Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Egizi, Fenici, Greci e Romani hanno attraversato il mare in lungo e in largo su imbarcazioni a vela e a remi di ogni sorta. Se la navigazione in certi casi avveniva sotto costa, in altri era inevitabile percorrere ampi tratti di mare aperto. La più importante guida per la navigazione prima della comparsa della bussola era dunque l’osservazione dei corpi celesti e la loro posizione nei diversi periodi dell’anno.
Friedrich Klemm
Pierre de Maricourt, un compatriota di Villard de Honnecourt, nel 1269, durante una crociata, scrisse da Lucera al suo amico Siger de Foucaucourt una Epistula de Magnete che conteneva una magistrale ricerca sperimentale sui magneti nonché un tentativo per il loro impiego. I poli celesti, nella sua concezione, sono sede della forza orientativa magnetica, che egli riteneva una virtus Dei. Egli eseguì una serie di notevoli prove, che lo portarono ad alcune chiare cognizioni sul magnetismo, cognizioni alle quali non poté essere aggiunto alcunché di nuovo fino all’epoca di William Gilbert, intorno al 1600. Pierre mise l’accento sul valore delle prove sperimentali e sulla necessità che gli studiosi della natura possedessero una grande abilità manuale e familiarità con la natura delle cose in generale e i movimenti del cielo. E nella seconda parte della sua lettera cercò, come Villard de Honnecourt, di creare l’equivalente terrestre dell’eterno moto di rotazione del firmamento, in una macchina che si muovesse perpetuamente di per sé. Nella calamita, che a suo avviso già misteriosamente seguiva le forze orientatrici del cielo e costituiva quindi un punto di collegamento tra macrocosmo e microcosmo, egli credeva di aver trovato il modo che gli consentisse di realizzare la sua idea, di ottenere cioè un moto rotatorio perpetuo terreno. La lettera di Pierre de Maricourt costituisce una significativa testimonianza della volontà di creazione tecnica posseduta dall’uomo occidentale nell’età gotica, anche se in questo caso la realizzazione dell’idea doveva naufragare, malgrado la conoscenza di alcuni importanti dati sperimentali, a causa del substrato troppo speculativo.
F. Klemm, Storia della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1959
L’orientamento dei naviganti avveniva osservando il Sole e le stelle, e i naufragi, come per esempio quello di san Paolo, che dopo varie peripezie giunge sull’isola di Malta (Atti degli Apostoli, 27, 9, 44), erano spiegati con la perdita di orientamento dovuta al cielo coperto. Per affrontare le insidie della navigazione sottocosta, di fondali rocciosi e secche, era stato introdotto lo scandaglio, una lunga corda con nodi posti a intervalli regolari gli uni dagli altri e un peso all’estremità. Memoria visiva del paesaggio costiero, conoscenza dei fondali, dei venti e delle correnti sono stati per secoli gli elementi sui quali costruire le nozioni di base per navigare; alba e tramonto, Sirio e le Pleiadi sono stati i principali punti di riferimento per i naviganti di ogni epoca.
Dal punto di vista tecnico, il periodo è proficuo per i naviganti, che adesso possono contare anche sul timone moderno, fissato a poppa e manovrato da un solo uomo. Fondamentale per la navigazione, il timone mobile incernierato posteriormente ha consentito di affrontare il mare aperto altrimenti impraticabile e, soprattutto, ha reso possibile la navigazione contro vento, sostituendo il remo laterale in uso sin dall’Antichità; nelle imbarcazioni normanne che giungono in Inghilterra nel 1066 il timone è costituito da un doppio remo laterale posteriore, manovrato, con notevole impegno fisico da parte dei naviganti, a imprimere la direzione voluta. Un altro progresso è segnato dall’introduzione dell’ancora a braccia allargate, nella forma ancora oggi in uso in sostituzione di quella antica piegata a “U”; anche la progettazione registra una svolta, con il progressivo abbandono del fasciame sovrapposto, sostituito dalle tavole connesse in modo da ottenere una curvatura continua, fondamentale per il migliore galleggiamento dello scafo cui viene conferita anche una maggiore capienza; aumentando le dimensioni dell’imbarcazione, viene inserito anche un nuovo albero tra il bompresso e quello maestro: la sovrapposizione delle vele le une alle altre permette di sfruttare ogni cambiamento di vento.
Tuttavia, la più sensazionale delle innovazioni nel settore della marineria è la bussola. Già in uso presso i Cinesi, giunge in Europa attraverso un percorso le cui tappe non sono del tutto chiare. Le caratteristiche della magnetite erano note anche ai Greci, che avevano introdotto questo termine per indicare le cave di una roccia nei pressi della città di Magnesia in Asia Minore capace di attirare pezzi di ferro dopo una serie di sfregamenti.
Dal punto di vista letterario la prima menzione risale al 1187, quando il monaco inglese Alessandro Neckham nel De naturis rerum descrive la bussola riferendosi a qualcosa di già noto. Neckham, dopo aver studiato a Parigi, compie un viaggio in Italia in compagnia del vescovo di Worchester ed è in tale occasione che potrebbe essere venuto a conoscenza di questo strumento. In seguito i riferimenti letterari si moltiplicano: il vescovo di Acri Jacopo di Vitry nel 1218 scrive che la bussola è indispensabile per la navigazione facendo un preciso riferimento alla magnetite come elemento fondamentale per i marinai, mentre nella seconda metà del XIII secolo Guido Guinizzelli nelle Rime (2, vv. 49-45) mette in evidenza la caratteristica dell’ago magnetico di puntare verso la stella polare; Dante, a sua volta, usa spesso l’immagine dell’ago della bussola per rappresentare al lettore i suoi improvvisi cambiamenti di direzione, attratto da qualcuno o qualcosa. È interessante osservare che la comparsa della bussola non è legata a studi e ricerche sul magnetismo terrestre; essa è infatti in uso da molto tempo prima che gli studiosi riescano a fornire una buona spiegazione delle ragioni che ne determinano il funzionamento.
Tra queste, la più diffusa era che l’ago cominciasse a muoversi trovandosi nelle vicinanze di una massa di rocce ferrose, come nel caso dell’estremo nord della terra, da sempre ritenuto ricco di miniere di ferro. Ruggero Bacone osserva che l’ago magnetico si dispone con l’estremità verso il nord mantenendosi molto inclinato sul piano orizzontale, un dato che lo induce a concludere che le miniere di ferro dovevano trovarsi in qualche punto del centro della terra. La nuova tesi verte sulla possibilità che la Terra si comporti come un magnete sferico di grandi dimensioni i cui poli, ritenuti coincidenti con quelli geografici, possono influenzare l’ago della bussola. Questa teoria viene ripresa e sviluppata da Pierre de Maricourt nell’Epistula de magnete, in cui il funzionamento della bussola ha un ruolo centrale. Composta nel 1269, mentre Pietro di Maricourt si trova in Puglia al seguito del duca Carlo d’Angiò, l’opera è divisa in due parti: nella prima sono illustrate le caratteristiche e le proprietà dei magneti: magnetizzazione del ferro per contatto e attrazione, polarità, azioni tra poli di due magneti e teoria della repulsione tra poli omonimi, considerata però come apparente; nella seconda sono prese in considerazione alcune applicazioni sperimentali. Qui Pietro di Maricourt, definito da Bacone dominus experimentorum, descrive una bussola su perno con coperchio di vetro in cui l’ago di ferro magnetizzato è sollevato dalla base per mezzo di un piccolo stelo posto all’altezza del baricentro; descrive poi altri dispositivi per effettuare esperienze sperimentali tra cui una specie di terrella, ovvero una sfera magnetica che avrebbe dovuto muoversi perennemente e un compasso per individuare gli azimuth delle stelle, tema che approfondirà con la stesura di un trattato sull’astrolabio.
Molto interessante l’esperienza della sfera magnetizzata: montata in modo da non risentire dell’attrito, parallela all’asse celeste, avrebbe effettuato una rotazione completa una volta al giorno; Pietro di Maricourt afferma che se sulla sua superficie fosse stata rappresentata una mappa del cielo, avrebbe funzionato come sfera armillare rendendo inutili tutti gli orologi in circolazione all’epoca. La sfera magnetica rotante avrebbe suscitato grandissimo interesse tra gli studiosi, da Niccolò Cusano fino a William Gilbert.
Appare evidente come Pietro di Maricourt considerasse l’universo e la terra dotati di un’energia che poteva essere in parte recuperata e impiegata.
Il 1300 è l’anno che convenzionalmente segna la comparsa della bussola con la rosa dei venti. Agli Amalfitani è attribuita la decisiva intuizione di porre l’ago calamitato mobile attorno a un perno dentro una scatola di legno detta “bossolo”, un accorgimento semplice che rese l’uso della bussola assai più agevole. Se il ruolo effettivamente giocato dagli Amalfitani nella diffusione della bussola nel Mediterraneo è tutto da verificare, certo è invece che i Veneziani, capaci di trarre immediato profitto dalle nuove invenzioni, cominciano a equipaggiare le loro navi con questo strumento, ponendo le basi, grazie anche all’attività di progettazione e costruzione di imbarcazioni che aveva luogo nell’Arsenale, per il dominio nel Mediterraneo. Conoscendo in qualunque momento la direzione e riuscendo a calcolare la posizione in mare, valutata tramite la velocità e i tempi di spostamento, la Repubblica di Venezia consegue un nuovo, rapido benessere. Fornendo la sicura indicazione della direzione, la bussola contribuisce a rendere fattiva l’operazione di rilievo delle coste, poi riportate su carte a esclusivo uso dei naviganti.
Nel corso del XIII secolo vengono disegnate nuove carte nautiche, più pratiche, sulle quali è registrato l’insieme di elementi che da sempre costituisce motivo di preoccupazione per i marinai: coste, fondali bassi, scogli, insenature e approdi, finalmente riportati in maniera definitiva. Non basate sull’osservazione astronomica, ma costruite su misure e rilievi opportunamente riportati in pianta in scala, queste carte si limitano inizialmente al bacino del Mediterraneo, alle coste occidentali dell’Europa fino alla Gran Bretagna, alla costa occidentale dell’Africa. Carte nautiche e portolani si completano facendo del secolo XIII un’epoca straordinariamente proficua per la gente di mare, rendendo tra l’altro più efficace l’impiego di strumenti che erano già da tempo di ausilio alla navigazione, come il quadrante, l’astrolabio e il compasso nautico. Gli effetti sono immediati, i naviganti prendono coraggio: i Genovesi riscoprono le Canarie e Madera nell’ambito di spedizioni collegate all’ambizioso progetto di circumnavigare l’Africa per raggiungere le Indie. Naturalmente le insidie per chi percorreva rotte poco note sono ancora tante: è proprio l’idea di circumnavigare l’Africa “il folle volo” tentato dai fratelli Vivaldi, partiti da Genova nel 1291 e dei quali si persero per sempre le tracce.