Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Bulgaria agli inizi del Novecento è un Paese economicamente arretrato. Tenta una politica di espansione che si infrange con la sconfitta nella prima guerra mondiale. Nel primo dopoguerra si avviano politiche di modernizzazione, ma il Paese diventa uno Stato autoritario, che partecipa alla seconda guerra mondiale come alleato dell’Asse. Con la fine del conflitto, si instaura il regime comunista maggiormente allineato sulle direttive sovietiche, e si avvia il processo di industrializzazione. Il regime cade a seguito degli avvenimenti del 1989.
La Bulgaria tra la prima e la seconda guerra mondiale
La Bulgaria, giunta all’indipendenza nel 1908 con il re Ferdinando di Sassonia-Coburgo (1861-1948), con le guerre balcaniche del 1912-1913 adotta una politica di espansione che viene bloccata e ridimensionata dalla sconfitta nella prima guerra mondiale. Per il trattato di Neuilly (27 novembre 1919) deve cedere la Macedonia alla Jugoslavia, la Tracia alla Grecia, la Dobrugia alla Romania.
La Bulgaria è all’epoca un Paese arretrato, con un’agricoltura poco sviluppata. Contrariamente agli altri Paesi dell’Europa orientale, conosce poco la diffusione del latifondo e la struttura agraria è prevalentemente fondata sulla piccola e media proprietà a conduzione diretta. Ciò si deve alla conquista ottomana, che nei secoli precedenti ha scalzato l’aristocrazia feudale.
Il Paese è fortemente diviso ed è marcata la tensione tra le forze liberali favorevoli a processi di industrializzazione e i partiti conservatori, espressione dei proprietari agrari. Alexander Stambolijski (1879-1923), capo del governo dal 1919, impone l’abdicazione di re Ferdinando, responsabile della sconfitta, e avvia un processo di modernizzazione attraverso una riforma agraria approvata nel 1920. L’Unione Agraria Nazionale bulgara prevede la distribuzione della terra non lavorata appartenente allo Stato o ai monasteri. Solo, però, una piccola porzione viene distribuita effettivamente e un colpo di Stato nel 1923 ridimensiona i piani di nazionalizzazione delle acque per l’irrigazione e la produzione di energia elettrica.
Il colpo di Stato è guidato da re Boris III (1894-1943) e dagli esponenti conservatori bulgari, che progressivamente portano la Bulgaria a diventare uno Stato fascista alleato della Germania. Negli anni Trenta il movimento Zveno (originariamente fondato da militari nazionalisti e in seguito alleato con il Partito Comunista) favorisce l’instaurarsi di uno Stato centralizzato e la razionalizzazione della burocrazia, sostenendo l’intervento statale a favore di determinati settori industriali. Gli stessi comunisti successivamente al 1945 faranno proprie tali aspirazioni e includeranno nel loro governo membri del movimento Zveno.
Il Paese, per le sue alleanze, viene coinvolto nella seconda guerra mondiale al fianco dell’Asse. Nel 1944 viene occupato dall’URSS.
L’affermazione del comunismo
L’affermazione del regime comunista in Bulgaria è dovuto a un’effettiva consistenza delle forze locali. Già dal 1942, i comunisti organizzano il Fronte della Patria con la partecipazione di ampi settori della sinistra socialdemocratica e del Partito Agrario. L’influenza del comunismo è, inoltre, rafforzata dal sentimento russofilo che caratterizza da sempre il Paese. Tra il 1944 e il 1948 gli iscritti al partito crescono di venti volte grazie alla partecipazione di contadini più che di operai. I comunisti bulgari conquistano consensi anche sostenendo il piano di espulsione delle minoranze etniche: 80mila ebrei sopravvissuti alla guerra vengono incoraggiati a lasciare il Paese, mentre la minoranza turca è spinta verso la Turchia. Inoltre il Partito Comunista è agevolato dalle pressioni sovietiche: la sua posizione di forza all’interno della Commissione di controllo alleata nel gennaio del 1945 impone l’allontanamento dalla politica dei personaggi più ostili. Alle elezioni del novembre 1945 i partiti non comunisti rifiutano di partecipare, denunciando il clima di illegalità del voto. I leader del Partito Agrario e dei socialdemocratici si dichiarano disponibili a entrare nel governo a patto di esercitare un effettivo potere. Si tengono trattative che, però, vengono bloccate da Stalin (1879-1953), il quale impone ai comunisti bulgari di interrompere qualsiasi compromesso. Inoltre, come d’altra parte succede in tutti gli altri Paesi, i comunisti si assicurano il ministero degli Interni, attraverso il quale controllano polizia ed esercito. Nel 1946 la Bulgaria si proclama Repubblica, guidata da Georgi Dimitrov (1882-1949), che procede a una sistematica eliminazione delle opposizioni. La prima spietata epurazione riguarda tutta l’élite del passato regime collusa con il nazismo. Si calcola che tra il 1944 e il 1945 le vittime siano tra le 20 e le 100 mila. Nel 1947 si procede, poi, allo smantellamento dei partiti non comunisti, imbastendo processi contro i rappresentanti del Partito Agrario e del Partito dei Contadini, accusati di complotto armato contro il governo. Nikola Petkov (1889-1947), leader del Partito Agrario, conduce disperatamente la sua opposizione sui banchi del parlamento, finché viene condannato a morte nel settembre del 1947. Le purghe proseguono nei confronti degli stessi comunisti non omologati allo stalinismo che guardano al modello jugoslavo. Nel 1949 il leader Traico Dzunev Kostov (1897-1949) viene processato e impiccato. L’opposizione è scompaginata, ma riprende fiato agli inizi degli anni Cinquanta, organizzando la resistenza alla collettivizzazione delle terre. Anche in questo caso, tuttavia, viene fiaccata con l’invio ai campi di lavoro di migliaia di contadini bulgari.
L’economia passa dal 1948 sotto il controllo statale. L’agricoltura tra il 1948 e il 1951 conosce un’attività frenetica di collettivizzazione, per poi rallentare a causa delle rivolte contadine. La popolazione contadina si riduce dal 79 percento nel periodo prebellico, al 62 percento. Ma l’avvento del comunismo comporta soprattutto che la Bulgaria da Paese agricolo cerchi di trasformarsi in Paese industrializzato attraverso l’adozione di piani quinquennali di stampo sovietico.
Il modello sovietico non viene imitato solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche nelle forme di culto tributato ai capi del Partito Comunista. Anche dopo il 1956, la Bulgaria è tutta tesa a seguire l’esempio dell’URSS, e il capo del partito Todor Zivkov (1911-1998), salito al potere nel 1961, proclama ripetutamente l’allineamento del suo Paese al blocco comunista. Questa assoluta sudditanza gli permette di resistere ai mutamenti che si verificano nell’URSS con il passaggio da Chruscev a Breznev nel 1964. Nel corso degli anni Sessanta la collettivizzazione raggiunge l’apice, con la concentrazione delle attività produttive in 957 fattorie. Solo con gli anni Settanta, si permette ai contadini la coltivazione per uso privato e la vendita dei prodotti nei mercati. Nel 1977 si aboliscono le fattorie collettive, incoraggiando la produzione familiare, ma la produzione resta fortemente controllata. Una dura censura imbavaglia la società, mentre una polizia onnipresente sorveglia e reprime il dissenso. La novità più di rilievo negli anni Settanta è la politica di assimilazione della minoranza turca che rappresenta il 15 percento dei Bulgari.
Nonostante l’arretratezza, la Bulgaria diviene un Paese dove, intorno agli anni Sessanta, le donne rappresentano quasi la metà degli studenti, con livelli raggiunti solo da pochissimi Paesi occidentali.
Gli anni Ottanta e la fine del regime
Con gli anni Ottanta, proprio per l’adeguamento continuo del regime di Sofia alle indicazione sovietiche, Zivkov si allinea al rinnovamento di Gorbacëv, attuando campagne contro la corruzione e l’inefficienza. Tuttavia le scelte economiche sono del tutto sbagliate: vengono fatti investimenti a favore di industrie mastodontiche e improduttive, che hanno un violento impatto sull’ambiente. Proprio questa situazione fa sì che il movimento di opposizione più attivo sia soprattutto quello ecologista. Continua tuttavia la violenta campagna di assimilazione della minoranza turca, che scatena numerosi scontri e l’emigrazione forzata.
Nel novembre del 1989, sulla scia degli avvenimenti che in Europa si susseguono negli altri Paesi del blocco sovietico, Zivkov viene allontanato dal potere e sostituito dal riformista Petar Mladenov (1936-2000), che avvia una politica di pacificazione tra le nazionalità. In Bulgaria il passaggio dal comunismo alla democrazia avviene in modo piuttosto graduale e senza forti scossoni. Nel gennaio del 1990, il Partito Comunista muta il suo nome in quello di Partito Socialista e si impegna per una democrazia multipartitica e per una economia di mercato. Le elezioni, però, nell’ottobre del 1991, segnano la sconfitta del Partito Socialista e la perdita del suo potere. Dopo un brusco calo del PIL negli anni immediatamente successivi al crollo del regime comunista, la ripresa economica è cominciata nel 1998, con l’adesione al CEFTA (l’Accordo di libero scambio dell’Europa centrale).
Anche la Bulgaria fa parte della NATO dal 1999 e dal 2007 è entrata nell’Unione Europea.