L'uso del cognome materno
L’obbligatoria e automatica assegnazione ai figli nati nel matrimonio del solo cognome paterno, uno degli ultimi ‘‘privilegi’’ maschili, è entrata in crisi; a ciò hanno concorso l’evoluzione del costume sociale, il diverso regime previsto in Paesi a noi anche culturalmente vicini, ma anche l’ancora recente unificazione dello stato di figlio; la novellazione del 20122013 ha oltretutto introdotto una ben più adeguata disciplina di assegnazione del cognome ai figli nati fuori dal matrimoni. Una recente sentenza della Corte costituzionale, preceduta da un intervento di quella di Strasburgo, ha comunque parzialmente modificato un assetto ormai insostenibile, consentendo – ma solo nell’accordo dei genitori – l’assegnazione “anche” del cognome materno. Resta però indispensabile un più organico intervento legislativo.
L’attribuzione automatica ai figli nati nel matrimonio dei genitori (già legittimi) del (solo) cognome paterno costituiva (e ampiamente ancora costituisce) il superstite retaggio della tramontata supremazia del marito nell’ambito della famiglia matrimoniale (unitamente all’art. 143 bis c.c., sull’aggiunta del cognome del marito a quello della moglie1). Tale assetto (dopo un quarantennio di riforme del diritto di famiglia) è sempre più avvertito, anche dalla coscienza sociale, come ingiustificabile e anacronistico, dissonante – in un mondo globalizzato (anche quanto alle dinamiche familiari) – rispetto a quanto previsto, spesso da decenni, in ordinamenti giuridici stranieri anche vicini a quello italiano.È ormai opinione consolidata, anche in dottrina, che il cognome del figlio – proprio perché esprime l’appartenenza ad una data famiglia – deve riflettere e testimoniare la sua discendenza da una determinata coppia, senza privilegiare aprioristicamente uno solo dei genitori.
Il figlio, in altri termini, ha diritto di assumere il cognome di entrambi i genitori2.
Pure, quello in oggetto integra un automatismo, ed una obbligatorietà, non previsti – non espressamente – da alcuna norma specifica, tanto che non è mancato chi, anche in giurisprudenza, fa discendere l’imposizione del solo cognome paterno da una norma consuetudinaria.
lI legislatore, certo, a fronte di un radicato costume sociale, ha dato ampiamente per presupposto l’automatismo in oggetto, il quale, però, ha comunque un sicuro fondamento di diritto positivo, pur se la norma che lo esprime si desume – inequivocabilmente per quanto implicitamente (in una sorta di puzzle legislativo) – dalla lettura comparata di più disposizioni legislative. In tal senso la giurisprudenza assolutamente prevalente, in primo luogo costituzionale.
Tale assetto è stato di recente almeno scosso da due interventi giurisprudenziali di altissimo profilo, della Corte di Strasburgo3 e della Consulta4.
Quest’ultima, in particolare, con una sentenza di accoglimento, ha dichiarato incostituzionale la norma (desumibile dalle disposizioni che si indicheranno infra) sull’attribuzione del cognome alla prole, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; la Consulta, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale (ai sensi dell’art. 27 l. 11.3.1953 n. 87), l’art. 299, 3º comma, c.c., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione di maggiorenne compiuta da entrambi, di attribuire all’adottato di comune accordo, al momento dell’adozione, anche il cognome materno.
Sotto diversi profili la riscrittura giurisprudenziale dell’istituto, pur sollecitata dalla dottrina prevalente, si è rivelata lenta rispetto al rapido mutamento dei consumi sociali.
La questione della costituzionalità dell’attribuzione automatica del cognome paterno ai figli già legittimi, ora nati nel matrimonio dei genitori, non è certo nuova. La Corte costituzionale ha progressivamente, pur se lentamente, mutato la propria prospettiva al riguardo. Le prime due pronunce5 – non a caso si tratta di ordinanze di manifesta inammissibilità – pronunciate alla fine degli anni Ottanta, sono sembrate, già all’epoca, non al passo con l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale del diritto di famiglia. In sostanza la Corte aveva escluso l’incostituzionalità delle disposizioni alla stregua delle quali i genitori non hanno la facoltà di imporre ai loro figli entrambi i loro cognomi, né il figlio ha il diritto di assumere anche il cognome materno. Ciò (formalisticamente) in quanto «oggetto del diritto dell’individuo all’identità personale non è la scelta del nome, bensì il nome acquisito per estensione legale che meglio tutela l’interesse alla conservazione dell’unità familiare»; in un inciso della prima pronuncia, peraltro, la Corte già evocava l’opportunità di sostituire la disciplina vigente con un criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi. Negli anni successivi, il tema dell’attribuzione del cognome ai figli legittimi è stato approfondito soprattutto dai giudici amministrativi. Il Consiglio di Stato6 aveva manifestato una notevole apertura in ordine al superamento dell’automatismo in parola, affermando che la sostituzione del cognome paterno con quello materno non rientra tra i divieti espressamente previsti dall’art. 89, co. 3, d.P.R. 3.11.2000, n. 396, cd. nuovo ordinamento di stato civile; tale sostituzione, quindi, non può essere negata con la sola motivazione di un’asserita compromissione dello status di figlio legittimo e dei valori della famiglia fondata sul matrimonio.
La questione, dopo quasi un ventennio è stata nuovamente sottoposta (dalla Cassazione) alla Corte costituzionale, e dichiarata inammissibile, ma su tutt’altre basi, e con sentenza7.
Il dubbio di costituzionalità investiva, più di preciso, l’automatismo dell’imposizione del cognome paterno al figlio anche nell’ipotesi in cui entrambi i genitori, coniugati, manifestano una diversa volontà. La Consulta, prendendo le distanze dai precedenti del 1988, aveva mostrato di condividere le censure mosse dal giudice remittente alle norme di riferimento: «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principî dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
La sentenza, inoltre, richiamava, a fondamento dell’obbligo di eliminazione di ogni discriminazione nei confronti delle donne in ambito familiare, anche con riferimento alla scelta del cognome, le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e alcune decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nondimeno la Corte costituzionale aveva rilevato che l’accoglimento della questione, pur nei limiti circoscritti dal giudice rimettente, si sarebbe risolto in un intervento manipolativo esorbitante dalle proprie attribuzioni (interferendo nell’ambito riservato alla discrezionalità del legislatore). La conseguente pronuncia di inammissibilità ha suscitato insoddisfazione della prevalente dottrina, ma anche della stessa Cassazione8 che, a breve distanza di tempo, ha sollecitato la rimessione alle Sezioni Unite della «questione se possa disporsi la rettificazione dell’atto di nascita nella parte in cui abbia attribuito al figlio minore legittimo il cognome del padre, invece che quello materno, come invece congiuntamente richiesto dai coniugi, adottandosi al riguardo una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme internazionali di riferimento ovvero rimettendo la questione medesima alla Corte costituzionale» (il procedimento non fu poi coltivato, sicché le Sezioni Unite non si pronunciarono). In estrema sintesi la Cassazione – chiaramente “replicando” al precedente della Consulta del 2006 – affermò che, venendo in rilievo esclusivamente la fattispecie della attribuzione al figlio del cognome materno su accordo dei genitori, non si poneva la questione della discrezionalità del legislatore: «la soluzione in tal caso appare ‘a rima obbligata’, perché si tratta non di scegliere tra una pluralità di alternative, ma solo tra l’ammettere o escludere la possibilità di deroga alla norma di sistema, in un contesto in cui le altre fattispecie non resterebbero prive di regole dovendo alle stesse comunque applicarsi la predetta norma implicita».
L’occasione per l’introduzione di una più moderna disciplina del cognome dei figli si è manifestata ed è stata persa, per ragioni mai chiarite con la riforma della filiazione del 20122013.
Oltretutto la perdurante differenziazione del regime di attribuzione del cognome ai figli nati da genitori non coniugati (questa sì incisa dalla novellazione), rispetto a quella dei figli invece nati da genitori coniugati appare irrimediabilmente stridente con l’unificazione dello stato giuridico di figlio (art. 315 c.c.), che pure costituisce il profilo qualificante della novellazione medesima. Peraltro l’assegnazione automatica al figlio del cognome paterno opera anche nel caso di nascita da genitori non coniugati, sempre però che il riconoscimento sia stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori. Il d.lgs. 28.12.2013, n. 154, infatti, ha lasciato fermo l’art. 262, co. 1, c.c. (disposizione infatti a sua volta dichiarata incostituzionale da C. cost. n. 286/2016).
La novella ha però profondamente modificato i commi successivi, tuttora vigenti, sulle fattispecie di riconoscimento o di accertamento non simultaneo della genitorialità9.
Si tratta di disposizioni caratterizzate da notevole elasticità, quanto alla possibilità per il figlio di aggiunta, anteposizione, sostituzione del cognome (materno o paterno che sia) originariamente imposto.
Di rilievo in particolare il co. 3, alla stregua del quale il figlio può comunque conservare il cognome attribuitogli ove «sia divenuto autonomo segno della sua identità personale».
Che il cognome costituisca un autonomo segno distintivo dell’identità personale, e tratto essenziale della personalità di chi lo porta, è del resto affermazione da anni nella giurisprudenza della stessa Consulta10 (come rimarcato anche da C. cost. n. 286/2016).
In tal senso, a maggior ragione, anche le pronunce di legittimità successive alla novellazione11.
L’attribuzione del cognome ha destato l’interesse anche della giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, pur sotto il peculiare profilo della tutela della libertà di circolazione e stabilimento nel territorio dell’Unione. In tale prospettiva si è manifestato un crescente favore per l’attribuzione del doppio cognome (previsto da non poche legislazioni nazionali). Particolare rilevanza hanno le sentenze Garcia Avello12 e Grunkin13. Nel caso deciso da quest’ultima figlio e genitori avevano la sola cittadinanza tedesca, ma il figlio era nato in Danimarca, e ivi era stato registrato con il doppio cognome, paterno e materno, in conformità alla legge di quel Paese, diversamente da quanto previsto invece dalla legge tedesca (con conseguente rifiuto dell’ufficiale di stato civile di quest’ultimo Paese di procedere alla registrazione del doppio cognome). La Corte, richiamando l’art. 18 (diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri) del Trattato UE, ha ritenuto che «il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l’esercizio a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». La giurisprudenza italiana successiva alla pronuncia della Cassazione del 2008 surrichiamata ha a sua volta affrontato la questione del cognome del figlio legittimo essenzialmente sotto il profilo del diritto internazionale privato (avvalendosi degli insegnamenti della giurisprudenza europea). Così la stessa Cassazione14 ha agevolmente affermato che una persona nata da genitori stranieri in uno Stato dove viene attribuito il doppio cognome (paterno e materno), e che sia anche cittadino italiano, ha diritto a portare anche in Italia il doppio cognome. In termini la giurisprudenza di merito15.
L’assetto normativo italiano in materia di cognome dei figli “matrimoniali” è stato poi direttamente investito, e censurato, come accennato, da una rilevante pronuncia della Corte di Strasburgo, la quale ha dichiarato che l’automatismo in oggetto, senza possibilità di deroga (anche in caso di diversa concorde volontà dei coniugi medesimi), contrasta con gli art. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (Divieto di ogni discriminazione) CEDU. La Corte, anche alla stregua della propria giurisprudenza, ha avuto facile gioco nel rilevare, da un lato, che il cognome, quale strumento di identificazione personale e di collegamento ad una famiglia, attiene alla vita privata e familiare, dall’altro, che le discriminazioni fondate sul sesso vanno valutate sempre con particolare rigore. La legge italiana – per la sua eccessiva rigidità – è appunto ingiustificatamente discriminatoria verso la moglie, la quale non potrà mai conseguire l’assegnazione ai figli del proprio cognome, pur con il consenso del marito. La Corte si è poi ampiamente occupata anche dei profili “esecutivi” della propria decisione, ai sensi dell’art. 46 CEDU, precisando che lo Stato italiano è tenuto ad introdurre le necessarie modifiche legislative, in modo da consentire l’iscrizione dei figli legittimi nei registri dello stato civile anche con il cognome della madre.
Tale è, pressappoco, l’assetto normativo e giurisprudenziale da cui muove – consapevolmente – C. cost. n. 286/2016, il cui percorso era, in una certa misura, obbligato ma anche facilitato dalle principali pronunce surrichiamate.
L’irrimediabile contrasto dell’assetto normativo vigente con i valori costituzionali era stato già affermato da C. cost. n. 61/2006; il contrasto del medesimo assetto con il diritto del figlio ad un’identità personale «piena», anche quindi con riferimento al ramo materno, nonché con il principio di eguaglianza tra i genitori/coniugi discendeva, chiaramente, da C. eur. dir. uomo 7.1.2014; l’affermazione che la pronuncia manipolativa di accoglimento era a «rime obbligate», senza pertanto che si ledesse la discrezionalità del legislatore, era suggerita da Cass. n. 23934/2008 cit. C. cost. n. 286/2016 – sempre alla stregua dei propri precedenti – desume la norma sull’automatica attribuzione del cognome paterno dagli artt. 237, 262 e 299 c.c., nonché dagli artt. 33 e 34 d.P.R. 3.11.2000, n. 396 (solo in dispositivo è richiamato l’art. 72, co. 1, r.d. 9.7.1939, n. 1238, l’abrogato ordinamento di stato civile, cui – in motivazione – si attribuisce un valore meramente interpretativo).
La pronuncia di incostituzionalità è incentrata sulla violazione degli artt. 2, 3 e 29 Cost.; in particolare è affermato – e qui è il cuore tranchant della motivazione – che la totale impossibilità di attribuire al figlio “matrimoniale”, fin dalla nascita, il cognome materno pregiudica il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisce un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi.
La Consulta richiama, a fondamento della decisione, anche la propria ancora recente sentenza16, sul cd. diritto alle origini, indicata anzi come momento culminante del processo di valorizzazione del diritto alla identità personale, in un’accezione, viene da dire “integrale”.
La Consulta, quindi, ha sostanzialmente ampliato la portata delle proprie pronunce di accoglimento, anche in ambiti che, proprio in ragione dei suoi interventi demolitori/manipolatori, richiedono, o possono richiedere, l’intervento (inevitabilmente discrezionale) del legislatore.
Inoltre, ed è dato significativo, la Corte dichiara assorbita la censura relativa all’art. 117, co. 1, Cost. e quindi alla violazione della CEDU: lo svogliato richiamo a C. eur. dir. uomo 7.1.2014, (§ 3.4.1 della motivazione) pertanto, ha inciso ben poco sulla pronuncia di incostituzionalità.
Sotto tale profilo la sentenza in rassegna si discosta, radicalmente, dalla paneuropea Cass. n. 23934/2008, ma anche dalla stessa C. cost. n. 61/2006, che aveva mostrato maggior attenzione alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
I recenti arresti giurisprudenziali non hanno colmato per intero le lacune. I problemi di carattere applicativo sono molteplici e le soluzioni appaiono talvolta discriminatorie.
C. cost. n. 286/2016 sembra ritenere che la propria decisione, limitata a fattispecie “a rime obbligate” (ma tale espressione non è mai utilizzata), e quindi alla richiesta concorde dei genitori, sia autoconclusiva e non richieda ulteriori interventi di attuazione e di dettaglio.
Di contro si sono subito posti seri problemi applicativi, cui la Consulta non dà risposta. È però intervenuto, opportunamente, il Ministero dell’interno, con due circolari17, la seconda delle quali contiene plurime indicazioni operative.
Alcune sono superflue, in quanto discendono da previsioni di legge o della stessa sentenza (ad esempio quanto al carattere non retroattivo del nuovo assetto, e alla sua applicabilità anche all’adozione, sia di maggiorenne che di minore).
D’altro canto – e molto opportunamente – il Ministero esclude la necessità di particolari formalità per documentare l’accordo tra i genitori (in particolare il consenso della madre, qualora sia ancora ricoverata) sulla scelta del cognome materno: in sostanza è sufficiente la richiesta del genitore che rende la dichiarazione di nascita, da effettuarsi (art. 30 d.P.R. n. 396/2000) entro dieci giorni dalla nascita (termine entro il quale, evidentemente, i genitori devono effettuare la scelta).
Più discutibilmente, la circolare in oggetto afferma che, in forza dell’accordo dei genitori, il cognome materno può essere solo posposto a quello paterno, non anche anteposto (e, a maggior ragione, sostituito).
La Consulta, certo, era stata ambigua sul punto, richiamando, anche in dispositivo, la possibilità di trasmettere «anche» il cognome materno, parola che sembra avere il valore di congiunzione (e su tale inciso si fonda la statuizione ministeriale).
Una tale lettura si risolve in una interpretazione eccessivamente restrittiva, se non discriminatoria, della norma, in quanto al cognome materno è attribuita comunque una ridotta rilevanza rispetto all’altro.
C. cost. n. 286/2016 si fonda però pur sempre anche sull’eguaglianza dei coniugi/genitori, (artt. 3 e 29 Cost.): la soluzione preferibile (diversamente da quanto ritenuto dal Ministero) è allora che, in caso di accordo, può scegliersi il cognome materno anche in via esclusiva ovvero in aggiunta a quello paterno, nell’ordine prescelto dai genitori stessi. Restano però delle rilevanti criticità.
Così sia la sentenza che il Ministero non precisano se la scelta dei coniugi/genitori deve avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero se deve essere espressa all’atto della nascita di ciascuno di essi. Pur in mancanza di una specifica limitazione normativa, deve ritenersi – tenuto conto che il cognome assolve pur sempre anche ad una funzione pubblicistica – che la scelta del cognome non potrà che essere irrevocabile e per tutti i figli nati successivamente.
C. cost. 286/2016, in conclusione, afferma che – al di là dei casi decisi – in assenza di un accordo dei genitori, «residua la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno», certo in attesa di un «indifferibile» intervento del legislatore, volto a disciplinare la materia secondo criteri consoni al principio di parità. In mancanza di accordo tra i genitori, quindi, resterebbe fermo l’automatismo che, pure, la stessa Consulta ha ritenuto incostituzionale. Così procedendo, però – al di là di ogni questione di coerenza – si riduce ad una mera lustra la pur limitata facoltà di imporre al figlio il cognome materno la quale, presupponendo esclusivamente l’accordo tra i genitori, finisce infatti per dipendere da una scelta discrezionale (per non dire arbitraria) del padre che, non manifestando il suo consenso, rende inevitabile l’imposizione del proprio cognome. È agevole prospettare, allora, un nuovo incidente di costituzionalità, il cui esito non è scontato, perché qui la conclusione potrebbe non essere “a rime obbligate”. Vi è però spazio per una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa superstite, alla stregua anche della copiosa giurisprudenza in tema di tutela dell’interesse del minore, principio che permea di sé tutto il diritto di famiglia; ne segue che – al di là di ogni automatismo – il contrasto sul cognome dovrebbe essere risolto giudizialmente. Infatti, ai sensi del novellato art. 316 c.c., co. 2 e 3, nonché (nella crisi della famiglia legittima) dell’art. 337 ter, co. 3, c.c., in caso di contrasto tra i genitori su questioni di particolare importanza (e tale è la scelta del cognome), la decisione compete, con le modalità indicate, al giudice (cfr. art. 38 disp. att. c.c.). Non può certo revocarsi in dubbio che la scelta del cognome rientri tra quelle di maggiore importanza per il figlio (e, quanto all’art. 337 ter c.c., può essere ricompresa in quelle relative alla salute, incidendo sull’identità personale)18. Va poi fatto almeno un cenno alla genitorialità omosessuale, ormai ampiamente riconosciuta e tutelata dalla giurisprudenza, pur nel silenzio della l. n. 76/2016; per quanto qui interessa, si tende ad attribuire al figlio “comune” (qui non interessa se in forza di adozione, o di riconoscimento di efficacia di atto di nascita) il doppio cognome19. Va infine segnalato che, specie dopo le sentenze surrichiamate, è particolarmente vivace il dibattito, sia in ambito dottrinale che politico, sul contenuto di una auspicabile disciplina legislativa della questione20. Si fronteggiano, essenzialmente, due orientamenti. Un primo riconosce ai genitori ampia discrezionalità, potendo essi scegliere (ma irrevocabilmente, per tutti i figli nati successivamente al primo) il cognome dell’uno o dell’altro, o anche entrambi, nell’ordine da essi stessi indicato (sicché i criteri legali – variamente individuati – opererebbero solo nel silenzio o nel disaccordo dei genitori); taluno però ha osservato che tale impostazione, in apparenza liberale, rischia di essere conservatrice, in quanto, di fatto, nella gran parte dei casi si continuerà a dare la preferenza al patronimico, per un ovvio fenomeno di vischiosità e di rispetto per quella che è pur sempre una tradizione consolidata. L’altro indirizzo, invece, è più rigido ed opta senz’altro per l’assegnazione del doppio cognome (pur se l’ordine potrebbe essere scelto dai genitori); tale soluzione – si osserva – è l’unica rispettosa dei valori primari, in quanto il doppio cognome esprime proprio l’unità del nucleo familiare, visto come un rapporto fondato sulla parità e l’eguaglianza. Resta poi ferma l’esigenza di assicurare la certezza del diritto, anche con riferimento alla corretta trasmissione del cognome stesso alle generazioni successive, da un lato garantendo il principio di eguaglianza, dall’altro evitando assurdi appesantimenti (cognomi plurimi).
1 Cfr. l’art. 1, co. 10, l. 20.5.2016, n. 76 per il ben diverso, e più evoluto, regime previsto per le parti delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
2 Trimarchi, M., Il cognome dei figli: un’occasione perduta dalla riforma, in Fam. dir., 2013, 244.
3 C. eur. dir. uomo, 7.1.2014, C. c. Italia, in Foro it., 2014, IV, 57, con osservazioni di G. Casaburi.
4 C. cost., 21.12.2016, n. 286, in Foro it., 2017, I, 1, con osservazioni di G. Casaburi; in Fam. dir., 2017, 213, con osservazioni di E. Al Mureden; in Corr. giur., 2017, 165, con osservazioni di V. Carbone; in Nuova giur. civ. comm., 2017, 813, con osservazioni di C. Favilli.
5 C. cost., 11.2.1988, n. 176, in Foro it., 1988, I, 1811, e C. cost., 19.5.1988, n. 586, in Giust. civ., 1988, I, 1649.
6 Cons. St., 17.3.2004, n. 515, in Cons. St., 2004, I, 1977.
7 C. cost., 16 2.2006, n. 61, in Foro it., 2006, I, 1673.
8 Cass., ord. 22.9.2008, n. 23934, in Foro it., 2008, I, 3097.
9 Cfr. Casaburi, G., Il completamento della riforma della filiazione (d.leg. 28 dicembre 2013 n. 154), in Foro it., 2014, V, 1, § VIII.
10 C. cost., 23.7.1996, n. 297, in Foro it., 1996, I, 3600; C. cost., 24.6.2002, n. 268, in Foro it., 2003, I, 2933.
11 Cass., 11.9.2015, n. 17976, in Foro it., 2016, I, 135.
12 C. giust., 2.10.003, causa C148/02, in Cons. St., 2003, II, 1891.
13 C. giust., 14.10.2008, causa C353/06, in Corr. giur., 2009, 492.
14 Cass., 17.7.2013, n. 17462, in Foro it., 2013, I, 2807.
15 Trib. Napoli, 19.3.2008, in Foro it., 2008, I, 2322.
16 C. cost., 22.11.2013, n. 278, in Foro it., 2014, I, 4, con osservazioni di G. Casaburi.
17 Circolari nn. 1 e 7, rispettivamente del 19 gennaio 2017 e del 14 giugno 2017, rinvenibili sul sito istituzionale del Ministero.
18 Cass., 20.11.1997, n. 9339, in Stato civ. it., 1998, 744.
19 Cass., 16.6.2017, n. 14987 e Cass., 15.6.2017, n. 14878, in Foro it., 2017, I, 2280. Per una fattispecie peculiare cfr. Trib. Lecco, 4.4.2017, in Foro it., 2017, I, 1763.
20 Pende, in Parlamento, un organico disegno di legge: cfr. Atto Senato n. 1230 (Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli), aggiornato al 20 giugno 2017, consultabile in www.senato.it.