L’uragano Vatileaks
La fuga di documenti segreti dal Vaticano rivela trame, corruzione, addirittura un fantomatico complotto per assassinare il papa. È guerra aperta fra le varie fazioni all’interno della Chiesa. Obiettivo: il ruolo del segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone.
La fuga di documenti riservati, che a partire dal gennaio 2012 scuote i vertici della Chiesa cattolica, è l’ennesimo scandalo che contrassegna il travagliato pontificato di Benedetto XVI.
Il caso, noto come ‘Vatileaks’ si aggiunge alla serie di crisi che ha portato il papato a scontrarsi nel tempo con l’islam, con l’ebraismo, con gli ambienti scientifici a proposito del profilattico e dell’AIDS, con larga parte dell’opinione pubblica per la revoca della scomunica al vescovo negazionista lefebvriano Richard Williamson, cui si aggiunge la grande crisi per gli abusi sessuali del clero. I documenti, resi noti grazie al libro Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI del giornalista Gianluigi Nuzzi e agli scoop del Fatto Quotidiano, abbracciano molti temi, tra i quali la rimozione del segretario del Governatorato vaticano, monsignore Carlo Maria Viganò, trasferito come nunzio a Washington dopo la sua denuncia di corruzione riguardo gli appalti in Vaticano; le tensioni tra il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, e il cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede, relative alla trasparenza delle operazioni dell’Istituto per le opere di religione (IOR); i retroscena della destituzione del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi; lo scontro tra il cardinale Bertone e l’allora arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, per la guida dell’Istituto Toniolo, stanza dei bottoni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Policlinico Gemelli; e ancora, i retroscena del passaggio del patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, dell’arcidiocesi di Milano e le accuse del leader di Comunione e liberazione, don Julián Carrón, secondo cui nella diocesi ambrosiana (guidata in precedenza dai cardinali Tettamanzi e Carlo Maria Martini) si è praticato e si pratica un insegnamento teologico deviante «in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero». Tra le carte anche nuovi fatti relativi al caso di Dino Boffo, l’ex direttore di Avvenire, quotidiano della CEI (Conferenza episcopale italiana), dimessosi nel settembre 2009 dopo una campagna diffamatoria condotta dal direttore del Giornale, Vittorio Feltri. In un fax al segretario del pontefice, monsignore Georg Gänswein, Boffo accusa il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, di avere trasmesso allo stesso Feltri un falso documento attestante la sua omosessualità. Non manca un appunto recapitato all’appartamento papale dal cardinale colombiano Dario Castrillón Hoyos con la denuncia di un presunto complotto per assassinare Benedetto XVI e le manovre per portare Scola al pontificato nel futuro conclave. Allarmato, papa Joseph Ratzinger insedia il 31 marzo 2012 una speciale commissione cardinalizia d’indagine, guidata dal cardinale Julián Herranz dell’Opus Dei e composta inoltre dai cardinali Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi, che il 23 maggio porta all’arresto del maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, il quale confessa di avere consegnato i documenti a Nuzzi.
Dopo quasi due mesi passati in cella, Gabriele viene rinviato a giudizio dal giudice istruttore vaticano Piero Antonio Bonnet con l’accusa di furto aggravato. L’informatico Claudio Sciarpelletti, dipendente della Segreteria di Stato arrestato e rilasciato dopo 24 ore, è invece accusato di favoreggiamento. Al processo, apertosi il 29 settembre, Gabriele dichiara «Non mi sento un ladro» e spiega di avere agito completamente da solo per «esclusivo amore» del Papa e della Chiesa. Si era accorto, dice, che il pontefice non era informato di cose che avrebbe dovuto sapere. Durante la detenzione Gabriele spiega di avere voluto «riportare la Chiesa sul giusto binario» a fronte di scandali e corruzione. Gabriele si autodefinisce un «infiltrato» dello Spirito Santo.
Il processo si conclude il 6 ottobre, dopo appena quattro udienze, con la condanna a 18 mesi di detenzione. «Sentenza equilibrata» per la difesa, che non interpone appello sapendo già dell’imminente grazia di Benedetto XVI. La corte, sotto la presidenza di Giuseppe Dalla Torre, ha stralciato il processo dell’informatico Sciarpelletti e ha respinto la richiesta della difesa di acquisire i risultati della commissione d’inchiesta cardinalizia, che ha interrogato una ventina di dipendenti laici ed ecclesiastici della Curia. Concentrandosi unicamente sul furto, la Corte non approfondisce i problemi legati a eventuali complicità e alle personalità che Gabriele aveva precedentemente indicato come referenti di colloqui (fra le quali i due cardinali Angelo Comastri e Paolo Sardi e la collaboratrice del Papa, Ingrid Stampa). Né si chiarisce il ruolo del confessore don Giovanni Luzi, che ha ricevuto dal maggiordomo una scatola di documenti riservati che ha dichiarato di avere distrutto.
Fatti inquietanti emergono dal procedimento: Gabriele ha collezionato almeno 1000 documenti ‘sensibili’ (alcuni relativi anche alle condizioni cliniche del Papa e altri esterni alla segreteria papale) già a partire dal suo arrivo nella famiglia pontificia nel 2006. Ad accorgersene è stato, durante le indagini, il segretario papale Gänswein.
La Corte non indaga oltre e forti dubbi restano sul ruolo unico del maggiordomo. Al di là della vicenda giudiziaria, l’affare Vatileaks porta alla luce un profondo disagio all’interno della Curia nei confronti della gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone. Molta parte della documentazione resa pubblica rivela conflitti di cui è protagonista il Segretario di Stato. Anche in passato vi sono state rivelazioni su documenti vaticani. Ma nel fenomeno Vatileaks, teso evidentemente a un cambio di gestione ai vertici della Santa Sede, colpisce la constatazione che in fondo non sono stati i giornalisti a scoprire testi segreti destabilizzanti bensì che la manovra è partita dall’interno del palazzo apostolico. Con la volontà di dare battaglia sulla scena mediatica internazionale.
I misteri dello IOR
L’Istituto per le opere di religione, la ‘banca vaticana’ fondata nel 1942, non è paragonabile a una ‘banca centrale’ della Santa Sede (ruolo svolto invece dall’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica). Per statuto ha lo scopo di «provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti o affidati allo IOR medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati a opere di religione e carità». Mentre è ben noto il suo coinvolgimento in scandali passati (tra cui il crac del Banco Ambrosiano), meno conosciuto è il ruolo che questo ente ha avuto, tra l’altro, nel finanziare Solidarnos´c´ nella Polonia degli anni Ottanta e che probabilmente continua ad avere nel sostenere la Chiesa cattolica dove essa è costretta in clandestinità o comunque osteggiata dalle autorità. Un’attività, questa, quasi inevitabilmente ‘opaca’ e prona a essere ‘sviata’ per finalità personali o addirittura illecite.