Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La canzone polifonica francese (o chanson) è, insieme al madrigale italiano, il genere vocale profano più importante del Cinquecento. Le sue origini risalgono al Trecento e la sua fortuna si esaurisce all’inizio del Seicento. In questo arco di tempo essa assume vari caratteri, sino alla netta differenziazione tra il tipo franco-fiammingo, legato alla tradizione, e quello parigino, più semplice e immediato.
Le origini della canzone polifonica francese si possono rintracciare nei rondeaux e nelle ballades di Guillaume de Machault, dove il contrappunto medievale, nota contro nota, lascia posto a uno stile più moderno caratterizzato dall’emergere della voce acuta (ricca di vocalismi e fornita di testo) sulle voci inferiori (tenor e contratenor con funzione di sostegno e forse strumentali). Successivamente, autori di varia provenienza (molti dei quali attivi alla corte papale di Avignone) compongono canzoni a tre voci che presentano le più sofisticate figurazioni ritmiche in una complessa notazione musicale (“manierismo”). Agli inizi del Quattrocento, la tendenza a semplificare questo stile porta a preferire sempre più lo scorrevole rondeau (e la breve bergerette) alle forme poetico-vocali più impegnative della tradizione trovierica (ballade e virelai).
Nel Quattrocento la canzone si afferma come “borgognona”, tendendo però ad assumere un carattere internazionale. Gli autori, a partire da Guillaume Dufay e Gilles Binchois, provengono infatti dalle rinomate scuole del ducato di Borgogna, ma operano poi in luoghi differenti, soprattutto presso le corti italiane.
Le canzoni di Dufay e di Binchois, spesso basate su rondeaux, cantano l’amore con gli accenti raffinati della cultura cortese francese, di cui rappresentano il prodotto musicale più caratteristico. Dufay, dal 1420 in Italia, spinge verso la moderna tonalità e intreccia già in disegni imitativi il superius vocale e il tenor strumentale (cui si aggiunge talvolta anche il contratenor), al fine di ottenere maggiore omogeneità. Binchois suddivide ancor più nettamente il testo in eleganti frasi melodiche che iniziano sillabicamente e terminano con vocalizzi e cadenze convenzionali.
I musicisti fiamminghi del secondo Quattrocento, in particolare Johannes Ockeghem e Antoine Busnois, rafforzano il prestigio della chanson (ora “franco-fiamminga”), anticipando elementi cinquecenteschi come l’uso di quattro voci e la rielaborazione contrappuntistica di melodie popolari, sotto la probabile influenza della frottola italiana. Le canzoni del Quattrocento sono raccolte in preziosi manoscritti (chansonniers), alcuni dei quali a forma di cuore.
Tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, la canzone si rinnova profondamente a opera di una nuova generazione di maestri franco-fiamminghi: Josquin Desprez, Alexander Agricola, Jacob Obrecht, Heinrich Isaac, Loyset Compere, Pierre De La Rue e altri.
Nel nuovo linguaggio, che fonde il rigoroso contrappunto fiammingo con il gusto italiano, i pezzi vengono costruiti come una successione di episodi, in ciascuno dei quali un singolo motivo musicale viene elaborato per lo più attraverso la tecnica dell’imitazione, cioè attraverso la circolazione tra le varie voci (quando essa è continua e rigorosa si parla di “canone”). Le canzoni si sviluppano così come un’alternanza di episodi di carattere differente, alcuni imitativi (dove le voci si intersecano e dialogano) e altri accordali (dove le voci procedono parallelamente). Ciò garantisce varietà e intelligibilità, permettendo l’abbandono delle vincolanti “forme fisse” tardomedievali (ballade, virelai, rondeau).
Sono però frequenti le ripetizioni strofiche e rimane in vita l’antico cantus firmus, sebbene la melodia di base affidata al tenor venga ora tratta anche dal repertorio popolare. Sempre più frequente è poi la tecnica compositiva della “parodia”, cioè la rielaborazione integrale o parziale di pezzi polifonici già esistenti.
Nel nuovo stile, più personale, le voci (di norma quattro) sono indipendenti ma correlate tra loro ed egualmente importanti.
La voce superiore perde quindi la sua supremazia, mentre la sonorità complessiva assume un’omogeneità che risalta nell’esecuzione con lo stile a cappella, cioè senza strumenti. Questi continuano però a essere usati dai tanti fruitori cui sono destinate le nuove accessibili antologie a stampa che si affiancano ai costosi chansonniers. In particolare, le espressive canzoni di Josquin (in cui le parole più significative del testo sono evidenziate alla maniera italiana), quelle di Compère, contraddistinte dall’uso costante del ritmo iniziale dattilico o “narrativo” (un valore lungo e due brevi), e quelle dei loro contemporanei appaiono in una splendida primizia.
La morte di Josquin segna la fine dell’egemonia franco-fiamminga sulla musica europea. Intorno al 1525, infatti, le culture musicali si diversificano in relazione ai luoghi di produzione.
Nel caso della canzone, vi sono tre centri editoriali: Anversa, cuore commerciale e culturale delle Fiandre; Lione, vivace città della provincia francese in posizione strategica e Parigi, capitale musicale, oltre che politica, della Francia.
Ad Anversa opera Tielman Susato; a Lione, Jacques Moderne; a Parigi, Pierre Attaignant: tre editori che sfruttano a fondo le risorse offerte dall’invenzione della stampa musicale.
Le canzoni di Susato mantengono viva la tradizione franco-fiamminga. Abili contrappuntisti come Adrian Willaert e Nicolas Gombert privilegiano infatti l’imitazione motivica, scrivendo in uno stile simile a quello del mottetto. Le raccolte del lionese Moderne sono più eterogenee: vi figurano sia noti autori della capitale, sia altri attivi in provincia (come il fiorentino Francesco Layolle e Dominique Phinot). Il parigino Attaignant incentiva più di tutti le novità, valorizzando la produzione di un gran numero di musicisti e orientandola secondo il proprio gusto e quello del pubblico.
Le canzoni pubblicate da Attaignant tra il 1528 e il 1552 si allontanano dalla tradizione franco-fiamminga per la ricercata semplicità e il razionalismo tipicamente francese. Destinate a un piacevole consumo, queste canzoni a quattro voci sono di forma strofica (le antiche “forme fisse” sono tuttavia abbandonate) e di stile prevalentemente omoritmico e sillabico, con le voci che procedono parallelamente e con lineari melodie in rilievo. Le frasi musicali sono ritagliate sui versi, di cui evidenziano accenti e cesure (il caratteristico ritmo iniziale “narrativo” ricalca ad esempio l’iniziale metro dattilico).
Questi tratti si adattano bene ai soggetti poetici: innanzitutto l’amore, anche negli aspetti umoristici e licenziosi; poi temi di carattere narrativo, giocoso e onomatopeico (guerra, caccia, canto degli uccelli, grida di strada, chiacchiere femminili). I testi sono in gran parte dal noto poeta Clément Marot. La canzone parigina, molto apprezzata dal pubblico, è coltivata da numerosi musicisti (tra cui Pierre Certon), ma è legata essenzialmente ai nomi di Claudin de Sermisy e di Clément Janequin.
Sermisy compone diverse canzoni amorose (come Tant que vivray e Languir me fais), il cui fascino deriva dal delicato lirismo e dalla ostentata semplicità. Janequin svolge invece con spiccato senso dello humour i temi narrativi, inaugurando il fortunato genere della canzone descrittiva con La guerre, un brano di grande successo scritto per celebrare la vittoria di Marignano (1515). Fanfare militari e spiritose onomatopee abbondano poi in canzoni come Le siège de Metz, Les cris de Paris, Le caquet des femmes, La chasse, Le chant des oiseaux, e così anche nelle tante trascrizioni strumentali e nelle numerose imitazioni di altri autori.
Nel secondo Cinquecento ad Anversa, Lione e Parigi nascono nuove tipografie musicali. A Parigi, centro egemone, gli editori che iniziano la loro attività intorno al 1550 (tra cui Le Roy & Ballard) pubblicano ancora le canzoni dei decenni precedenti, più quelle delle nuove, folte generazioni di musicisti locali (Jean Maillard, Guillaume Costeley, Claude Goudimel).
A queste si aggiungono le chansons di maestri fiamminghi come Jacques Arcadelt e poi Orlando di Lasso, che si arricchiscono di elementi propri del madrigale e, nel caso del secondo, piegano il linguaggio contrappuntistico anche a effetti comici.
A partire dagli anni Settanta, si afferma la produzione di Claude Le Jeune che, come lo stesso Orlando di Lasso e poi Jacques Mauduit, tende alla fusione di poesia e musica caldeggiata dai poeti della Pléiade e successivamente perseguita dall’Académie de Musique et de Poésie. Questo ideale estetico di stampo umanistico appare chiaramente nel 1552, quando il poeta Pierre de Ronsard, per dimostrare che la musica è il naturale completamento della poesia, correda i suoi Amours di un’appendice di musiche con cui intonare i componimenti poetici della raccolta.
Per ripristinare l’antica fusione di poesia e musica, i compositori attingono inizialmente alle risorse espressive del madrigale italiano: vengono musicati sonetti petrarcheschi, si aboliscono le ripetizioni strofiche e si utilizzano “madrigalismi”. Intorno al 1570, con l’istituzione dell’Académie de Musique et de Poésie, si delineano poi indicazioni più precise, seppure alquanto artificiose. I suoi fondatori, Jean-Antoine de Baïf e Joachim Thibaut de Courville, spingono infatti i poeti a ricreare nel francese la metrica quantitativa classica e i musicisti a dare particolare rilievo al ritmo seguendo la successione di sillabe toniche e atone. Questa musica mesurée à l’antique risulta particolarmente convincente nelle chansons contenute nei Mélanges (1585; 1612) e soprattutto nei Le Printemps (1603) di Le Jeune, una bella raccolta dedicata alla natura primaverile che chiude con freschezza la stagione della canzone parigina.
Nella Parigi del secondo Cinquecento si sviluppa anche il semplice vaudeville (da voix de ville, voci di città), che nella sua veste meno popolaresca genera l’air de cour destinato a dominare la musica vocale profana francese del secolo successivo. Il suo stile è quasi sempre sillabico e omoritmico, con ripetizioni strofiche. Tuttavia, in questo genere poco pretenzioso (adatto anche all’esecuzione solistica con accompagnamento di liuto), l’unione di poesia e musica si realizza forse in modo più efficace che nelle canzoni italianizzanti, dal momento che la melodia ricalca perfettamente la prosodia. Il vaudeville o air viene così assorbito negli esperimenti accademici di Baïf, trasformandosi nell’air de musique mesurée, i cui valori brevi o lunghi corrispondono alle artificiose “quantità” del verso accentuativo francese. Esempio del nuovo stile è Fière cruelle di Claude Le Jeune.
Appendice della canzone francese, la chanson spirituelle si sviluppa nel contesto dei conflitti religiosi. Gli autori, generalmente vicini agli ambienti calvinisti, si limitano di solito ad adattare testi edificanti a canzoni già esistenti, componendo raramente nuova musica. La raccolta più fortunata viene pubblicata a Lione nel 1548, ma, anche in questo campo, a tirare le fila è Claude Le Jeune con gli Octonaires de la vanité et inconstances du monde (1606) su versi del teologo Antoine de la Roche-Chandieu (un titolo analogo si trova nella produzione di Pascal de L’Estocart già nel 1582).