Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La biologia cellulare affonda le sue radici nella citologia e nell’istologia del XIX secolo, e nel corso del Novecento si concentra sulle strutture intracellulari e sui processi fisiologici che sono alla base della vita della cellula e delle sue specializzazioni. Se la biochimica e la biologia molecolare cercano spiegazioni chimico-fisiche, la biologia cellulare affronta lo studio della vita a livello di organizzazione sovramolecolare: le assemblee molecolari come le membrane e gli organelli, studiate a livello di struttura, biogenesi e funzione, le linee cellulari e la differenziazione cellulare nel corso dello sviluppo. Le conoscenze della biologia cellulare sono state prodotte attraverso lo sviluppo delle tecniche microscopiche, dei metodi di analisi biochimica e degli approcci biofisici a livello di caratterizzazione strutturale e funzionale delle membrane.
Nuovi studi sulla fisiologia cellulare
Nel Novecento la maggior parte della fisiologia diventa cellulare, così i biologi cellulari si interessano di metabolismo, elettrofisiologia e farmacologia in quanto fenomenologie definibili a livello di proprietà della cellula. Studi, come quelli sulla respirazione, sulla permeabilità delle membrane o sulla tossicità dei farmaci vengono condotti su singole cellule con risultati soddisfacenti. Tutto ciò si deve a due principali avanzamenti tecnici: l’invenzione delle culture cellulari, ovvero di una serie di modalità per coltivare e far crescere le cellule in vitro e la clonazione quantitativa delle cellule.
La prima tecnica è messa a punto nel 1935 da Ross Harrison e Alexis Carrel, che sviluppano un metodo per mantenere in vita piccole quantità di tessuto per lunghi periodi all’interno di un grumo di plasma immerso in una soluzione nutriente. Questo metodo, noto come coltura di tessuti, riguarda frammenti di tessuto e cellule indipendenti e consente sia lo studio, sia la manipolazione sperimentale della soluzione nutriente, sia l’analisi di ciò che serve per la crescita cellulare e la relativa differenziazione, sia l’esame sperimentale degli effetti degli ormoni, dei farmaci e delle tossine. Utilizzando la microfotografia a intervalli temporali, si giunge a studi sulla divisione e i movimenti cellulari e sulle interazioni tra le cellule. Con queste metodologie si è arrivati a scoprire le linee cellulari, da cui è evoluto il concetto di cellula staminale che, in quanto meno differenziata, si può dividere asimmetricamente per produrre una cellula staminale autopropagantesi così come un’ulteriore cellula figlia più differenziata. Tutto ciò ha permesso di spiegare la complessa biologia dei sistemi di rigenerazione dei tessuti e di scoprire le cellule staminali embrionali, capaci di produrre tutti i tipi di cellule del corpo, e quindi interessanti per le terapie mediche e farmacologiche.
Dagli anni Cinquanta in poi numerosi ricercatori sviluppano metodi per disaggregare i tessuti in cellule singole e per produrre colture di quest’ultime. Theodore Puck e i suoi colleghi dimostrano che tali cellule, se metabolicamente supportate con strati di nutrizione irradiati letalmente (ossia da cellule metabolicamente attive che vengono irradiate così che non siano in grado di riprodursi), formano colonie di cloni. Questo metodo di clonazione permette di effettuare un grande numero di studi quantitativi e genetici.
Dalla metà del Novecento, grazie alla produzione degli isotopi radioattivi e alla nascita di metodologie autoradiografiche in grado di rilevarli diventa praticabile mettere insieme le analisi funzionali rese possibili da traccianti metabolici radioattivi e gli studi strutturali, così da correlare la fisiologia delle cellule con la loro morfologia.
Generalmente si fa risalire l’inizio dell’era moderna della biologia cellulare alla nascita di una scuola di biologia cellulare sorta all’interno del dipartimento di patologia del Rockefeller Institute for Medical Research. Vi giunge, nel 1929, Albert Claude che, insieme a Keith Porter, arrivato nel 1939, utilizzerà per le proprie ricerche l’ultracentrifuga, con cui era possibile frazionare i campioni nelle parti che li compongono, e il microscopio elettronico: due strumenti da poco inventati. Insieme scoprono il reticolo endoplasmatico, il complesso sistema di membrane cellulari formato da vescicole, tubuli e canalicoli che consente il passaggio delle sostanze. Nel 1946 George Palade si unisce al gruppo e sviluppa nuovi metodi per lo studio del reticolo endoplasmatico e delle sue funzioni. Nel 1962 arriva anche Christian de Duve che scopre sia gli organelli digestivi, sia il lisosoma (la vescicola che demolisce il materiale fagocitato che non serve al metabolismo cellulare), che il perossisoma (organello sede del processo metabolico che coinvolge il perossido d’idrogeno).
Grazie alla combinazione di analisi biochimica dei frammenti e del loro esame morfologico al microscopio elettronico, il gruppo Rockefeller ha mappato le funzioni biochimiche a livello delle caratteristiche strutturali delle cellule, elaborando una isto-citochimica degli enzimi che permette di localizzare la presenza di specifiche attività enzimatiche e spiega gli aspetti funzionali e strutturali dell’apparato di Golgi, così come quelli dei mitocondri, gli organuli responsabili della produzione energetica. De Duve mostra come gli enzimi altamente digestivi delle cellula siano divisi in compartimenti, per evitare che digeriscano il resto dei componenti delle cellula.
I biologi cellulari hanno messo insieme studi di morfologia e fisiologia cellulare per capire come le cellule sintetizzano, processano e secernono le proteine. Finché molte proteine cellulari rimangono all’interno della cellula, alcune proteine importanti come anticorpi, enzimi digestivi, ormoni peptidici e altre molecole usate per la comunicazione intercellulare, devono in qualche modo spostarsi dall’interno della cellula alla sua superficie esterna nel flusso sanguigno o nel fluido intercellulare. Negli anni Sessanta e Settanta vengono scoperte le principali modificazioni nella sintesi e nella postsintesi delle proteine, quali le proteasi del pancreas e le immunoglobuline dei linfociti. Dopo la sintesi, da parte dei ribosomi, sotto la direzione dell’RNA messaggero, le molecole proteiche che sono destinate alla secrezione esterna vengono inserite nel reticolo endoplasmatico, dove le proteine sono modificate attraverso l’addizione di zuccheri e lipidi. Queste proteine passano poi all’apparato di Golgi, dove avvengono le modificazioni finali necessarie alle cellule per indirizzare le proteine verso la loro localizzazione finale, intra o extra cellulare. Le proteine che sono destinate a essere emesse, come gli enzimi digestivi, vengono raccolte all’interno di piccole sacche membranose, chiamate vescicole che si fondono con la membrana esterna della cellula e rovesciano il loro contenuto all’esterno della cellula. Questo processo, chiamato exocitosi, è simile ma non identico all’ endocitosi, attraverso il quale il materiale esterno alla cellula viene inghiottito dalle vescicole e portato all’interno della cellula.
Gli ormoni e i fattori di crescita: metodi di comunicazione fra le cellule
Nel 1901 William Bayliss (1860-1924) e Ernest Starling danno la prima dimostrazione dell’esistenza di effettori chimici endogeni in grado di innescare e regolare risposte fisiologiche organizzate, dimostrando che la secrezione pancreatica può essere indotta da una somministrazione di estratto di mucosa duodenale, sostanza attiva che chiamano secretina. Nel 1905 si propone il concetto di ormone (dal greco hormôn, che eccita) come messaggero ed effettore chimico “trasportato dagli organi dove esso viene prodotto agli organi su cui agisce per mezzo del sangue”, prefigurando la problematica della comunicazione e dell’integrazione cellulare su cui opererà la ricerca endocrinologica, ma anche la biologia cellulare. Tra il 1948 e il 1952 Rita Levi Montalcini ipotizza e dimostra l’esistenza in alcuni tumori di un fattore biochimico in grado di stimolare la crescita dei nervi. La scoperta del cosiddetto nerve growth factor apre la strada alla comprensione delle basi biochimiche di comunicazione tra le cellule nel corso dello sviluppo, e quindi alla spiegazione dei complessi meccanismi di controllo del differenziamento e della morforgenesi del sistema nervoso, collegando i livelli biochimico e molecolare e quelli cellulare e tissutale dell’organizzazione del sistema nervoso.
I segnali dall’esterno all’interno della cellula non richiedono un supporto fisico per trasportare il segnale molecolare attraverso la membrana cellulare, che invece è mediato dal recettore transmembranale che segnala la proteina. Si tratta del concetto di trasduzione dei segnali basato sul legame del “primo messaggero” con il dominio esterno della proteina transmembranale. Questa proteina, presumibilmente indotta dal legame con il “primo messaggero” a cambiare la sua forma, attiva il dominio interno della proteina per sintetizzare il “secondo messaggero” che agisce dentro la cellula. Questo modello di comunicazione tra le cellule è risultato molto fruttuoso e ha consentito la comprensione dell’azione di numerose molecole di regolazione, fisiologicamente importanti. Martin Rodbell e i suoi colleghi scoprono tra il 1971 e il 1975 che il comune meccanismo per questo percorso di segnalamento transmembranale coinvolge una famiglia di proteine intercellulari che sono regolate attraverso un legame con la guanosina trifosfato (GTP) e la guanosina di fosfato (GDP), e che quindi sono chiamate proteine G. Negli ultimi anni si è visto che le proteine G difettose o danneggiate sono alla base di numerose e importanti malattie umane, fra cui il cancro e il colera.
Nuove scoperte: la membrana cellulare
Nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocento Ernest Overton sviluppa l’ipotesi che l’involucro delle cellule sia una membrana lipoide. Nel 1935 Hugh Davson e James Frederic Danielli propongono un modello di membrana composta di due strati di fosfolipidi compressi, con entrambi i lati della membrana rivestiti da numerose molecole di proteine, ancorate sulla superficie del doppio strato lipidico. Nel 1945 viene messa a punto (e nel 1976 migliorata) la tecnica del voltage clamp utilizzata per studiare le correnti ioniche macroscopiche nei neuroni e attraverso la quale è possibile analizzare il comportamento di una membrana che contiene numerosi canali. La capacità delle proteine di discriminare tra sostanze sulla base della carica, oltre che delle dimensioni e della struttura, si rivelerà essenziale nella comprensione dei processi di trasporto attraverso le membrane. La prima micrografia elettronica ad alta risoluzione di una membrana biologia, quella dei mitocondri, viene ottenuta nel 1952 da George Palade; mentre 10 anni dopo viene messo a punto il primo doppio strato lipidico artificiale che simula una membrana cellulare. Lavorando con membrane lipidiche artificiali variamente costituite vengono studiati nel corso degli anni Sessanta il trasporto e le cinetiche a livello di diversi canali, delle pompe ioniche e dei fattori di trasporto, senza nemmeno conoscere la struttura di queste entità funzionali.
Il modello di Davson e Danielli viene sostituito nel 1970 da quello proposto da Jonathan Singer e Garth Nicolson, il modello a mosaico fluido. Quest’ultimo, più compatibile con i dati più recenti, prevede che le proteine siano integrate nella membrana, che possano muoversi al suo interno e che alcune possano attraversare l’intera membrana e sporgere su entrambi i lati della membrana. Nel corso dell’ultimo decennio i dati sperimentali hanno portato all’ipotesi che la membrana cellulare sia organizzata in domini lipidici, ovvero in zattere lipidiche ricche di colesterolo e sfingolipidi, che incorporano le proteine di membrana. Le zattere lipidiche funzionerebbero come piattaforme di segnalazione che mediano le interazioni comunicative della cellula con l’ambiente circostante. La prima proteina integrata alla membrana cellulare a essere sequenziata è stata la glicoforina, nel 1975. Nello stesso anno, viene osservata al microscopio elettronico alla risoluzione di 7 Å la struttura di una proteina di membrana, la batteriorodopsina.
L’attenzione rivolta alla membrana cellulare ha anche permesso di capire meglio fenomeni propri dei flussi di ioni, della conduzione nervosa e della trasmissione sinaptica a livello cellulare. La conoscenza delle proteine che si estendono sulla membrana cellulare conduce alla spiegazione della base fisica per il movimento di molecole attraverso la membrane cellulari per via di canali molecolari e pori, così come di speciali proteine per il trasporto di molecole come lo zucchero, e ioni come protoni e chloride, in entrambe le direzioni. Sulla superficie della cellula sono state trovate strutture molecolari, i recettori, oggi utilizzate – ad esempio nel caso degli antistaminici – come bersaglio dei farmaci.
I dati forniti dagli studi sul sequenziamento dei genomi, (la tecnica che consente di individuare e ordinare tutti i nucleotidi che costituiscono il nostro patrimonio genetico così come sono posizionati nel genoma) confermano l’importanza delle membrane cellulari per la fisiologia dei viventi, dato che le proteine di membrana rappresentano mediamente circa il 33 percento dell’insieme delle proteine specificate a livello genetico, dal batterio all’uomo.