La banda degli onesti
(Italia 1956, bianco e nero, 106m); regia: Camillo Mastrocinque; produzione: Isidoro Broggi, Renato Libassi per DDL; soggetto e sceneggiatura: Age e Scarpelli; fotografia: Mario Fioretti; montaggio: Gisa Radicchi Levi; scenografia: Alberto Boccianti; costumi: Giuliano Papi; musica: Alessandro Cicognini.
Antonio Bonocore, portiere napoletano di un caseggiato romano, sostenta col suo lavoro madre, moglie, figli e cane, alloggiati in un seminterrato. Un giorno un condomino in fin di vita gli chiede di distruggere una matrice per banconote da diecimila lire e della carta filigranata, rubate anni prima alla Zecca di Stato. Bonocore obbedirebbe, se non fosse che il nuovo amministratore, il corrotto ragionier Casoria, lo ha minacciato di sfratto e licenziamento; conserva quindi carta e matrice e, sperando di poterle utilizzare, cerca complicità dal tipografo Lo Turco e dal pittore Cardoni, indebitati come lui. Vinti dubbi e tentennamenti, i tre stampano nottetempo varie banconote, finché il figlio di Bonocore, guardia di finanza, viene trasferito a Roma proprio per indagare su degli abili falsari. La banda di fuorilegge si rivelerà un'altra, ma Bonocore e soci decidono di interrompere l'attività e di bruciare le banconote stampate, di cui per pavidità non hanno in realtà spacciato nemmeno un esemplare. Nel falò finiscono per errore i biglietti autentici dell'ultimo stipendio di Bonocore.
Nato come variante, appena più ambiziosa e malinconica, del classico 'film di Totò', La banda degli onesti è una delle fondamentali tappe di maturazione della commediola d'impronta neorealistica, in procinto di trasformarsi in commedia all'italiana. Scritto da Age e Scarpelli inaugurando atmosfere e ibridazioni che porteranno due anni dopo a I soliti ignoti di Mario Monicelli, il film intreccia al divertimento una garbata polemica sociale, segnala la coeva delusione per un'Italia sempre sotto il tallone del profittatore e intercetta l'ansia di un nuovo benessere (il boom economico è a un passo), lasciando il giusto spazio ai siparietti comici e senza dimenticare l'abituale sotto-plot sentimentale (l'amorino fra il figlio di Bonocore e la figlia di Lo Turco), ingrediente obbligatorio nelle pellicole dell'epoca. Al centro, un'umanità minore vessata dai ricchi e dai prepotenti tenta di coalizzarsi in una velleitaria rivincita facendo propri i metodi scorretti dei suoi persecutori, ma senza riuscirci per eccesso di onestà. Al tema, continuamente alluso, del rapporto prepotente-debole appartengono anche apparenti divagazioni della trama, come la tentazione da parte del portiere ‒ Bonocore di cognome e di fatto ‒ di uccidere il cane di casa, rischiando di trasformarsi nello stesso tipo di aguzzino da cui vorrebbe liberarsi.
Il tocco leggero ma anonimo di Camillo Mastrocinque, eccellente artigiano più volte al servizio di Totò, aggiunge poco o nulla alla simpatia dei caratteri e della sceneggiatura di Age e Scarpelli. La macchina da presa non oltrepassa mai i limiti di una corretta funzionalità, si fa 'sentire' appena sui titoli di testa, quando una carrellata in avanti manifesta la volontà di penetrare all'interno del piccolo universo condominiale, e nell'effetto di accelerato durante la sequenza della stampa delle banconote, un trasparente omaggio alle comiche del muto che in realtà, stando a una testimonianza di Giacomo Furia, sarebbe stato voluto da Totò.
È in fondo a quest'ultimo che va riconosciuta, con Age e Scarpelli, la paternità dell'opera; non solo perché La banda degli onesti è uno dei primi progetti della DDL, casa di produzione fondata proprio dall'attore, ma anche perché è la sua vis comica ad avere ragione di tutto, a volte anche della stessa sceneggiatura, prima creando con pochi tocchi ‒ una sciarpa stinta e un'andatura claudicante ‒ una nuova abile caratterizzazione, e poi riconducendo l'attenzione dello spettatore al gusto momentaneo della risata liberatoria, del qui pro quo fantasioso, della smorfia surreale, trasformando qua e là l'umorismo in comicità, l'apologo in farsa. Il film va ricordato anche come la prima compiuta collaborazione fra Totò e Peppino De Filippo, duo comico straordinariamente complementare, con la messa a fuoco di almeno due meccanismi della coppia, la sistematica distruzione fisica da parte di Totò del partner e l'altrettanto inesorabile demolizione del suo cognome (che da Lo Turco viene qui declinato in eccentriche storpiature). L'eccezionale alchimia della coppia avrebbe originato nello stesso anno i più disimpegnati Totò, Peppino e… la malafemmina e Totò, Peppino e i fuorilegge, sempre per la regia di Mastrocinque, primi capitoli di un filone intitolato ai due attori. In quanto al terzo 'onesto' Giacomo Furia, caratterista di razza cresciuto nel teatro dei De Filippo, si aggiudicò in questo film il secondo ruolo capitale della sua carriera, dopo quello del pizzaiolo geloso in L'oro di Napoli (Vittorio De Sica, 1954).
Se la critica dell'epoca trattò in genere la pellicola con degnazione o indifferenza, il favore del pubblico ne ha col tempo ingigantito il successo, tributandole un affetto immutato che le ha valso, in tempi recenti, anche un rifacimento in chiave teatrale.
Interpreti e personaggi: Totò (Antonio Bonocore), Peppino De Filippo (Giuseppe Lo Turco), Giulia Rubini (Marcella Lo Turco), Giacomo Furia (Felice Cardoni), Gabriele Tinti (Michele Bonocore), Yoka Berretty (Marlene Bonocore), Luigi Pavese (ragionier Casoria), Annette Ciarli (madre di Antonio), Lauro Gazzolo (signor Andrea), Salvo Libassi (brigadiere Solmi), Mario Meniconi (finanziere), Guido Martufi (Riccardo Lo Turco), Memmo Carotenuto (Fernando il metronotte), Gildo Bocci (tabaccaio), Nando Bruno (maresciallo Denti), Mariangela Giordano (ragazza ligure), Enzo Maggio (barista), Gianni Partanna (uno dei falsari).
G. Marotta, Totò portinaio, Totò falsario, Totò tutto, in "L'Europeo", 7 aprile 1956, poi in Questo buffo cinema, Milano 1956.
Anonimo, La banda degli onesti, in "Cinema nuovo", n. 82, 10 maggio 1956.
E. Giacovelli, E. Lancia, Peppino De Filippo, Roma 1992.
A. Anile, I film di Totò, Recco 1998.