La cancelleria
L'anonimo autore della più recente redazione del Chronicon Altinate, scrivendo nell'ultimo scorcio del XII secolo, rammenta fra i vescovi di Olivolo un "Grausus diaconus" che, presumibilmente attorno alla metà del IX secolo, prima di assumere la sua carica, sarebbe stato cancelliere del doge e notaio (1). È questa la prima menzione della presenza di un cancelliere nel Ducato di Venezia, sebbene il limitato valore storico della fonte imponga necessarie cautele sulla sua attendibilità.
Le carte veneziane anteriori al Mille ricordano in seguito un "Dominicus presbyter cancellarius noster", alla cui mano si deve una convenzione stipulata dal doge Orso I Particiaco con Valperto, patriarca di Aquileia, nel gennaio dell'880 (2); quindi, fra i suoi successori in questa carica, dapprima "Dominicus diaconus cancellarius tabellio noster" in una sentenza del febbraio 919 (3), poi, in un decreto del giugno 960, "Dominicus presbiter et cancellarius " (4) forse identificabile con quel "Dominicus [...> cancellarius" che ancora il Chronicon Altinate annovera fra i vescovi olivolensi(5).
La precocità di queste attestazioni fa di Venezia un caso particolarmente interessante nel panorama italiano. Il titolo di cancellarius attribuito ai redattori di alcuni documenti pubblici non costituisce tuttavia di per se stesso una prova sufficiente per confortare l'ipotesi dell'esistenza e del funzionamento di un organismo addetto in modo specifico all'attività documentaria dello Stato. La redazione dei documenti ducali era infatti affidata a preti-notai cittadini, non legati da un rapporto di dipendenza esclusiva alla pubblica autorità ma che le fornivano all'occorrenza le proprie prestazioni e quindi esercitavano soprattutto privatamente la loro professione (6). Talvolta riconoscibili come appartenenti al clero di S. Marco, allora cappella palatina e perciò strettamente legata alla sede del governo, essi si qualificavano comunemente come notarius o, con minor frequenza, come "capellanus [...> curtis palatii", "notarius capellae curtis palatii", o "notarius curtis palatii" (7). Poiché non esisteva una reale differenza, né di persone né di compiti, fra costoro e i " notarii curiae palatii" (8), incaricati di redigere la documentazione prodotta dalla curia, l'organo che assisteva e coadiuvava il doge nelle sue attività giudiziarie e legislative, analogamente a quanto avveniva in altri territori di tradizione bizantina (9), sembra lecito escludere fino a tutto il XII secolo l'esistenza di un vero e proprio ufficio di cancelleria distinto dalla curia ducale e pensare invece che le sue funzioni fossero svolte da una sezione di quest'ultima. Una struttura quindi ancora assai semplice e improntata non sulla figura del funzionario bensì su quella del notaio apportatore di validità al documento mediante la sua sottoscrizione, risultando sconosciute le altre forme di convalida, i signa particolari e le chartae partitati (10), e introdotto solamente poco prima della metà del secolo XII, in singolare coincidenza con le prime attestazioni dell'istituto comunale, l'uso del sigillo (11).
Dagli inizi del Duecento è invece possibile cogliere nella struttura cancelleresca veneziana notevoli ed evidenti cambiamenti, con la creazione di una sede stabile all'interno del palazzo Ducale (12); l'introduzione della qualifica di " notarius ducalisque aule cancellarius" ai suoi componenti di grado più elevato (13); l'apertura all'impiego sempre più diffuso di notai forestieri, evento eccezionale in precedenza, che finiscono col diventare in breve tempo la maggioranza del personale; l'adozione di forme scrittorie e documentarie nuove, più semplici e varie rispetto al passato; e infine l'istituzione - tradizionalmente attribuita al 1268 (14) ma in realtà sicuramente anticipabile al 1261 (15) - della carica di cancellier grande, a capo dell'intera amministrazione e responsabile del buon funzionamento di essa.
La produzione documentaria di quest'ufficio, anteriormente alle riforme in esso avvenute nel XIII secolo, è costituita da atti separati e distinti e si realizza in modo intermittente, in singole unità autonome, in maniera non dissimile rispetto a quanto avveniva negli altri Stati del tempo (16). Le scritture così prodotte presentano una notevole varietà di forme e risultano suddivisibili fondamentalmente in tre grandi generi: atti ducali propriamente detti, distinguibili in maggiori e minori a seconda della solennità delle loro forme (17), scritture di carattere giudiziario, alcune delle quali rientrano anch'esse nella categoria delle ducali (18), documenti riguardanti relazioni di tipo pattizio intercomunali o interstatali (19).
Gli ultimi due gruppi si rifanno, pur con specificazioni e adattamenti, a modelli comuni. Se il diritto e le consuetudini di Venezia furono infatti effettivamente dissimili da quelli dei territori circostanti, lo sviluppo politico-istituzionale del Ducato e la stessa redazione dei documenti che di tale evoluzione erano l'espressione non furono tuttavia così distinti da quelli delle aree contermini da non subirne sensibili influenze. Gli estensori degli atti pattizi, specie i trattati bilaterali, inoltre, non rientrano inizialmente quasi mai nell'organizzazione e tradizione notarile lagunare ma appartengono al notariato imperiale. Il primo genere di documenti costituisce invece una soluzione originale e rappresenta il massimo livello della tipicità notarile veneziana.
Le ducali, il cui primo originale pervenuto fino a noi è un privilegio del doge Vitale Falier per il monastero di S. Giorgio Maggiore che risale solamente al luglio 1090 (20), sono caratterizzate da un formulario proprio che le distingue dalle coeve forme documentarie dell'entroterra, pur risentendo esplicitamente, più ancora degli atti privati, dell'influenza della documentazione di tradizione longobardo-carolingia prima e imperiale-germanica poi in uso nel Regno Italico (21).
Non prendendo in considerazione le ducali anteriori al Mille e quelle immediatamente posteriori, pervenute in copie, spesso tarde, in alcuni casi fortemente sospette di falso e altre volte oggetto di sicure o probabili contaminazioni, e limitando invece l'analisi al paio di dozzine di ducali maggiori, dal 1090 alla fine del XII secolo, tràdite in originale, risulta come il protocollo con cui inizia il documento si componga di un'invocazione verbale, preceduta generalmente da un segno di croce, che però scompare attorno alla metà del XII secolo (22), e dalla datazione cronica e topica. Per tutto il periodo esaminato domina la formula d'invocazione "In nomine domini Dei et salvatoris nostri Iesu Christi", raramente sostituita da "In nomine domini nostri Iesu Christi" (23). Dopo quest'invocazione segue subito la datazione, la cui presenza nel protocollo è una costante dei documenti veneziani. L'anno è indicato con la formula "anno ab incarnatione" o "anno incarnationis", e più diffusamente a partire dal secondo decennio del secolo XII con l'espressione generica "anno Domini" (24); in tutti i casi, l'anno iniziava secondo lo stile veneto, cioè il primo marzo, con un ritardo di due mesi completi rispetto al calendario attuale. Con questo stile era usata l'indizione greca o bizantina, che cambiava il primo settembre, con un anticipo di quattro mesi rispetto all'inizio dell'anno moderno. Così in tutti i documenti, con l'unica eccezione di un decreto del doge Enrico Dandolo del 16 agosto 1192 (25), si trova presente l'indicazione del mese (con il nome espresso al genitivo) ma non quella del giorno. Il luogo è indicato con "Rivoalto", con il significato di Venezia, sempre al caso ablativo.
Il testo incomincia con un esordio o arenga, una motivazione di carattere ideale che si congiunge alla parte espositiva (narratio) e a quella dispositiva (dispositio), volendone quasi giustificare la ragione morale o utile (26). Di contenuto quanto mai vario anche all'interno della medesima tipologia documentaria, solo di rado alcuni di questi esordi si ritrovano ripetuti con l'identica formula in atti dello stesso genere o della stessa epoca. Ad esempio, l'arenga "Omnes Christi fideles secularibus curis deditos [...>" è usata solo negli originali degli ultimi anni dell'XI secolo (27). Le arenghe "Cum publicis presideamus rebus equitati providere debemus [...> " (28) e "Cum de rebus ambiguis ad percipiendam notitiam veritatis sepe oriatur laboriosa exercitatio [...>" (29) sono invece tipiche dei documenti giudiziari. Alcuni esordi poi risultano chiaramente collegati al fatto documentato, rimanendo però sempre un'espressione di valore puramente retorico, come appare in un decreto del doge Orio Mastropiero, emanato nel novembre del 1188 in previsione della partecipazione veneziana alla terza crociata, dove si legge: "Cum unusquisque titulo Christiani nominis insignitus in succursum sancte terre orientalis [...> " (30). Particolarmente significative sono infine le arenghe in cui si afferma la necessità e il dovere' di rispettare le leggi del proprio paese: "Sicut obedire patrie nostre legibus nullatenús venit timore [...> " (31).
La narratio si congiunge con l'arenga per mezzo di avverbi e congiunzioni: "quapropter, igitur, quia"; e subito dopo si incontra l'intitulatio, con il nome e i titoli del doge. Mentre nella sottoscrizione autografa questi usa il pronome singolare "Ego", nel testo il suo nome è preceduto dal plurale "Nos"; e mentre nella sottoscrizione è sempre costante la formula di devozione "Dei gratia", nell'intitulatio si trova "Dei gratia" o "gratia Dei" (32), ma anche "per misericordiam Dei" (33) e "divina misericordia" (34). Per i titoli portati dai dogi, alla fine dell'XI secolo Vitale Falier era indicato come "Venetie et Dalmatie dux et imperialis protonsevastos" nel 1090 e "dux Venecie et Dalmacie atque Chroacie et imperialis protonsevaston" nel 1098 (35); Vitale I Michiel era invece "Venetie, Dalmatie atque Chroatie dux et imperialis protosevastos" nel 1100 (36); ai primi del secolo XII, Ordelaffo Falier conservava solo il titolo aulico bizantino di protosebasto: "dux et imperialis protosevaston" nel 1108 e ancora "Venecie ducem et imperialem protosevaston" nel 1112 (37); il suo successore Domenico Michiel, dopo la riaffermazione del controllo veneziano sulla sponda orientale dell'Adriatico contro le pretese ungheresi, riacquistava il titolo di duca di Dalmazia e Croazia: "Venecie, Dalmatie atque Chroatie duci et imperiali protosevasto" nel 1121 (38); da Pietro Polani (eletto nel 1130) fino agli inizi del dogado di Pietro Ziani, all'indomani della quarta crociata, la formula d'intitolazione ducale fu costantemente fissata in "Venetie, Dalmatie atque Chroatie dux" (39).
Nell'epoca esaminata, il doge ha ormai perduto da tempo il suo potere autocratico. Non figura pertanto come unico autore del fatto documentato, né vi compaiono più, a differenza del passato, le massime autorità religiose: il patriarca di Grado e i titolari delle sei diocesi del Ducato. Accanto al doge intervengono invece sempre i giudici: "cum nostris iudicibus et aliis bonis hominibus nostris fidelibus" si legge in un documento del 1090 (40) e "cum nostris iudicibus et aliis nostris fidelibus" (41) nel 1100, i quali non rappresentano soltanto, insieme con lo stesso doge, l'autorità giudiziaria nel placito pubblico, ma svolgono di fatto la funzione che sarà poi propria dei consiglieri ducali in ciascun atto di governo. Il "populus Venetiae" appare anch'esso tra i partecipanti e consenzienti: "cum nostris iudicibus et populo Venetie" (42) si ritrova in un atto del 1112, e prima del popolo sono designati, dopo i giudici, i "boni homines", i "nostri fideles" (43), tra i quali sono coloro che poi di propria mano si sottoscrivevano, dopo il doge e i giudici, nell'escatocollo. Con la costituzione del comune, accanto ai giudici compaiono i componenti del consilium sapientum, l'antenato del maggior consiglio: "cum nostris iudicibus, adiunctis quoque nobis sapientum consciliatoribus" si nota in un atto del 1160 (44).
Nel testo sono ancora da sottolineare le clausole finali, la minatio e la corroboratio. In questo periodo di tempo, la sanzione è soltanto materiale e la formula che stabilisce la pena che ricade sui trasgressori è quella consueta che si ritrova nelle carte private. Nei documenti veneziani una pena convenzionale assicurava sempre l'adempimento di una promessa od obbligazione, secondo l'uso bizantino, da cui il diritto locale trasse perfino il vocabolo di origine greca "prostimum ", adoperato negli atti pubblici, come nell'originale del 1090 (45). La multa è stabilita normalmente in dieci libbre d'oro, ma sale a venti libbre in una concessione del 1108 (46); è il doppio del prezzo convenuto in una vendita del 1112 (47); è fissata in "centum marcas" d'argento in un decreto del 1192 (48). Quando l'infrazione alla parte dispositiva era considerata un'offesa all'autorità o un danno per l'interesse pubblico, allora la pena stabilita era devoluta per metà alla "camera palatii", cioè allo Stato, e per l'altra metà al privato.
Dopo che si dichiarava che l'atto, definito come "cartula" o "pagina", dovesse rimanere in ogni parte "in sua firmitate", nei documenti non posteriori al primo decennio del XII secolo segue una formula di corroborazione, nella quale al notaio, chiamato con il nome e cognome e con i suoi titoli, si ordina di redigere e di completare il documento (49).
Solamente in due casi si ritrova anche una formula di apprecazione posta alla fine del testo: un semplice "feliciter" nella concessione del 1108 (50) e un "Amen" in un'altra concessione del 1164 (51).
La parte più caratteristica dei documenti pubblici veneziani è l'escatocollo, il quale comprende le sòttoscrizioni del doge, dei giudici, dei "boni homines" o "fideles" rappresentanti il popolo, più tardi dei membri del consilium sapientum e di altri ufficiali del comune, in alcuni rari casi anche delle autorità ecclesiastiche, e finisce con il segno e la sottoscrizione del rogatario.
La sottoscrizione del doge è sempre autografa e preceduta da una semplice croce, anch'essa autografa. Dal dogado di Vitale Falier (1084 o 1085-1096) in poi diventa d'uso costante la formula "Ego [...> Dei gratia dux manu mea subscripsi".
La sottoscrizione del patriarca di Grado seguiva quella del doge nei documenti più antichi(52), per poi scomparire del tutto con il venir meno del peso politico del clero. Analogo fu l'andamento delle sottoscrizioni dei titolari dei sei vescovati del Ducato, le quali, quando presenti, venivano di seguito a quella del patriarca. In mancanza delle sottoscrizioni delle maggiori autorità ecclesiastiche, i giudici si sottoscrivevano subito dopo il doge. Sempre laici e appartenenti alle famiglie più potenti, erano gli uomini più importanti dello Stato, i componenti della curia ducale, e si sottoscrivevano in numero variabile, a seconda della solennità del documento: da un minimo di due fino ad un massimo di sei (53).
Dopo i giudici, costituitosi il comune, venivano le sottoscrizioni dei membri dei consigli e delle magistrature che si andavano man mano creando (54). In età precomunale ai giudici facevano invece immediato seguito le sottoscrizioni dei "boni homines" e dei "fideles", rappresentanti il "populus Veneciae". In numero molto vario: anche oltre il centinaio (55), le loro segnature e sottoscrizioni si distribuivano in qualche caso su più colonne: due, tre, perfino quattro (56), e consistevano in un segno di croce, seguito dal nome (espresso per lo più al nominativo) e dal cognome (di solito all'ablativo), il tutto rigorosamente autografo, secondo le formule "+ Ego [...> manu mea subscripsi", più raramente "+ Signum manus [...> qui hec rogavit fieri" (57), o ancora "+ Ego [...> testis subscripsi", espressione tipica quest'ultima delle carte private.
Il documento termina con la sottoscrizione del notaio, sempre un ecclesiastico, la quale comprende il segno del tabellionato, il nome e i titoli dello scrittore e la completio. Il signum tabellionis apposto dal redattore non differisce in alcun modo da quello usato dallo stesso notaio nelle sottoscrizioni degli atti privati da lui rogati. Preceduto dal pronome "Ego" segue il nome del redattore; il cognome invece di solito è mancante ma si può ricavare dalla formula di corroborazione, quando esistente; così pure, mentre nella corroboratio è specificato il nome della chiesa nella quale egli esercita le sue funzioni religiose, nella sottoscrizione è riportato solamente il suo titolo. La completio dei documenti pubblici è poi la stessa che si trova costantemente nelle carte private: " (ST) Ego [...> notarius complevi et roboravi".
Ai documenti cancellereschi, dalla metà del XII secolo, era poi appesa la bolla ducale. Vari elementi permettono di attribuirne l'introduzione al dogado di Pietro Polani (1130-1147/1148). La più antica bolla conservatasi risale infatti al suo governo (58), e anche la prima attestazione sicura del suo uso è di poco posteriore a quel periodo, trovandosi menzionata nella formula di autenticazione di una copia dei primi del Duecento di un atto non datato della metà del secolo precedente (59).
Già nella seconda metà del XII secolo, accanto alle ducali maggiori e minori e in progressiva sostituzione di esse, la cancelleria veneziana usò un altro genere di documento, dalle forme assai meno solenni e privo di molte formule presenti nel tipo precedente: la lettera. Anche se soltanto nell'ultimo quarto del secolo XIII le litterae clausae (60) ebbero definitivamente la meglio all'interno della cancelleria sugli altri generi documentari, già nel primo esempio noto, risalente al febbraio del 1166 (61), si possono notare quei caratteri intrinseci che saranno conservati fino alla caduta della Serenissima. Il protocollo si compone del nome e dei titoli del doge, del nome e dei titoli del destinatario, di una formula di saluto. L'intitulatio reca il nome e il cognome del doge, seguiti dalla formula di devozione "Dei gratia" e, nei casi più antichi, da "Venecie, Dalmacie atque Chroacie dux", poi da "Venetie, Dalmatie atque Chroatie dux, dominus quarte partis et dimidie totius imperii Romanie", titolo assunto da Pietro Ziani nella seconda metà del 1206 e in seguito mantenuto inalterato dai suoi successori fino alla momentanea perdita della Dalmazia nel 1358 sotto Giovanni Dolfin (62). Dopo il nome e il titolo del doge segue l'inscrijtio, cioè il nome e i titoli del destinatario al quale la lettera è spedita; nel caso in cui si tratti di ufficiali veneziani o di cittadini del comune è aggiunta l'espressione "fidelibus suis" oppure "fidelibus suis dilectis". La salutatio, ultima parte del protocollo, varia notevolmente: da "gratiam suam et salutem" nel 1166 fino a "salutem et dilectionis affectum", formula che prevale nelle lettere redatte secondo il modello più perfezionato. Dopo il testo, che si compone solo di una parte narrativa e di una dispositiva, lasciato uno spazio bianco piuttosto ampio, è scritta la datazione, topica e cronica. Nelle lettere della fine del secolo XIII, il luogo è indicato costantemente con l'espressione "Data in nostro ducali palacio", mentre era eccezionalmente "Venecia" nel 1166; il tempo è rappresentato dal mese, poi anche dal giorno, espresso secondo la consuetudo bononiensis ("intrante" oppure "exeunte") e dall'indizione; è normalmente omessa invece l'indicazione dell'anno.
Scritta la lettera in cancelleria, la pergamena era piegata in tre parti parallelamente alla scrittura, quindi ripiegata dall'alto al basso in due; praticati due fori in un lato del rettangolo così formato, si passava attraverso una cordicella di canapa, che si annodava, si infilava in un foro della pallottola di piombo che riceveva poi le impronte della matrice custodita dal bollatore, l'addetto di cancelleria responsabile della conservazione della bolla (63). Per tutte le lettere così chiuse e sigillate era ripetuto sul verso del documento, sulla faccia esterna, l'indirizzo del destinatario.
La modifica e riorganizzazione della cancelleria ducale, alla quale si affiancarono nel corso del XIII secolo cancellerie minori per i consigli e le varie magistrature che via via si andavano creando, rispose certamente ad esigenze concrete, dettate dalla necessità di una maggior mole di lavoro e dall'avvio della redazione di cartulari e di registri; attività quest'ultima precedentemente testimoniata in maniera soltanto episodica, come dimostra, nel 1185 (e fino al 1193), la notizia di catastici redatti allo scopo di conteggiare i danni subiti dai mercanti nel 1171 ad opera dell'imperatore bizantino Manuele I (64); la scritturazione, fra il 1197 e il 1198, dei fascicoli più antichi del Liber Pactorum I, il primo liber iurium del comune, con la trascrizione in esso dei privilegi più recenti accordati ai Veneziani dagli imperatori d'Occidente e d'Oriente (65); l'esistenza di altri catastici, di carattere fiscale, la cui custodia veniva affidata nel 1207 ai procuratori di S. Marco o agli ufficiali agli imprestiti (66).
Per tutta la prima metà del Duecento la produzione in libro della cancelleria ha lasciato assai scarse tracce di sé. Tale carenza non pare però imputabile a perdite e dispersioni successive quanto piuttosto al perdurare della consuetudine che le proposizioni degli organi esecutivi dei consigli deliberanti venissero fatte verbalmente e non messe per iscritto, mentre per le sentenze delle cause civili e di quelle penali rimaneva esclusiva la documentazione sciolta (67). Comunque sia, oltre agli statuti cittadini fatti promulgare nel 1242 dal doge Giacomo Tiepolo (68), e alla menzione di un catastico di natura finanziaria (oggi non più esistente) nel 1243 (69), di quel periodo si sono conservati di sicura provenienza cancelleresca solo alcuni piccoli cartulari: il codice, ora alla Biblioteca Marciana, autenticato dal notaio " Michael Bonifacius", contenente documenti relativi ai diritti del comune nell'Impero latino di Costantinopoli, composto all'incirca nel 1240, per essere presumibilmente affidato ad un ambasciatore diretto presso Baldovino II attorno a quella data (70), e un altro codice marciano, di scritturazione anteriore al 1242, redatto probabilmente per qualche personaggio inviato a reggere una comunità della Dalmazia, importante per averci conservato, fra l'altro, il testo degli statuti cittadini precedenti alla redazione del Tiepolo (71).
Di singolare interesse è invece il cosiddetto Liber Plegiorum, la cui denominazione deriva dalle numerose fideiussioni riportate nelle sue prime carte (72). Redatto in gran parte dal notaio novarese "Wilielmus", "scriptor ducalis curie Veneciarum" (73), tra il 1223 e il 1229, si tratta di un volume cartaceo di deliberazioni del minor consiglio, il più antico registro comunale superstite. Esso costituisce il primo tentativo di sperimentare una prassi documentaria nuova e, come tale, presenta un'impostazione sostanzialmente diversa da quella dei registri posteriori.
Lavorando nello stesso arco di tempo sui due fascicoli iniziali, assai più consistenti dei successivi e originariamente indipendenti l'uno dall'altro, "Wilielmus" registrò da principio nel primo le fideiussioni che il minor consiglio imponeva per varie ragioni ai cittadini del comune, e nel secondo dapprima le denunce delle perdite subite dai Veneziani nei territori soggetti agli Estensi e di seguito i nomi dei banditi negli anni 1223-1224, poi provvide a trascrivere di nuovo nel primo le deliberazioni dello stesso consiglio; quindi, dopo aver interrotto momentaneamente il suo lavoro a seguito di una missione presso la corte di Francia nell'estate del 1224, sostituito per l'occasione dal suo concittadino "Faraldinus" (74), l'anno dopo riprese la sua opera nelle carte rimaste in bianco dei due fascicoli già iniziati e in quelle dei successivi fino alla fine.
Il Liber Plegiorum rappresenta un caso isolato e privo di seguito. Le notizie relative all'esistenza di serie regolari di registri si fanno invece numerose a partire dalla metà del XIII secolo, per quanto ben poco di questo materiale sia giunto fino a noi. Esse riguardano inizialmente i libri in cui erano raccolti gli atti delle magistrature giudiziarie, nei riguardi delle quali il maggior consiglio stabiliva, nel 1250, che dovessero produrre proposte scritte da "facere scribi et poni in quaterno Comunis ad memoriam rettinendum" (75). Da questo provvedimento, esteso anche alle magistrature a carattere amministrativo, traggono origine i registri di cui - secondo testimonianze certamente parziali, che non permettono di conoscere la loro esatta consistenza - risultano disporre i cinque alla pace nel 1254, i consules veteres nel 1258, i superstantes racionum de intus et de foris nel 1260, tutti gli ufficiali del comune nel 1261, i camerlenghi di comun nel 1263, i giudici del proprio e quelli dell'esaminador nel 1266, i procuratori di S. Marco nel 1268, i salinari di Chioggia e gli avogadori di comun nel 1271, i visdomini da mar nel 1275, i salinari da mar nel 1276, i capitani delle galee nel 1278, i signori all'armamento nel 1280, i giustizieri vecchi nel 1281, gli ufficiali ai contrabbandi nel 1282, i cataver nel 1283, i capitani delle poste nel 1284, gli ufficiali alla ternaria, i signori di notte e tutti i rettori del dogado nel 1285, i giustizieri nuovi nel 1295 (76).
Più recente rispetto ai libri delle magistrature compare nella pratica della cancelleria ducale la trascrizione in registro delle deliberazioni consiliari. Soltanto nel 1264 infatti il maggior consiglio sanciva l'obbligo di "facere poni in scriptis omnia, desuper debet fieri Maius Consilium", cioè di mettere per iscritto le proposte da presentarsi presso lo stesso consiglio (77). Due anni più tardi pure per le discussioni della quarantia fu adottato un analogo sistema (78). Per le proposte approvate nei consigli si mantenne però inalterato ancora per qualche tempo l'uso della documentazione sciolta, stabilendosi ciò nonostante che già nel 1266 gli originali delle deliberazioni venissero copiati in un "quaternus", custodito nella sede della quarantia (79).
Fu tuttavia soltanto il 30 luglio del 1268 che, in base ad una disposizione il cui testo non è pervenuto, ebbe inizio la serie dei registri originali di deliberazioni del maggior consiglio (80), a cui fece seguito, nei primi giorni del 1269, l'obbligo di registrare "in quaterno" le deliberazioni dei consigli dei XL e dei XX sulla mercanzia (81). Avevano in tal modo origine le serie organiche di atti consiliari, redatti secondo forme determinate.
Particolarmente significative sono le vicende dei primi libri del maggior consiglio, perché accanto ai registri che riportavano in stretto ordine cronologico le deliberazioni che man mano venivano approvate, e quindi rispecchiavano fedelmente l'attività dell'organismo secondo lo svolgimento dei suoi lavori, fin dal 1269 fu redatto un libro, nel quale la documentazione era disposta secondo un criterio di raggruppamento per materia che, per comodità della cancelleria stessa, recuperava la produzione documentaria del quarantennio precedente, con esclusione di tutte le norme non più in vigore al momento della trascrizione (82).
Un'identica operazione, condotta però in maniera ben più ampia e radicale rispetto alla precedente, era decisa tra il 1282 e il 1283 dal doge Giovanni Dandolo, il quale, constatando come le deliberazioni del consiglio si trovassero "in decem libris dispersa et inordinate descripta" (83), istituiva una commissione straordinaria con il compito di cancellare tutte quelle delibere "que ex lapsu temporis, quo durare debuerant, erant finita", e quelle ormai nulle in quanto risultavano in contrasto con le successive; di scegliere inoltre, fra quelle di contenuto simile, le più utili, eliminando le altre; di coordinare in un testo unico le eventuali disparità; infine, di abolire tutte quelle che, "statu et condicionibùs civitatis perpensa deliberacione pensata", non apparissero più adeguate. Secondo queste direttive, la commissione compilò una raccolta organica e sistematica delle disposizioni, seguendo una distribuzione del materiale per rubriche (84).
L'iniziativa del Dandolo - preceduta e seguita da altre raccolte in libro di materiale normativo e diplomatico basate su criteri simili, come un codice contenente alcuni capitolari delle Arti, redatto nel 1278 (85), e il Liber Pactorum II, voluto dal maggior consiglio nel 1291 (86) - ebbe come conseguenza la rapida scomparsa dei registri anteriori, ormai non più necessari e, se da un lato si segnala come un momento particolare dello sviluppo legislativo del comune, rappresenta al tempo stesso un chiaro sintomo della maturazione dell'organizzazione cancelleresca veneziana, alla quale si accompagna un intenso rinnovamento della prassi documentaria e una inequivocabile espansione della sua produzione.
Quest'aumento di attività trova una indiretta conferma nell'emanazione di una normativa volta ad assicurare la miglior salvaguardia possibile del materiale. Così, a proposito della tenuta dei registri, una parte del maggior consiglio del 1266 prescriveva che "esse debeat una bona cassella in Quarantia cum duabus clavibus [...> et omnia supradita consilia debeant salvari in dicta cassella" (87); un'altra deliberazione del medesimo organo imponeva nel 1279 a tutti gli ufficiali che tenevano registri di conti del comune di conservare " suos quaternos sub clavibus et seratura " (88); lo stesso consiglio nel 1282 stabiliva che gli ufficiali ai contrabbandi "quaternos bannitorum et testificacionum teneantur rettinere in sua casella et sub suis clavibus" ogniqualvolta si fossero allontanati dal loro ufficio (89); ancora nel 1284 prescriveva che i capitani delle poste tenessero i "quaterni" dei banditi "serati sub tribus clavibus" (90); e quindi nel 1295 deliberava, nei riguardi dei visdomini al fontego dei Tedeschi, nonché di tutti gli ufficiali e degli scrivani che operavano a Rialto, come "omnes quaterni [...> debeant stare sub clavibus, ita quod quilibet officialis habeat suam clavem diversam ab alla" (91); mentre, già nel 1291, si prescriveva per i registri in luogo della carta l'uso della pergamena (92), garantendo quest'ultimo supporto una migliore resistenza al tempo rispetto al primo.
Provvedimenti del genere, pur se talvolta disattesi, tanto da dover essere in più occasioni ribaditi (93), hanno permesso di preservare fino ai giorni nostri la parte più consistente degli archivi dei consigli e delle magistrature, con esclusione però quasi sempre della loro componente più antica (94). Sorte peggiore hanno invece subito le pergamene sciolte, relative agli iura e ai privilegia del comune o da esso prodotte, custodite in principio all'interno della basilica di S. Marco (95), quindi a palazzo Ducale, nella parte più riposta della cancelleria, la cosiddetta parva cancellaria (96), conservate in capsellae, banchi, capsae (97), e in seguito nella cancelleria secreta, quando questa venne istituita ai primi del XV secolo (98).
Di questa documentazione, un tempo probabilmente ricchissima, è pervenuto fino a noi ben poco, sparso in fondi diversi (99) e tràdito per lo più nei cartulari. Particolarmente rovinosi, per la sua conservazione furono i ripetuti incendi che colpirono la chiesa di S. Marco, primo fra tutti quello dell'agosto 976 (100) che, secondo un'attendibile testimonianza di due mesi posteriore, fece sì che "cunctas cartas esse ab igne crematas" (101); forse quello che il 5 aprile 1106 danneggiò il palazzo Ducale e gli edifici adiacenti (102); e quello del 1230, che "reliquia plures, et ducalia privilegia concremavit" (103), mentre perdite più lievi sembra abbia patito l'archivio della cancelleria dagli incendi del palazzo Ducale verificatisi nella seconda metà del XVI secolo (104).
Tra le ragioni del depauperamento non è poi possibile nascondere un'attenzione rivolta alla conservazione del materiale archivistico non sempre vigile e attenta, causa certo non ultima di disordini e smarrimenti. Così si giustifica come Fortunato Olmo, incaricato di riordinare l'archivio dei procuratori di S. Marco nel 1634, portando a termine sei anni dopo il suo lavoro, concludesse affermando amaramente: " non posso cessar di maravigliarmi come quasi tutte esse pubbliche e migliori scritture siano state da me cavate fuori dalle scovazze [...> quivi se ne sono putrefatte la maggior parte" (105), mentre, un trentennio più tardi, Antonio di Negri nella prefazione al suo inventario della cancelleria secreta precisava "d'haver con lunghissima et indefessa applicatione [...> regolate le filze le quali vagavano sparse e confusamente" (106).
D'altra parte, il perfetto ordine di un così vasto materiale documentario, mentre ferveva l'attività di tanti consigli e magistrature, era praticamente impossibile. Si può comprendere quindi come queste testimonianze del medioevo di Venezia, in specie le più deperibili e quelle tenute in minor considerazione in quanto il loro contenuto era privo ormai di effetti, siano andate perdute, in un'epoca in cui i modi per assicurare il mantenimento di tutto ciò che era legato al proprio passato risultavano diversi da quelli attuali.
1. Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di Roberto Cessi, Roma 1933 (Fonti per la storia d'Italia, 73), p. 133. Per l'attribuzione cronologica di questa redazione - la terza - del Chronicon Altinate e l'attendibilità della testimonianza, cf. ibid., pp. VII-L.
2. Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, II, a cura di Roberto Cessi, Padova 1942, nr. 15.
3. Ibid., nr. 31.
4. Ibid., nr. 41.
5. 0rigo, p. 138.
6. Elenchi parziali di cancellieri e notai di cancelleria sono riportati da Vittorio Lazzarini, Originali antichissimi della cancelleria veneziana (osservazioni diplomatiche e paleografiche), "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 8, 1904, pp. 212-213 (pp. 199-229); Melchiorre Roberti, Le magistrature giudiziarie veneziane e i loro capitolari fino al 1300, I, Padova 1906, pp. 75-76; Enrico Besta, Nuove ricerche sul Chronicon Altinate, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 15, 1908, p. 58 (pp. 5-71); Vittorio Lazzarini, Un privilegio del doge Pietro Tribuno per la badia di S. Stefano d'Altino, "Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 68/2, 1908-1909, p. 986 (pp. 975-993); Leo Santifaller, Beiträge zur Geschichte des Lateinischen Patriarchats von Konstantinopel (1204-1261) und der venezianischen Urkunde, Weimar 1938, pp. 286-288, 292-294. Alcuni dei nominativi risultano però tratti da documenti interpolati, come la concessione dei dogi Agnello e Giustiniano Particiaco per il costruendo monastero di S. Ilario dell'819: SS. Ilario e Benedetto e S. Gregorio (819-1199), a cura di Luigi Lanfranchi - Bianca Strina, Venezia 1965, nr. I (ma v. ora una nuova edizione in Il Liber Pactorum I del Comune di Venezia, a cura di Marco Pozza [in preparazione>, I, nr. 35), e da falsi, quali i due patti con la comunità di Chioggia, attribuiti adesso al 1028 ma in passato variamente datati: Documenti, II, Appendice, nrr. III-IV (ad a. 1023) (ora in Il Liber Pactorum I, II, nrr. 141-142). Giustamente queste testimonianze sono respinte come inattendibili da Roberto Cessi, Pactum Clugie, "Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 87/2, 1927-1928, pp. 1000-1015 (pp. 991-1023); Beniamino Pagnin, Il documento privato veneziano, Padova 1950, pp. 67-68; Roberto Cessi, Alcune osservazioni sulla basilica di S. Maria di Torcello e sulla chiesa di S. Teodoro di Rialto, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 119/2, 1960-1961, pp. 673-674 (pp. 665-674).
7. Le prime attestazioni in Origo, p. 138 (circa 960) : "Dominicus [...> capellanus autem fuit Sancti Marci ecclesie, capelle curtis palacii, cancellarius autem et notarius"; Documenti, II, nr. 66, doc. 983 giugno 15: "Vitalem presbiterum et notarium capellae curtis pallatii"; S. Maria Formosa (1060-1195), a cura di Maurizio Rosada, Venezia 1972, nr. 3, doc. 1091 giugno: "Aurius Damianus capellanus aecclesiae Sancti Marci et notarius curtis palatii".
8. La prima menzione in S. Giorgio Maggiore, II, Documenti (982-1159), a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1967, nr. 39, doc. 1079 maggio: "Tribunum clericum Calvum et curiae palaci notarium et ecclesiae Sancti Symeonis plebanum".
9. La tesi - avanzata solo in via di ipotesi da Agostino Pertusi, Quedam regalia insigniti. Ricerche sulle insegne del potere ducale a Venezia durante il Medioevo, "Studi Veneziani", 7, 1965, pp. 108-109 (pp. 3-123) - sembrerebbe avvalorata dalla qualifica di "nostre curie cancellarius" attribuita ai redattori di un trattato (pervenuto in due redazioni distinte) ancora nell'aprile 1201: Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig mit besonderer Beziehung auf Byzanz und die Levante, a cura di Gottlieb L.Fr. Tafel - Georg M. Thomas, I-II1, Wien 1856-1857: I, nrr. XCII-XCIII (ora in Il Liber Pactorum I, I, nrr. 83-84).
10. Il solo esempio conosciuto di charta partita di cui fu autore/destinatario il comune di Venezia è il trattato con Genova del 20 ottobre 1177, dovuto però alla mano di un notaio genovese, conservato in Genova, Archivio di Stato, Archivio Segreto, Materie Politiche, mazzo 1 (2720), nr. 95; edito, con qualche omissione, in Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, II, a cura di Cesare Imperiale di Sant'Angelo, Roma 1938, nr. 111, dove il documento è erroneamente qualificato come "Copia membr. sec. XII". Per il trattato - ricordato anche in Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, II, a cura di Luigi Tommaso Belgrano - Cesare Imperiale di Sant'Angelo, Roma 1901, p. 11 - cf. pure Pasquale Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-1797) , Genova 196o, nr. 113.
11. Per il sigillo ducale, introdotto all'epoca del doge Pietro Polani (1130-1147 0 1148), verso la fine del cui governo si hanno le prime attestazioni dell'esistenza del comune, v. in generale Bartolomeo Cecchetti, Bolle dei dogi di Venezia sec. XII-XVIII, Venezia 1865 (che, senza valide ragioni, ipotizza l'esistenza del sigillo fin dal IX secolo) ; Giacomo Cesare Bascapé, Sigilli della Repubblica di Venezia. Le bolle dei dogi. I sigilli di uffici e di magistrature, in AA.VV., Studi in onore di Amintore Fanfani, I, Milano 1962, pp. 91-103; A. Pertusi, Quedam regalia insignia, pp. 19-37; Giacomo Cesare Bascapé, Sigillografia. Il sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia, nell'arte. I. Sigillografia generale, Milano 1969, pp. 245-258; Maurizio Rosada, "Sigillum Sancti Marci", in AA.VV., Il sigillo nella storia e nella cultura, Roma 1985, pp. 109-148.
12. La prima menzione della sede della cancelleria si ritrova in un documento del 14 maggio 1205, redatto "in camera cambellarie ducalis aule Veneciarum": Urkunden, II, nr. CXLV (ora in Il Liber Pactorum I, I, nr. 93).
13. I Prestiti della Repubblica di Venezia (sec. XIII-XV), a cura di Gino Luzzatto, Padova 1929, nr. 7, doc. 1207 maggio: "Nicolaus Girardus presbiter plebanus Sancti Fantini et notarius ducalisque aule cancellarius".
14. A partire da Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in Xiiii libri, Venetia 1581, p. 121.
15. Già in quell'anno infatti una parte del maggior consiglio, di cui non è pervenuto il testo integrale, creava la figura del cancellier grande nella persona di "Conradus" ricordato ancora nel 1265 a capo dei notai di cancelleria, v. Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I-III, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1931-1950: lI, p. 376, doc. 1261 aprile 7; p. 226, nr. III, doc. 1265 settembre 26. A "Conradus" il 20 marzo 1281 succedeva alla direzione della cancelleria "Tantus", cf. ibid., p. 71, nr. CXII.
16. Per la produzione documentaria degli Stati medievali, v. in rapida sintesi Léopold Genicot, Typologie des sources du moyen âge occidental, III, Les actes publics, Turnhout 1972. Per i comuni italiani, oltre ai vecchi ma ancora utili Pietro Torelli, Studi e ricerche di diplomatica comunale, I, "Atti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova", n. ser., 4, 1911, pp. 5-99; II, Mantova 1915; e Gli Atti del comune di Milano fino all'anno MCCXVI, a cura di Cesare Manaresi, Milano 1919, pp. CIII-CXXI; cf. soprattutto Gian Giacomo Fissore, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel Comune di Asti. I modi e le forme dell'intervento notarile nella costituzione del documento comunale, Spoleto 1977; Id., La diplomatica del documento comunale fra notariato e cancelleria. Gli atti del Comune di Asti e la loro collocazione nel quadro dei rapporti fra notai e potere, "Studi Medievali", ser. III, 19, 1978, pp. 211-244; Attilio Bartoli Langeli, La documentazione degli Stati italiani nei secoli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in AA.VV., Culture et idéologie dans la genèse de l'état moderne, Rome 1985, pp. 35-55, le cui risultanze si applicano però solo in parte al caso di Venezia.
17. La definizione si deve a Bartolomeo Cecchetti, Programma dell'I. e R. Scuola di Paleografia in Venezia, Venezia 1862, p. 24.
18. Per la redazione dei documenti giudiziari e i loro punti di contatto con la coeva documentazione del Regno Italico, v. M. Roberti, Le magistrature giudiziarie, pp. 134- 139.
19. Sulle caratteristiche diplomatiche delle pattuizioni mancano studi.. d'insieme, tranne che per i patti imperiali più antichi: Adolf Fanta, Die Verträge der Kaiser mit Venedig bis zum Jahre 983, "Mitteilungen des Instituts fiir Österreichische Geschichtsforschung", I, 1885, pp. 51-128; Roberto Cessi, Pacta Veneta. I. Pacta carolina, "Archivio Veneto", ser. V, 3, 1928, pp. 118- 184. Id., Pacta Veneta. H. Dal "pactum Lotharii" al "foedus Ottonis", ibid., 5, 1929, pp. 1-77; Id., Il "pactum Lotharii" dell'840, "Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 99/2, 1939-1940, pp. 1111 - 1149. Una recente e ampia trattazione del contenuto dei trattati con l'Impero e i comuni italiani, ad eccezione delle grandi città marittime, fino alla metà del XIII secolo, si deve a Gerhard Rösch, Venedig und das Reich. Handels-und Verkehrspolitische Beziehungen in der deutschen Kaiserzeit, Tübingen 1982 (trad. it. Venezia e l'Impero 962-1250. I rapporti politici, commerciali e di traffico nel periodo imperiale germanico, Roma 1985).
20. S. Giorgio Maggiore, nr. 69.
21. Sui caratteri diplomatici delle ducali più antiche, v. in particolare V. Lazzarini, Un privilegio, pp. 975-993; R. Cessi, Pactum Clugie, pp. 991-1023; per quelle dei secoli XI-XII, cf. invece Giovanni Monticolo, La costituzione del doge Pietro Polani, febbraio 1143 (1142 more veneto) circa la " Processio Scolarum", "Rendiconti della R. Accademia dei Lincei", 9/20, 1900, pp. 3-47; V. Lazzarini, Originali antichissimi, pp. 199-229; notizie utili anche in L. Santifaller, Beiträge, pp. 231-298.
22. L'ultima ducale ad essere preceduta da un segno di croce fra gli originali conservatisi è una concessione di Pietro Polani al monastero di S. Giorgio Maggiore del settembre 1145: S. Giorgio Maggiore, nr. 216.
23. A.S.V., Codice diplomatico veneziano, a cura di Luigi Lanfranchi, nr. 1114, doc. 1144 aprile; ibid., nr. 3109, doc. 1176 ottobre.
24. Il primo esempio di questa formula si ritrova in un contratto di compravendita di beni pubblici del settembre 1112: B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4.
25. Acta Consilii Sapientum, in Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, nr. XXI: "die sextadecima intrante".
26. Esempi di arenghe, tratte da documenti pubblici e privati, si leggono in V. Lazzarini, Originali antichissimi, pp. 202-203; L. Santifaller, Beiträge, p. 243; B. Pagnin, Il documento privato, pp. 14-15.
27. S. Giorgio Maggiore, nr. 69; V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. II, doc. 1o98 marzo.
28. Antonio Baracchi, Le carte del mille e del millecento che si conservano nel R. Archivio notarile di Venezia, "Archivio Veneto", 8, 1874, nr. XXXIV, doc. 1161 luglio (pp. 134-153) ; Heinrich Kretschmayr, Geschichte von Venedig, I, Gotha 1905, pp. 494-497, doc. 1181 marzo; Acta Consilii Sapientum, nr. XVII, doc. 1185 agosto.
29. A.S.V., Codice diplomatico veneziano, nr. 3109, doc. 1176 ottobre; ibid., nr. 4029, doc. 1190 ottobre.
30. Acta Consilii Sapientum, nr. XIX.
31. Famiglia Zusto (1083-1199), a cura di Luigi Lanfranchi, Venezia 1955, nr. 8, doc. 1121 novembre. Ma v. anche S. Giorgio Maggiore, nr. 145, doc. 1124 ottobre: "Sicut obedientes nulla legis gravitar fatigat, sic nimirum inobedientes sub legis pondere digna sententia coartat".
32. Per la formula "Dei grafia dux", cf. Vittorio Lazzarini, I titoli dei dogi di Venezia, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 5, 1903, p. 311 (pp. 271-313); A. Pertusi, Quedam regalia insignia, p. 95.
33. V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. II.
34. Cf. n. 30.
35. S. Giorgio Maggiore, nr. 69; V. Lazzarini, Originali antichissimi,nr. II.
36. V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. III.
37. Ibid., nr. IV; B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4.
38. Famiglia Zusto, nr. 8.
39. Per le intitolazioni dei dogi, cf. V. Lalzlarini, I titoli, pp. 271-313. Per i titoli aulici bizantini loro conferiti, v. ora Giorgio Ravegnani, Dignità bizantine dei dogi di Venezia, in AA.VV., Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, pp. 19-29; Id., Insegne del potere e titoli ducali, in Storia di Vene-zia, I, Origini - Età ducale, a cura di Lellia Cracco Ruggini - Massimiliano Pavan - Giorgio Cracco - Gherardo Ortalli, Roma 1992, pp. 838-846 (pp. 829-846).
40. Cf. n. 20.
41. V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. III.
42. B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4.
43. S. Giorgio Maggiore, nr. 69; V. Lazzarini, Originali
antichissimi, nr. III.
44. Acta Consilii Sapientum, nr. V.
45. S. Giorgio Maggiore, nr. 69. Per il valore del prostimum, v. Enrico Besta, Il diritto e le leggi civili di Venezia fino al dogado di Enrico Dandolo, Venezia 1900, pp. 142-144; M. Roberti, Le magistrature giudiziarie, I, pp. 132- 136.
46. V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. IV.
47. B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4.
48. Acta Consilii Sapientum, nr. XXI.
49. Per l'ultimo caso, cf. V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. IV: "Et ut verius credatur, hanc nostre concessionis cartulam scribere precepimus Dominicum Saturninum clericum, notarium et aecllesiae Sancti Cassiani plebanum".
50. Ibid., nr. IV.
51. Acta Consilii Sapientum, nr. IX.
52. Si ritrova ancora nell'atto di compravendita del 1112: B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4: "+ Ego Iohannes Gradonicus per gratiam Dei Gradensis patriarcha manu mea subscripsi". Lo stesso patriarca si era sottoscritto semplicemente come "Iohannes testis subscripsi" nella concessione del 1108 : V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. IV.
53. Il numero più elevato di giudici - sei - si trova nell'atto del 1112: B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4. Cinque giudici si sottoscrivono invece nel 1090: S. Giorgio Maggiore, nr. 69; nel 1108: V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. IV; nel 1121: Famiglia Zusto, nr. 8; e nel 1175: Urkunden, I, nr. LXIII.
54. B. Cecchetti, Programma, pp. 48-51, nr. I, doc. 1173 novembre; Urkunden, I, nr. LXIII; Acta Consilii Sapientum, nr. XIX; ibid., nr. XX, doc. 1189 giugno (con data errata 1189 luglio); ibid., nr. XXI.
55. Si contano 129 sottoscrittori nel rogo: S. Giorgio Maggiore, nr. 69; 85 nel 1 112: B. Cecchetti, Programma, pp. 33-36, nr. 4; 80 nel 1164: Acta Consilii Sapientum, nr. IX; 69 nel 1181: H. Kretschmayr, Geschichte, I, pp. 494-497.
56. Sono presenti quattro colonne nel 1090: S. Giorgio Maggiore, nr. 69; tre nel 1098: V. Lazzarini, Originali antichissimi, nr. II; nel 1164: Acta Consilii Sapientum, nr. IX; nel 1175: Urkunden, I, nr. LXIII; e nel 1181: H. Kretschmayr, Geschichte, I, pp. 494-497
57. Per il significato di quest'espressione, v. V. Lazzarini, Originali antichissimi, pp. 210-211; B. Pagnin, Il documento privato, pp. 57-59.
57. Per l'uso della bolla plumbea da parte dei dogi veneziani, v. la bibliografia citata sopra alla n. 11. Per la bolla di Pietro Polani, cf. in particolare A. Pertusi, Quedam regalia insignia, pp. 21-25.
58. Pietro Kandler, Codice diplomatico istriano, I, Trieste [1864>, doc. ad a. 1150 (ora in Il Liber Pactorum I, II, nr. 150 [ad a. 1150 febbraio-1151 febbraio>): "cum tribus sigillis cere sigillatis et unum sigillum de plumbo posito per prememoratum ducem". A. Pertusi, Quedam regalia insignia, pp. 20-21 n. 52, segnala come in una copia autentica del 1234 di un patto con Capodistria del dicembre 1145: Urkunden, I, nr. XLVIII (ora in Il Liber Pactorum I, III, Appendice, nr. 4), sia menzionato un sigillo di cera: "hoc exemplum sumptum ex autentico sigillo cereo sigillato", ma si tratta dell'unica menzione di un sigillo di cera per l'epoca esaminata e rimane ineliminabile la possibilità di una sua attribuzione alla controparte.
60. Per una disamina diplomatica delle lettere, con esclusione degli esempi più antichi, v. Vittorio Lazzarini, Lettere ducali veneziane del secolo XIII ("litterae clausae"), in AA.VV., Scritti di paleografia e diplomatica in onore di Vincenzo Federici, Firenze 1944, pp. 225-239.
61. Famiglia Zusto, nr. 25.
62. Cf. per questo V. Lazzarini, I titoli, pp. 296-308.
63. Sulla figura del bullator, v. G.C. Bascapé, Sigilli, pp. 100-101; Elena Favaro - Luigi Lanfranchi, Prefazione a Cassiere della Bolla Ducale, Grazie, Novus liber, a cura di Elena Favaro, con uno studio di Carlo Guido Mor, Venezia 1962, pp. LI-LIII.
64. Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, I-II, a cura di Raimondo Morozzo della Rocca-Antonino Lombardo, Torino 1940: I, nrr. 358, 360-361, 378-380, 403, 418. Per la ricostruzione dell'episodio, con accenno ai catastici, v. Enrico Besta, La cattura dei Veneziani in Oriente per ordine dell'imperatore Emanuele Comneno e le sue conseguenze nella politica interna ed esterna del comune di Venezia, "Antologia Veneta", 1, 1900, pp. 35-46, 111-I23.
65. Sul Liber Pactorum I (A.S.V., Secreta, Patti, Libri Pactorum, I) cf. Riccardo Predelli, I Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, I, Venezia 1876, pp. VI-VII (che ne confonde l'origine con quella del Liber Pactorum II, ponendola al I 291 ); Giovanni Monticolo, I manoscritti e le fonti della cronaca del diacono Giovanni, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano", 9, 1890, pp. 172-176, 253-259 (pp. 37-328) (che accetta senza esitazioni la data proposta dal Predelli); Riccardo Predelli, Prefazione a Diplomatarium Venetum Levantinum sive Acta et Diplomata, res Venetas, Graecas atque Levantiis illustrantia a. 1300-1454, II, a cura di Georg M. Thomas-Riccardo Predelli, Venezia 1899, pp. XI-XII n. 1 (che modifica la sua precedente datazione riconducendola ai primi anni del secolo XIII); G. Monticolo, La costituzione, pp. 8-9 n. 1 (che accoglie quest'altra ipotesi, segnalando nel notaio "Vivianus" il primo redattore e distinguendo alcuni degli immediati continuatori dell'opera); Famiglia Zusto, Notizie di documenti, nr. XVI (che ne ascrive il nucleo più antico al primo ventennio del XIII secolo, attribuendolo anch'esso a "Vivianus") (ma per il suo esame interno e la corretta datazione, v. ora Il Liber-Pactorum I, I, §§ 2-3).
66. I Prestiti, nr. 7.
67. Per questa prassi, cf. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. III-IV; Codex publicorum (Codice del Piovego), I, a cura di Bianca Lanfranchi Strina, Venezia 1985, p. XI.
68. Per gli statuti del Tiepolo, v. Gli statuii lneziani di :acopo Tiepolo del 1242 e le loro glosse, a cura di Roberto Cessi, Venezia 1938.
69. Deliberazioni del Maggior Consiglio, 11, pp. 141-142, nrr. 1-2.
70. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. cl. X. 228 (= 3312). Per la sua descrizione e datazione, v. Antonio Carile, Partitio terrarum Imperii Romanie, "Studi Veneziani", 7, 1965, pp. 170-175 (pp. 126-305).
71. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. cl. V. 130 (= 3198). Descritto per primo da Giuseppe Gelcich, Breve appendice ai documenti per l'istoria politica e commerciale della Repubblica di Venezia dei signori Tafel e Thomas, Ragusa 1892, pp. 3-9; poi (più accuratamente) da Enrico Besta, Prefazione a Gli statuti civili di Venezia anteriori al 1242, a cura di Id.-Riccardo Predelli, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 1, 1901, pp. 8-13 (pp. 5-117, 205-300).
72. A.S.V., Secreta, Collegio, Liber Plegiorum, edito con il titolo Liber Comunis qui vulgo nuncupatur " Plegiorum", in Deliberazioni del Maggior Consiglio, I, pp. 1-231. Su di esso, cf. Riccardo Predelli, Il Liber Communis detto anche Plegiorum del R. Archivio Generale di Venezia. Regesti, Venezia 1872, pp. 5-21; G. Rösch, Venedig, pp. 184-186 (trad. it., pp. 283-286).
73. Liber Comunis, p. 26, nr. 90, doc. 1224 novembre 28.
74. Ibid., p. 68, nr. 80, doc. non datato.
75. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 237, nr. I.
76. Ibid., p. 105, nr. X; p. 200, nr. II; pp. 221-222, nr. VI; pp. 228-229, nr. I; p. 230, nr. V; p. 241, nr. I; p. 253, nr. III; p. 258, nr. I; pp. 268-269, nr. XI; p. 283, nr. XVI; pp. 292-293, nr. III; pp. 295-296, nr. II; pp. 308-309, nr. III; p. 322, nr. II; ibid., III, pp. 31-32, nr. 72; p. 84, nr. 139; p. 103, nr. 45, pp. 106-107, nr. 59; p. 125, nr. 180; p. 375, nr. 13.
77. Ibid., II, p. 381, doc. 1264 luglio 27.
78. Ibid., doc. 1266 aprile 25.
79. Ibid., pp. 76-77, nr. VI.
80. Ibid., pp. V-VII.
81. Ibid., p. 391, doc. 1269 febbraio 17.
82. Ibid., pp. IV-VIII.
83. Ibid., pp. 3-4.
84. Ibid., pp. VIII-X.
85. I Capitolari delle Arti Veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia vecchia dalle origini al MCCCXXX, I, a cura di Giovanni Monticolo, Roma 1896, pp. IX-X.
86. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 310, nr. 119: "Capta fuit pars [...> quod fiat unus liber, in quo scribantur omnes iurisdiciones comunis Veneciarum, et specialiter ducatus, et omnia pacta, et omnia privilegia, que faciunt ad iurisdiciones comunis Veneciarum ".
87. Ibid., II, pp. 76-77, nr. VI.
88. Ibid., p. 303, nr. X.
89. Ibid., p. 221, nr. VI.
90. Ibid., III, p. 84, nr. 139.
91. Ibid., pp. 385-386, nr. 69.
92. Ibid., p. 292, nr. 5.
93. Significativa a questo riguardo una deliberazione del maggior consiglio del 23 aprile 1402, che disponeva, fra l'altro, come "algun libro de la nostra cancelleria né alguna letera over brieve [...> non se debia portar per algun fuora de la nostra cancellaria", v. Giambattista Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del palazzo Ducale di Venezia ovvero serie di atti pubblici dal 1253 al 1797 che variamente lo riguardano tratti dai veneti archivii. I. Dal 1253 al 1600, Venezia 1868, nr. 151. Per altri provvedimenti analoghi o comunque sempre riguardanti la conservazione della documentazione del comune per i secoli XV-XVII, cf. ibid., nrr. 166, 175-176, 766-767, 785, 789, 800, 842-843, 894, 956, 961, 975; E. Favaro - L. Lanfranchi, Prefazione, pp. LXXXIII-LXXXIV n. I.
94. Per i fondi più antichi editi, v. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. IV-XVII; Le deliberazioni del Consiglio dei XL della Repubblica di Venezia, I, a cura di Antonino Lombardo, Venezia 1957, pp. XI-XVI Id., La ricostruzione dell'antico archivio della Quarantia veneziana, in AA.VV., Miscellanea in onore di Roberto Cessi, I, Roma 1958, pp. 239-253; Deliberazioni del Consiglio dei Rogati - Serie Mixtorum. I. Registri I-IX, a cura di Roberto Cessi-Paolo Sambin, Venezia 1961, pp. IX-X; E. Favaro - L. Lanfranchi, Prefazione, pp. LVI-LXXXVIII; Consiglio dei Dieci, Deliberazioni Miste, registri I-II (1310-1325), a cura di Ferruccio Zago, Venezia 1962, pp. IX-XVIII; Codex publicorum, I, pp. XII-XXI.
95. Ancora nel 1383 (A.S.V., Senato, Deliberazioni Miste, reg. 38, c. 16, doc. 1383 marzo 27), a proposito della conservazione delle pubbliche scritture nell'archivio della chiesa di S. Marco, il senato deliberava all'unanimità in questi termini: "Cum multociens fiant pacta, instrumenta, privilegia [...> et bonum sit tenere modum quod ista pacta, instrumenta [...> et alia similia ponantur silicet originalia in bono et securo loco, ita quod semper et omni tempore salva sint, vadit pars quod ordinetur quod de cetero, cum facta fuerit aliqua instrumenta pactorum, vel privilegia [...> quod omnino debeant registrari, usque unum mensem tunc proximum, in cancelaria nostra, et illis registratis ad terminum predictum, debeant instrumenta illa originalia et autentica portari et dessignari procuratoribus nostris ecclesie Sancti Marci, qui teneantur illa talia instrumenta originalia et auctentica ponere in una capsa [...> ".
96. L'esistenza della parva cancellaria e del suo archivio è attestata da note trecentesche a vari libri di cancelleria: A.S.V., Secreta, Patti, Libri Pactorum, II, c. 50v, doc. 1255 febbraio I: "Privilegium [...> eius autenticum est [...> in cancellaria parva"; ibid., c. 66v, doc. 1272 luglio 5, e c. 67, doc. 1266 agosto 23: "Hoc est exemplum cuiusdam privilegii [...> cuius autenticum est in parva cancellaria"; ivi, Secreta, Libri Commemoriali, I, c. 249v, doc. 1316 aprile 10: "Nota quod instrumenta autentica horum exemplorum [...> sunt [...> in camera parva cancellarie"; ibid., II, c. 91V, doc. 1320 dicembre 28: "Nota quod instrumentum procuracionis est [...> in parva cancelaria"; ivi, Secreta, Patti, Libri Pactorum, III, c. 142, doc. 1325 marzo 14: "Instrumentum [...> et auctentica sunt in casella magna cancellarie parve".
97. Ivi, Secreta, Libri Commemoriali, I, c. 249v, doc. 1316 aprile I: "Nota quod instrumenta autentica horum exemplorum [...> sunt in capsella pactorum"; ibid., c. 255, doc. 1316 agosto 10: "Nota quod omnia suprascripta sunt similiter alligata in bancho ubi sunt scripta"; ibid., c. 255, doc. 1316 settembre 26: "Omnia suprascripta reposita sunt in uno sacho"; ibid., II, c. 184, doc. 1325 novembre 20: "Nota quod dicta duo instrumenta auctentica sunt in capsitula capse magne".
98. Per l'istituzione di questa sezione della cancelleria, nel 1402, v. G. Lorenzi, Monumenti, nr. 151.
99. In particolare in A.S.V., Secreta, Miscellanea atti diplomatici e privati; ivi, Secreta, Miscellanea ducali e atti diplomatici; ivi, Secreta, Bolle e atti della Curia Romana, nonché in Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. cl. XIV. 71 (= 2803); ivi, ms. lat. cl. XIV. 72 (= 4273).
100. L'episodio è ricordato dal cronista coevo Giovanni diacono, cf. La cronaca veneziana del diacono Giovanni, in Cronache veneziane antichissime, I, a cura di Giovanni Monticolo, Roma 1890 (Fonti per la storia d'Italia, 9), p. 139.
101. Andreae Danduli Ducis Venetiarum Chronica perextensum descripta a. 46-1280 d.C., a cura di Ester Pastorello, in R.I.S.2, XII, 1, 1938-1958, p. 181. Il documento, più volte pubblicato (v. da ultimo Documenti, II, nr. 56) è stato costantemente datato all'anno 977 (con la sola eccezione di Samuele Romanin, Storia documentata di Venezia, I, Venezia 1853, nr. X, che lo ritiene del 976, senza peraltro motivarne le ragioni), sulla scorta della testimonianza del cronista Andrea Dandolo (cf. A. Danduli Chronica, p. 181), il quale, scrivendo alla metà del Trecento, lo attribuisce al secondo anno di governo del doge Pietro I Orseolo (12 agosto 976-settembre 978). È tuttavia da rilevare come la cronologia proposta dal Dandolo per il periodo in questione risulti regolarmente in eccesso di una unità, mentre i dati cronologici indicati, anno "quarto" (da emendarsi in "nono" per un comprensibile errore paleografico: scambio di IX per IV) dell'era di impero di Ottone II (che si computa dal 25 dicembre 967) e indizione bizantina "quinta" (che inizia il primo giorno di settembre del 976), riconducono senza esitazioni il documento al 976.
102. Annales Venetici breves, a cura di Henry Simonsfeld, in M.G.H., Scriptores, XIV, 1883, p. 70.
103. A. Danduli Chronica, p. 292; Venetiarum historia vulgo Petro lustiniano lustiniani filio adiudicata, a cura di Roberto Cessi-Fanny Bennato, Venezia 1964, p. 155.
104. È quanto emerge dal confronto fra il più antico inventario delle pergamene, risalente al 1546 (A.S.V., Secreta, Indici, Inventarium scripturarum in summitate palatii supra cancellariam existentium), e l'attuale consistenza di quelle superstiti, da cui risulta come ben poco sia andato perduto da allora. Per gli incendi di palazzo Ducale del 1574 e del 1577 che interessarono marginalmente la cancelleria, v. le circostanziate descrizioni dei fatti riportate in G. Lorenzi, Monumenti, nrr. 785, 842.
105. Relazione autografa dell'Olmo del 12 dicembre 1640, in Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it. cl. VII. 374 (- 7781), c. 8v.
106. A.S.V., Secreta, Indici, Indice della Secreta, c. [1r-v>.