L'uomo
Come una grande città, anche il corpo è un sistema molto complicato, dove ogni parte svolge una funzione specifica. E tutte lavorano insieme, in modo che si possa ogni giorno mangiare, respirare, fare pipì, giocare, dormire…
Immaginiamo di guardare dall'alto una grande città. Case, negozi, strade grandi e piccole dove passano le macchine. Poi vediamo tante persone ferme o che si muovono, alcune più velocemente, altre più lentamente. Gente che chiacchiera, che lavora, che vende o che compra nei mercati. E se si potesse vedere nel sottosuolo, si scoprirebbero anche le tubature del gas, il sistema fognario e l'intricata rete dei cavi telefonici e dei cavi elettrici. Immaginiamo il corpo come se fosse una grande, bellissima e complicatissima città. Non è proprio la stessa cosa, ma anche nel corpo ci sono strade: sono le arterie e le vene in cui scorre il sangue, che porta nutrimento e ossigeno in ogni parte e che poi torna al cuore. Ci sono sistemi di comunicazione che consentono ai diversi organi (il cuore, i polmoni, il cervello e così via) di scambiarsi informazioni per il loro funzionamento. Ci sono poi sistemi per l'accumulo e la distribuzione dell'energia, e altri per la raccolta e lo 'smaltimento dei rifiuti'. Anche nel nostro corpo, dunque, ogni parte ha una funzione precisa. E tutte sono in comunicazione tra loro: ciascuna invia segnali che informano l'organismo di quello che succede. Per esempio, se c'è bisogno di acqua o di cibo, se la temperatura interna è troppo alta, se un'infezione sta provocando una malattia, se c'è una ferita che dà dolore.
A differenza di una grande città, però, il corpo umano è un organismo vivente, fatto di tessuti, cioè di ossa, pelle, muscoli, che a loro volta sono fatti di cellule. Una cellula è talmente piccola che è possibile vederla solo con lenti e microscopi molto potenti che la ingrandiscono molte volte. Basti pensare che l'unghia del mignolo è costituita da miliardi e miliardi di cellule. Una cellula è come una delle palline che formano uno strato di polistirolo. La differenza è che le cellule del corpo non sono tutte uguali, come le palline di polistirolo, ma hanno forme diverse, e dunque sono capaci di svolgere funzioni diverse.
Ci sono cellule dalla forma affusolata, capaci di allungarsi e accorciarsi: sono le cellule muscolari, che formano il cuore e i muscoli. Ci sono cellule grasse e rotonde: sono le cellule adipose, in cui si accumulano le sostanze di riserva. Ci sono le cellule ossee, circondate dalla sostanza che costituisce la parte dura delle ossa. Ci sono le cellule nervose, che formano il cervello, i nervi e il midollo spinale. Ci sono le cellule epiteliali, che formano la pelle ma anche gli strati sottili che rivestono le pareti delle vene. E poi, ci sono cellule isolate, cioè non unite alle altre, come i globuli rossi e i globuli bianchi che circolano liberamente nel sangue.
La pelle è l'involucro che racchiude e protegge gli organi: se si potesse mettere su una bilancia vedremmo che pesa quasi due chili e mezzo! È molto resistente, ma contemporaneamente è anche molto elastica, perché ci permette di muoverci e di piegare dita e gambe. È impermeabile (altrimenti non si potrebbe fare il bagno!), ma è anche in grado di assorbire sostanze oleose, come le creme idratanti. Ed è attraverso la pelle che il corpo regola la temperatura interna e sente quello che succede nell'ambiente che ci circonda.
Ogni cellula del nostro corpo ha bisogno di respirare e di nutrirsi. Ma di regola non può muoversi dal suo posto. È il sangue che, come un fattorino per le consegne a domicilio, la rifornisce di ossigeno e di sostanze nutritive, raccogliendo in cambio i suoi prodotti di scarto.
Quando ci feriamo un dito con un coltello da cucina, o quando ci sbucciamo il ginocchio cadendo, esce qualche goccia di sangue e subito, per fermarlo, ci mettiamo un cerotto. Ma perché è così importante non far uscire troppo sangue dal corpo? A cosa serve questo liquido rosso, un po' denso, con quello strano sapore di ferro?
Il sangue è un liquido preziosissimo: possiamo vivere senza una mano e addirittura senza un rene, si può persino vivere (o meglio, restare vivi) quando il cervello non funziona bene. Ma senza sangue no, non si può proprio vivere. Perché è proprio il sangue che continuamente trasporta alle cellule le sostanze necessarie alla loro esistenza.
Basta appoggiare una mano sul petto, a sinistra, o premere leggermente le dita sul polso per sentire le pulsazioni, cioè le spinte che il cuore dà al sangue per farlo scorrere in ogni parte del corpo.
Come fa a spingerlo? Il cuore è grande quasi come un pugno e le sue pareti sono formate da un tessuto muscolare spesso e potente. Quando le pareti si contraggono, il sangue viene spinto fuori nelle arterie e il cuore si svuota, ma subito nuovo sangue arriva dalle vene, per riempirlo. Questo succede circa settanta volte al minuto, trentasette milioni di volte all'anno. Il cuore è composto da due metà, una destra e una sinistra, che si riempiono e si svuotano insieme. Nella metà destra arriva il sangue che le vene riportano da tutto il corpo e che deve essere inviato ai polmoni per ossigenarsi. Nella metà sinistra arriva il sangue che si è ossigenato nei polmoni e che deve essere spinto in tutto il corpo attraverso quel sistema di tubi molto elastici che sono le arterie. Queste si ramificano in tubi sempre più sottili, fino a costituire i capillari che raggiungono tutte le cellule. I capillari poi si riuniscono per formare tubi sempre più grandi, le vene, in cui scorre il sangue che poi ritorna al cuore.
Le cellule non possono muoversi, ma per vivere hanno bisogno di ossigeno e nutrimento. Che fare? Come un fattorino specializzato nella consegna a domicilio, il sangue arriva fino a ogni singola cellula. Le sostanze di cui la cellula ha bisogno escono dai capillari, attraversano la membrana della cellula e vengono da essa utilizzate. Ogni cellula però funzionando produce sostanze di rifiuto: tra queste ce ne è una che si chiama anidride carbonica.
Tutte le sostanze di rifiuto escono dalla cellula, attraversano le pareti dei capillari, entrano nel sangue e prima o poi vengono eliminate.
L'anidride carbonica che esce dalle cellule entra nel sangue e si attacca ai globuli rossi, anzi proprio alla sostanza che li colora di rosso: l'emoglobina.
Il cuore spinge il sangue pieno di anidride carbonica nei polmoni pieni dell'aria inspirata. A questo punto l'anidride carbonica esce dal sangue e viene cacciata via dal corpo insieme all'aria espirata. Intanto l'ossigeno dell'aria è entrato nei polmoni e riesce a passare nel sangue: anche lui si lega all'emoglobina e può essere trasportato a tutte le cellule per farle respirare.
Per nutrire le cellule, invece, il sangue deve raccogliere dall'intestino le sostanze digerite e distribuirle in tutto il corpo. Come rifiuto della loro digestione, le cellule producono sostanze velenose per l'organismo che devono essere eliminate. Per questo il sangue viene filtrato dai reni, che lasciano passare nella vescica l'acqua in cui sono disciolte le sostanze da eliminare e non lasciano passare le sostanze utili. L'acqua e i residui filtrati che si raccolgono nella vescica vengono eliminati con la pipì.
Che cosa distingue un maschio da una femmina? La forma del viso, i vestiti, i capelli, la voce, gli organi sessuali, i giochi, gli interessi. Insomma, c'è un corpo diverso e un comportamento diverso. Per capire da dove provengono queste differenze, bisogna guardare dentro le cellule. Ma anche considerare la cultura in cui si vive.
Pensiamo a una classe di bambini. Certamente ci saranno maschi e femmine. Come li riconosciamo? Intanto, si vestono in modo un po' diverso. Poi forse alcune bambine hanno i capelli più lunghi, o i lineamenti del viso più delicati. Magari i maschi preferiscono fare certi giochi, e le femmine altri, e hanno un modo diverso di rispondere alle maestre e di stare insieme. Insomma, alcune caratteristiche si vedono subito abbastanza bene. Ma da dove provengono queste differenze?
In primo luogo, bisogna notare che esistono due tipi di differenze: nel corpo e nel comportamento. Differenze nel corpo, tra un maschio e una femmina, ce ne sono tante. La più evidente riguarda i caratteri sessuali e l'apparato genitale, ma possono essere diversi anche l'aspetto del volto, l'altezza, la forma e la grandezza delle ossa, e così via.
Per capire da dove derivano queste differenze fisiche, bisogna guardare dentro le cellule. Nel nucleo di ogni cellula è contenuto, arrotolato come un filo di collana, il progetto di costruzione dell'intero organismo, chiamato DNA. Le differenze tra il corpo di un maschio e il corpo di una femmina derivano proprio dalle istruzioni scritte su questa collana. Per esempio, nelle cellule di una bambina ci saranno istruzioni come "fai crescere le mammelle", "fai venire dei bei fianchi rotondi" e così via. Mano a mano che la bambina cresce, le cellule interessate seguono le istruzioni e la fanno trasformare in donna. Il progetto di costruzione di un bambino sarà un po' diverso. Le istruzioni diranno cose come "fai crescere la barba e i peli sul corpo", "fai venire una voce profonda", "fai sviluppare i muscoli", eccetera.
Il fatto che un bambino nasca maschio o femmina si decide al momento della fecondazione, cioè quando l'ovulo della madre incontra lo spermatozoo del padre. Mentre gli ovuli sono tutti uguali, gli spermatozoi sono di due tipi. Un tipo porta le istruzioni per formare un maschio, l'altro tipo porta quelle per formare una femmina. A seconda dello spermatozoo che riesce a fecondare l'ovulo, si svilupperà un bambino o una bambina.
Tra maschi e femmine non ci sono soltanto differenze fisiche. Possiamo anche riconoscere differenze di comportamento. Per esempio, può darsi che le bambine preferiscano giocare in gruppo, o facciano meno chiasso durante le lezioni, e che i bambini invece si divertano a fare la lotta e a correre in giardino. Questa non è una regola che vale sempre, perché queste differenze dipendono da ragioni culturali, cioè dal modo in cui ogni società decide di educare i maschi e le femmine: ai primi vengono insegnate certe cose, alle seconde ne vengono insegnate altre. Queste differenze, poi, variano abbastanza da paese a paese. Per esempio, in alcuni paesi le donne devono per forza vestirsi in un certo modo, stare a casa, accudire i figli, cucinare, mentre gli uomini devono per forza lavorare, mantenere la famiglia, aggiustare le cose di casa.
È certo che i neonati non vengono portati dalle cicogne. Né che i genitori trovano i bambini già fatti sotto un cavolo. La storia è molto diversa. Per sapere come siamo nati bisogna pensare alle differenze sessuali tra maschio e femmina. Sono proprio queste differenze che permettono ai genitori di accoppiarsi e di far nascere i bambini.
Tutto è cominciato quando un uomo e una donna hanno deciso di avere un bambino. Allora si sono abbracciati stretti e il pene dell'uomo è entrato nella vagina della donna. Il pene è fatto di un tessuto spugnoso che può riempirsi di sangue. Quando questo avviene, allora il pene si ingrossa e si indurisce, in modo da entrare bene nella vagina. La vagina è quel canale da cui il bambino esce durante il parto ed è collegata con l'utero, un sacchetto dentro la pancia della madre dove il bambino si sviluppa fino al momento della nascita.
Collegate all'utero attraverso tubicini ci sono le ovaie, che sono una specie di 'fabbrica degli ovuli' e ogni mese, con grande regolarità, ne lasciano uscire uno. Gli spermatozoi, invece, sono prodotti dai testicoli, contenuti in quelle due sacchette molto delicate che stanno sotto il pene. Ma come ha fatto lo spermatozoo a incontrare l'ovulo? Durante l'accoppiamento, milioni di spermatozoi sono usciti dal pene dentro un liquido bianco e un po' vischioso, che si chiama sperma, e hanno cominciato a 'nuotare' velocissimi all'interno della vagina. Poi sono risaliti nell'utero per arrivare fin quasi alle ovaie, nel tentativo di raggiungere l'ovulo.
Una volta raggiunto l'ovulo solo uno spermatozoo riesce a penetrarvi. A questo punto l'ovulo forma una pellicola resistente per non essere 'disturbato' da altri spermatozoi. È avvenuta la fecondazione: lo spermatozoo e l'ovulo hanno unito i loro progetti, cioè i filamenti di DNA, e hanno formato una cellula unica, la prima cellula del nuovo organismo che contiene i caratteri del padre e quelli della madre.
Questa cellula si è divisa in due cellule, e ognuna delle cellule figlie si è pure divisa in due e così via. Si è formato in tal modo un gruppetto di cellule dall'aspetto simile a una mora. Questa specie di mora ha viaggiato fino all'utero, dove si è attaccata alla parete e ha continuato a ingrandirsi e a proteggersi circondandosi di una bolla d'acqua. All'inizio le cellule erano tutte uguali ma poi hanno cominciato ad assumere caratteri diversi. Così dopo poche settimane il nuovo organismo aveva già una testa, un cuore che batteva forte e minuscole braccia e gambe. Dentro la pancia il nutrimento e l'ossigeno gli arrivavano dal sangue della madre attraverso un tubo che li teneva collegati. Questo tubo è il cordone ombelicale, ed era attaccato dove adesso c'è l'ombelico.
Quando sono ormai trascorsi nove mesi e la madre ha una pancia molto grande, il futuro bambino si gira a testa in giù, nella posizione giusta per uscire. La pancia comincia a contrarsi e a rilassarsi, e lo spinge verso l'uscita. Il sacchetto di acqua tiepida che lo proteggeva si rompe. Ecco, finalmente il piccolo è nato. I bambini, di solito, escono dalla pancia passando attraverso la vagina: se corrono pericolo, però, i medici possono aprire per loro un'altra strada, facendo un taglio nella pancia della madre. Questa operazione si chiama parto cesareo.
A volte capita che l'ovaia faccia uscire insieme due ovuli che vengono fecondati da due spermatozoi. Allora nella pancia della madre crescono due gemelli, che si assomiglieranno come fratelli, ma non saranno identici (gemelli eterozigoti). Più raramente, invece, le prime due cellule dell'ovulo fecondato si separano completamente. Da queste due cellule si sviluppano due gemelli identici (gemelli omozigoti), perché hanno lo stesso progetto di costruzione (DNA).
Da piccoli si cresce così velocemente che non si possono più indossare i vestiti dell'anno precedente. Ma in che modo il corpo si modifica nel tempo, e come sarà cambiato tra dieci, venti o quarant'anni?
Il corpo di tutti gli esseri viventi è fatto da tante cellule diverse, messe l'una vicina all'altra come mattoncini. Quando ci accorgiamo che i vestiti non entrano più, non significa che le nostre cellule sono cresciute, ma che sono aumentate di numero. Infatti le cellule non possono gonfiarsi e diventare enormi (altrimenti gli uomini alti e grossi avrebbero delle cellule gigantesche!): aumentano semplicemente il loro numero, dividendosi e formando ogni volta una copia identica di sé stesse. Per fare questo, però, le cellule hanno bisogno di nutrirsi. Ma di che cosa si nutre una cellula? E chi le prepara da mangiare? Naturalmente siamo noi, ogni volta che mangiamo qualcosa, che riforniamo le cellule delle sostanze di cui hanno bisogno per crescere e funzionare. Ma il percorso di questo nutrimento è un po' elaborato.
L'organismo deve nutrirsi di sostanze diverse: ha bisogno di carboidrati, cioè di zuccheri, che vengono continuamente consumati per muoversi, ha bisogno di grassi, che possono accumularsi come riserva da usare al momento opportuno, ma soprattutto ha bisogno di proteine, che fanno funzionare le cellule e attivano i processi necessari alla vita.
Una bistecca, per esempio, contiene acqua, zuccheri (carboidrati), grassi e molte proteine. Vediamo cosa succede quando la mangiamo. Innanzitutto ne tagliamo un pezzo, lo mettiamo in bocca e lo mastichiamo per sminuzzarlo, in modo da ridurre il boccone in una specie di poltiglia. Questa poltiglia arriva nello stomaco, dove viene digerita, cioè ancora spezzettata in particelle piccolissime, talmente piccole che non sarebbe più possibile riconoscere la carne masticata. Questa poltiglia viene trasformata nei componenti degli zuccheri, dei grassi e delle proteine. Nell'intestino, poi, succede un fatto sorprendente: le particelle piccolissime riescono ad attraversare le pareti di questo tubo e vanno a finire nel sangue, subito pronto a raccoglierle e a trasportarle in ogni parte del corpo. Quelle particelle che non riescono a passare nel sangue restano nell'intestino, scorrono in questo lunghissimo tubo fino all'ano, e da lì vengono eliminate con le feci. Prendere sostanze dall'esterno, trasformarle per costruire e far funzionare il corpo, eliminare rifiuti sono tappe di complicati processi che gli scienziati chiamano digestione e metabolismo.
Trasportate dal sangue, le particelle entrano in tutte le cellule attraversando la membrana cellulare e vengono utilizzate come alimento. La cellula dovrà usare le particelle provenienti dalla bistecca per costruire le sostanze che le servono per funzionare e moltiplicarsi, seguendo le istruzioni del suo DNA. Per esempio, nelle istruzioni della cellula della pelle del braccio del bambino Carlo ci sarà scritto: "Fai un'altra cellula della pelle del braccio del bambino Carlo", mentre nella cellula della lingua della bambina Alice il messaggio sarà diverso; anche se hanno mangiato la stessa bistecca, ognuno la userà per costruire le proprie cellule, diverse da quelle di chiunque altro. Però non tutte le cellule seguitano a dividersi per tutta la vita. Per esempio, nell'adulto, le cellule del cervello generalmente non si dividono.
Le proteine sono sostanze che ogni cellula, per vivere, deve continuamente costruire seguendo le informazioni contenute nel suo DNA. Le proteine servono a digerire i cibi, a far contrarre i muscoli, a formare nuove cellule e a trasportare le sostanze nutritive. Dopo averle costruite e usate, la cellula le distrugge. E sono proprio gli 'avanzi' delle proteine usate quelli che si eliminano con la pipì.
Il modo in cui cresciamo è definito dalle istruzioni contenute nelle cellule. Ma l'aspetto che avremo da grandi dipenderà anche dalle abitudini, da quello che mangeremo, dal paese in cui vivremo. L'ambiente e lo stile di vita influenzeranno la nostra salute e il nostro invecchiamento.
Uno ha la pelle liscia, è forte e porta i bambini sulle spalle. L'altro si muove più lentamente, ha la pelle rugosa, i capelli bianchi. Uno è padre, l'altro è nonno. Naturalmente, anche il nonno quand'era giovane aveva un padre più anziano di lui, che aveva i capelli bianchi e qualche ruga. Tutti gli esseri viventi con il tempo si trasformano, invecchiano e alla fine muoiono.
Anche noi ci trasformiamo col passare degli anni: siamo già molto diversi rispetto a quando eravamo lattanti. Il corpo cambia ogni giorno, fino alla fine. Alcuni cambiamenti sono graduali, altri sono bruschi e molto evidenti: per esempio, intorno ai tredici anni, cioè durante l'adolescenza, il corpo già si prepara ad avere figli. Alle femmine comincia a crescere il seno e poi vengono le mestruazioni, ai maschi crescono i primi peli sul mento e i muscoli diventano via via più forti. Siamo pronti a innamorarci e a scegliere un compagno o una compagna e, col passare del tempo, siamo pronti a formare una famiglia, ad avere bambini, a farli crescere. Alle cellule dei nostri figli trasmetteremo le informazioni per vivere, cioè il nostro patrimonio genetico. Da grandi i nostri figli lo trasmetteranno ai loro figli, cioè ai nostri nipoti. In questo modo le specie viventi si perpetuano nel tempo.
È abbastanza difficile immaginare come saranno il nostro viso e il nostro corpo quando avremo quaranta, settanta o novant'anni. A volte, gli scienziati si divertono a ricostruire al computer il volto di un attore quando sarà vecchio. In effetti, almeno in parte, il modo in cui si cresce e ci si trasforma è già stabilito alla nascita: è definito dalle istruzioni ereditate dai genitori. Ma nessuno può sapere di preciso che aspetto avremo da grandi. Dipenderà da quello che mangeremo (nei paesi ricchi, dove l'alimentazione è abbondante, le persone tendono a essere più alte e più grosse), dalle abitudini di vita (chi fuma si ammala più facilmente), magari anche dal lavoro che faremo (il calciatore professionista ha un corpo diverso da quello dell'impiegato di banca). In altre parole, l'ambiente che ci circonda e le abitudini di vita possono influenzare la crescita, la salute e l'invecchiamento.
Fin dal primo momento dell'esistenza, ogni cellula del corpo si è divisa e ha dato origine a due cellule identiche, che a loro volta ne hanno formate altre, e così via. In realtà, come succede con le fotocopie delle fotocopie, o con il gioco del passaparola, a ogni passaggio, ogni nuova cellula riceve una copia che non è del tutto identica all'originale. Possono esserci errori di trascrizione nella copia della molecola di DNA, cioè nel progetto che serve alla cellula per vivere. Col tempo, inoltre, alcune cellule possono funzionare male e morire. Altre cellule non riescono a seguire le istruzioni giuste e smettono di funzionare in modo corretto. Questo è quello che viene chiamato invecchiamento. Quando molte cellule importanti, come, per esempio, quelle del cervello o del cuore, cominciano a seguire informazioni poco precise, allora l'intero organismo può risentirne e non riesce più a vivere.
Durante l'adolescenza nel corpo delle bambine cominciano a funzionare gli organi necessari per far nascere un nuovo individuo. L'ovaia libera ogni mese un uovo che potrebbe essere fecondato da uno spermatozoo. L'utero si prepara ad accoglierlo e si riveste di un tessuto morbido e spugnoso. Se l'uovo non viene fecondato, vengono le mestruazioni, cioè quel tessuto si stacca dall'utero con il sangue che lo nutriva, e viene espulso dalla vagina.
Un bambino, come ogni essere umano, può ricordare, pensare, immaginare, prevedere, voler bene, soffrire. Quali di queste cose può fare anche un animale? Un cane vuole bene al suo padrone e ricorda un rimprovero, ma un ranocchio no. Quello che fa la differenza tra un bambino, un cane e un ranocchio è il modo in cui le diverse informazioni vengono intrecciate, coordinate e utilizzate nel corso della vita.
Anche se alcuni animali sono più abili di noi a raccogliere informazioni con gli organi di senso, l'uomo ha una maggiore capacità di organizzarle e di ricordarle. Questo ruolo di coordinamento è svolto da un organo molto complesso, che si chiama cervello. Il cervello è formato da centinaia di miliardi di cellule nervose, i neuroni. Qui arrivano i segnali di luce e buio, di dolore e piacere, di dolce e salato, di caldo e freddo, di profumato e puzzolente; i segnali sono raccolti da occhi, naso, lingua, orecchie e pelle. Sono proprio questi organi di senso che trasformano gli stimoli interni o esterni al corpo in messaggi che arrivano al cervello, passando lungo i nervi; come quando i fili del telefono portano da lontano la voce di qualcuno.
Nel cervello, ogni messaggio viene ascoltato da una specifica zona: c'è una zona a cui arrivano gli stimoli provenienti dagli occhi, e un'altra a cui arrivano gli stimoli provenienti dall'orecchio. Per capire cosa succede, però, ogni messaggio deve essere confrontato con quelli che arrivano dagli altri sensi, e soprattutto con le informazioni della memoria.
Una volta che il cervello ha elaborato i messaggi in arrivo, ne fa partire altri in risposta, facendoli viaggiare su nervi diversi da quelli che portano i messaggi in entrata. Questi impulsi ci fanno muovere e reagire: per esempio, facendo chiudere gli occhi se c'è troppa luce o contrarre i muscoli del braccio se la mano sente un grosso peso da sollevare. A volte, quando il corpo riceve uno stimolo a cui deve rispondere molto in fretta, il messaggio non arriva fino al cervello, ma va direttamente ai muscoli, per esempio quando devono contrarsi… per scappare dal pericolo.
Usando la memoria, cioè la capacità di ricordare, possiamo sapere se siamo in una situazione nuova o in una già vissuta. Oggi molti scienziati pensano che la memoria sia un'attività che riguarda l'intero cervello, e quindi non localizzata in una parte specializzata. Ogni volta che facciamo o impariamo qualcosa, le cellule nervose si scambiano un segnale che passa lungo una certa strada. Se questa strada è ben costruita, e molti altri segnali l'hanno già percorsa in passato, allora abbiamo la sensazione di ricordare bene. Se la strada è ancora in costruzione, e nessun segnale ci è passato prima, è più difficile ricordare. Ci sono però diversi tipi di memoria. La memoria a breve termine permette di ricordare solo le cose appena viste o sentite (per esempio un numero di telefono). La memoria a lungo termine, invece, usa strade ben costruite e consente di ricordare anche cose passate da tempo: per esempio, quel giorno in cui abbiamo imparato ad andare in bicicletta. Ma c'è anche un altro tipo di memoria, che usiamo in modo inconsapevole, senza quasi rendercene conto: non occorre ogni volta ricordarsi come si fa a camminare, mangiare, leggere e scrivere…
Ci sono tante sensazioni che ci sembra di aver dimenticato, ma che in realtà stanno ben conservate nelle cellule del cervello. A volte, quando meno ce lo aspettiamo, per esempio quando dormiamo, ci vengono in mente pensieri e idee che… non sapevamo di avere. Non sempre sono ricordi distinti: sono un po' disordinati, confusi, ma possono collegarsi a quello che stiamo facendo e aiutarci a capirlo meglio.
Anche se le sensazioni sono localizzate nella pancia o nella bocca, è il cervello che ci avvisa della fame e della sete. Ed è sempre il cervello, l'organo da cui partono tutti i comandi, a organizzare quello che è necessario fare per stare meglio, cioè mangiare, bere e anche dormire.
È ora di cena. Dalla cucina viene un buon odore: pollo arrosto con patatine. Se abbiamo saltato la merenda e siamo digiuni dall'ora di pranzo, certamente abbiamo molta fame. Che sensazione proviamo? Pensiamo anche a cosa ci succede dopo una lunga corsa sotto il sole: come facciamo a capire che abbiamo sete? E quando siamo stanchi, dopo una giornata faticosa, come facciamo a capire che abbiamo bisogno di dormire? Di certo, il corpo si accorge della mancanza di quello che gli è necessario e cerca di fare di tutto per soddisfare i suoi bisogni. Ma anche se è nello stomaco che sentiamo la voglia di mangiare, o nella bocca la voglia di bere, è sempre il cervello il luogo a cui arrivano dal corpo i messaggi della mancanza di cibo e di acqua ed è sempre il cervello che organizza quello che bisogna fare per stare meglio.
Dopo diversi esperimenti, gli scienziati hanno trovato nel cervello alcune zone particolari che controllano il desiderio di mangiare. Quando la quantità di zucchero nel sangue è troppo bassa, da queste zone partono messaggi che dicono al corpo "vai a cercare qualcosa da mangiare". Quando lo zucchero nel sangue aumenta, parte il messaggio "livello di zucchero sufficiente" e la sensazione di fame scompare. Per questo la fame passa più rapidamente quando si mangiano i dolci piuttosto che l'insalata.
Anche la sete è controllata da zone particolari del cervello, che si attivano quando nel sangue c'è un'alta concentrazione di sostanze come i sali. Quando beviamo, l'acqua passa rapidamente dall'intestino al sangue e così fa diminuire la concentrazione di sali. Il sangue arriva al cervello e le aree del cervello che regolano la sensazione di sete si 'spengono'.
Un altro dei bisogni fondamentali delle persone è il sonno. Quando non dormiamo per troppo tempo ci bruciano gli occhi, non riusciamo a concentrarci. In effetti, gli esseri umani passano quasi un terzo della loro vita dormendo, e questo è talmente importante che quando il sonno manca o viene disturbato si può stare veramente molto male. Tutti gli animali hanno bisogno di riposare: gli altri mammiferi e gli uccelli passano una parte della loro vita a dormire, proprio come noi. Di certo durante il sonno il cervello funziona in modo diverso da quando si sta svegli: non si occupa più di quello che succede intorno e si concentra invece a mettere ordine tra le tante sensazioni ricevute nella giornata. Nel sonno, si continuano a ricevere messaggi dal mondo esterno, ma il cervello è capace di filtrarli e si lascia svegliare solo quando diventano troppo forti. Ma perché quando si ha sonno si sbadiglia? Perché i muscoli tendono a rilassarsi, la respirazione è meno profonda e lo sbadiglio è un sistema per far entrare nei polmoni una boccata di ossigeno.
Misurando le attività del cervello con l'elettroencefalogramma, gli scienziati si sono accorti che ci sono due tipi di sonno: c'è un sonno profondo e senza sogni, in cui si stabilizzano i ricordi, e un sonno in cui gli occhi si muovono rapidamente (e che viene chiamato 'fase rem') in cui invece i sogni si affollano nella mente.
È gialla, liscia, fredda, ha un buon profumo e, se la mordiamo, sentiamo un sapore fresco e dolce e il rumore dei denti sulla buccia. Come possiamo sapere tutte queste cose di una mela? Utilizziamo i sensi. La vista, il tatto, l'odorato (o olfatto), il gusto e l'udito servono per accorgerci di quello che accade intorno a noi. Raccogliendo informazioni e inviandole al cervello.
Se prendiamo in mano una mela ci accorgiamo che è verde (o gialla, o rossa) e che ha una forma rotonda. Dopo sentiamo che ha un certo peso e una buccia liscia e fresca. Se poi la mordiamo, sentiamo il rumore dei denti sulla buccia, il profumo della polpa e il suo sapore dolce. Per accorgerci di ciò il nostro cervello ha usato le informazioni raccolte dai cinque sensi: vista, tatto, gusto, udito e olfatto. Per capire che cosa avevamo in mano abbiamo quindi organizzato insieme tutte le informazioni. I sensi ci servono per accorgerci di quello che accade intorno a noi. Ma cosa significa 'accorgersi'? Prendiamo, per esempio, il tatto. Per sentire se una superficie è liscia o ruvida, anche con gli occhi bendati, ci passiamo sopra il dito di una mano, di solito l'indice: prima avanti e indietro, poi premiamo un pochino… Ora possiamo dire con sicurezza se è liscia oppure ruvida. Nascoste sotto la pelle del polpastrello ci sono cellule nervose specializzate, i recettori del tatto, che si schiacciano di più o di meno a seconda che stiamo toccando una zona liscia o piena di minuscole montagnole. Ma le informazioni raccolte dai recettori nervosi non restano nel dito. Vengono subito inviate al cervello, che le mette insieme e capisce complessivamente cosa sta succedendo.
In alcune parti del corpo i recettori del tatto sono più numerosi che altrove: per esempio, sulle dita delle mani o sulle labbra ce ne sono tantissimi. Infatti, queste sono le zone più sensibili del corpo. Nella pelle ci sono anche recettori che permettono di sentire se fa caldo o freddo. E soprattutto ci sono i recettori per il dolore, molto importanti per la nostra sopravvivenza, che ci fanno capire subito se corriamo un pericolo perché qualcuno ci sta schiacciando un piede o perché abbiamo messo la mano sul fuoco. Quando questo accade, il cervello mette immediatamente in atto meccanismi di risposta: per esempio, ci fa subito togliere la mano dalla fiamma. I sensi ci permettono, insomma, di godere di quello che abbiamo intorno, ma anche di accorgerci dei pericoli, informarne il cervello e prendere rapidamente i provvedimenti necessari.
Guardiamoci negli occhi: il disco colorato (blu, marrone, verde…) che vediamo si chiama iride. Al centro vediamo una macchia nera e rotonda, come un buco. È la pupilla, in cui entra la luce che ci permette di vedere. Ma troppa luce può danneggiarla. Per questo nell'occhio ci sono muscoli che fanno dilatare l'iride quando la luce è troppo intensa, in modo che la pupilla diventi più piccola. Per vedere meglio con poca luce, invece, i muscoli fanno contrarre l'iride, e la pupilla si allarga.
Immergiamo un pezzettino di ovatta arrotolata su un bastoncino in un po' di acqua e zucchero e passiamolo in diversi punti della lingua come la punta, il centro, le zone laterali. Solo in un punto sentiamo più dolce: sulla punta della lingua. È qui, infatti, che si concentra il maggior numero di recettori per il gusto dolce. Quelli per l'amaro si trovano soprattutto in fondo, verso la gola, quelli del salato sulla parte laterale di destra, un po' più avanti, e quelli per l'acido ai lati della lingua.
Le caratteristiche del nostro corpo, regolate dalle istruzioni scritte nelle cellule, ci rendono diversi gli uni dagli altri. Ma ognuno è unico anche perché è unico il modo con cui ha fatto esperienza delle cose. Ogni giorno, crescendo, diventiamo persone diverse dalle altre, con gusti, emozioni, modi di pensare personali.
Ognuno di noi ha un nome: Federico, Lorenzo, Alice, Camilla… Ma quanti Federico, Lorenzo, Alice o Camilla ci sono in città? Per fortuna ognuno di noi ha anche un cognome, e questo rende più difficile confondersi con gli altri. Però la cosa che ci fa essere diversi da tutti non è il nome, ma il modo in cui siamo fatti: il viso, le mani, la voce sono diversi da quelli di chiunque altro. A renderci unici, insomma, sono in primo luogo le caratteristiche del nostro corpo. Come abbiamo già detto, queste sono regolate da ciò che fanno le nostre cellule. Il modo in cui siamo oggi e quello in cui saremo domani è definito dal DNA, cioè da quelle istruzioni che indicano al nostro corpo come deve crescere e funzionare.
Ogni progetto di crescita deve essere considerato come unico, perché si è formato quando, al momento della fecondazione, il progetto della madre, contenuto nell'ovulo, si è fuso con il progetto del padre, contenuto nello spermatozoo. Questo ha dato origine a un progetto misto, cioè a una miscela di caratteri del tutto unica, diversa persino da quella di un fratello gemello, che avrebbe comunque una diversa combinazione dei progetti dei genitori.
Ma noi siamo unici anche perché è unico il modo in cui facciamo esperienza delle cose. Quando leggiamo un libro, quando parliamo con gli amici, quando prendiamo un grosso spavento… tutto quello che ci succede nel corso della vita modifica un po' quello che siamo e ci fa avere ricordi, sensazioni, esperienze che sono solamente nostri. Anche gli altri possono aver provato esperienze simili, ma in ordine diverso, 'condite' da personalità diverse, e in momenti diversi della loro vita. Questo significa non soltanto che ognuno di noi è una persona speciale, cioè unica, sin dal momento della sua nascita, ma che ogni giorno, crescendo, diventa una persona diversa dalle altre, con i suoi gusti, le sue emozioni, i suoi modi di pensare che si costruiscono nel tempo. Per questo, anche i gemelli omozigoti, che sembrano identici, avranno comunque una vita diversa, e dunque si costruiranno personalità diverse.
Proprio perché tutti sono diversi, è importante saper apprezzare le differenze. Non soltanto quelle che si vedono da fuori (per esempio, le differenze nel colore della pelle o nella forma degli occhi o nella lingua che si parla), ma anche quelle che si scoprono solo quando ci si conosce meglio e si fa amicizia: cioè differenze nelle cose che si sanno, nei modi di vedere il mondo. A volte possiamo incontrare persone nelle quali la diversità ci appare molto evidente, perché hanno avuto malattie, o perché sono cresciute in paesi lontani. Anche loro sono uniche, per come sono e per quello che fanno: insomma, vivono in modo diverso dal nostro ed è importante che noi sappiamo riconoscere e apprezzare le diversità.
Il sistema immunitario serve al corpo per difendersi dalle infezioni. È formato da cellule specializzate, i globuli bianchi, che uccidono i batteri entrati nell'organismo e producono gli anticorpi per proteggere le cellule dalle sostanze dannose.
Quando siamo a letto con l'influenza la fronte è calda, ci sentiamo tutte le ossa indolenzite, magari abbiamo anche un po' di tosse e il naso chiuso. Cosa sta succedendo? Perché nelle narici c'è tutto quel muco, perché la temperatura del nostro corpo si è alzata, perché il catarro ci impedisce di respirare bene? Succede che nel corpo c'è un intruso: microrganismi (batteri, virus, funghi, parassiti), che prima stavano nell'ambiente o nel corpo di un'altra persona malata. Attraverso una ferita, oppure attraverso goccioline di saliva infette, gli intrusi sono penetrati nel nostro organismo e hanno cominciato a danneggiare le cellule. I virus, per esempio, si infilano nel nucleo della cellula, cominciano a riprodursi all'impazzata e ne impediscono il buon funzionamento. E allora il corpo deve reagire, per cercare di eliminare al più presto questi ospiti non graditi. Altre volte, a provocare le malattie sono particelle di sostanze provenienti dall'esterno: per esempio, ci si può avvelenare con un fungo o con la varechina, o se si respira a lungo aria inquinata, che contiene cioè gas o vapori tossici.
Il sistema di difesa dell'organismo si chiama sistema immunitario. È formato da cellule specializzate che comprendono i globuli bianchi del sangue, che circolano in tutto il corpo, e altre cellule di difesa presenti in tutti i tessuti. Queste cellule sono addestrate a riconoscere tutto ciò che è estraneo al nostro organismo. Sono loro che si accorgono della presenza di sostanze o di microrganismi pericolosi. Per esempio, se alcuni batteri sono entrati da una ferita, li circondano e li uccidono, trasformandoli in pus. Se invece trovano sostanze nocive, producono subito contro-sostanze che si chiamano anticorpi. Gli anticorpi si attaccano alle sostanze intruse e fanno in modo che queste non possano danneggiare le cellule. La febbre è proprio il segnale che il nostro corpo sta reagendo a un'infezione e sta cercando di riportare le cose a posto.
In alcuni casi, però, il corpo non ce la fa a combattere le infezioni da solo. Allora bisogna aiutarlo con le medicine, come, per esempio, gli antibiotici, che impediscono ai batteri di riprodursi. Altre medicine servono a fare quello che, per colpa della malattia, il corpo non è più in grado di fare. Per esempio, i diabetici prendono l'insulina perché il corpo non è più capace di digerire gli zuccheri. Gli analgesici, invece, servono a non far sentire il dolore e fanno passare il mal di testa o il mal di denti.
Il fatto che l'organismo riconosca e combatta gli intrusi diventa un problema nel caso dei trapianti: quando un organo non funziona bene, si può ottenerne uno da un donatore e impiantarlo nell'organismo. Ma, per evitare che il corpo senta il nuovo organo come un estraneo e lo rifiuti (il cosiddetto rigetto), bisogna somministrare farmaci che servono a bloccare gli anticorpi, cioè a non far funzionare i meccanismi di difesa.
L'allergia è una reazione di difesa eccessiva di fronte a sostanze che il nostro sistema immunitario ritiene pericolose, anche se magari non lo sono affatto, come i pollini di alcune piante o i peli di alcuni animali. Queste sostanze vengono riconosciute come estranee dal sistema immunitario, che cerca di neutralizzarle e costruisce un numero eccessivo di anticorpi che provocano infiammazioni, starnuti e arrossamenti della pelle.
Come si fa a non ammalarsi? Contro certe infezioni (ma non tutte) ci si può vaccinare. È sempre bene avere cura del proprio corpo, tenerlo in forma, pulito e allenato. Perché un organismo forte si difende meglio dalle malattie.
Quando ci ammaliamo di morbillo, la pelle si riempie di macchioline rosse. Compaiono sulla faccia, sulle gambe e sulla pancia. Il morbillo è una malattia provocata da un virus che entra nell'organismo attraverso la saliva di una persona infetta. Non ci sono medicine che lo possano curare: l'organismo deve difendersi da solo e per fare questo ci mette di solito una decina di giorni. Ma il morbillo, come molte altre, è una malattia che si può prevenire.
Da piccoli, i bambini vengono vaccinati contro alcune malattie. Essere vaccinati significa che il nostro corpo è stato addestrato a riconoscere i virus e i microrganismi che provocano una certa infezione. Così, quando entrano nell'organismo, questo è pronto a produrre grandi quantità di anticorpi. Infatti i globuli bianchi hanno una specie di memoria che li aiuta a riconoscere gli intrusi che già hanno tentato di invadere il corpo e di farlo ammalare. Le vaccinazioni sono quindi un modo per insegnare al corpo come riconoscere questi intrusi.
Ma ci sono altre situazioni in cui il corpo sta male anche senza l'invasione di sostanze o di microrganismi estranei. Se ci addormentiamo sulla spiaggia sotto il sole, la pelle si brucia, si arrossa e fa male. Noi ci sentiamo un po' intontiti, ci gira la testa e abbiamo un gran caldo, come quando abbiamo l'influenza e la febbre alta. Questo vuol dire che il corpo reagisce a tutti gli stimoli troppo violenti che possono danneggiarlo. Perché al nostro corpo non piacciono molto gli eccessi: non gli fanno bene né il troppo caldo né il troppo freddo, né il troppo cibo né il troppo poco cibo, né la troppa luce né il troppo buio, né il troppo rumore né il troppo silenzio. Insomma, l'organismo vive bene in una situazione di equilibrio. Quando questo equilibrio viene a mancare, il corpo si organizza e fa di tutto per ripristinare le condizioni ideali. A volte ci riesce. A volte, invece, è più difficile: quando certe malattie alterano profondamente il funzionamento equilibrato dell'organismo e le medicine non bastano, il corpo non ce la fa più e muore.
Aiutare il corpo a mantenere il suo equilibrio è un ottimo modo per vivere in buona salute.
Per esempio, proteggersi dal freddo aiuta a non avere il raffreddore, non mangiare troppi dolci aiuta a non diventare grassi (essere molto grassi è una situazione di squilibrio che affatica il corpo), fare un po' di ginnastica (o semplicemente mettere in ordine la propria stanza) aiuta a stimolare il battito del cuore e a far circolare bene il sangue, e così via. Anche il cervello può essere mantenuto in salute, facendo in modo che le sue cellule prendano l'abitudine di scambiarsi molti messaggi l'una con l'altra. Questo succede quando si imparano e si capiscono cose interessanti, quando si elaborano nuove idee, quando ci si sforza di imparare a memoria le tabelline, o qualche poesia o qualche canzone.
Quando abbiamo molto freddo, le mani sono ghiacciate e diventiamo pallidi perché tutto il sangue caldo è stato richiamato verso le parti interne del corpo, che non devono assolutamente raffreddarsi. Anche i brividi e la pelle d'oca sono sistemi che il corpo mette in atto per riscaldarsi di nuovo: sono contrazioni muscolari che sviluppano calore.
"C'era una volta un Re e una Regina/ senza un bambino e senza una bambina./ Un giorno la Regina, in un ruscello,/ facendo un bagno disse: "Oh, che bello/ se io potessi avere una figliola!"/ Saltò fuori una rana gialla e viola,/ e disse: "Tu l'avrai, bella Regina!"/ E dopo un anno nacque una bambina".
Non c'è niente di più bello che essere desiderati. Anzi, è proprio questo desiderio a farci crescere nella pancia della mamma. E da lì sentiamo lei e il papà parlottare insieme: "Quale nome gli daremo, come avrà gli occhi, vedrai che avrà il tuo naso, speriamo prenda i miei capelli!"
E noi lì a gongolare al sicuro, ogni frase è come una carezza e quasi quasi non usciremmo mai. E ci piace farci aspettare, sentir contare i mesi e i giorni che mancano alla nostra apparizione.
A volte l'attesa è così lunga che i genitori sono disposti anche a sperare nei miracoli. Ma bisogna stare attenti alle parole che si usano perché spesso i desideri vengono presi alla lettera:
"Anche se fosse uno solo, sia pur piccolissimo, non più grosso di un pollice, sarei già contenta; e gli vorremmo un gran bene".
Ed ecco nascere un bambino, bello e proporzionato, educato e intelligente, ma non più alto di un pollice. Niente vale a farlo crescere e allora si decide di chiamarlo Pollicino. Ma non per prenderlo in giro; anzi, i genitori gli vogliono un gran bene. Figuratevi allora la reazione del padre quando due forestieri, che hanno visto il bambino condurre un carro da dentro l'orecchio del cavallo, chiedono di poterlo comprare per farne un'attrazione da circo!
Il figlioletto però vuole essere venduto per far guadagnare alla famiglia una bella moneta d'oro. Sa bene che, piccolo com'è, si può nascondere molto facilmente e infatti, con la scusa di dover fare la pipì, scende dal cappello di uno degli uomini e si infila sottoterra. Inutile cercarlo: è quasi invisibile tanto è minuscolo e ha già trovato rifugio in una tana di topo. Ma le sue avventure continuano: finirà nelle mani di una banda di ladri, poi nella pancia di una mucca e nello stomaco di un lupo, fino a quando tornerà sano e salvo a casa festeggiato dal padre e dalla madre. Per i buoni genitori, infatti, non c'è ricchezza più grande dei figli. Riuscire a dare la vita, vederla crescere e trasformarsi è sempre una magia.
È vero che ormai la scienza ci ha spiegato tutto e nessuno crede più ai cavoli o alle cicogne. Eppure ogni nascita rimane una sorpresa: sarà biondo o bruno, sarà calmo o agitato, portato per le lettere o la matematica? Quale gusto di gelato preferirà? Avrà successo nella vita?
Messer Parri, pittore famoso in tutta la Toscana, ha la fortuna di saperlo in anticipo. Lui mai aveva pensato di fare figli, fino a quando una maga non gli ha predetto un figlio di un'intelligenza straordinaria, con tanto cervello da stare in due teste. Il futuro padre diventa così orgoglioso che è disposto a fare qualsiasi cosa pur di avere un bimbo, persino di invocare il diavolo. Belzebù ascolta la preghiera e la esaudisce, a modo suo.
" "È un mostro!" esclamò la vecchia che lo aveva raccolto. "Un mostro" ripetè sbalordito Parri. "Un mostro!" disse la moglie.
"Sì, un mostro: ha due teste invece d'una", rispose la vecchia.
E infatti, il neonato aveva due teste, perfettamente uguali, che si staccavano dallo stesso busto: una, voltata davanti, e l'altra di dietro: ma due teste grosse, aiutatemi a dire grosse… Aveva voluto il figliuolo con tanto cervello da empir due zucche, e l'aveva avuto!".
Il bambino dimostra un'intelligenza fuori dal comune: non è neppure andato a scuola che sa già leggere e scrivere e conosce persino il latino! Ma la sua bruttezza gli impedisce di avere il bene più prezioso: l'amore dei genitori. I due neppure lo vogliono vedere e lo abbandonano.
Il figlio con due teste, per la mancanza di affetto, diventa ogni anno più cattivo e decide di vendicarsi. Un giorno arriva a casa del padre, ma questo, invece di cacciarlo, lo abbraccia e si pente. La forza dell'amore rompe la maledizione: una testa scompare e il ragazzo inizia una vita normale e diventa un celebre pittore.
Chi invece rifugge la normalità è Agnoldomenico, tanto lungo di nome, tanto basso di statura.
Alla sua nascita era andato tutto liscio e così per i primi otto anni. Poi sono arrivati i problemi. D'altronde non è facile crescere: se nascere è già una bella impresa, diventare grandi non è da meno. E le sorprese anche qui non mancano: a volte ci trasformiamo così tanto che neppure ci riconosciamo allo specchio.
Il problema di Agnoldomenico è opposto: lui non si trasforma, non si allunga, non si allarga, insomma non riesce a crescere. E scopre di essere nano. Ma non si scoraggia, anzi capisce che il suo punto di vista, tanto vicino ai tombini e ai marciapiedi, può rivelarsi prezioso. Inizia infatti a sentire voci lontane e risatine che sembrano venire da sotto le strade di Roma e ogni tanto gli sembra che da lì spuntino anche manine bianche. Un giorno, approfittando di una gita scolastica nelle catacombe, scopre un mondo sotterraneo tutto abitato da nani. Là il tempo non sembra esistere e la realtà si mescola al sogno. Ma questa è solo la prima tappa di un'avventura che lo porta prima in un circo, poi 'dall'altra parte'.
"I luoghi dell'avventura mi apparivano tutti riuniti insieme: il vecchio guardiano di un faro mi sventagliava la sua luce perché atterrassi sicuro, da un'isola mi salutava allegro un naufrago, da un veliero sparavano a salve i pirati, dalle inferriate di una prigione un omone faceva tintinnare come benvenuto le sue catene".
L''altra parte' è il luogo in cui chi ha qualche stranezza, perché troppo basso, lungo, ricurvo, buffo, viene considerato una creatura magica. Questo posto ricorda un'isola particolare, l'Isola che non c'è, anch'essa piena di pirati, prigionieri, sirene e pellirosse, ma soprattutto regno di Peter Pan. Lui potrebbe tranquillamente diventare grande, ma teme che ciò sia più che altro una seccatura e allora ha deciso di non crescere.
All'inizio, a dir la verità, non era molto consapevole della sua scelta. Semplicemente, quando era molto piccolo, ha trovato aperta la finestra della sua camera ed è volato via in cerca di avventure. Ha fatto amicizia con gli uccelli e con le fate, è diventato musicista provetto e ospite d'onore in tutte le feste.
Era tale il divertimento che quando si è deciso a tornare a casa ha trovato la finestra chiusa e non è più potuto essere un bambino normale. Ma non pensate che se ne sia troppo dispiaciuto: a lui non interessava diventare un adulto, abbandonare i giochi, le lotte con Capitan Uncino, gli scherzi alle sirene, le passeggiate con la fata Campanellino.
Anche Rosaspina è rimasta giovane per molto tempo, addirittura per cento anni. Nata anche lei dopo tante preghiere della futura mamma, era stata colpita da una maledizione. L'unica fata che non era stata invitata alla festa per la sua nascita, aveva predetto che a quindici anni si sarebbe punta con un fuso e si sarebbe addormentata. E così accadde.
"E insieme a lei caddero nel sonno/ la madre, il padre, e la nonna e il nonno,/ valletti, servi, nobili e soldati: tutti andarono a terra addormentati".
Pochi sanno che una sola persona non fu colpita dalla maledizione, la sorella della bella addormentata, passata alla storia come la brutta addormentata nel bosco. In effetti a vederla non era proprio carina e per questo i genitori le avevano sempre preferito la sorella.
Così, mentre tutti dormono, lei si aggira indisturbata e si diverte a fare certi scherzetti, a cambiare i vestiti a servi e a soldati, a fare ritratti, a mangiare ogni prelibatezza. Ma senza sonno il tempo passa ed è davvero dura vedersi invecchiare mentre gli altri rimangono uguali. Diventare vecchi, in effetti, è sempre difficile, si hanno meno forze e sempre più acciacchi.
Il barone Lamberto poi è davvero decrepito e tiene un taccuino con l'elenco delle sue ventiquattro malattie. Non è certo un bel vivere fino a quando, durante un viaggio in Egitto, gli viene confidato un segreto: "Ricordati che l'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita". Vengono così assunte sei persone che a turno, per tutto il giorno, devono pronunciare Lamberto, Lamberto, Lamberto…
E il barone, magicamente, ritorna giovane: le malattie scompaiono, i capelli ricrescono, la schiena si raddrizza, le forze riappaiono. Lamberto può addirittura fare sport. Il più incredulo è il nipote Ottavio che spera nella morte dello zio per ereditarne le ricchezze. Ma Ottavio scopre il segreto dello zio: con un po' di sonnifero fa tacere le voci che ripetono Lamberto, Lamberto, Lamberto…
Così il povero barone muore in una notte. Si fa un gran funerale a cui accorrono tantissime persone, tutte a dire: "Che buono Lamberto, povero Lamberto, peccato per Lamberto…". Ed ecco che improvvisamente la bara si apre e spunta, fresco come una rosa, il barone, risorto a sentire di nuovo il proprio nome. È proprio vero che nella vita non c'è mai fine alle sorprese! (Giordana Piccinini)
James Matthew Barrie, Peter Pan, Salani, Firenze 1993
James Matthew Barrie, Peter Pan nei giardini di Kensington, Nuages, Milano 2000 [Ill.]
Jacob e Wilhelm Grimm, La Bella Addormentata nel bosco, Mondadori , Milano 1999 [Ill.]
Jacob e Wilhelm Grimm, Pollicino, in Le fiabe del focolare, Einaudi, Torino 1951
Jacob e Wilhelm Grimm, Pollicino, in Fiabe meravigliose, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 1994 [Ill.]
Emma Perodi, Il ragazzo con due teste, in Fiabe fantastiche, Einaudi, Torino 1974 [Ill.]
Charles Perrault, Pollicino, Kiber, Serravalle Pistoiese 2001 [Ill.]
Roberto Piumini, Rosaspina, Fabbri, Milano 2002
Gianni Rodari, C'era due volte il Barone Lamberto, Einaudi Ragazzi, Trieste 1996 [Ill.]
Grégoire Solotareff, La brutta addormentata nel bosco, Mondadori, Milano 1998 [Ill.]
Donatella Ziliotto, Io, nano, Mondadori, Milano 1989 [Ill.]