La cancelleria
Il 7 aprile del 1261, con una parte il cui testo non è pervenuto nella sua interezza, il maggior consiglio del comune di Venezia nominava un certo Corrado alla carica di cancelliere, fissando altresì l'ammontare del suo stipendio (1).
Sebbene la nomina di Corrado, che proveniva dalle file dei notai non veneziani al servizio della cancelleria ducale (2), alla guida dell'istituto di appartenenza nel 1261 (3) - e non nel 1268, come comunemente si ritiene (4) -, non sia precisata in maniera esplicita nella delibera in questione, pur tuttavia essa trova conferma nel ruolo che egli immediatamente assunse di principale redattore dei documenti più importanti e solenni prodotti a partire da quella data (5); nella posizione di preminenza rispetto agli altri notai che pare gli venga riconosciuta da un'altra parte del maggior consiglio del 1265 relativa agli obblighi del personale di cancelleria (6); e nella testimonianza del cronista contemporaneo Martino da Canal che, descrivendo l'elezione al dogado di Lorenzo Tiepolo avvenuta nel luglio del 1268, aveva modo di ricordare la funzione esercitata da Corrado (definito "li maistre canceler dou ducat") nel dare il via alla macchinosa procedura elettorale, leggendo al popolo all'interno della chiesa di San Marco la complessa normativa allora elaborata per l'elezione del doge (7).
La creazione di un cancelliere capo (più tardi designato con il titolo di cancellier grande) rappresentò un momento significativo nell'evoluzione dell'organizzazione cancelleresca veneziana, il cui personale era formato allora da funzionari che si qualificavano come cancellieri, notai o scrivani (senza peraltro che a questi titoli corrispondesse a lungo un'effettiva differenziazione dei compiti), seguendo del resto un processo di sviluppo già avviato da tempo, in sintonia con la vigorosa crescita della società nel suo complesso e della sua struttura burocratico-amministrativa in particolare.
L'istituzione della nuova carica, fin dall'origine vitalizia, con il compito di dirigere la cancelleria ducale (designata anche come curia maggiore) - intesa al tempo stesso come luogo, struttura burocratica e archivio destinato alla produzione e alla conservazione degli atti del comune -, che svolgeva un ruolo cruciale per il giusto e corretto funzionamento dell'assetto istituzionale dello Stato, al punto da meritare dalla metà del Quattrocento la definizione di cor status nostri (8), e responsabile del suo ordinato funzionamento, non pare potersi giustificare con motivazioni "politiche", quanto piuttosto rispondeva a esigenze d'ufficio, emerse con chiarezza dopo decenni di incontrollato sviluppo dell'istituto (9), che a partire dagli anni immediatamente successivi alla quarta Crociata aveva comportato un aumento della mole di lavoro; l'avvio della redazione, sebbene in maniera non ancora continuativa, di cartulari e registri; l'assunzione permanente di notai laici forestieri di nomina imperiale, in genere di migliore livello professionale rispetto ai tradizionali preti-notai cittadini che pure non scomparvero mai del tutto, ma non sempre pienamente affidabili (10); la progressiva adozione di forme documentarie nuove, più semplici e varie rispetto al passato.
Durante i vent'anni nei quali Corrado resse la carica, in effetti i fenomeni or ora accennati si evidenziarono ancor più e cominciarono a essere regolamentati da apposita normativa stabilita dal maggior consiglio e dalla signoria che allora esercitavano congiuntamente il controllo della cancelleria.
In particolare, per quanto riguarda la produzione documentaria, fu durante i primi anni del mandato di Corrado che, scomparsi quasi del tutto gli atti in forma particolarmente solenne (le cosiddette ducali maggiori), che per secoli avevano costituito il prodotto più caratteristico della cancelleria (11), si imposero definitivamente come tipologia dominante i documenti in forma di lettera, aperta o chiusa, conosciuti come ducali minori o ducali semplicemente dette (12), analogamente a quanto avveniva del resto nelle cancellerie italiane del tempo.
Fu sempre allora inoltre che comparve nella pratica della cancelleria la trascrizione in registro delle deliberazioni consiliari. Nel 1264 infatti il maggior consiglio sanciva l'obbligo di mettere per iscritto le proposte da presentarsi presso lo stesso consiglio (13). Due anni più tardi pure per le discussioni della quarantia fu adottato un analogo sistema (14).
Per le proposte approvate nei consigli si mantenne però inalterato ancora per qualche tempo l'uso della documentazione sciolta, stabilendosi ciò nonostante che a partire dal 1266 gli originali delle deliberazioni che venivano prodotti nella cancelleria supra palacio (15) fossero copiati in un registro, custodito nella sede della quarantia, a opera di due notai espressamente deputati a tale funzione (16).
Fu tuttavia soltanto nel 1268 che, in base a una delibera il cui testo non si è conservato, ebbe inizio la serie dei registri originali di deliberazioni del maggior consiglio (17), a cui fece seguito, ai primi del 1269, l'obbligo di registrare le delibere della quarantia e di un provvisorio consiglio dei venti (18).
Avevano in tal modo origine le serie organiche di atti consiliari, redatti e registrati secondo forme determinate, consistenti nella trascrizione del testo dei provvedimenti approvati stesi nella loro formulazione conclusiva, e in qualche raro caso anche delle proposte respinte, senza traccia delle discussioni avvenute all'interno del consiglio.
Particolarmente significative a questo proposito risultano le vicende dei primi libri del maggior consiglio, perché accanto ai registri che riportavano in stretto ordine cronologico le deliberazioni che man mano venivano approvate, e quindi rispecchiavano fedelmente l'attività dell'organismo secondo lo svolgimento dei suoi lavori, fin dal 1269 fu redatto un libro, nel quale la documentazione era disposta secondo un criterio di raggruppamento per materia che, per comodità della cancelleria stessa, recuperava la produzione documentaria del quarantennio precedente, con esclusione di tutte le norme non più in vigore al momento della trascrizione (19). L'iniziativa rappresentava un ulteriore segnale della maturazione della prassi cancelleresca e fu seguita da altre raccolte in libro di vario contenuto basate su criteri analoghi, come un non meglio precisato libro petitionum attribuito al 1278 (20), e un codice contenente alcuni capitolari delle Arti, redatto anch'esso nel 1278 (21).
Scomparso Corrado, il 20 marzo del 1281 il maggior consiglio nominava al suo posto il magister Tanto, la cui elezione fu pubblicamente approvata tre giorni più tardi (22). In quella circostanza al nuovo cancelliere, di cui non è noto alcun legame precedente con la cancelleria, fu riconosciuta anche la qualifica di notaio veneto. Il suo lungo mandato, protrattosi per oltre quarant'anni, fu contrassegnato da numerose innovazioni, fra cui la più importante e durevole fu la costituzione di un ufficio distinto dalla cancelleria ducale, per quanto sottoposto anch'esso all'autorità del cancellier grande, che prese il nome di cancelleria inferiore.
La cancelleria inferiore, di cui non è pervenuto l'atto istitutivo né è conosciuta l'epoca precisa di creazione, che però sembrerebbe potersi collocare attorno all'ultimo decennio del Duecento (23), era così denominata dalla sua ubicazione all'interno del palazzo Ducale (24), ed era retta da due notai, che recavano il titolo di cancellieri inferiori, nominati direttamente dal doge, i quali, assieme allo stesso doge, provvedevano anche alla nomina dei notai veneta auctoritate, rogatari dei documenti privati. Oltre alla produzione delle serie documentarie afferenti alle poche attribuzioni amministrative e giurisdizionali che all'epoca continuavano a essere esercitate dal doge, con qualche altro documento connesso alla sua carica e alcune scritture a carattere privato, nonché alla serie di sua specifica competenza, la cancelleria inferiore funzionava fin dall'inizio pure come archivio notarile, custodendo le imbreviature dei notai veneziani defunti, cessati dall'esercizio professionale o assenti dalla città, e in seguito anche quelle dei notai di autorità imperiale o apostolica, e le cedole testamentarie (25). Con la sua istituzione si era pertanto realizzato il duplice intento di ridurre l'ingerenza del doge nella cancelleria, separando nettamente la produzione e la conservazione della documentazione a lui spettante (ora affidata alla cancelleria inferiore) da quella di pertinenza dei consigli (rimasta alla cancelleria ducale) e, al tempo stesso, si intendevano tutelare le manifestazioni di volontà e i diritti dei privati, evitando la dispersione o il cattivo uso dei relativi titoli giuridici.
Anche nel settore della produzione durante il mandato di Tanto non mancarono novità degne di nota, a cominciare da una significativa operazione decisa tra il 1282 e il 1283, quando, constatato come le deliberazioni del maggior consiglio si trovassero "in decem libris dispersa et inordinate descripta" (26), fu promosso un intervento simile a quello avvenuto nel 1269, condotto però in maniera più ampia e radicale rispetto al precedente. Fu infatti istituita una commissione straordinaria con il compito di cancellare tutte quelle delibere "que ex lapsu temporis, quo durare debuerant, erant finita", e quelle ormai nulle in quanto risultavano in contrasto con le successive (27); di scegliere inoltre fra quelle di contenuto simile le più utili, eliminando le altre; di coordinare in un testo unico le eventuali disparità; infine, di abolire tutte quelle che, "statu et condicionibus civitatis perpensa deliberacione pensata", non apparissero più adeguate. Secondo queste direttive, la commissione compilò una raccolta organica e sistematica delle disposizioni, seguendo una distribuzione del materiale per rubriche (28).
L'iniziativa in questione ebbe come conseguenza la rapida scomparsa dei registri anteriori, ormai non più necessari, e, se da un lato si segnalava come un momento particolare dello sviluppo legislativo del comune, rappresentava al tempo stesso un chiaro sintomo della maturazione dell'organizzazione cancelleresca, alla quale si accompagnò un intenso rinnovamento della prassi documentaria e una inequivocabile espansione della sua produzione in forma di libro. Fu infatti al tempo di Tanto che presero il via nuove serie documentarie, alcune delle quali a carattere continuativo, come i registri delle Grazie del maggior consiglio (dal 1288), quelli delle parti del senato (dal 1291), quelli contenenti le deliberazioni del consiglio dei dieci (dal 1310) (29); e altre ancora, come i registri in cui venivano trascritte le lettere ducali prima dell'applicazione del sigillo, secondo una delibera presa dal maggior consiglio nel 1308 (30); e i cosiddetti notatori di collegio, raccolte di suppliche e risposte intorno a materie relative a privilegi, grazie e giurisdizioni, dal 1318 (31), al punto che entro il primo quarto del XIV secolo praticamente tutte le grandi serie documentarie comunali, destinate a durare in alcuni casi fino alla caduta della Serenissima, erano state avviate.
Altra produzione invece era a carattere occasionale, come un volume ordinato dal maggior consiglio nel 1285, contenente le deliberazioni relative agli obblighi dei consiglieri che in quel momento si trovavano sparse in diversi libri (32); un non meglio specificato libro dei danni, risalente pare al 1292, che un ventennio più tardi ancora esisteva nell'archivio della cancelleria ducale (33); la raccolta delle leggi sulla navigazione deliberata nel 1302 dal senato e dalla quarantia, da redigersi in due esemplari, uno dei quali si sarebbe dovuto conservare presso la stessa cancelleria (34); un registro di deliberazioni del maggior consiglio riguardanti gli avogadori di comun, che nel 1305 il medesimo consiglio stabiliva fosse curato da un notaio al servizio dell'avogaria al quale era consentito il libero accesso alle sedute, entro quattro giorni dall'approvazione delle parti che interessavano più direttamente (35); una copia in più volumi, redatta secondo un criterio simile a quello utilizzato nel 1282-1283, dei registri di deliberazioni del maggior consiglio, che nel 1309 la quarantia deliberò fosse eseguita da un notaio, ecclesiastico o laico, per essere conservata a cura dell'avogaria di comun (36).
Particolare impulso fu poi dato alla redazione dei cartulari che contenevano per lo più materiale relativo alle relazioni esterne e ai diritti del comune. Per quasi cent'anni, dalla fine del XII secolo, il primo dei Libri Pactorum era rimasto il solo cartulario comunale (37), ma nel 1291 il maggior consiglio deliberava l'istituzione di "unus liber, in quo scribantur omnes iurisdiciones comunis Veneciarum, et specialiter ducatus, et omnia pacta, et omnia privilegia, que faciunt ad iurisdiciones comunis Veneciarum" (38). Era così stabilita la creazione del secondo dei Libri Pactorum, nel quale, per mano di un unico copista, furono trascritti dal volume più antico i documenti che allora erano presenti in quello, sebbene ripartiti in maniera diversa per comodità di consultazione, rispettando una suddivisione per argomento (39). Pochi anni più tardi, dopo il maggio del 1293, risultato insufficiente il nuovo libro, si iniziò la composizione di un altro volume, nel quale confluirono documenti non compresi nelle precedenti raccolte, assieme a qualche altro che invece già vi esisteva (40). All'inizio poi del Trecento, ridottasi d'importanza la serie dei Libri Pactorum, dopo la redazione di un quarto volume (41), i cartulari del comune si arricchirono di una nuova serie costituita dai Libri Commemoriali, registri e cartulari nello stesso tempo, nei quali veniva trascritta la documentazione di contenuto più significativo che man mano perveniva alla cancelleria assieme a quella che da essa partiva (42).
Il 12 febbraio del 1324 la signoria e il maggior consiglio scelsero come successore di Tanto il vicecancelliere Nicolò detto Pistorino, con lo stipendio e alle condizioni del suo predecessore, riconoscendogli al tempo stesso l'appartenenza al notariato veneziano (43). Pistorino resse la massima carica della cancelleria per quasi un trentennio, fino alla morte avvenuta nel giugno del 1352, coadiuvato negli ultimi tre anni del suo mandato dal vicecancelliere Benintendi Ravignani, originario di Chioggia. Quest'ultimo, ben noto per i suoi rapporti con il doge Andrea Dandolo e Francesco Petrarca, subentrò al Pistorino, reggendo l'ufficio fino al 1365 (44), quando fu sostituito dall'altrettanto conosciuto cancelliere cronista Raffaino de Caresini, di provenienza padovana, che rimase in carica fino al 1390 (45). Negli anni conclusivi del XIV secolo a questi personaggi subentrò dapprima Pietro Rossi, detto dei Quaranta, dal 1390 al 1395, che ha lasciato scarse tracce della sua presenza (46); poi Desiderato Lucio, da Cremona, figura invece di alto profilo, che chiuse una lunga e movimentata carriera, caratterizzata da numerosi incarichi e missioni diplomatiche, durata oltre un cinquantennio, reggendo l'istituto per poco più di un anno dal 1395 al 1396 (47); infine Giovanni Guido, con una carriera ultrasessantennale, altrettanto prestigiosa rispetto a quella del suo predecessore, che rimase in carica dal 1396 al 1402 (48).
Pochi giorni prima della scomparsa del cancelliere Guido era avvenuto un fatto di particolare rilevanza. Con una parte del maggior consiglio votata quasi all'unanimità il 23 aprile del 1402 (49), dopo che già nel 1401 dalle deliberazioni del senato era stata creata una nuova serie, dedicata principalmente ai rapporti internazionali (50), venne istituita come sezione distinta e separata dalla ducale la cancelleria secreta o secreta semplicemente detta, alla quale furono assegnate le serie documentarie di natura politica e altro materiale ritenuto meritevole di adeguata riservatezza nel campo sia della politica estera che di quella interna (51). Il criterio di attribuzione delle rispettive competenze e del relativo materiale alla ducale o alla secreta si basava non sulla sua appartenenza a uno o altro organo produttore, bensì sul grado di maggiore o minore segretezza degli affari trattati, adombrato nella stessa riunione e registrazione dei documenti in serie parallele a seconda del loro prevalente tenore amministrativo o politico. Non vi era inoltre, del resto, netta separazione tra la produzione documentaria di taluni consilia, data l'intima connessione e compenetrazione di funzioni, competenze e procedure che per certi aspetti rendevano quasi inscindibile la complessa e convergente attività di più organismi nelle loro varie componenti.
Nel frattempo tuttavia, prima ancora che fosse istituita la secreta, la cancelleria ducale aveva raggiunto uno sviluppo considerevole, potendo ormai disporre di un organico consistente anche se non quantificabile con piena sicurezza. I suoi funzionari erano adibiti a quattro compiti fondamentali. Il primo e più importante consisteva nella produzione, registrazione, ordinamento e archiviazione di tutti gli atti e le scritture di governo e di interesse pubblico. A questo proposito, la cancelleria produceva e custodiva gli archivi dei principali consigli cittadini, riguardanti l'attività politica, amministrativa e di governo del maggior consiglio, del minor consiglio, della signoria, del collegio, della quarantia, del senato e del consiglio dei dieci (di quest'ultimo non conservava però l'archivio che si trovava presso la sede dell'ente produttore), e ogni altro complesso documentario, redatto sotto forma di pergamena sciolta oppure scritto su registro o cartulario, collegato a tale attività.
La seconda funzione del personale era rappresentata dal seguire attivamente le sedute dei maggiori consigli, prendendo nota di quanto vi veniva deciso ed eventualmente intervenendo, su richiesta o di propria iniziativa, specie quando vi era disparità di interpretazione del dettato delle leggi; la terza consisteva nell'assistere alcune delle principali magistrature cittadine nello svolgimento delle loro attività quotidiane; la quarta consisteva nella partecipazione a missioni fuori Venezia, condotte sia in prima persona che effettuate, soprattutto nel caso in cui si prospettasse la trattazione di questioni di particolare complessità, al seguito di ambasciatori o altri autorevoli rappresentanti del comune.
Fu poi sempre nel corso del Trecento che vennero introdotte alcune riforme di particolare rilievo, che, proseguite e ancor più sviluppate nel secolo successivo, diedero alla cancelleria una particolare connotazione che poi mantenne sostanzialmente immutata fino alla caduta della Repubblica veneta, e che fecero di quell'istituto uno dei più importanti elementi di stabilità delle strutture statuali.
Dalla seconda metà del XIII secolo in avanti furono infatti numerose le iniziative legislative varate dai consigli per regolamentare l'organizzazione generale della cancelleria e garantire la disciplina del personale, che allora risultava essere costituito, oltre che dal cancellier grande e da notai e scrivani, anche da giovani non stipendiati che si preparavano per entrare nei ranghi dell'amministrazione (52) e nel frattempo ricevevano salari e sussidi per frequentare le scuole, ritenendosi che l'istruzione si concretizzasse in un maggior utile per l'ufficio (53). Questi provvedimenti prendevano in considerazione numerosi aspetti: la nomina del personale, il suo trattamento economico, l'osservanza dell'orario di servizio, l'eventuale decadenza dall'incarico, l'organizzazione e la distribuzione del carico di lavoro, la corretta interpretazione delle leggi esistenti da parte dei consigli del cui rispetto i funzionari della cancelleria diventavano i custodi, il divieto di richiedere o accettare introiti illeciti, la proibizione dell'utilizzo in impieghi diversi da quelli propri, la disciplina interna del personale, la tutela del segreto d'ufficio.
Sebbene appaia poco credibile che queste norme fossero sempre puntualmente applicate e rispettate, e la loro stessa frequente reiterazione ne è una riprova, dalla loro conoscenza si ricava l'immagine di un apparato amministrativo stabilmente organizzato, in cui compiti e incarichi erano chiaramente definiti. Un'immagine che però è contraddetta almeno in parte dalle biografie di singoli cancellieri e appartenenti alla cancelleria, che, oltre ad arricchire considerevolmente il quadro d'insieme, forniscono l'impressione che l'istituto funzionasse piuttosto seguendo una prassi che si adattava volta per volta alle circostanze e rispettando consuetudini non codificate ma che avevano efficacia di legge.
La nomina dei notai di cancelleria, anticamente riservata al solo doge, nel XIII e XIV secolo era prerogativa della signoria e del maggior consiglio, ma la loro conferma nella carica, sempre suscettibile di revoca, con cadenza annuale o biennale, negli ultimi anni del Duecento divenne per breve tempo di competenza della quarantia. Nel 1299 infatti il maggior consiglio stabiliva che ogni anno, entro i quindici giorni che immediatamente precedevano la festa di san Michele nel mese di settembre, data con la quale aveva tradizionalmente inizio l'anno amministrativo, la quarantia dovesse confermare tutti i notai della curia maior, con la sola eccezione ovviamente del cancellier grande, votandoli a uno a uno, con la possibilità di licenziare chi non avesse ottenuto i voti della maggioranza dei consiglieri presenti (54). Il provvedimento non rappresentava una novità in assoluto, bensì l'estensione di un potere che la quarantia aveva ottenuto già alcuni anni prima, nel 1285, quando le era stato riconosciuto il diritto, affiancando in questo la signoria e il maggior consiglio, di approvare ogni due anni tutti i "notarii [...> ad officia offitialium Rivoalti" (55), ampliato poi, con le stesse modalità, nel 1295, a comprendere anche i "notarii omnium officialium palatii" (56); mentre, sempre nel 1295, su proposta della stessa quarantia, era stata data ampia facoltà ai singoli magistrati di nominare e licenziare a proprio piacimento i loro "notarios, scribanos et pueros" (57). Ben presto, tuttavia, i dipendenti della cancelleria furono esentati dalla disciplina che regolava la conferma dei notai degli uffici e delle magistrature. Nel 1302 infatti, quando i poteri della quarantia in merito all'approvazione dei notai si allargarono, estendendo la disciplina approvata nel 1299 a coloro che non avevano preso ufficialmente servizio presso alcun ufficio, ma presumibilmente si trovavano ancora in prova, i notai curie maioris furono esclusi da questa nuova norma (58). Vent'anni dopo, nel 1322, mentre la quarantia prima e il maggior consiglio poi deliberavano che tutti i "notarii et scrivani iudicatuum et officialium ac officiorum de Venetiis, tam de citra canale quam de ultra canale", sia ecclesiastici che laici, dovessero essere approvati entro il mese di ottobre, ricorrendo per la valutazione di ciascuno alle testimonianze degli ufficiali ai quali i notai erano direttamente sottoposti, furono esclusi ancora una volta i notai e gli scrivani della cancelleria e della quarantia (59); mentre solamente nel 1394 i due cancellieri inferiori furono assoggettati alla normativa valida per gli altri notai (60).
Dai primi del Trecento, un'abbondante legislazione parla poi insistentemente di disordini di cancelleria ai quali si cercava in qualche modo di porre rimedio. Gli inconvenienti maggiori derivavano dalla scarsità del personale che sembra un difetto cronico degli uffici veneziani nel XIV secolo, anche perché alcuni dipendenti si trovavano frequentemente fuori Venezia impiegati in missioni diplomatiche e altri tendevano a lasciare il loro incarico per trasferirsi in amministrazioni situate altrove, che implicavano probabilmente un minor impegno e forse maggiori possibilità di provento (61), mentre assai rari erano i casi opposti di trasferimenti da cancellerie dello stato da mar o di quello da terra alla ducale. Di conseguenza, non mancarono le disposizioni che tendevano ad assicurare un'adeguata consistenza numerica del personale, come nel 1315, quando il maggior consiglio deliberò a proposito della cancelleria inferiore di dichiarare decaduti dall'ufficio tutti i cancellieri che per qualsivoglia ragione fossero rimasti fuori dal Ducato per più di un mese, sostituendoli immediatamente, e potendosi revocare la parte solo grazie a una maggioranza qualificata del consiglio e della signoria (62).
La situazione tuttavia non migliorò, al punto che nel 1322 la signoria e il maggior consiglio nominarono una commissione di dodici membri, scelti in ragione di sei per parte, allo scopo di avanzare proposte atte ad aumentare l'efficienza della cancelleria e garantirne un miglior funzionamento, considerato che l'accrescimento del lavoro, verificatosi "pro factis terre que creverunt et crescunt continue per gratiam Dei", aveva comportato un peggioramento del servizio "in damnum comunis et specialium personarum" (63). Ma il lavoro della commissione non diede luogo ad alcun risultato concreto, tranne sortire l'effetto di inasprire le norme sulla decadenza dall'incarico, inflitta ora ai notai e agli scrivani di tutti gli uffici, con particolare riferimento a quelli curie maioris e della quarantia, che si fossero resi indisponibili adducendo motivi di salute per non meno di trenta giornate lavorative nell'arco di un intero anno di servizio, oppure assentatisi senza giustificazione da Venezia per almeno quindici giorni, oltre alla perdita dello stipendio per il periodo di mancata presenza (64).
Talvolta tuttavia la mole di lavoro era tale da imporre in maniera improrogabile un aumento del personale, come si verificò nel 1328 agli avogadori di comun che dichiaravano come "labores sui officii in tantum creverunt quod duo notarii quos habent non sufficiunt", e pertanto chiesero e ottennero di poter disporre di un terzo notaio alle loro dipendenze (65).
Una naturale conseguenza dell'aumentata attività della cancelleria fu il sorgere di una prima ripartizione dei compiti al suo interno. L'ordo curie di poco posteriore alla metà del Trecento enumera ventuno notai, oltre al cancellier grande Benintendi Ravignani. Due di questi erano impiegati "pro rodulo et expensis cançellarie ", uno "ad corrigendum litteras, commissiones et alias scripturas que dantur ad bullam et pro factis de decem", un altro "pro rubricandis consiliis", otto "pro sapientibus", sette (due dei quali erano indicati come "notarii de XL") "ad scribendum litteras, commissiones et alia in cançellaria et registrandum", uno "pro petitionibus" e l'ultimo "pro opportunis ad maiora consilia et alia consilia ac pro busulis conservandis" (66). A questi ventidue dipendenti, per completare l'organico della cancelleria, andrebbero poi aggiunti alcuni notai in missione fuori Venezia e un numero imprecisabile di giovani non retribuiti, per un presumibile totale di alcune decine di persone.
Una più marcata distinzione dei compiti fu però stabilita solo da un regolamento della cancelleria voluto dalla signoria nel 1386 (67). Con esso si designava un gruppo ristretto di notai, espressamente indicati nominalmente, ai quali soli sarebbe stato consentito d'ora in avanti di prendere parte alle riunioni del senato quando venivano trattate materie segrete. Si trattava senza dubbio delle persone più fidate presenti in quel momento all'interno dell'istituto, vale a dire l'allora cancellier grande e sei notai che in seguito avrebbero tutti, tranne uno, ricoperto quella carica: Giovanni Guido, Desiderato Lucio, Pietro Rossi, Nicolò de Gerardo, Guglielmo de Vincenzi e Giovanni Plumacio (68). Fu questo probabilmente il provvedimento dal quale trassero origine i segretari del senato, che troviamo designati per la prima volta come "secretariis ducalis dominationis Venetiarum" nel 1398 (69).
Sempre il regolamento del 1386 disponeva inoltre opportune misure per impedire che il frequente impiego di notai in missioni diplomatiche provocasse ritardi e confusione nel disbrigo delle pratiche, ordinando agli interessati di segnalare senza indugio al cancellier grande tutti i documenti d'ufficio riportati al ritorno dalla missione e di produrre un resoconto della stessa; imponeva la tenuta di un registro, in cui segnalare le missioni compiute dai singoli notai e le eventuali provvigioni ottenute durante il loro corso, in maniera tale che fosse possibile distribuire "onera et merita equaliter". Soprattutto il regolamento insisteva molto sul rispetto della disciplina: ogni sei mesi la signoria avrebbe dovuto condurre un'indagine sulla retribuzione e sulla condotta di ciascun notaio, per provvedere poi a "premiare bonos et punire nocentes"; in caso di valutazione negativa, qualcuno dei notai meno diligenti sarebbe stato allontanato, raccomandandosi però di seguire un criterio di moderata indulgenza, in considerazione del fatto che "curia nostra habuerit necesse pluribus notariis"; inoltre i notai che fossero giunti in ritardo a Palazzo sarebbero stati senz'altro segnalati e multati in misura di otto soldi di piccoli per ogni mancanza.
Alla mole di lavoro alla quale era tenuto il personale della cancelleria non corrispondeva un adeguato stipendio, anche se quest'ultimo rappresentava solo una parte degli emolumenti dei dipendenti, i quali, oltre che su di esso, potevano contare su altre entrate.
Per il salario fisso, le autorità competenti tesero sempre a seguire una politica al risparmio, stabilendo stipendi d'ingresso alquanto bassi che aumentavano in genere soprattutto a seguito del crescere dell'anzianità di servizio, mantenuti a lungo inalterati, bloccati per anni o addirittura ridotti in determinate circostanze, come del resto avveniva negli altri uffici, dove, fin dal 1286, gli ufficiali responsabili si videro espressamente vietata la possibilità di concedere aumenti salariali ai loro notai (70). Una temporanea diminuzione di tutte le retribuzioni si verificò poi durante la guerra contro Genova nel 1294-1299, solo al termine della quale si riportava lo stipendio del cancellier grande e di tutto il personale di cancelleria al livello esistente prima del conflitto (71). Nel 1307 il maggior consiglio respingeva la proposta di raddoppiare il salario dei cancellieri inferiori, ben retribuiti rispetto agli altri dipendenti ma oberati di lavoro, portandolo da venticinque a cinquanta lire di grossi (72). Ancora nel 1320 i notai curie maioris si lamentavano della loro indigenza e ottenevano che la corresponsione dello stipendio, versato in un'unica soluzione, fosse anticipata rispetto al passato, fissandosi all'inizio della metà di ogni anno di servizio e non più alla fine o in altra data incerta (73); e in quello stesso anno fu elevato - solo provvisoriamente - il salario più basso fra quelli pagati in cancelleria da quaranta a cinquantacinque soldi di grossi (74). Ma nel 1347 una delibera del maggior consiglio sospendeva qualsiasi aumento per la durata di due anni a tutti i notai al servizio del comune (75). Nel 1361 poi, di fronte alle richieste dei notai della cancelleria che chiedevano un aumento dei loro salari, si stabiliva che ciò fosse possibile solo con il consenso di una maggioranza altamente qualificata e difficilmente raggiungibile, costituita dalla totalità dei sei componenti del minor consiglio, dai tre capi della quarantia e da un congruo numero di consiglieri, come si precisava essere necessario quando si affrontava la materia della pecunia montis (76), accenno che potrebbe far pensare all'esistenza di una disponibilità finanziaria stabilita della cancelleria, aumentabile solo per legge.
I salari legati a una funzione ben precisa rimanevano poi inalterati spesso per decenni. Così, nel 1319 il vicecancelliere Nicolò detto Pistorino, al momento di assumere la carica, si vide fissare lo stipendio in dodici lire di grossi (77); mentre, quando subentrò a Tanto, nel 1324, ottenne lo stesso trattamento economico del suo predecessore (78), che fino al 1339, e per i settant'anni precedenti - fin dai tempi di Corrado quindi -, ammontava a quattordici lire, aumentate allora a diciotto (79). Benintendi Ravignani, quando nel 1349 fu nominato vicecancelliere, ottenne invece di entrare in carica con lo stesso salario che spettava al cancellier grande (80), che gli fu confermato, senza modifiche, anche quando successe a Pistorino nel 1352 (81). Lo stesso avvenne del resto per Raffaino de Caresini nel 1365(82), mentre Pietro Rossi nel 1390 si vide aumentare il salario fino a venti lire di grossi (83).
Oltre al salario fisso, la più importante entrata stabile del personale di cancelleria era costituita dal compenso che spettava per la produzione di copie degli atti pubblici su richiesta dei privati. Un settore che a quanto pare si prestava a non pochi abusi, se già nel 1263 il maggior consiglio aveva ritenuto di disciplinare la materia vietando ai notai delle corti di giustizia di pretendere il pagamento delle sentenze da essi redatte, prima che gli ufficiali competenti avessero stabilito l'ammontare della somma da versare loro (84). Sappiamo che nel secolo XIII per la sigillatura delle lettere a opera del bollatore della cancelleria erano richiesti dodici denari di piccoli per il veneziano e tre soldi per il forestiero (85); nel 1309, per ogni deliberazione consiliare copiata, il notaio poteva pretendere non più di sei denari di piccoli dal privato "dando cartam suis expensis" (86); mentre nel 1322 per i cancellieri inferiori e i rimanenti notai si uniformavano le tariffe a quelle praticate dalle magistrature giudiziarie, che prevedevano compensi differenziati, a seconda del tipo di documento e del valore dell'atto giuridico da esso attestato (87).
La materia però si prestava facilmente a irregolarità da parte di notai disonesti. Per questa ragione, nei primi giorni dell'ottobre del 1339, il maggior consiglio, appurato come "multos et magnos proventus" provenissero ad alcuni notai degli uffici e delle corti giudiziarie, istituiva una commissione di tre saggi con il compito di verificare "de salario, lucris et utilitatibus" dei notai e scrivani al servizio del comune, e di avanzare proposte scritte per meglio disciplinare il lavoro, eliminare le disfunzioni ed evitare arricchimenti illeciti (88). La commissione ultimava celermente i suoi lavori e presentava le sue proposte che, verso la fine del mese successivo, furono approvate dal maggior consiglio che votava un particolareggiato tariffario per ognuna delle corti di palazzo, prendendo in considerazione tutte le diverse tipologie documentarie (89). Per la cancelleria, dalla promissione del doge Giovanni Gradenigo del 1355 sappiamo invece che allora per la copia dei documenti i notai ricevevano dodici denari di piccoli (90), il doppio quindi rispetto a quanto competeva ai loro colleghi nel 1309, elevati a sedici denari di piccoli per i cittadini veneziani e tre soldi per i forestieri secondo il capitulare notariorum curie maioris del tardo Trecento, con la possibilità di aumentare questa somma solo nel caso in cui il documento risultasse essere "de maiori utilitate vel maiori labore " (91).
Altre incerte fonti di entrate per i funzionari di cancelleria erano poi rappresentate dalle provvigioni, cioè emolumenti in genere di modesta entità concessi per antica consuetudine a coloro che si recavano fuori Venezia, la cui corresponsione era ribadita ancora nel 1350 dalla signoria, contemporaneamente però all'obbligo di consegnare la metà degli introiti non previsti, compresi quelli riscossi entro il territorio veneziano, che fossero loro pervenuti durante la missione, con il divieto quindi di trattenere tutto per sé (92). Di ammontare poi molto vario le provvigioni concesse per meriti speciali, per particolare zelo dimostrato nell'adempimento del proprio dovere, a cui fa riferimento il citato regolamento del 1386 quando accenna a premi per i buoni notai e punizioni per i cattivi, oppure elargite per i motivi più vari, come la necessità di mantenere una famiglia numerosa, di maritare una figlia, o la perdita di congiunti combattendo per la patria.
Accanto a queste entrate per così dire legittime, e ad altre non espressamente prendibili in considerazione ma legate al prestigio che i funzionari di cancelleria godevano nella vita della città, non possono essere taciuti i possibili proventi illeciti, ad esempio quelli connessi alle attività esterne all'ufficio, contro i quali assai per tempo legiferarono i consigli cittadini. A questo proposito, già nel 1267 il maggior consiglio stabilì che i notai della curia non potessero essere impiegati al servizio di privati, tranne nel caso in cui questi ultimi ne fossero stati espressamente autorizzati (93).
Nel 1265 il maggior consiglio faceva poi esplicito divieto a Corrado e ai notai della cancelleria, come del resto a tutti i notai e scrivani al servizio del comune, di accettare remunerazioni o doni da parte di qualsivoglia persona interessata alla redazione di documenti, tranne quanto spettava loro per la produzione degli stessi, con l'obbligo della restituzione di quanto indebitamente ottenuto oppure del pagamento del doppio del suo ammontare (94). Nel 1284 il divieto era ribadito, rivolgendosi questa volta solo al cancellier grande e ai notai de super palacio, con la pena elevata a cento soldi per ogni contravvenzione (95). Tredici anni più tardi, si imponeva ai notai di palazzo che avessero ricevuto pegni "pro suis officiis", particolarmente quelli trattenuti nelle loro mani, di depositarli entro un mese dal ricevimento presso i procuratori di San Marco (96). Ancora nel 1339 si ribadivano i divieti duecenteschi relativi all'accettazione di doni, e la proibizione di richiedere tariffe superiori a quelle dovute per la consegna di documenti, pena la decadenza dall'ufficio, l'impossibilità di essere assunti al servizio del comune per i cinque anni successivi alla condanna e il pagamento di una multa commisurata alla quantità di denaro illecitamente riscosso, con la possibilità di essere graziati solo da una maggioranza qualificata della signoria, della quarantia e del maggior consiglio (97). La severità di quanto previsto allora pare deporre a favore dell'ipotesi che gli abusi in questo settore fossero diffusi e costituissero un fenomeno di particolare gravità.
Nel 1286 fu regolata per la prima volta la presenza giornaliera in servizio del cancelliere e dei notai della cancelleria, facendola coincidere con quella dei consiglieri e oltre se necessario, sotto pena di un grosso ai contravventori e la segnalazione del loro nominativo (98); nel 1296 poi si prescriveva al cancellier grande e ai notai curie maioris di ottemperare alle disposizioni stabilite dieci anni prima, aggiungendo la norma nei loro capitolari (99); tre anni dopo, nel 1299, si ribadiva quanto deciso precedentemente, inasprendo in più la multa fino a dieci soldi, e imponendo ai consiglieri di denunciare il cancelliere e i notai inadempienti ai provveditori di comun perché questi ultimi riscuotessero la penalità (100).
Nella seconda metà del XIV secolo, la signoria confermava quanto previsto alla fine del Duecento, assegnando nel 1367 l'incarico di annotare i nomi dei ritardatari o di chi fosse uscito prima dell'orario stabilito al futuro cancellier grande Desiderato Lucio, o a un suo sostituto, precisando inoltre che l'elenco dei nominativi sarebbe stato consegnato settimanalmente ai camerlenghi di comun che avrebbero dovuto provvedere a una trattenuta sul salario degli inadempienti (101). I notai a loro volta erano tenuti a segnalare infrazioni di questo genere di cui si fossero macchiati i membri dei vari consigli, come prescriveva una parte del maggior consiglio del 1381 che faceva carico ai notai della quarantia di denunciare i consiglieri ritardatari o assenti in occasione delle riunioni del senato e della zonta (102).
Nel capitulare notariorum curie maioris si tentò in effetti di responsabilizzare il personale, sollecitando un'autodenuncia per le infrazioni commesse, nel qual caso la multa sarebbe stata ridotta alla metà o a un quarto del salario giornaliero, a seconda che l'assenza fosse di lieve durata oppure si fosse protratta per l'intera giornata. Ma il mancato rispetto dell'orario di servizio era una piaga diffusa in tutti gli uffici, se verso la fine del secolo, nel 1394, in coincidenza con l'inizio di un nuovo anno amministrativo, il maggior consiglio, affinché fosse rispettato scrupolosamente l'orario prescritto, deliberava che ogni giorno "de mane et post prandium" un notaio si recasse presso gli uffici di San Marco e un altro presso quelli di Rialto a prendere nota in un quaderno di tutti i giudici, ufficiali, notai e scrivani che non fossero stati presenti nelle loro sedi di lavoro, consegnando ogni giorno un elenco alla signoria che avrebbe informato i camerlenghi, ai quali i contravventori avrebbero dovuto pagare la prescritta ammenda, fissata in due grossi per i notai e gli scrivani; coloro che non si fossero giustificati entro tre giorni o non avessero pagato la pena entro otto giorni sarebbero stati dichiarati decaduti dall'ufficio (103).
Oltre alle questioni sopra accennate, in qualche provvedimento si accenna al forte carico di impegni che ricadeva sul personale che operava nella curia maggiore e negli altri uffici e magistrature di palazzo e ne ritardava l'attività, rendendo necessari interventi straordinari.
Già nel 1279, per evitare ritardi nel lavoro, si imponeva a Corrado e agli scrivani de super di riportare nei capitolari degli ufficiali e nelle commissioni dei rettori le addizioni di loro interesse votate dal maggior consiglio entro otto giorni dal momento dell'approvazione (104). Cinque anni più tardi, nel 1284, la parte in questione era ribadita con l'estensione della sua validità agli scrivani di tutti gli ufficiali di Venezia e la riduzione dei tempi di trascrizione a cinque giorni dal momento della venuta a conoscenza delle aggiunte del caso (105).
Ancora, nel 1305 il maggior consiglio giustificava la decisione di provvedere alla redazione di un registro di deliberazioni riguardanti materie di pertinenza degli avogadori di comun sostenendo che "consilia et partes advocatores comunis habere non possunt propter deffectum notariorum maioris curie, qui sunt negotiis pluribus aliquando impediti" (106). Da questo stato di cose derivavano comprensibili e inevitabili ritardi nel lavoro e la conseguente necessità di concedere opportune deroghe, come nel 1308, quando, mentre si imponeva la registrazione delle ducali prima della bollatura, si precisava che sarebbe stata autorizzata una proroga in caso di lavori più urgenti (107). Nel 1315 il maggior consiglio ordinava che un notaio dei provveditori di comun, al di fuori dei suoi compiti, fosse presente alle riunioni del senato e della quarantia e trascrivesse in un apposito registro tutte le deliberazioni prese (108); nove anni più tardi, nel 1324, la delibera era ribadita, aggiungendo che per questo impiego il notaio ricevesse venti soldi di grossi all'anno, in aggiunta al suo salario (109).
Per i cancellieri inferiori, nel 1327 il maggior consiglio imponeva loro di tenere presso la propria abitazione un quaderno di imbreviature nel quale essi avrebbero dovuto registrare tutte le notizie di documenti e altre carte prima di provvedere alla redazione definitiva delle scritture; nel caso di scomparsa o di decadenza dall'ufficio, i quaderni così prodotti si sarebbero dovuti depositare nella cancelleria inferiore a cura dell'interessato o dei suoi eredi (110). Nel 1343 invece si stabiliva che tutte le "cartas fraterne compagnie quam etiam filialis subiectionis" dovessero essere custodite nella cancelleria inferiore e trascritte in un apposito registro entro trenta giorni dal loro arrivo (111).
Nel 1348 poi, mentre infuriava la peste che comportò la scomparsa anche di molti notai, il lavoro della cancelleria inferiore aumentò considerevolmente. Così, nel giugno, il maggior consiglio autorizzava i cancellieri a completare i documenti lasciati interrotti dai notai defunti, compresi quelli di tutti gli uffici, fino alla festa di san Michele (112); dovendo però rinnovare l'autorizzazione nell'ottobre successivo, estendendone la durata fino alla conclusione dell'anno, poiché nel frattempo il morbo aveva mietuto altre vittime (113). Nel frattempo, durante il mese di luglio, quando l'epidemia raggiunse il suo apice, poiché "multi notarii [...> sunt mortui" e le loro scritture erano state confusamente depositate in cancelleria, si dovettero assumere, per la durata di un anno, dodici notai veneta auctoritate per una prima cernita del materiale, la trasmissione di quello più importante ai cancellieri inferiori e il completamento degli atti di maggiore urgenza, in particolare i testamenti (114); nello stesso tempo, si minacciavano pene molto severe agli erèdi dei notai scomparsi che avessero omesso di consegnare le carte dei loro congiunti alla cancelleria e a coloro che avessero indebitamente trattenuto qualche testamento "in magnum preiudicium defunctorum et eorum quibus legatum est" (115).
Tra i compiti dei funzionari di cancelleria rientrava poi la produzione e l'aggiornamento continuo dei capitolari degli ufficiali e dei membri dei vari consigli: un incarico fra i più delicati per le sue evidenti implicazioni e tra i più impegnativi perché non era sempre facile il perfetto ordine di un vasto materiale documentario, mentre ferveva l'attività di tanti consigli e magistrature. Così nel 1328, poiché ci si era accorti che "capitulare consilii de X sit valde confusum et sint multa que illi de consilio de X observare tenentur et non sunt scripta in eo", il consiglio dei dieci ordinava al cancellier grande di redigere un nuovo capitolare, raccomandandosi che fosse scritto "de bona littera" (116). Nel 1354 al momento dell'elezione del doge Marino Falier, si stabiliva che fossero redatti tre esemplari, muniti del sigillo ducale, della sua promissione, uno dei quali da conservarsi in cancelleria e un altro presso i procuratori di San Marco (117); mentre l'anno dopo, sempre a proposito del doge, si ribadiva che le sentenze presentate al suo cospetto perché fossero mandate in esecuzione si sarebbero dovute scrivere in appositi registri curie maioris, secondo ben precise modalità, onde "possint refici si perderentur" (118).
Ancora nel 1383 però, a proposito della conservazione delle scritture riguardanti le relazioni internazionali, il senato deliberava all'unanimità di depositare gli originali nell'archivio della basilica di San Marco, affidati alla custodia dei procuratori della chiesa, dopo tuttavia che ne fosse stata curata la trascrizione a opera della cancelaria nostra nei cartulari del comune, entro il termine di un mese dal momento della ricezione (119).
Sotto l'aspetto dei doveri e degli obblighi del personale, fin dal 1263, i notai furono tenuti a informare il doge e i suoi consiglieri circa le precedenti disposizioni legislative relative alle decisioni che essi si apprestavano a prendere (120), assumendo così una posizione di rilievo nella vita pubblica, in quanto custodi dell'osservanza delle leggi. Un ventennio più tardi, nel 1284, il maggior consiglio stabiliva che i notai dovessero assicurarsi del rispetto della norma che prevedeva come i consiglieri fossero tenuti a farsi leggere tutte le lettere spedite al doge entro quattro giorni dalla presentazione, denunciandoli in caso contrario ai signori di notte (121).
Ma fu soprattutto nel capitulare notariorum che la materia venne affrontata con maggior precisione, stabilendosi che il personale dovesse intervenire, anche non richiesto ma di sua iniziativa, quando il doge o i consiglieri fossero in procinto di assumere iniziative contrarie ai loro doveri oppure stessero per deliberare "contra consilia ordinata sive pacta vel aliqua alia ordinamenta"; i notai della cancelleria erano poi tenuti a ricordare al doge e ai consiglieri il contenuto delle petizioni inviate da privati, veneziani o meno, al comune, specie quando nel frattempo fossero stati rinnovati i consigli; avrebbero dovuto rendere noto ai consiglieri il contenuto delle lettere ducali, sia di carattere privato che relative a particolari persone, e quello delle commissioni; ancora, nel. caso in cui fossero stati spediti in missione, si richiedeva che agissero nell'interesse di Venezia oppure, se inviati assieme ad ambasciatori, ricordare a questi ultimi di attenersi alle disposizioni ricevute; infine avrebbero dovuto rivelare, motivandole opportunamente, le eventuali ragioni di ineleggibilità a qualsiasi ufficio.
Il rispetto della disciplina e dell'armonia fra coloro che lavoravano all'interno della cancelleria era fra le incombenze del cancellier grande. Compito non facile, considerando, fra l'altro, che il personale era autorizzato a circolare armato, come dimostra il caso dello scrivano Giovanni Lombardo detto Calderario che nel 1292 si era rifiutato di essere perquisito dai signori di notte alla ricerca di armi eventualmente in suo possesso, e per questo era stato condannato a pagare l'ammenda prevista dalla legge per chi si opponeva alla perquisizione. Presentato ricorso, il maggior consiglio assolveva senz'altro il Calderario e nello stesso tempo autorizzava gli scrivani della curia maior a portare armi, come da consuetudine, non essendo stata reperita alcuna disposizione in contrario (122).
Alla metà del XIV secolo la normativa sulle armi fu però parzialmente modificata, proibendo ai notai di girare armati durante le ore notturne, tranne quando fossero stati impegnati in servizio per il comune, con facoltà di perquisizione da parte dei signori di notte e dei capisestiere, sequestro delle armi eventualmente trovate e denuncia dei contravventori. Dalla modifica furono però esclusi il cancellier grande, il vicecancelliere e due notai particolarmente fidati, per i quali continuava a valere la normativa precedente (123). Quest'ultima, a quanto pare, fu tuttavia successivamente ripristinata, se nel 1400 la quarantia deliberò di annullare la multa inflitta al notaio Stefano della Costa perché non aveva voluto farsi perquisire e consegnare ai custodi dei signori di notte le armi che portava addosso (124).
Si ha inoltre notizia di occasionali tensioni fra colleghi impegnati nello stesso lavoro, al punto che nel 1360 il minor consiglio stabiliva che, alla prima querela che il cancellier grande avesse presentato contro lo scrivano Bonifacio da Carpi per ingiurie a qualcuno della cancelleria, o perché non avesse fatto il suo dovere, egli sarebbe stato senz'altro licenziato (125).
In alcuni provvedimenti si biasima l'indisciplina del personale, che talvolta si concretizzava nella violazione del segreto d'ufficio. Di conseguenza, nel 1363, affinché "libri cancellarie conserventur et teneantur sub meliori ordine, et etiam ut de cartis, libris, bussolis et alia que sunt necessaria pro usu cancellarie possit haberi melior cura", il senato proponeva la nomina di un massaro, obbligatoriamente cittadino veneziano, nato a Venezia e di età superiore ai trent'anni, stipendiato con il salario di cinque lire di grossi all'anno, con l'incarico di provvedere alla custodia della cancelleria, giustificandone l'assunzione "quia istud erit multe utilitatis et vitabit multa pericula de libris qui quandoque perduntur et videntur per alios quia stant in loco multum aperto [...> et etiam sparagnabit tantum de rebus que disperduntur quod erit multo plus quam salarium". Ma la proposta, messa due volte ai voti, non fu accolta, risultando respinta sia pure di stretta misura (126).
Del resto, il citato capitulare notariorum prevedeva che i notai custodissero attentamente "libros, cartas et alias scripturas omnes" e tenessero segrete le "credencie" pronunciate dal doge e dal suo consiglio.
Fu quindi senza dubbio la necessità di assicurare una migliore custodia e riservatezza del materiale, esposto all'interno della ducale agli sguardi indiscreti di estranei e al rischio di perdite, come si rileva dalla proposta del senato del 1363, se un quarantennio più tardi fu istituita la secreta. Risulta dunque ben comprensibile il motivo per cui, lo stesso giorno in cui fu creata la nuova sezione, il maggior consiglio ritornava sulla questione, disponendo, fra l'altro, che "algun libro de la nostra cancellaria né alguna letera over brieve [...> che sia al presente in la nostra cancellaria [...> non se debia portar per algum fuora de la nostra cancellaria" (127).
* Questo saggio deve molto a un'anonima raccolta manoscritta, attribuita all'archivista veneziano Attilio Baracchi (scomparso nel 1915, secondo quanto segnalatomi dalla dott.ssa Alessandra Sambo dell'A.S.V., che ringrazio per la cortese informazione) da Vittorio Lazzarini, Un maestro di scrittura nella cancelleria veneziana, "Archivio Veneto", ser. V, 7, 1930, p. 120 (pp. 118-125); e Lino Lazzarini, Paolo di Bernardo e i primordi dell'Umanesimo in Venezia, Genève 1930, p. 4. n. 2. L'opera contiene la trascrizione, integrale o parziale, oppure il regesto in italiano di numerosi documenti riguardanti la cancelleria e il suo personale fino a tutto il XV secolo, frutto di uno spoglio sistematico dei registri e cartulari comunali. Il manoscritto, recentemente ritrovato, è oggi custodito in A.S.V., Archivietto, Serie diverse, Studi, Relazioni, Memorie, Attilio Baracchi (inizio sec. XX), Cancelleria ducale. Tutti i documenti tratti dal Baracchi sono stati debitamente controllati ed emendate le imprecisioni riscontrate.
1. Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I-III, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1931-1950: II, p. 376.
2. Corrado compariva nel 1258 assieme ad altri due notai ducali fra i presenti alla stipulazione di un trattato con il comune di Cremona: A.S.V., Secreta, Miscellanea atti diplomatici e privati, b. 4, nrr. 166-167, doc. 1258 settembre 21; e figurava ancora con quella qualifica fino al marzo del 1261: ibid., Patti, Libri Pactorum, III, cc. 84-87, doc. 1261 marzo 4 (edizione parziale in Documenti riguardanti antiche relazioni fra Venezia e Ravenna, a cura di Pietro Desiderio Pasolini, Imola 1881, nr. IV).
3. Già dopo pochi giorni dal provvedimento di nomina, Corrado redigeva una lettera del doge Ranieri Zeno, sottoscrivendosi come "ducalis aule Veneciarum cancellarius": A.S.V., Secreta, Patti, Libri Pactorum, IV, c. 95v, doc. 1261 aprile; ma v. anche ibid., Miscellanea atti diplomatici e privati, b. 5, nr. 173, doc. 1261 aprile.
4. A partire da Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venetia 1581, p. 121. L'errore, ancora accolto dagli studi più recenti sulla cancelleria, trae origine da vari elenchi manoscritti di cancellieri grandi che fissano al 15 luglio del 1268 (data dell'elezione di Lorenzo Tiepolo) la nomina di Corrado, a cui viene attribuito il cognome "de Ducati" per un comprensibile equivoco nella lettura della sua formula di sottoscrizione.
5. Corrado fu, fra l'altro, il redattore di tutti gli accordi veneto-bizantini stipulati in Venezia dopo la caduta di Costantinopoli nel 1261, raccolti ora in I trattati con Bisanzio 1265-1285, a cura di Marco Pozza - Giorgio Ravegnani, Venezia 1996, nrr. 1, 3-4, 6.
6. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 226, nr. III, doc. 1265 settembre 26.
7. Martin da Canal, Les estoires de Venise. Cronaca veneziana in lingua francese dalle origini al 1275, a cura di Alberto Limentani, Firenze 1972, pp. 270-271.
8. La definizione di cuore dello stato si ritrova in una deliberazione del consiglio dei dieci risalente al 22 dicembre del 1456: A.S.V., Consiglio dei Dieci, Parti Miste, reg. 15, c. 114v.
9. Per gli studi più recenti sull'organizzazione e la produzione della cancelleria nei secoli IX-XIII, cf. Gli atti originali della cancelleria veneziana, I, (1090-1198), a cura di Marco Pozza, Venezia 1994, pp. 11-27; Marco Pozza, La cancelleria, in Storia di Venezia, II, L'età del comune, a cura di Giorgio Cracco - Gherardo Ortalli, Roma 1995, pp. 349-369; Gli atti originali della cancelleria veneziana, II, (1205-1227), a cura di Marco Pozza, Venezia 1996, pp. 9-20.
10. Cf. il caso riferito da Martino da Canal dello scrivano Nicolò, di origine trevigiana, addetto a "li noble consoil", che nel 1264 si macchiò di tradimento a favore dei Genovesi allora in guerra con Venezia: M. da Canal, Les estoires de Venise, pp. 202-203. L'episodio è riportato anche nella cronaca di Andrea Dandolo: Andreae Danduli Ducis Venetiarum Chronica per extensum descripta, a. 46-1280 d.C., a cura di Ester Pastorello, in R.I.S.2, XII, 1, 1938-1958, p. 312, che qualifica il protagonista come "ducalis aule notarius".
11. Per le quali cf. Giovanni Monticolo, La costituzione del doge Pietro Polani febbraio 1143 (1142 more veneto) circa la "Processio Scolarum", "Rendiconti della R. Accademia dei Lincei", 9, 1900, nr. 20, pp. 3-47; Vittorio Lazzarini, Originali antichissimi della cancelleria veneziana, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 8, 1904, pp. 199-229; Id., Un privilegio del doge Pietro Tribuno per la badia di S. Stefano d'Altino, "Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 68, 1908-1909, nr. 2, pp. 975-993; Roberto Cessi, Pactum Clugie, "Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 87, 1927-1928, nr. 2, pp. 991-1023; Leo Santifaller, Beiträge zur Geschichte des lateinischen Patriarchats von Konstantinopel (1204-1261) und der venezianischen Urkunde, Weimar 1938, pp. 231-298; Attilio Bartoli Langeli, La documentazione ducale dei secoli XI e XII, in AA.VV., Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, pp. 31-41; Gli atti originali, I, pp. 17-25; M. Pozza, La cancelleria, pp. 350-355; Gli atti originali, II, pp. 12-17.
12. Per una disamina delle lettere patenti più antiche (secoli XII-XIII) cf. Giacomo Cesare Bascapè, Sigilli della Repubblica di Venezia. Le bolle dei dogi. I sigilli di uffici e di magistrature, in AA.VV., Studi in onore di Amintore Fanfani, I, Milano 1962, pp. 102-103 (pp. 90-103); M. Pozza, La cancelleria, pp. 355-358; Gli atti originali, II, pp. 18-19. Sulle litterae clausae del secolo XIII, v. invece Vittorio Lazzarini, Lettere ducali veneziane del secolo XIII ("litterae clausae"), in AA.VV., Scritti di paleografia e diplomatica in onore di Vincenzo Federici, Firenze 1944, pp. 225-239; Wolfgang Hagemann, Le lettere originali dei dogi Ranieri Zeno (1253-1268) e Lorenzo Tiepolo (1268-1275) conservate nell'Archivio Diplomatico di Fermo, "Studia Picena", 25, 1957, pp. 87-111.
13. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 381, doc. 1264 luglio 27.
14. Ibid., p. 385, doc. 1266 aprile 25.
15. Con le espressioni de super o supra palacio si intendeva propriamente la cancelleria ducale che dapprima era ubicata al primo piano del palazzo Ducale, nei pressi della sala del maggior consiglio, poi fu trasferita al secondo piano: cf. per questo Francesco Zanotto, Il Palazzo Ducale di Venezia, I-V, Venezia 1840-1861: I, Piante generali della fabbrica, pp. 77-82, 88-91; V, tavv. XIII-XIV. Si tenga tuttavia presente che le piante del palazzo Ducale proposte dallo Zanotto si basano su dati tardocinquecenteschi confrontati con altri contemporanei e che ostacoli assai gravi si frappongono alla ricostruzione del Palazzo nei tempi più antichi, in particolare dopo i radicali interventi che dal 1340 interessarono il piano in cui si trovava la cancelleria con particolare riguardo alla cancelleria stessa. Per altri accenni all'ubicazione della cancelleria nel XIV secolo, cf. Monumenti per servire alla storia del palazzo ducale di Venezia ovvero serie di atti pubblici dal 1253 al 1797 che variamente lo riguardano tratti dai veneti archivii, a cura di Giambattista Lorenzi, Venezia 1868, nrr. 85, 101, 105, 109; Riccardo Predelli, I Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, I-VIII, Venezia 1876-1914: I, 2, nrr. 68, 354.
16. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 76-77, nr. VI, doc. 1266 giugno 30.
17. Ibid., pp. V-VII, doc. 1268 luglio 30.
18. Ibid., p. 391, doc. 1269 febbraio 17.
19. Ibid., pp. IV-VIII.
20. R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, 1, nr. 459.
21. I Capitolari delle Arti Veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia vecchia dalle origini al MCCCXXX, I, a cura di Giovanni Monticolo, Roma 1896, pp. IX-X.
22. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 71, nr. CXII. Sulla figura del cancelliere Tanto, studiato soprattutto per la sua attività poetica, v. Giovanni Monticolo, Poesie latine del principio del secolo XIV nel codice 277 ex Brera al R. Archivio di Stato di Venezia, "Il Propugnatore", n. ser., 3, 1890, nr. 2, pp. 253-259 (pp. 244-303).
23. Il protocollo notarile più antico conservato nel fondo della cancelleria inferiore copre il periodo 1290 dicembre 1°-17 - 1292 giugno 5 (edito con il titolo Notaio di Venezia del sec. XIII, a cura di Manuela Baroni, Venezia 1977); mentre il primo riferimento diretto all'esistenza della sua sede risale al 1299: A.S.V., Cancelleria Inferiore, Notai, b. 106, Atti Marco pievano di S. Giovanni Grisostomo e cancelliere inferiore, doc. 1299 ottobre 2.
24. Per l'ubicazione della cancelleria inferiore, v. F. Zanotto, Il Palazzo Ducale, I, pp. 51-52; V, tav. XII, con le avvertenze valide per quanto detto a proposito della cancelleria ducale.
25. Per qualche accenno sull'origine (con dati a partire dal 1316) e la successiva evoluzione della cancelleria inferiore, v. le considerazioni espresse da Rinaldo Fulin in Antonio Baracchi, Le carte del mille e del millecento che si conservano nel R. Archivio notarile di Venezia, "Archivio Veneto", 6, 1873, pp. 293-307 (pp. 293-321), da cui hanno attinto senza novità gli studi posteriori.
26. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 3-4.
27. Le modalità di cancellazione delle delibere consiliari erano state regolate da apposita normativa fin dal 1280: ibid., p. 71, nr. CVIIII, doc. 1280 agosto 29. In seguito questa prassi fu abitualmente applicata ai registri di deliberazioni dei consigli, cf. ibid., pp. XII-XIV; III, pp. VI-XV.
28. Ibid., II, pp. VIII-X.
29. Per i più antichi fondi archivistici dei consigli editi e la loro attuale consistenza, v. ibid., II, pp. IV-XVII; Le deliberazioni del Consiglio dei XL della Repubblica di Venezia, I, a cura di Antonino Lombardo, Venezia 1957, pp. XI-XVI; Antonino Lombardo, La ricostruzione dell'antico archivio della Quarantia veneziana, in AA.VV., Miscellanea in onore di Roberto Cessi, I, Roma 1958, pp. 239-254; Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati (Senato). Serie "mixtorum", I, Libri I-XIV, a cura di Roberto Cessi - Paolo Sambin, Venezia 1960, pp. IX-X; Elena Favaro - Luigi Lanfranchi, Prefazione a Cassiere della Bolla Ducale. Grazie. Novus liber (1299-1305), a cura di Elena Favaro con uno studio di Carlo Guido Mor, Venezia 1962, pp. LVI-LXXXVIII; Consiglio dei Dieci - Deliberazioni Miste, a cura di Ferruccio Zago, I-III, Venezia 1962-1993: I, pp. IX- XVIII.
30. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 178v, doc. 1308 luglio 4. Del secondo di questi copialettere vi è notizia come esistente nel 1314: R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, nr. 634.
31. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 12,
Clericus Civicus, c. 201v, doc. 1318 luglio 2.
32. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 121, nr. 153, doc. 1285 settembre 4.
33. Notizia in R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, 1, nr. 634.
34. Gli statuti marittimi veneziani fino al 1255, a cura di Riccardo Predelli - Adolfo Sacerdoti, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 5, 1903, pp. 336-337, nr. B, doc. 1302 gennaio 19 (pp. 314-358).
35. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 76v, doc. 1305 gennaio 17.
36. Ibid., reg. 10, Presbiter, cc. 7v-8, doc. 1309 aprile 5. I volumi composti in seguito a questa deliberazione ancora si conservano ivi, Avogaria di Comun, regg. 18-20. Furono poi proseguiti, con le deliberazioni disposte però in ordine cronologico, fino alla metà del secolo XVII: ibid., regg. 21-36.
37. Sul più antico dei Libri Pactorum (A.S.V., Secreta, Patti, Libri Pactorum, I) cf. R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, pp. VI-VII (che ne confonde l'origine con quella del secondo, ponendola al 1291); Giovanni Monticolo, I manoscritti e le fonti della cronaca del diacono Giovanni, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano", 9, 1890, pp. 172-176, 253-259 (pp. 37-328) (che accetta senza esitazioni la data proposta dal Predelli); Riccardo Predelli, Prefazione a Dplomatarium Veneto-Levantinum, sine Acta et Diplomata, res Venetas, Graecas atque Levantiis illustrantia, II, a cura di Georg M. Thomas - Riccardo Predelli, Venezia 1899, pp. XI-XII n. 1 (che modifica la sua precedente datazione riconducendola ai primi anni del secolo XIII); G. Monticolo, La costituzione, pp. 8-9 n. 1 (che accoglie quest'altra ipotesi, segnalando nel notaio Viviano il primo redattore e distinguendo alcuni degli immediati continuatori dell'opera); Famiglia Zusto, a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1955, Notizie di documenti, nr. XVI (che ne ascrive il nucleo più antico al primo ventennio del XIII secolo, attribuendolo anch'esso a Viviano) (ma per il suo esame interno e la corretta datazione, v. ora Il Liber Pactorum I del Comune di Venezia, a cura di Marco Pozza [in preparazione>, I, §§ 2-3).
38. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 310, nr. 119, doc. 1291 dicembre 18.
39. A.S.V., Secreta, Patti, Libri Pactorum, II.
40. Per l'epoca di redazione del terzo (segnato quarto) dei Libri Pactorum si assume come termine post quem la data (1293 maggio 25) del documento più recente presente nel suo primo nucleo (ibid., IV, cc. 48-50v), mentre la scrittura più antica fra quelle aggiunte da mani posteriori è datata 1299 gennaio 7 (ibid., c. 107v).
41. Per il quarto (segnato terzo) dei Libri Pactorum, si noti che il suo primo copista iriziò la sua opera dopo il 13 dicembre del 1306 (ibid., III, cc. 16-19v) e prima del 25 maggio del 1307 (ibid., c. 49).
42. Il venir meno dell'importanza dei Libri Pactorum a vantaggio dei Commemoriali (per i quali cf. R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, pp. VII-XVII) è colta in maniera significativa da una nota marginale del primo copista del terzo dei Libri Pactorum, il quale, interrompendo la trascrizione di una lettera di Clemente V risalente al 14 gennaio del 1306 (A.S.V., Secreta, Patti, Libri Pactorum, III, c. 12), giustificava il suo comportamento con il fatto che questa "posita fuit in Commemoriali" (ivi, Secreta, Libri Commemoriali, I, c. 97, regesto in R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, 1, nr. 260), e quindi non esisteva la necessità di riportarla anche nel libro alla cui redazione egli stava attendendo in quel momento.
43. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 15, Fronesis, c. 127. Notaio imperiale, il 14 marzo del 1301, su proposta della quarantia, era stato nominato "scriba palatii" (ibid., reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 12v); in seguito divenne il principale collaboratore del cancellier grande, fino al 1° marzo del 1319, quando, poiché Tanto "sit multum senex et antiquus, ita quod non potuit iam est diu nec potest bene exercere officium cancellarie", Pistorino fu nominato vicecancelliere, con i medesimi poteri del cancelliere (ibid., reg. 15, Fronesis, c. 11v). Cinque anni più tardi, scomparso Tanto, Pistorino prese il suo posto, reggendo l'incarico fino al giugno del 1352. Cf. sul personaggio R. Predelli, I Libri Commemoriali, I, 1, nrr. 136, 152, 264, 415, 556; I, 2, nrr. 16, 29, 31, 45, 48, 68, 71, 156, 168, 185, 187, 208, 243, 262, 267, 270, 292, 303, 309, 311, 319, 325, 354, 365, 401, 406-407, 411-412, 447, 454-455, 459, 466; II, 3, nrr. 84, 93, 101, 113, 117, 119-120, 131, 172, 264, 280, 325, 327, 335, 352, 365-366, 382, 418, 484, 502, 557, 559, 564, 566, 571, 573; II, 4, nrr. 14, 19, 29, 33, 62, 119, 146, 159, 167, 207, 229-230.
44. Sulla biografia di Benintendi Ravignani, cf. Georg Voigt, Die Briefsammlungen Petrarca's und der venetianische Staatskanzler Benintendi, "Abhandlungen der Historischen Klasse der K. Bayer. Akademie dcr Wissenschaften", 16, 1882, nr. 3, pp.. 49-66 (pp. 3-101); Vincenzo Bellemo, La vita e i tempi di Benintendi de Ravagnani, cancelliere grande della Veneta Repubblica, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 23, 1912, pp. 237-284; 24, 1912, pp. 54-95.
45. Per la vita e la carriera di Raffaino de Caresini, v. le notizie riportate in Raphayni de Caresinis Cancellarti Venetiarum Chronica a. 1343-1388, a cura di Ester Pastorello, in R.I.S.2, XII, 2, 1922, pp. VI-X; Antonio Carile, Caresini, Rafaino, in Dizionario Biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 80-83.
46. Pietro Rossi fu nominato cancellier grande l'11 settembre del 1390 con 360 voti a favore contro 49 contrari dal maggior consiglio (A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 21, Leona, c. 43v), dopo una carriera priva di momenti di rilievo. La sua prima attestazione come notaio di cancelleria risale al 1362: R. Predelli, I Libri Commemoriali, III, 7, nr. 62. Per le poche altre notizie sul personaggio, cf. ibid., nr. 211; III, 8, nrr. 42, 60, 10, 139, 180, 215, 356, 363, 392, 397.
47. Desiderato Lucio, notaio imperiale, fu assunto come notaio nella cancelleria ducale il 16 luglio del 1345 (A.S.V., Grazie, reg. 11, c. 29); trasferito provvisoriamente "ad officium armamenti", ottenne di rientrare in cancelleria nel 1349 (ibid., reg. 12, c. 37v, doc. 1349 marzo I°); fu nominato cancellier grande dal maggior consiglio con 536 voti favorevoli e 50 contrari il 10 gennaio del 1395 (ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 21, Leona, c. 80), rimanendo in carica per quattordici mesi. Varie notizie sul Lucio in R. Predelli, I Libri Commemoriali, II, 4, nrr. 405, 415, 443; II, 5, nrr. 146, 164, 224, 226; III, 6, nrr. 10-11, 20, 82, 97, 325; III, 7, nrr. 225, 368, 577, 612; III, 8, nrr. 150, 167, 269, 272, 302, 352, 396; III, 9, nrr. 6-7, 10, 14.
48. Giovanni Guido, notaio imperiale, compare per la prima volta in qualità di notaio nel 1340 (R. Predelli, I Libri Commemoriali, II, 3, nr. 517, doc. 1340 novembre 27); il 1° febbraio del 1342 risultava essere notaio della cancelleria (A.S.V., Grazie, reg. 9, c. 33v); nominato cancellier grande dal maggior consiglio il 23 aprile del 1396 con 536 voti a favore e 37 contrari (ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 21, Leona, c. 9iv); fu sostituito nella carica da Nicolò de Gerardo da Chioggia l'8 maggio del 1402 (ibid., c. 130). Sul personaggio cf. R. Predelli, I Libri Commemoriali, II, 4, nrr. 19, 33,
42, 167, 265, 427, 460; III, 6, nr. 233; III, 7, nrr. 64, 368, 451, 500, 528, 612, 708, 735, 752, 763, 781; III, 8, nrr. 50, 60, 66, 83, 103, 136, 167, 178, 197, 206, 225, 352, 392, 413; III, 9, nrr. 7, 14, 43, 66, 150.
49. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 21, Leona, c. 129r-v.
50. Si tratta della serie Secreti che allora si staccò dalla serie dei Misti.
51. La storia della cancelleria ducale e della secreta dal XV al XVIII secolo è stata oggetto di vari studi; oltre al vecchio ma ancor utile Armand Baschet, Les archives de Venise. Histoire de la chancellerie secrète, Paris 1870; e a Francesco Marini, Luigi Marini segretario della serenissima Repubblica di Venezia nel secolo XV e XVI. Saggio di storia critica documentata sulla genesi e sulla fine dell'ordine dei segretarii, Treviso 1910, pieno di spunti ma anche di errori e imprecisioni; v. in particolare Giuseppe Trebbi, La cancelleria veneta nei secoli XVI e XVII, "Annali della Fondazione Luigi Einaudi", 14, 1980, pp. 65-125; Mary Frances Neff, Chancellery Secretaries in Venetian Politics and Society, 1480-1533, tesi di Ph.D., University of California, Los Angeles 1985; Giuseppe Trebbi, Il segretario veneziano, "Archivio Storico Italiano", 144, 1986, pp. 35-73; Matteo Casini, Realtà e simboli del Cancellier Grande veneziano in età moderna (secc. XVI-XVII), "Studi Veneziani", n. ser., 22, 1991, pp. 195-251; Andrea Zannini, Burocrazia e burocrati a Venezia in età moderna: i cittadini originari (sec. XVI-XVIII), Venezia 1993, pp. 119-181.
52. L'esistenza di pueri che prestavano servizio nei vari uffici di palazzo Ducale si ritrova a partire dal 1295: Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 385, nr. 66, doc. 1295 agosto 30; ma v. anche ibid., p. 459, nr. 61, doc. 1299 agosto 11.
53. A.S.V., Grazie, reg. 9, c. 9, doc. 1341 giugno 24; reg. 12, cc. 32v, doc. 1349 gennaio 2, e 90, doc. 1350 settembre 30; reg. 14, c. 150, doc. 1360 novembre; reg. 16, cc. 100, doc. 1369, e 102, doc. 1369; reg. 17, c. 243, doc. 1388. Per altri casi trecenteschi, cf. Bartolomeo Cecchetti, Libri, scuole, maestri, sussidi allo studio in Venezia nei secoli XIV e XV, "Archivio Veneto", 32, 1886, pp. 343-345 (pp. 329-363); per questi ultimi v. anche Gherardo Ortalli, Scuole e maestri fra Medioevo e Rinascimento. Il caso veneziano, Bologna 1996, p. 50.
54. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 2v, doc. 1299 novembre 19.
55. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 107, nr. 60, doc. 1285 aprile 26.
56. Ibid., p. 380, nr. 39, doc. 1295 maggio 26.
57. Ibid., p. 385, nr. 66, doc. 1295 agosto 30.
58. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 35, doc. 1302 settembre 18.
59. Ibid., reg. 15, Fronesis, c. 100v, doc. 1322 ottobre 19.
60. Ibid., reg. 21, Leona, c. 78, doc. 1394 settembre 25.
61. A questo proposito, nel 1320 Si proibiva a tutti i notai e scrivani di seguire qualsivoglia rettore senza un voto a maggioranza qualificata della signoria, quarantia e maggior consiglio: ibid., reg. 15, Fronesis, c. 53v, doc. 1320 novembre 2.
62. Ibid., reg. 12, Clericus Civicus, c. 56v, doc. 1315 luglio 5.
63. Ibid., reg. 15, Fronesis, c. 86v, doc. 1322 febbraio 23.
64. Ibid., c. 96v, doc. 1322 agosto 26.
65. Ivi, Avogaria di Comun, Deliberazioni del Maggior Consiglio, reg. 22, Brutus, c. 75v, doc. 1328 gennaio 21.
66. L'ordo curie (ivi, Secreta, Libri Commemoriali, IV, c. 153) è pubblicato integralmente in Marin Sanudo, Le vite dei Dogi, a cura di Giovanni Monticolo, in R.I.S.2, XXII, 4, 1900-1911, p. 415 n. 4 (che lo attribuisce al 1348); e in regesto da R. Predelli, I Libri Commemoriali, II, 4, nr. 314 (che lo data al 1349); ma per la sua datazione, non anteriore al 1352-1353, v. L. Lazzarini, Paolo di Bernardo, p. 57 n. 1.
67. A.S.V., Secreta, Collegio, Notatorio, reg. 2, c. 44r-v, doc. 1386 maggio 17. Alcuni capitoli del regolamento sono editi in F. Marini, Luigi Marini segretario, pp. 47-48.
68. Per i primi quattro, cf. le nn. 46-48. Giovanni Plumacio entrò in cancelleria nel 1369 (A.S.V., Grazie, reg. 16, c. 102, doc. 1369); fu nominato cancellier grande il 22 luglio del 1405 alla morte di Nicolò de Gerardo (ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 21, Leona, c. 150v), e scomparve poco prima del 24 giugno del 1428 (ibid., reg. 22, Ursa, c. 79). Guglielmo de Vincenzi fu ammesso in cancelleria nel 1371 (ivi, Grazie, reg. 16, c. 134, doc. 1371) e ancora vi lavorava nel 1420 (ivi, Secreta, Collegio, Notatorio, reg. 5, c. 143v, doc. 1420 settembre 24).
69. R. Predelli, I Libri Commemoriali, III, 9, nr. 139, doc. 1398 settembre 30.
70. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 160, nr. 141, doc. 1286 novembre 23.
71. Ibid., p. 459, nr. 61, doc. 1299 agosto 11.
72. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 160, doc. 1307 agosto 29.
73. Ibid., reg. 15, Fronesis, c. 33, doc. 1320 febbraio 23.
74. Ivi, Avogaria di Comun, Deliberazioni del Maggior Consiglio, reg. 21, Neptunus, c. 116v, doc. 1320 luglio 24.
75. Ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 17, Spiritus, c. 15iv, doc. 1347 gennaio 30.
76. Ivi, Secreta, Collegio, Notatorio, reg. 1, c. 48v, doc. 1361 luglio 23.
77. Ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 15, Fronesis, c. 1iv, doc. 1319 marzo 1°.
78. Ibid., c. 127, doc. 1324 febbraio 12.
79. Ivi, Grazie, reg. 8, c. 18v, doc. 1339 maggio 23.
80. Ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 17, Spiritus, c. 165v, doc. 1349 settembre 13.
81. Ibid., reg. 19, Novella, c. 27v, doc. 1352 luglio 1°.
82. Ibid., c. 108v, doc. 1365 luglio 15.
83. Ibid., reg. 21, Leona, c. 43v, doc. 1390 settembre 11.
84. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 225-226, nr. II, doc. 1263 giugno 21.
85. Le Promissioni del Doge di Venezia (dalle origini oliatine del Duecento), a cura di Gisella Graziato, Venezia 1986, pp. 19, 37, 58, 78, 99, 124, 152.
86. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 10, Presbiter, cc. 7v-8, doc. 1309 aprile 5. La deliberazione si riferisce al notaio dell'avogaria di comun, ma il suo valore può essere esteso al personale di cancelleria che produceva l'identica tipologia documentaria.
87. Ibid., reg. 15, Fronesis, cc. 99v-100, doc. 1322 ottobre 8.
88. Ibid., reg. 17, Spiritus, c. 101, doc. 1339 ottobre 3.
89. Ibid., cc. 106-107v, doc. 1339 novembre 23.
90. Ivi, Secreta, Collegio, Promissioni, reg. 1, c. 125v, § XII, doc. 1355 aprile 21.
91. Ibid., cc. 136v- 137v, doc. s.d.
92. Ibid., Notatorio, reg. 1, c. 26, doc. 1350 giugno 1°.
93. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 226, nr. V, doc. 1267 febbraio 25.
94. Ibid., nr. III, doc. 1265 settembre 26.
95. Ibid., III, p. 84, nr. 140, doc. 1284 settembre 17.
96. Ibid., p. 428, nr. 41, doc. 1297 agosto 29.
97. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 17, Spiritus, cc. 107v-108, doc. 1339 novembre 23.
98. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 155-156,
nr. 114, doc. 1286 settembre 12.
99. Ibid., pp. 400-401, nr. 30, doc. 1296 giugno 26.
100. A.S.V., Avogaria di Comun, Deliberazioni del Maggior Consiglio, reg. 19, Cerberus, c. 57, doc. 1299 agosto 20.
101. Ivi, Secreta, Collegio, Notatorio, reg. 1, c. 60, doc. 1367 ottobre 16.
102. Ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 19, Novella, c. 179v, doc. 1381 dicembre 13.
103. Ibid., reg. 21, Leona, c. 78v, doc. 1394 settembre 29.
104. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 227, nr. VIII, doc. 1279 marzo 28.
105. Ibid., III, p. 84, nr. 141, doc. 1284 settembre 17.
106. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 8, Magnus et Capricornus, c. 76v, doc. 1305 gennaio 17.
107. Ibid., c. 178v, doc. 1308 luglio 4.
108. Ibid., Leges Maioris Consilii, reg. V, c. 14iv, doc. 1315 dicembre 21.
109. Ibid., Deliberazioni, reg. 15, Fronesis, c. 133, doc. 1324 maggio 12.
110. Ibid., reg. 17, Spiritus, c. 15v, doc. 1327 marzo 22.
111. Ibid., c. 134, doc. 1343 ottobre 19.
112. Ibid., c. 157, doc. 1348 giugno 20.
113. Ibid., c. 159v, doc. 1348 ottobre 19.
114. Ivi, Senato, Misti, reg. 24 (copia), cc. 141v-142v, doc. 1348 luglio 5.
115. Ibid., c. 147r-v, doc. 1348 luglio 10.
116. Consiglio dei Dieci, II, pp. 91-92, nr. 255, doc. 1328 settembre 22.
117. A.S.V., Secreta, Collegio, Promissioni, reg. 1, c. 111v, § LXXXXVII, doc. 1354. ottobre 5.
118. Ibid., c. 125v, § XII, doc. 1355 aprile 21.
119. Ivi, Senato, Deliberazioni Miste, reg. 38, c. 16, doc. 1383 marzo 27.
12o. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 225, nr. I, doc. 1263 aprile 14.
121. Ibid., III, p. 66, nr. 26, doc. 1284 maggio 6.
122. Ibid., p. 328, nr. 85, doc. 1292 dicembre 9.
123. A.S.V., Secreta, Collegio, Notatorio, reg. 1, c. 26, doc. 1350 giugno 1°.
124. R. Predelli, I Libri Comrnemoriali, III, 9, nr. 177, doc. 1400 marzo 22.
125. Ibid., II, 6, nr. 202, doc. 1360 maggio 29.
126. A.S.V., Senato, Misti, reg. 31 (copia), c. 25v, doc. 1363 maggio 30.
127. Ivi, Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 21, Leona, c. 129r-v, doc. 1402 aprile 23.