La base materiale delle societa primitive
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Sebbene il bagaglio di conoscenze tecniche maturato nella preistoria non sia stato accompagnato da elaborazioni teoriche, le origini della scienza risalgono a quest’epoca. Già nelle attività di caccia e pesca dei raccoglitori del paleolitico è possibile individuare un’attenzione nuova, che si concretizza nel memorizzare e catalogare gli eventi più importanti per la sopravvivenza. Tra il paleolitico e la rivoluzione neolitica, risalente al 10.000 a.C. circa e caratterizzata dall’aumentata capacità di controllare la natura, l’uomo ha compiuto esperienze essenziali grazie alle quali ha posto le premesse per una nuova concezione dell’esistenza, basata su un diverso utilizzo del territorio: le fondamentali scoperte della ceramica, dell’agricoltura e dell’allevamento e della vita sedentaria non compaiono tuttavia all’improvviso, ma scaturiscono dalle esperienze compiute nel paleolitico e mesolitico.
Si è soliti affermare che la storia cominci con l’apparire dei primi documenti scritti, cosa che avviene verso il IV millennio a.C. nel Vicino Oriente. Le attività umane precedenti quest’epoca sono ricostruibili solo grazie ai ritrovamenti archeologici, oggetto di ricerche interdisciplinari che applicano procedimenti e metodi di laboratorio ai materiali rinvenuti sul terreno. Sebbene la natura casuale del ritrovamento non consenta di giungere a risultati esaustivi, è possibile cercare di tracciare una sintesi relativa ad attività e conoscenze che, non riconducibili ad altri esseri viventi, hanno caratterizzato il comportamento dell’uomo.
Del resto, non si presta probabilmente la necessaria attenzione al fatto che le scoperte e le invenzioni fondamentali da cui ha tratto alimento buona parte della nostra civiltà sono avvenute nel corso della preistoria. Ben prima di studiare, contare, misurare e prevedere l’uomo ha dovuto raccogliere una quantità enorme di dati: andando a ritroso nel tempo fin dove i materiali a disposizione dello storico lo consentono, ci imbattiamo in epoche in cui l’agire dell’uomo è caratterizzato quasi esclusivamente dal registrare attentamente le operazioni compiute, onde catalogarne i risultati, secondo un atteggiamento che per secoli e secoli ha preceduto la nascita e l’affermazione della scienza moderna. Del resto, non esiste un unico metodo per produrre conoscenza, la quale scaturisce da una quantità di operazioni pratiche e teoriche che l’uomo ha ritenuto valide per fornire le risposte a determinati problemi.
Prima di arrivare a misurare e calcolare le forze della natura, l’uomo ha dovuto mettere assieme esperienze secolari che non possono essere considerate disgiunte dagli sforzi effettuati per controllare l’ambiente circostante e assicurarsi la sopravvivenza. Forze materiali e spirituali convivono da subito, se è vero che ai dipinti rupestri che mostrano scene di caccia è stato attribuito anche un significato magico, per rendere propizi eventi che costituiscono una tappa fondamentale per l’esistenza dell’uomo. Il lunghissimo periodo della preistoria ci conduce dunque all’origine di questa vicenda, quando l’uomo ha dovuto controllare le forze della natura raccogliendo dati e informazioni. Quanto più numerosi sono gli elementi raccolti, tanto più è complesso l’insieme di spiegazioni che ne deriva.
Le più antiche tracce dell’uomo primitivo sono riferibili agli strumenti e utensili creati, ai resti di fuochi accesi in zone in cui si è fermato ad abitare trovando rifugio dalle avversità del clima e dagli animali da cui era attaccato. Producendo utensili l’uomo crea estensioni meccaniche per aumentare la forza dei suoi arti e dei suoi denti e per accrescere la capacità delle sue braccia e delle sue mani. Colpendo gli oggetti per determinare un risultato, egli pone le basi per osservare il comportamento meccanico dei materiali. A questo proposito, è opportuno chiarire la differenza tra scoperta e invenzione. L’uomo può scoprire solo quello che già esiste in natura, per esempio le piante, gli animali, i metalli, le proprietà dell’argilla, gli ingredienti per ottenere il vetro e la forza motrice di fonti di energia come l’acqua e il vento; creando invece prodotti differenti da quelli che la natura mette a disposizione, l’uomo ha di fatto inventato utensili da lavoro e strumenti. Se dunque la scoperta porta alla luce cose che già esistono, anche la più semplice delle invenzioni costituisce un notevole sforzo intellettuale. Alimentate continuamente dalla necessità e dal bisogno, scoperte e invenzioni raccontano una storia che, sebbene continua nel tempo, non è lineare. I progressi tecnici hanno infatti vissuto lunghi momenti di stasi e accelerazioni improvvise e, talvolta, invenzioni e scoperte si sono ripetute in epoche diverse in varie regioni della Terra.
Attorno alla lavorazione della pietra, all’acquisizione delle pratiche agricole e minerarie fondamentali e alla creazione dell’armamentario di base per la caccia, la pesca e l’alimentazione, si sono create situazioni analoghe in tempi e luoghi diversi. Invenzioni complesse hanno invece maggiori probabilità di avere un luogo e un momento di origine. Per esempio, per inventare un oggetto completamente nuovo come il carro su ruote bisogna avvertirne la necessità, conseguente all’esigenza di dover risolvere il problema di trasportare su lunghe distanze qualcosa. Ecco perché questa fondamentale invenzione è strettamente legata alla diffusione dell’agricoltura nel Vicino Oriente, con la relativa movimentazione dei prodotti della terra. Ogni scoperta e ogni invenzione hanno aggiunto qualcosa alla conoscenza e alla comprensione della natura e delle sue leggi. Cumulativo e dinamico, questo tipo di sapere è stato memorizzato e tramandato di generazione in generazione; forte è il legame, per l’epoca preistorica, tra l’avanzamento delle conoscenze e il perfezionamento di strumenti e utensili da lavoro attraverso i quali l’uomo è riuscito ad agire sull’ambiente modificandolo. Per questo motivo la ricostruzione delle forme di sapere scientifico e tecnico coincide adesso con la progressiva conquista dei materiali che la natura ha messo a disposizione.
I primi utensili sono semplicemente oggetti naturali che, venendo incontro alle necessità del momento, sono volti a diverso e nuovo utilizzo. Ecco perché l’uomo ha studiato la forma delle pietre per poi raccogliere le più idonee ad essere impiegate come corpo contundente, martello ecc. Utensili occasionali, queste pietre possono essere buttate via dopo l’uso.
Selce, calcare, rocce vulcaniche, quarzo ricevono di volta in volta forme diverse a seconda degli usi cui sono destinati. Sgrossare tramite scheggiatura il blocco di pietra e trasformare la scheggia in utensile attraverso il ritocco sono le due fasi essenziali del lavoro. La tecnica più comune è la percussione diretta tenendo il pezzo con la mano e battendolo con un altro oggetto per staccare schegge così da ottenere la forma voluta, con varianti importanti a seconda che questa operazione si svolga su incudine, cioè su di un sasso nel terreno, oppure interponendo tra le due parti uno scalpello in osso o in legno. È sostanzialmente in questi passaggi che consiste il sapere pratico necessario per la produzione di utensili e armi del paleolitico. Le schegge pazientemente e minuziosamente ricavate costituiscono, rispetto ai ciottoli sommariamente lavorati, strumenti di grande pregio. Se lo sgrossare la pietra può essere un’operazione che non prevede particolare attenzione, il ritocco per cercare di sagomare è invece un’azione di precisione che acuisce l’abilità dell’uomo nel compiere gesti assai calibrati. Si tratta di uno stadio importante, per compiere il quale è necessario avere imparato ad agire empiricamente per meglio valutare le caratteristiche delle pietre da adoperare.
È la parte orientale dell’Africa, nella zona di confine tra Kenia, Tanzania ed Etiopia, la regione della terra che ha conosciuto, a partire dal sasso grezzo rinvenuto in natura, la lavorazione di ciottoli precedenti i primi veri e propri utensili. Il ciottolo è il risultato di un’azione meditata, in cui viene dato un colpo in direzione verticale tale da staccare una scheggia. Quando questo avviene su una sola faccia si ha il cosiddetto chopper, su entrambe le facce il chopping tool. Manici in legno sostenenti punte in osso e arponi con denti uncinati lungo il bordo sono le armi a cui questi uomini hanno affidato le battute di caccia. Di notevole importanza è l’arco, introdotto verso la fine del paleolitico, attestato da pitture murarie rinvenute nel Nord Africa; immediatamente recepito come strumento che consente efficaci progressi nella caccia, l’arco sfrutta il principio dell’accumulo di tensione della corda abbinato all’elasticità del legno adoperato al fine di produrre l’energia necessaria per scagliare il dardo. Con quest’arma l’uomo si dota di un efficacissimo mezzo, attraverso il quale è per la prima volta in grado di colpire le prede con estrema precisione pur trovandosi a buona distanza da esse. Come appendici dell’arto umano, gli attrezzi per la caccia consentono un vigore nuovo e probabilmente sorprendente.
In una storia delle tecniche un posto fondamentale spetta, lo sapevano bene già gli antichi, al fuoco, conquista specifica dell’uomo la quale non trova confronti in altre specie viventi. Esistono animali che usano oggetti a mo’ di utensili, che costruiscono le loro dimore, che scavano gallerie, nuotano e volano, ma solo l’uomo ha avuto l’ardire di accendere il fuoco: allo stato attuale delle nostre conoscenze le più antiche tracce risalgono a 700.000 anni prima della nostra era, rinvenute nella grotta di Escale, vicino a Aix en Provence in Francia.
Per strofinamento oppure per percussione, l’uomo ha imparato ad accendere il fuoco a suo piacimento, non limitandosi al solo uso per riscaldamento e illuminanzione. Garantendo una dieta più varia, il fuoco ha permesso di mangiare non solo ciò che la natura mette a disposizione in forma immediatamente edibile. Per curiosità, mettendo gli oggetti sulla fiamma, l’uomo ha imparato a conoscerne i cambiamenti: anche le pietre si spezzano più facilmente se riscaldate e poi raffreddate. La capacità di comunicare conoscenze ed esperienze non solo con la parola, ma anche ricorrendo alla raffigurazione è un altro dato che rende l’uomo unico nel suo percorso. Capace di raffigurare i momenti delle sue battute di caccia disegnandone sulle pareti delle caverne le fasi salienti, l’uomo ha appreso a lavorare artificialmente minerali e piante per ottenere i colori di cui ha bisogno. Dietro queste immagini vi sono credenze magiche e la voglia di raccontare agli altri l’atto finale degli eroici confronti che hanno luogo: alcuni depositi di ossa di animali rinvenuti in Africa indicano che l’uomo ha cacciato e ucciso bestie spingendosi lontano dalla propria dimora; alcune parti sono lasciate nel luogo in cui gli animali sono stati uccisi, altre sono riportate indietro per il pasto e per usare alcune ossa come utensili. La notevole precisione della rappresentazione evidenzia anche la dettagliata conoscenza delle specie cacciate. Per capire l’evoluzione dell’umanità a un livello di civiltà sempre più elevato, queste pitture assumono una notevole importanza: colori e immagini parlano, infatti, di individui che non pensano esclusivamente alle necessità vitali, ma comunicano e ricordano eventi del passato attraverso il linguaggio dei simboli.
Il mutamento di civiltà che i reperti illustrano per il neolitico è notevole. Nel Vicino e Medio Oriente avvengono, tra l’8000 e il 5000 a.C., le rivoluzioni che portano alla comparsa dell’agricoltura e dell’allevamento, sulla base di conoscenze messe a fuoco in momenti diversi in varie regioni della terra. Ne è diretta conseguenza un tipo di vita nuovo, basato sulla sedentarietà a cui si accompagna un immediato incremento demografico. Villaggi estesi e popolazione in aumento sono parte preponderante della rivoluzione del neolitico, ma non bisogna sottovalutare un’industria litica costituita da oggetti in pietra levigata e materiali fittili impiegati come contenitori per cibi e bevande. Agricoltura, allevamento e caccia, che continua comunque a essere praticata, costituiscono, con la lavorazione della ceramica, i fondamenti della civiltà stabile. La complementarità di agricoltura e allevamento nelle regioni del Vicino e Medio Oriente con la coltivazione di grano, orzo e vite da una parte, l’allevamento di capre, maiali e pecore dall’altra, crea le condizioni materiali su cui l’uomo costruisce i primi insediamenti permanenti. Tra il 7000 e il 5000 a.C. nell’Iraq settentrionale, in Mesopotamia, in Siria, Libano, Tessaglia e Anatolia troviamo infatti i primi centri abitati costituiti prevalentemente da agglomerati di capanne: non siamo ancora alla rivoluzione urbana del III millennio a.C., ma il cammino è tracciato.
Usciti dalle caverne e dalle foreste, nuovi gruppi umani si fermano in regioni aride ma percorse da fiumi ricchi di acque e cominciano a praticare l’agricoltura. Del resto, riceve oggi molto credito la hydraulic theory, secondo la quale l’inizio della civiltà è legato allo stanziamento di gruppi di umani che, in epoche diverse, hanno trovato conveniente fermarsi nelle regioni adiacenti il corso di grandi corsi d’acqua come il Tigri e l’Eufrate, il Nilo, il Gange e l’Indo. Ciò dipende dal fatto che l’acqua fangosa restituisce al suolo la maggior parte dei sali assorbiti durante le messi: di conseguenza, ogni terreno può essere coltivato con successo su base annuale fornendo il necessario per garantire ai lavoranti un’esistenza stanziale. Il repertorio di conoscenze sulle qualità delle piante, già messo a punto relativamente alle caratteristiche nutritive e tossiche quando l’uomo se ne cibava allo stato selvatico, va adesso ampliandosi notevolmente. Lo svolgimento di queste attività è reso possibile da nuovi strumenti e utensili opportunamente introdotti per facilitare le operazioni e prevalentemente destinati a scavare il terreno: falci, zappe, rastrelli, macine, pestelli, piatti e tazze costituiscono l’armamentario di base delle comunità stanziali. Comparso nell’Età del Bronzo, l’aratro rivoluziona l’agricoltura non meno della ruota. Proprio l’aratro e la ruota indicano, tra l’altro, che adesso l’uomo è in grado di impiegare una forza motrice non umana.
La produzione del vasellame ceramico è una delle principali conquiste delle società del neolitico, che non si accontentano di trovare in modo attivo i mezzi per il loro sostentamento; la voglia di innovare sostenuta da un notevole spirito di osservazione spiega l’idea di fabbricare oggetti con una sostanza nuova che in natura non esiste, la ceramica. L’origine della tecnica di lavorazione del vasellame in terracotta non è precisamente nota ed è possibile che questo passaggio sia avvenuto casualmente, in una caverna in cui l’accensione di un fuoco ha accidentalmente cotto l’argilla, cosa che si verifica attorno ai 500° C; di fatto, in quel momento, l’uomo ha scoperto la possibilità di trasformare l’argilla che bagnata è malleabile e alla fiamma diviene dura e resistente all’acqua. Senza esserne consci, questi uomini hanno quindi portato a compimento una trasformazione chimica volta a eliminare l’acqua. Si tratta di una scoperta importante, basata sulla capacità di mettere a frutto alcune precise osservazioni sulle qualità di una sostanza, l’argilla, che in natura è molto diffusa e facilmente reperibile. La lavorazione, con i tempi tecnici che le operazioni richiedono, ben si addice a una comunità stanziale e poco a una comunità nomade. Del resto, la difficoltà nel lavorare la pietra per ricavarne coppe deve avere stimolato la ricerca di un materiale più semplice: Tessaglia, Anatolia, Siria, Libano, Iraq, Iran e Palestina sono le regioni in cui dovette prendere piede la lavorazione dell’argilla secondo una tecnica che successivamente, tra il 6000 e il 5000 a.C., dovrebbe avere raggiunto anche l’isola di Cipro. Preparare l’argilla, plasmare la forma desiderata con le mani, far seccare e cuocere sono operazioni che, nel loro svolgimento razionale, portano il sapere pratico verso quella parte della tecnica che si identifica con la trasformazione della materia.
Dove i resti hanno permesso di effettuare osservazioni in merito, apprendiamo che le società del neolitico tessono e filano: col moto rotatorio del fuso estraggono fili dal lino, dal cotone e dalla lana di pecora che poi, una volta tessuti assieme, danno luogo a un elemento nuovo, la stoffa. Frequenti i ritrovamenti di dischi in pietra o terracotta, mentre i telai, fatti con materiali organici, non sono arrivati fino a noi.
Un’analoga incertezza avvolge l’origine della metallurgia. Gli scavi archeologici confermano che in determinate zone del Vicino e Medio Oriente non mancano i giacimenti superficiali. L’aver compreso che da una pietra si può ricavare un metallo non è che il primo passaggio, cui deve far seguito la creazione di una fornace e la conoscenza di una serie di operazioni che sono tutt’altro che immediate. Si ritiene che anche la metallurgia sia scaturita da un evento iniziale fortuito, cioè un forno da ceramica costruito con pietre da cui ricavare metallo. Lo sviluppo della metallurgia richiede familiarità col fuoco, che ne è elemento fondamentale, e una terrra ricca di minerali. Attività assai più complessa rispetto alla produzione di vasellame ceramico, che può avvenire a livello familiare, la pratica metallurgica si manifesta da subito per essere riservata a specialisti che creano oggetti cui la comunità riconosce immediatamanete un elevato valore.
La lavorazione del rame sembra essere contemporanea all’estrazione per fusione del metallo per mezzo del riscaldamento di pietre cristalline con carbone di legna. Poiché i minerali si trovano generalmente in zone montuose e aride, in principio l’uomo ha cercato i filoni superficiali con un’opera di scavo all’aperto. Argento e piombo sono scoperti nel Medio Oriente, mentre verso il 3000 a.C. compare in quelle regioni una lega di stagno e rame, il bronzo. I benefici sono immediati ed evidenti anche in altre aree: un aratro fatto di legni saldamente uniti assieme non avrebbe potuto essere lavorato senza attrezzi in metallo.
Tra l’Iran e la Mesopotamia avviene, al principio del III millennio a.C., la scoperta che la rotazione attorno a un perno, o meglio la rotazione di un blocco di argilla nel centro di una base circolare, consente di produrre un vaso in pochi minuti, effetto di una meccanizzazione che valorizza un’operazione altrimenti laboriosa.
Queste importanti scoperte e invenzioni avvengono prima del 3000 a.C. e precedono le grandi civiltà urbane, che saranno capaci di accumulare notevoli ricchezze su cui costruire gli imperi che faranno la loro comparsa in queste stesse regioni, tra Nilo, Tigri ed Eufrate. È possibile che proprio il tipo di vita sedentario e la migliore alimentazione abbiano favorito le nuove fondamentali scoperte avvenute nel neolitico. Nel cercare di dominare la natura, l’uomo ha posto le basi per comprenderne i segreti. Lo sviluppo della scienza moderna poggia sulla curiosità e sui bisogni pratici di popoli che, nei secoli, hanno accumulato uno straordinario bagaglio di conoscenze. Andando a ritroso, l’origine di questa storia si perde nella notte dei tempi, quando l’uomo ha cominiciato a modellare le pietre al fine di trarne utensili da lavoro, a usare bastoni di legno come leve e a creare i primi rudimentali strumenti per conseguire la precisione necessaria in certe operazioni.