Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Ricchezza di specie, di geni e di ecosistemi; la nozione di biodiversità si fonda su una concezione gerarchica dei viventi e ne mette in luce le differenze rispetto alla dimensione genetica, tassonomica, ecologica. Biodiversità è un concetto moderno, ha carattere sintetico, presenta risvolti teoricamente interessanti per la genetica, la biosistematica, l’ecologia e la biogeografia, viene impiegato in ambito applicativo (conservazione della natura, agricoltura, didattica e comunicazione delle scienze naturali). Recenti studi comparativi dimostrano l’esistenza di una forte correlazione spaziale tra diversità tassonomica-ecosistemica e diversità linguistica di alcuni gruppi umani, nonché tra i fenomeni di estinzione delle specie e delle lingue.
Il progetto delle Nazioni Unite sulla valutazione della biodiversità globale
Nonostante il successo limitato (gli Stati Uniti non ne hanno firmato la Convenzione relativa), la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) tenuta a Rio de Janeiro nel maggio 1992 ha dato al tema della biodiversità una risonanza enorme, come mai prima era accaduto. La biodiversità (dall’inglese biodiversity, contrazione di biological diversity) è un oggetto di studio che genetisti, sistematici ed ecologi indagano da decenni anche se la parola risale solo agli anni Ottanta del Novecento. Fino ad allora il discorso sulle differenze tra i viventi era rimasto circoscritto agli addetti ai lavori. Poi, a metà degli anni Ottanta, quando diventa chiaro che le estinzioni di piante, animali e la perdita di interi ecosistemi stanno procedendo così velocemente da mettere in pericolo anche il benessere della nostra specie, la biodiversità diviene tema di discussione anche fuori dei circoli scientifici. La nozione si è subito caricata di elementi extrabiologici: economici, politici, giuridici ed etici. A quel punto, il discorso sulla biodiversità, ampliato fino a comprendere riflessioni sui costi economici e sociali delle violente modificazioni antropiche dell’ambiente, si è trasformato in un discorso sul “problema della biodiversità”, sulla perdita di biodiversità. Accanto alla nozione scientifica si è rapidamente sviluppato un grande dibattito socialmente costruito che, focalizzandosi sul progressivo impoverimento delle ricchezze biologiche, rilancia la riflessione sul rapporto uomo-natura e sull’indispensabile compromesso tra necessità ambientali e necessità dello sviluppo economico; esigenze tradizionalmente conflittuali nella società moderna. La Convenzione sulla diversità biologica, firmata da 159 dei 183 Stati partecipanti alla Conferenza di Rio del 1992, aveva come obiettivo generale la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle risorse biologiche, nonché la distribuzione giusta ed equa dei benefici derivati dall’uso delle risorse genetiche. Se da una parte l’esistenza di un problema della biodiversità e la conseguente necessità di avviarlo a soluzione sono stati riconosciuti da tutti i partecipanti alla Conferenza di Rio, d’altro canto tutti si sono anche trovati d’accordo nel giudicare il patrimonio di conoscenze di base sulla biodiversità ancora troppo esiguo e lacunoso per fondarvi sopra scelte di medio e lungo termine di natura politica ed economica. Partendo dal presupposto che la biodiversità è una risorsa vitale per la popolazione mondiale odierna e per le future generazioni e che pertanto la sua conservazione è irrinunciabile, la comunità internazionale, attraverso il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), ha iniziato ad attuare la Convenzione sulla Diversità Biologica commissionando uno studio sull’insieme delle conoscenze oggi esistenti sulla biodiversità. L’enorme lavoro di ricognizione degli aspetti biologici e sociali della biodiversità, promosso dall’UNEP e sostenuto dallo strumento finanziario rappresentato dal Global Environmental Facility (GEF), ha prodotto un’analisi critica del problema, la Valutazione della Biodiversità Globale (Global Biodiversity Assessment - GBA). Sotto forma di volume, la GBA sintetizza in 1140 pagine l’immensa ed eterogenea quantità di dati e di principi teorici a fondamento degli studi sulla biodiversità. Bisogna riflettere su un aspetto peculiare della GBA: esso rappresenta il primo insieme di conoscenze altamente integrate e aggiornate sulla biodiversità dell’intera biosfera, tanto più sorprendente se si pensa che è stato ottenuto in poco meno di tre anni di lavoro. La comunità internazionale dei ricercatori è riuscita a superare molte difficoltà sia di ordine concettuale sia di ordine pratico: dalla pianificazione all’organizzazione del lavoro; dall’eterogeneità dei problemi sul reperimento e l’organizzazione delle conoscenze all’attuazione rapidissima del progetto; dalle innumerevoli diverse opzioni tematiche tra cui scegliere alla complessa articolazione delle gerarchie di coordinamento in cui compaiono istituzioni politiche, economiche, musei, università, parchi nazionali e altre istituzioni scientifiche, insieme a molte centinaia di biologi, ecologi, economisti, specialisti di singoli settori della ricerca direttamente coinvolti nel GBA.
Le componenti della biodiversità
Disponiamo di una decina di differenti definizioni di “diversità biologica-biodiversità”, e tutte in qualche modo enfatizzano la molteplicità di dimensioni e di livelli a cui la varietà dei viventi si manifesta e può essere osservata. La più antica è stata elaborata nel 1987 dall’Ufficio per la Valutazione della Tecnologia (OTA), presso il Congresso degli Stati Uniti d’America: “La diversità biologica si riferisce alla varietà e alla variabilità degli organismi viventi e ai sistemi ecologici in cui essi si trovano. La diversità è definibile come il numero e la frequenza relativa di differenti oggetti. Nel caso della diversità biologica questi oggetti si trovano a diversi livelli di organizzazione: dagli ecosistemi nel loro complesso alle strutture chimiche che costituiscono le basi molecolari dell’eredità. Pertanto il termine comprende i differenti ecosistemi, le specie, i geni nonché le loro abbondanze relative ”.
La biodiversità rappresenta, dunque, l’insieme delle differenze osservabili tra gli esseri viventi. Tali differenze possono essere descritte in rapporto ai geni, alle specie e agli ecosistemi ed espresse attraverso delle misure quantitative. Qualsiasi caratterizzazione della biodiversità deve rifarsi ai saperi di tre discipline: la genetica che fornisce la descrizione dello stato della variazione intra e interspecifica; la sistematica che dà una rappresentazione organizzata delle differenze tra tutte le specie di organismi; l’ecologia che ricerca le regole che presiedono al funzionamento dei grandi sistemi ambientali in cui la diversità genetica e quella tassonomica si trovano necessariamente integrate.
Consideriamo dunque la diversità genetica. La biologia insegna che l’essere differenti è una caratteristica propria dei viventi. La differenza è un attributo che fonda l’individualità degli organismi e costituisce una condizione necessaria alla loro evoluzione. La diversità genetica, in particolare, consiste nell’insieme di tutte le differenze ereditabili esistenti tra gli individui in una popolazione, e tra le diverse popolazioni, differenze che sono riconoscibili a livello genico. Essa è riconducibile alle differenze di sequenza nelle coppie di basi degli acidi nucleici. Le novità genetiche compaiono per mutazione. La struttura e il numero dei cromosomi, come pure la quantità di DNA contenuto in una cellula (dimensione del genoma) costituiscono alcuni tipi di diversità genetica. Nei batteri, per esempio, le dimensioni dei genomi variano ampiamente da 6x105bp a più di 107bp (coppie di basi componenti il DNA). Il genoma del micoplasma, uno dei più piccoli organismi procarioti, contiene circa 400 geni, mentre negli altri batteri il numero di geni varia tra 500 e 8 mila. La maggioranza degli eucarioti possiede, invece, qualcosa come 50 mila geni e un contenuto di DNA estremamente differente, variabile tra 8,8 x 106bp e 6,9 x 1011bp (nell’uomo sono state stimate 3 x 109 bp). Tuttavia è a livello delle popolazioni e delle specie che la diversità genetica è stata studiata in grande dettaglio. La grandissima maggioranza delle specie vegetali e animali, infatti, mostra caratteri variabili sia nella stessa popolazione, sia tra popolazioni diverse della stessa specie. La variabilità dei caratteri ereditabili è importante per la sopravvivenza delle specie, e quindi per la conservazione della biodiversità, perché, grazie alla selezione naturale, permette alle popolazioni di cambiare la propria costituzione genetica nel corso del tempo, adattandosi ad ambienti mutevoli. Quanto più è piccola la variabilità genetica di una specie tanto più lento sarà il suo cambiamento evolutivo e minore, perciò, la sua capacità di sopravvivere e adattarsi geneticamente ai cambiamenti ambientali.
Per diversità tassonomica si intende, restrittivamente, il numero di specie presenti in un habitat o in un luogo circoscritto. Taxon si dice di un qualsiasi gruppo di organismi sufficientemente distinto da altri organismi, in possesso di un nome e collocato a uno dei livelli della gerarchia. Ad esempio Homo sapiens e Canidi sono due taxa collocati a due distinti livelli gerarchici; uno è una specie, l’altro è una famiglia. Il punto di vista tassonomico della biodiversità è diventato in poco tempo così popolare che il numero di specie si è affermato ovunque sui media come sinonimo di biodiversità tout court anche se è solo una delle tre componenti della biodiversità. La diversità di specie dell’intera biosfera corrisponde al totale delle specie animali, vegetali, fungine e batteriche esistenti sul pianeta. Le stime sulle specie esistenti variano da un minimo di 3-10 milioni (secondo l’ecologo britannico Robert May, 1990) fino a 30 milioni (è la stima di Thomas Erwin, 1982) fino a massimi compresi nell’intervallo 50-100 milioni (secondo uno dei massimi esperti di biodiversità tassonomica, Edward O. Wilson di Harvard, 1992). Stime prudenziali circa la diversità totale riportano 12-13 milioni di specie, fornendo un quadro in cui spiccano gli Insetti con i 2/3 del totale, i funghi e i microrganismi. Anche il numero delle specie conosciute non è accertato. Una delle stime più attendibili delle specie note alla scienza le valuta intorno ai 2 milioni (in Italia sono registrate oltre 5.600 specie di piante e 55.600 specie di animali). Lo studio della diversità tassonomica sta alla base della sistematica biologica: disciplina che identifica, classifica e dà un nome ai diversi tipi di organismi esistenti. Quanto più una specie è filogeneticamente distante dalle altre, cioè quanto più rappresenta un ramo isolato nel grande albero della vita, tanto più essa contribuisce all’estensione della biodiversità.
Le differenze ecologiche sono le più difficili da definire. Il peso dell’habitat (cioè dei fattori non biologici come la temperatura, l’umidità, la salinità, il pH ecc.) sulle differenze tra ecosistemi può essere grandissimo. Si pensi anche solo alle differenze tra ecosistemi acquatici ed ecosistemi subaerei-terrestri, e quindi alla differenza tra biodiversità terrestre e biodiversità marina. Anche la diversità ecologica è articolata in più livelli gerarchici, da quello popolazionistico, a quello di nicchia, di habitat, di ecosistema, di paesaggio, di bioma, cioè del complesso di ecosistemi di una data area contraddistinta da un certo tipo si vegetazione. Una migliore caratterizzazione si ottiene individuando tre componenti principali (dette rispettivamente α β γ della diversità ecologica distinguibili tra di loro a seconda della scala spaziale di osservazione e misura. La diversità ecosistemica viene di solito indagata localmente e limitatamente alle biocenosi, le componenti viventi di un ecosistema, rapportando matematicamente la ricchezza di specie (il numero di specie presenti in quell’ecosistema) alla loro abbondanza relativa (numero di individui presenti in ciascuna specie).
Storia e geografia della biodiversità
La biodiversità oggi osservabile è il risultato di un processo storico lunghissimo iniziato tra 3900 e 3400 milioni di anni fa (Ma) con la comparsa della vita sul pianeta. Considerando il fatto che l’evoluzione biologica è un fenomeno irreversibile (potendo cominciare daccapo, la storia della vita sulla Terra sarebbe sicuramente diversa da quella che conosciamo) ne deriva che l’attuale biodiversità è un fenomeno contingente, storicamente determinato. Dallo sfocato panorama della ricostruzione paleontologica spiccano chiari due elementi: il fatto che la diversità macrotassonomica (intesa come ricchezza di tipi organizzativi) ha raggiunto il suo apice circa 530 Ma fa nel Cambriano; il fatto che la diversità di famiglia e di specie è andata aumentando dal Cambriano al Pleistocene con poche battute d’arresto, in corrispondenza delle fasi, di solito brevi e isolate, di estinzione di massa. Un durissimo colpo alla biodiversità venne dalla terribile catastrofe del tardo Permiano, la terza delle cinque grandi estinzioni (Ordoviciano 440 Ma, Devoniano 365 Ma, Permiano 225 Ma, Triassico 210 Ma, Cretaceo 65 Ma) che fu innescata da un rapidissimo raffreddamento della Terra che provocò la scomparsa di circa il 95 percento delle specie animali marine.
La distribuzione geografica della diversità tassonomica (numero di specie presenti in un’area) sulle terre emerse non è uniforme. La diversità generalmente è elevata nelle aree calde e umide del globo, diminuisce dall’equatore verso i poli e con l’aumento dell’altitudine. Negli oceani, poi, esiste correlazione tra diversità tassonomica e profondità. Per gli organismi pelagici la massima ricchezza tassonomica si situa tra –1000 m e –1500 m di batimetria.
Le aree del pianeta a più alta diversità di specie sono le regioni circumequatoriali dove gli ecosistemi di foresta pluviale (circa il 7 percento delle terre emerse) forse contengono oltre il 90 percento di tutte le specie conosciute. Nelle regioni temperate manifestano grande ricchezza di piante le zone a clima mediterraneo del Sud Africa con 8.600 specie e dell’Australia Occidentale con oltre 5.500 specie. L’esistenza di tali gradienti geografici della biodiversità ha cause molteplici non ancora ben comprese, ma collegabili, comunque, alle condizioni facilitanti la formazione e il mantenimento di nuove specie. Speciazione e conservazione della ricchezza di specie sono fenomeni che sembrano favoriti nelle aree equatoriali-tropicali da condizioni climatiche pressoché ottimali, relativamente inalterate per decine o centinaia di migliaia di anni.
Mentre alcuni habitat, come quello della foresta tropicale pluviale o quello della barriera corallina, sono ricchissimi di specie, altri, come per esempio l’habitat della tundra o quello del semideserto, sono poveri di specie, pur ospitando animali e piante biologicamente molto interessanti. Differenti valori di biodiversità tra siti differenti dipendono innanzitutto dalla superficie considerata e poi, ovviamente, dalla scala a cui la diversità è misurata. Il numero di specie presenti in un’area aumenta con la superficie dell’area campionata. Anche a parità di superficie, tuttavia, alcune aree sono particolarmente ricche di specie rispetto ad altre e costituiscono dei centri di diversità locale. Un’importantissima componente geografica della diversità è data dalle specie endemiche, specie, cioè che sono esclusive di un’area considerata: per esempio il varano di Komodo è un rettile esclusivo dell’isola di Komodo.
Diversità bioculturale
Da oltre un decennio, naturalisti, etnologi e linguisti si sono fatti sempre più attenti ai rapporti tra la diversità biologica e quella culturale. Il confronto tra queste due forme di diversità ha fatto scaturire la nozione di diversità bioculturale: l’insieme delle varietà esibite, in una area geografica, dai sistemi naturali e da quelli culturali. Questi studi mostrano come i molteplici aspetti della diversità dei viventi siano tra loro intimamente collegati, profondamente capaci di modellarsi reciprocamente attraverso la storia delle attività umane sul pianeta. C’è una crescente consapevolezza che la nostra specie fa parte integrante della natura e che la sua azione ha aiutato a modellare molti degli ambienti cosiddetti naturali della biosfera. Esisterebbe cioè una vera e propria coevoluzione tra gli esseri umani e gli ambienti naturali in cui la nostra specie è evoluta. Ecco allora che comprendere il posto dell’uomo nella natura e il ruolo delle lingue e delle culture che definiscono quel posto diventa sempre più importante e decisivo in una visione globale, olistica, della diversità.
Gli studi interdisciplinari sulla diversità bioculturale mostrano che i modelli globali di distribuzione geografica della biodiversità coincidono in maniera significativa con i modelli di distribuzione della diversità linguistica, presa come descrittore della diversità culturale nel suo complesso. Il tema è affascinante e già sono in corso tentativi di stimare, attraverso indici quantitativi (sensibili alla ricchezza di specie animali e vegetali, all’ampiezza dell’area geografica considerate e all’entità demografica delle popolazioni umane), la diversità bioculturale di vaste regioni del globo. I primi risultati dicono che il bacino amazzonico, l’Africa centrale e l’area peninsulare-insulare indomalese e melanesiana sono i tre complessi geografici dove si osserva il massimo grado di diversità naturale e culturale. Ma anche le aree del globo segnate dai più elevati tassi di estinzione di specie e di lingue-culture.