevole ricevuta dai Tedeschi al momento del loro ingresso in Ucraina: entro la fine del 1941 essi occupano l’intera Repubblica, ma ben presto finiscono col far rimpiangere i sovietici. Anche se alcuni ucraini (spinti da una varietà di motivazioni) collaborano allo sterminio degli ebrei, la maggior parte di essi assiste inorridita alle esecuzioni in massa. Ancora peggiore è l’impressione destata dal trattamento riservato ai prigionieri di guerra sovietici – che vengono lasciati morire di fame e sottoposti ad inauditi maltrattamenti – e, in seguito, dalle tattiche terroristiche impiegate nella lotta antipartigiana e dalle deportazioni in massa ai lavori forzati in Germania. Ben presto gli stessi nazionalisti ucraini, dapprincipio filotedeschi, passano alla resistenza (anche armata), subendo terribili repressioni.
Peraltro, almeno dal momento in cui i tedeschi sono sconfitti a Stalingrado, la principale preoccupazione dell’OUN (all’epoca sotto il controllo della sua ala più estremista ed inesperta) diviene la pulizia etnica dei polacchi residenti in Galizia e soprattutto in Volinia. Tale politica porta a una vera e propria guerra civile in quelle regioni, cui solo la riconquista sovietica (1944) mette fine. D’altro canto, il regime stalinista fa propri alcuni degli obiettivi perseguiti dai nazionalisti, anche al fine di tagliare l’erba sotto i piedi di questi ultimi. Persegue dunque la cacciata dei polacchi, tramite gli scambi di popolazione del 1944-1946 – cui farà seguito la deportazione degli Ucraini rimasti in Polonia nel 1947 – e la completa riunificazione dell’Ucraina, conclusa nel 1945. Questi eventi vengono sfruttati per alimentare un patriottismo nazionale ucraino opposto a quello propugnato dall’OUN, che continua la lotta armata antisovietica malgrado terribili repressioni che includono deportazioni in massa dall’Ucraina occidentale e la soppressione della Chiesa greco-cattolica, guardiana dell’identità nazionale ucraina in quella regione.
Di fatto, per l’Ucraina la guerra ha termine solo con la morte di Stalin e la fine della repressione violenta del movimento nazionalista. Quello che emerge dal conflitto è un Paese non solo distrutto materialmente, ma profondamente diverso da quello che era prima, soprattutto perché la società multinazionale precedentemente esistente viene rimpiazzata da una a netta prevalenza ucraina e con una forte presenza russa; quasi tutte le altre minoranze nazionali sono finite vittima delle deportazioni e degli stermini nazisti e sovietici.
Nel 1953, per la prima volta un ucraino, Kyryčenko, diventa segretario del Partito Comunista Ucraino (i suoi predecessori erano stati tutti russi, mentre i suoi successori saranno ucraini). Nel 1954, inoltre, con la cessione della Crimea da parte della Repubblica russa, l’Ucraina assume il suo aspetto attuale. È l’epoca della destalinizzazione voluta da Nikita Chruschev (1894-1971), che in Ucraina però rivela i suoi limiti più che altrove (basti pensare al mancato riconoscimento dell’Holodomor, che non è incluso tra i crimini addebitati al defunto dittatore). Nondimeno, il “disgelo” consente il venire alla luce di una nuova generazione di letterati – i cosiddetti šestdesiatnyky (come Lina Kostenko, Ivan Drach, Ivan Dziuba) – molti dei quali diverranno poi dissidenti. Durante la cosiddetta “stagnazione” brezneviana – in cui Petro Šelest (1908-1996) e Volodymyr Ščerbytsky si succedono alla guida del Partito Comunista Ucraino – il fenomeno maggiormente gravido di conseguenze per l’Ucraina è però la spettacolare crescita dell’urbanizzazione, verificatasi soprattutto negli anni Settanta, che (a dispetto dei tentativi di russificazione) finirà con l’implicare un rafforzamento dell’identità nazionale ucraina.
Lo scontento ucraino nei confronti dell’URSS trova nuova linfa nel disastro nucleare verificatosi a Chernobyl il 26 aprile 1986, mentre sono in pieno svolgimento le politiche di “ristrutturazione” e “trasparenza” (perestroika e glasnost) volute dal nuovo segretario del partito comunista sovietico Michail Gorbačëv. La posizione di quest’ultimo viene ulteriormente indebolita dalla sua politica verso l’Europa orientale, che si emancipa dal dominio sovietico entro la fine del 1989. Da quel momento in poi (benché all’epoca ciò non sia affatto chiaro) anche il crollo dell’URSS è vicino: nel settembre di quell’anno viene fondato il Rukh, primo movimento politico a sfidare il monopolio del Partito Comunista Ucraino; nel luglio 1990 la Repubblica sovietica ucraina proclama la propria sovranità con un voto parlamentare appoggiato non solo dall’opposizione, ma anche da molti comunisti. La dichiarazione d’indipendenza, tuttavia, non giunge prima del fallito tentativo di colpo di Stato a Mosca dell’agosto 1991; ratificata in seguito da un referendum popolare (1° dicembre 1991) essa dà il colpo di grazia all’Unione Sovietica (che scompare definitivamente entro la fine dell’anno) e segna la nascita del primo stato ucraino indipendente dell’epoca contemporanea. La storia successiva – dalle presidenze di Leonid Kravčuk (1934-) e Leonid Kučma (1938-) fino alla “rivoluzione arancione” del 2004 e all’elezione di Viktor Yuščenko (1954-) a capo dello Stato – prende il via da quest’evento e, in qualche modo, non fa più parte di quella del terribile XX secolo ucraino.