La Belle et la Bête
(Francia 1945, 1946, La bella e la bestia, bianco e nero, 100m); regia: Jean Cocteau; produzione: André Paulvé; soggetto: dall'omonimo racconto di Madame Leprince de Beaumont; sceneggiatura: Jean Cocteau; fotografia: Henri Alekan; montaggio: Claude Ibéria; scenografia: Christian Bérard; costumi: Marcel Escoffier, Antonio Castillo; musica: Georges Auric.
Un mercante incorre nell'ira della Bestia per aver colto una rosa nel suo castello: se non le consegnerà una delle sue figlie, l'uomo morirà. Belle, per salvare il padre, si sacrifica. Nel castello, la fanciulla vive in mezzo agli agi, ma ogni giorno deve rifiutare le profferte di matrimonio della Bestia. Col passare del tempo, però, la ripugnanza iniziale si attenua. A Belle è concesso di recarsi a trovare il padre malato, ma se non farà ritorno entro una settimana causerà la morte della Bestia. Avenant, spasimante di Belle, ne approfitta per recarsi al castello, con l'intento di ammazzare la Bestia e impadronirsi dei suoi averi, ma viene ucciso dalla freccia scoccata da una statua di Diana e si tramuta in Bestia. Belle arriva appena in tempo per scongiurare la morte della Bestia (che a sua volta si trasforma in un principe con la fisionomia di Avenant) e sollevarsi in cielo con lui.
Nel cinema, un trucco è considerato riuscito soprattutto se restituisce una perfetta illusione del vero. Ma esso può anche mettersi al servizio dell'onirico, del fantastico e del magico, in modo altrettanto preciso. In La Belle et la Bête la dimensione scenografica, con i suoi riflessi scintillanti tra gli alberi della foresta, è assai lontana dalla rappresentazione realistica. Gli abiti luccicanti dei protagonisti non sono assolutamente plausibili. I passaggi da un luogo all'altro e la mobilità degli effetti luminosi non nascondono la loro teatralità. In Jean Cocteau il trucco non è una soluzione tecnica a un problema pratico, ma si afferma come elemento capace di creare un senso logico: la concezione di Cocteau si ricollega così al significato attribuito al 'meraviglioso' nel 17° secolo, un 'meraviglioso' prodotto dalle macchine, prova tangibile dell'intelligenza e della genialità umane. Non dimentichiamo l'importanza della meccanica nel Discorso sul metodo di Cartesio, testo che appare alla fine della rivoluzione umanistica. L'uomo ammirava la propria ingegnosità e la metteva in mostra con ostentazione nei teatri, attraverso spettacoli dai grandiosi effetti meccanici. È proprio questo il modo in cui Cocteau pensa al cinema. Il 'meraviglioso' di La Belle et la Bête si contrappone al 'fantastico' proprio del romanticismo ottocentesco, passato poi al cinema, tutto impregnato di lotte e commistioni tra bene e male, giorno e notte, luce e ombra. Nell'immaginario del nostro poeta-cineasta nulla è più lontano dell'espressionismo. Tutto ciò che è razionale, intelligibile, luminoso costituisce la sua principale fonte d'ispirazione. L'universo della macchina e degli ingranaggi, con le sue sorprendenti combinazioni, basta a esaltare la sua immaginazione. Ci si muove in un mondo in cui regna l'oggetto, uguale eppure autonomo rispetto all'uomo che l'ha creato. In Cocteau il meraviglioso si produce laddove interviene una trasfigurazione del reale attraverso la macchina.
Nella sua opera, quindi, la macchina sarà onnipresente. In La Belle et la Bête è l'arrivo di una macchina, cioè il vascello che il mercante in rovina ritroverà al porto, a mettere in moto l'intera vicenda. Il cavallo della Bestia è visto come una macchina eccezionale in grado di raggiungere qualsiasi luogo se solo si pronuncia una semplice formula magica, così come oggi l'aereo o l'automobile possono esaudire i nostri desideri superando ogni distanza e ostacolo. Il meccanismo è però complesso. È nello stesso tempo quello della società e quello del cinema, per eccellenza la macchina capace di creare l'estraneità, per poi trasformarla in realtà e in essa trasportarci con assoluta naturalezza. Attraverso il sistema delle macchine si può produrre il meraviglioso, quindi la felicità, l'amore, il sogno. Perfino il caso ha la forma di un sistema meccanico, mentre la sceneggiatura è concepita come un ingranaggio. E proprio come nel pensiero secentesco, non vi è meraviglioso che non sia prodotto dall'uomo, come le lacrime di Belle che si trasformano in diamanti che lei dona al padre. Così i costumi e le scenografie di Christian Bérard, o la fotografia 'alla Piranesi' di Henri Alekan non rivendicano mai una dipendenza dai modelli della natura o della realtà quotidiana. Cocteau non è fedele a un'epoca ben precisa, ma ne inventa una propria. Anche la truccatura degli attori è costantemente ostentata come un travestimento. Tutti gli elementi che compongono La Belle et la Bête si rifanno più a Georges Méliès e agli spettacoli del 17° secolo che ai Lumière e alla fotografia, e questo non stupisce. La rappresentazione teatrale suggerisce l'artificio e la messinscena: così si giustificano la voce impostata degli attori, la certezza che l'attore che esce di campo si ritrova in realtà vicino ai riflettori, le pietre scintillanti, lo specchio magico nel quale Belle vede l'agonia del padre, o ancora la statua di Diana che scocca la freccia fatale per Avenant.
La messa in scena è costruita intorno ai personaggi come un esercizio di equilibrio. Da un lato la macchina da presa come contrappeso, centro di gravità, apparecchio. Dall'altro, leggera, magica, frivola (ma solo apparentemente), la circolazione dei personaggi e dei loro sentimenti. Lo strumento cinematografico che Cocteau predilige, il carrello con i suoi binari, dà forma alla sua scrittura. La macchina da presa dà impulso alla coreografia e ai movimenti (anche e soprattutto quelli del cuore). Il legame tra macchina da presa e personaggio sottolinea l'importanza e la fragilità di un'unione che minaccia continuamente di spezzarsi. La Bella e la Bestia vogliono assolutamente credere all'amore, che ai loro occhi è la cura miracolosa. È il regno del meraviglioso, ma la realtà della vita lo impedisce. In Cocteau (come più tardi in Jacques Demy) abbiamo una sorta di lotta permanente per imporre l'amore, dunque il desiderio, alle cose normali, normative, agli ambienti nei quali i personaggi faticano a trovare il loro posto. I personaggi ostentano i propri sentimenti, per rivelare i propri desideri o suscitare, quasi per forza, quelli dell'altro ("Volete diventare mia moglie?", chiede ogni giorno la Bestia a Belle). Il fatto è che i personaggi non sono sicuri né dei desideri loro né di quelli altrui, e questo li fa soffrire. E meno ne sono sicuri, più li dichiarano.
Interpreti e personaggi: Jean Marais (la Bestia/Avenant), Josette Day (Belle), Marcel André (padre di Belle), Mila Parély (Adélaïde, sorella di Belle), Nane Germon (Félicie, sorella di Belle), Michel Auclair (Ludovic, fratello di Belle), Raoul Marco (usuraio).
J. Cocteau, 'La Belle et la Bête'. Journal d'un film, Paris 1946.
P. Houston, La Belle et la Bête, in "Sequence", n. 3, spring 1948.
M. Mardore, La Belle et la Bête, in "Cahiers du cinéma", n. 152, février 1964.
R. Durgnat, La Belle et la Bête, in "Films and Filming", n. 9, June 1964.
J.C. Bonnet, 'La Belle et la Bête' de Jean Cocteau, in "Cinématographe", n. 18, avril-mai 1976.
F. Dorigo, Il cinema di Jean Cocteau, Lecce 1982.
Jean Cocteau. Il primato del film, a cura di E. Bruno, Venezia 1989.
Sceneggiatura: La Belle et la Bête, Paris 1992.