Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I balli accompagnano l’evoluzione del tempo libero rappresentando un’importante cartina di tornasole riguardo alle tematiche del corpo, dell’interazione sociale e di coppia. All’inizio del secolo le danze del jazz soppiantano i vecchi valzer e impongono un nuovo approccio al ballo, basato sulla centralità della tradizione afroamericana. Dagli anni Venti un posto centrale è occupato dalle danze latino-americane, mentre dagli anni Cinquanta è la cultura giovanile a dettare le regole, prima con le danze legate al rock, poi con il mito della discoteca che viene a soppiantare la vetusta balera.
Le danze della Jazz Age
Il ballo segna un importante filone nell’evoluzione del tempo libero: nelle sue molteplici manifestazioni esso rispecchia, a volte perfino anticipandolo, il processo d’integrazione sociale, le dinamiche di coppia, la costruzione dell’identità individuale.
Forma di comunicazione non verbale per eccellenza, il ballo ha saputo veicolare le strategie dell’industria dell’intrattenimento e la riscoperta del corpo, ponendosi in un ambiguo, affascinante crocevia fra desiderio e logiche economiche. Ogni momento del Novecento è stato caratterizzato da uno o più balli alla moda, che spesso non sono durati più di una stagione. Alcuni tuttavia, specie se espressione di una cultura e non invenzioni a tavolino, sono sopravvissuti al loro tempo entrando nell’immaginario del pubblico occidentale: è il caso del tango, del flamenco, o del samba, emersi agli inizi del secolo in contesti di forte urbanizzazione, proletarizzazione e contaminazione fra razze e classi sociali.
Ai primi del secolo i centenari valzer, polka e mazurka non entusiasmano più. Perfino Johann Strauss figlio tenta di modernizzare la regina delle danze rallentandone i tempi, mentre in America comincia a diffondersi il boston, o valzer lento. Al piglio saltellato della polka si sostituiscono two-steps (americani) e one-steps (inglesi). La maxixe brasiliana, introdotta già dal 1890, e il cake-walk (1905 ca.) giungono a liberare le gambe dalla rigida disciplina di giri e passi scivolati che domina la danza europea. Da allora, con sempre maggiore rapidità, si adottano tutta una serie di balli dell’America centrale nello sforzo di rimpiazzare ciò che è andato perduto nel Vecchio Continente: varietà, forza ed espressività del movimento spinto fino alla grottesca deformazione di tutto il corpo.
Il nucleo originario da cui prende forma una nuova idea di ballo è il ragtime, un genere musicale che dà il via a un vasto gruppo di danze denominate “ragtime dances”. L’America si muove a passo di cake-walk, la preferita delle ragtime dances, ma anche a Vienna le giostre del Prater girano a tempo di ragtime mentre a Londra gli organi a vapore lo diffondono nelle strade e le fanciulle scozzesi si lanciano nelle tradizionali danze delle Highlands al suono di Maple Leaf Rag eseguito dalle cornamuse.
Primo laboratorio interrazziale, che vede musicisti bianchi e neri suonare nelle stesse orchestre, il ragtime marchia in modo definitivo il destino del ballo popolare nel Novecento: un ballo – sia che si tratti di fox-trot o di rock’n’roll, di breakdance o di salsa – fondato principalmente su una qualche tradizione musicale/coreografica afro-americana e sulle molteplici manifestazioni che questa produce dall’incontro con le coeve tradizioni bianche, siano esse europee, nord o sudamericane.
Se il tango esprime una concezione vecchio stampo del rapporto uomo-donna, il fox-trot mette in campo un’inedita parità fra i sessi, nell’epoca delle suffragettes e dei primi movimenti di liberazione della donna. Il fox-trot, una danza in ritmo binario sincopato con il terzo tempo accentuato, ha un forte impatto sulle classi medie, diversamente dal tango e dalle ragtime dances, in voga presso le classi popolari.
La mania del ballo diventa un’ossessione intorno al 1913, l’anno in cui il tango sbarca in Europa (Parigi), proveniente da Buenos Aires, dove era la danza nazionale già dal 1880. Nel 1925 dilaga il charleston, osannato come l’apoteosi dei “ruggenti” anni Venti: qui i muscoli e l’agilità prevalgono sull’eleganza e la leggiadria, mentre le sale da ballo cominciano a ospitare quelle evoluzioni ginniche che le caratterizzeranno sempre di più nel corso del Novecento.
Il tango e le danze latine
Il tango argentino, prodotto dall’accoppiamento del tango andaluso con il tamburo africano, si sviluppa nei barrios, nei bordelli e nei caffè dove si ritrovano, a fine secolo, i compadritos, sorta di teppisti urbani dagli abiti sgargianti, dediti ad alcol, tabacco e donne. Il tango, al pari del jazz, del flamenco, del samba, non è solo un genere musicale ma un modo di essere e come i suoi consimili nasce attorno al 1880 ai margini di città-porto dove la popolazione interna che si era spostata dalle zone rurali si incontra con una nuova ondata di migrazione esterna, anzitutto italiana. Con la febbrile audacia dei suoi passi allacciati e delle sue figure cariche di allusioni sessuali, il tango conserva un’aura di peccato e di maledizione anche quando viene assimilato dalla società europea, che sulla scia di quel successo lancia la moda dell’esotico latino-americano: è la volta della beguine, dal ritmo lento e suadente; del bolero, gonfio di retorica; della rumba, che impazza nella New York degli anni Trenta grazie all’orchestra di Xavier Cugat. Dagli anni Cinquanta in poi le danze latino-americane giocheranno un ruolo sempre più centrale nell’economia del ballo: nei Cinquanta arrivano il mambo e il cha cha cha, di provenienza cubana. Nei Settanta si diffondono salsa e merengue, di origine caraibica. Ma la danza latina per eccellenza è il samba, partorito a Rio de Janeiro a cavallo tra Ottocento e Novecento e ufficializzato a partire dal 1928 con l’istituzione delle “scuole di samba”: una tradizione che fa del ballo il momento principale – caso unico al mondo – nella vita dei “carioca” durante i festeggiamenti del carnevale.
Dalla balera alla discoteca al club
Se le sale da ballo americane degli anni Venti e Trenta tendono a un lusso di ispirazione hollywoodiana, in Italia la pista da ballo, che prende il nome di balera, ha aspirazioni più modeste. Coperta o scoperta, generalmente in periferia o in campagna, la balera è un’istituzione che deriva dal bal publique francese affermatosi sin dal XV secolo dapprima nei giardini e nelle piazze, poi – a partire dal XVII secolo – nei luoghi chiusi e nei teatri. Il complessino che esegue i balli è originariamente costituito da una fisarmonica, un clarinetto, un contrabbasso, un sassofono e un violino. Ma con gli anni la formazione base si è modificata di molto fino ad assomigliare in tutto e per tutto a un gruppo pop. Il repertorio è formato dalle cosiddette danze di sala, largamente standardizzate: le danze del liscio – valzer (viennese e inglese), quick step, slow fox, tango, polka, mazurka – le danze “latino-americane” (samba, rumba, cha cha cha, paso doble, jive) e qualche concessione alle mode del momento (dalla lambada alla macarena). Nella balera tutti ballano con tutti, giovani e adulti, vecchi e bambini, senza discriminazioni sociali, estetiche o sessuali (per esempio due donne o due uomini tra loro).
Con l’avvento del rock‘n’roll assistiamo a un’altra svolta, che divide il mondo del ballo in due: i balli per i giovani e quelli per gli adulti. I primi trovano casa in locali appositi ed esclusivi, dove si balla con i dischi manovrati da un disc-jockey. Ai secondi resta il monopolio di balere e dancing. Se i balli del passato erano centrati su piedi e gambe che dovevano eseguire passi obbligati, i balli della generazione rock investono tutto il corpo. Non si tratta più di disegnare sul suolo complicate figure geometriche, quanto di “sentire” il ritmo e muoversi secondo il proprio istinto. Nei primi anni Sessanta si assiste a una vera esplosione di mode stagionali, delle quali solo il twist, l’hully-gully e il limbo sopravviveranno. Sono una trentina di balli, diversi tra loro per piccole trovate coreografiche anche se, sul piano musicale, sono tutte filiazioni del rock’n’roll. Ma se questo è ancora un ballo figurato, centrato sulla coppia, col twist – il prototipo dei nuovi balli giovanili – si balla senza contatto fisico, stando l’uno di fronte all’altra. Lo shake, ballabile su qualsiasi disco ritmato (dal beat al r&b), rende poi superflua anche la coppia. È il ballo che emancipa definitivamente dai vincoli formali lanciando una filosofia individualista del danzare: da soli, in cerchio, o davanti a uno specchio.
A metà degli anni Settanta tornano in auge le danze nere e latine e la disco music innesca un gigantesco revival del ballo, anche di coppia (hustle, robot, freestyle), favorito da una produzione indirizzata esclusivamente alle discoteche. La discoteca diventa infatti il nuovo tempio della (post) modernità: palcoscenico di quel narcisismo di massa teorizzato da Christopher Lasch, essa si trova a rappresentare un modello di vita per milioni di giovani in cerca di un riscatto sociale che solo il ballo può offrire.
Il mito del sabato sera, glorificato da un fortunato film (Saturday Night Fever) e dalla relativa colonna sonora, entrerà di diritto nella cultura contemporanea e non solo nei paesi occidentali. Sul versante opposto i fan del rock, che condannano il ballo disprezzandone la natura edonistica, creano il pogo (urti e spintoni: l’unica forma di danza possibile in un club pigiatissimo) e lo slam (il tuffo dal palco sulla platea), che praticano in piccoli club. Negli anni Ottanta il ballo sconfina nella ginnastica (aerobic dance) e nell’acrobazia (la breakdance e il moonwalk, originati dalla sottocultura hip hop) mentre alla fine del decennio la house music lancia la moda dei rave party, feste da ballo, spesso non autorizzate, che durano fino al mattino dopo e si tengono in capannoni industriali abbandonati, lontani dai centri urbani.