La Cassazione e il credito fondiario
La violazione del limite del finanziamento erogabile in rapporto al valore cauzionale dell’immobile ipotecato nelle operazioni di credito fondiario costituisce oggetto di frequenti interventi della giurisprudenza. Con una recente pronuncia la Cassazione sembra risolutamente abbandonare la tesi (prevalente tra i giudici di merito, oltre che in dottrina) che individua il rimedio in questione nella nullità (se pure con importanti varianti: nullità totale con possibile conversione del mutuo fondiario in un ordinario mutuo ipotecario, ovvero nullità parziale della sola “eccedenza” del finanziamento rispetto al limite di legge). Il Supremo Collegio propende invece per un rimedio (risarcitorio) che non colpisca l’atto, bensì la condotta; ma anche questa soluzione non manca di suscitare perplessità.
Con una sentenza del novembre 2013 la Cassazione1 è tornata a pronunciarsi su una fattispecie di frequente ricorrenza (a testimonianza della rilevanza pratica della questione, ma anche dell’incertezza della sua soluzione) in materia di credito fondiario.
1.1 Credito fondiario: superamento del limite di finanziabilità
Il problema che si poneva, nel caso esaminato, riguardava il trattamento da riservare ad una operazione di finanziamento (asseritamente prospettata, appunto, come una operazione di «credito fondiario»2), concesso per consentire alla società mutuataria di estinguere due precedenti prestiti, e garantito da un terzo datore di ipoteca.
Verificatosi il fallimento sia della società debitrice sia di quella che aveva garantito il debito, la Banca aveva proposto domanda di insinuazione al passivo fallimentare di quest’ultima, chiedendo il riconoscimento del carattere “privilegiato” dell’intero credito ancora da essa vantato (ammontante, con gli interessi, a circa 12,5 mill. di euro). Vistasi respinta la domanda di insinuazione in via privilegiata, l’istituto di credito aveva proposto opposizione allo stato passivo, ma anche il Tribunale3 aveva negato al credito natura privilegiata, ritenendo che fosse stata violata la regola che fissa nell’80% del valore dell’immobile (sul quale viene costituita la garanzia ipotecaria) l’ammontare del finanziamento concedibile nelle operazioni di «credito fondiario»4. In particolare il giudice dell’opposizione ‒ premesso che il valore dell’immobile all’epoca del finanziamento doveva ritenersi pari a 5 milioni di euro (e che dunque la somma legittimamente erogabile avrebbe potuto essere, al massimo, di 4 milioni, pari alla suddetta percentuale dell’80%) ‒ aveva ritenuto parzialmente nullo (per l’eccedenza rispetto all’80% del valore cauzionale dell’immobile) il finanziamento erogato, conseguentemente negando che la Banca potesse far valere il credito di restituzione di questa parte del finanziamento5, mentre la «parte valida» del mutuo (ossia, il suddetto importo di 4 milioni) risultava già rimborsata dal debitore.
La questione su cui si sofferma (risolvendola negativamente) la pronuncia della Cassazione, da cui prendono spunto le presenti brevi riflessioni, è se sia corretto ritenere che la sanzione per la violazione dell’art. 38 TUB6 sia la nullità, come aveva affermato – in aderenza ad un orientamento alquanto diffuso sia in dottrina che in giurisprudenza7 – la sentenza impugnata.
La tesi della nullità ha ricevuto diverse prospettazioni, che è opportuno – sia pure brevemente – richiamare.
2.1 La tesi della nullità del contratto
Se si prescinde dalla premessa comune, costituita dalla asserita natura “imperativa” ascritta alla previsione del limite di finanziabilità, il rimedio della nullità viene giustificato ed applicato in modi alquanto diversi.
a) Una prima variante attiene alla qualificazione della nullità. Mentre, specialmente in prospettazioni (dottrinali) recenti, si propende per la individuazione di una nullità “strutturale” (per illiceità dell’oggetto, ai sensi del co. 2 dell’art. 1418 c.c.)8, l’impostazione più diffusa riporta la nullità al disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c. (ossia, la considera una nullità virtuale).
b) Un ulteriore, e più rilevante, elemento di diversificazione concerne l’alternativa tra il considerare il contratto come affetto da nullità totale (salva – secondo alcuni – la possibile conversione dello stesso in un ordinario mutuo ipotecario9), ovvero ritenerlo affetto da una nullità meramente parziale (limitata alla parte di finanziamento che eccede la misura consentita), con perdurante validità della restante parte (alla quale continuerebbe ad applicarsi la disciplina del credito fondiario).
Quest’ultima tesi è stata in particolare argomentata – poco meno di venti anni or sono ‒ in una elaborata sentenza della Cassazione in materia di “credito edilizio”10. In detta pronuncia, respingendo la tesi che la violazione delle disposizioni sui limiti di finanziabilità desse luogo a sanzioni esclusivamente in termini di responsabilità (degli amministratori verso l’Istituto di credito, e di quest’ultimo nei confronti dell’autorità di vigilanza), e ribadita la tesi che «lo scopo della legge è di interesse pubblico e può essere raggiunto solo stabilendo l’inefficacia dell’atto» (tanto del contratto di mutuo quanto del collegato contratto costitutivo della garanzia ipotecaria), la Cassazione aveva sostenuto che la nullità non fosse tuttavia “totale”, bensì fosse una nullità “parziale” (id est : di una parte soltanto del contenuto del contratto), essendo l’obbligazione cui si sottopone la Banca una obbligazione pecuniaria – e dunque “divisibile” ‒, e dovendo considerarsi “eccezionale” l’estensione della nullità di una parte all’intero contratto (possibile – giusta il disposto dell’art. 1419 c.c. – solo «se risulta che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità»)11.
A parte quanto si dirà fra poco sulle criticità della tesi della nullità in generale, con riferimento specificamente alla prospettazione di una nullità “parziale” nei termini appena riferiti sembra potersi obiettare che non pare decisiva (e, forse, nemmeno pertinente) la invocata “divisibilità” della “prestazione” della somma mutuata. La “divisibilità” della obbligazione infatti rileva in sede di adempimento, per giustificare eventuali pagamenti parziali, e sul presupposto dell’esistenza di una pluralità di debitori (e/o di creditori). Qui invece si ha a che fare con il problema della individuazione del contenuto della prestazione dovuta (e già, oltre tutto, interamente eseguita) da un unico soggetto (la banca) nei confronti di un unico creditore (il finanziato): e tale contenuto è certamente un contenuto unitario (almeno nella prospettazione originaria data dalle parti all’oggetto del contratto).
2.2 Per una diversa soluzione del problema
A parte quanto osservato alla fine del paragrafo precedente (con riferimento specifico alla tesi della nullità parziale), le tesi che sostengono la nullità (non importa, questa volta, se totale o parziale) si espongono ad alcuni rilievi critici, che toccano in particolare il significato in cui va intesa la asserita “imperatività” della disciplina in esame. Poiché, infatti, non può dubitarsi che una banca possa concedere credito senza farsi rilasciare garanzie (e in particolare senza farsi rilasciare garanzie reali, quali un’ipoteca); e poiché ancor meno discutibile è che una banca possa concedere un finanziamento garantito solo parzialmente (con una garanzia, cioè, che “copra” solo in parte l’importo del credito), la norma in virtù della quale un credito da finanziamento deve essere “garantito” (e, per di più, in una misura “adeguata”), può assumere le forme di una prescrizione “imperativa” (nel senso pregnante del termine12) solo in presenza di qualche ragione particolare, quale era – con riferimento alla vecchia disciplina del mutuo fondiario (come credito “speciale”) ‒ il collegamento della erogazione del credito con l’operazione di raccolta della provvista tramite emissione di apposite cartelle13.
Venuta meno questa ragione particolare (che era legata anche alla specializzazione “soggettiva” del credito fondiario, non solo in quanto credito riservato a istituti di credito appunto “speciali”, ma anche in quanto modalità operativa “esclusiva” consentita a tali operatori finanziari, ai quali erano invece precluse altre forme di attività “creditizie”14), la “imperatività” della disposizione (ammesso che si ritenga di continuare ad utilizzare tale termine) non può non mutare di significato.
Essa – almeno così a noi sembra – non sta ad indicare più la “obbligatorietà” di un contenuto (negoziale), bensì semplicemente il presupposto (o meglio: uno degli elementi) della fattispecie a cui la legge ricollega una certa disciplina15. Con la conseguenza che il negozio nel quale non ricorra questo determinato presupposto non sarà “nullo” (perché, appunto, ha violato una norma “imperativa”); semplicemente, esso non potrà essere ricondotto alla fattispecie cui il legislatore ricollega quei determinati effetti (ferma restando la possibilità di integrare gli elementi di una diversa fattispecie, cui si ricollegheranno – corrispondentemente – effetti diversi).
In particolare, la impossibilità di sussumere la concreta operazione posta in essere nello schema del «(contratto di) credito fondiario» (in quanto, in ipotesi, le parti non abbiano rispettato l’onere di non superare la “soglia di finanziabilità” fissata dall’ordinamento) comporterà la inapplicabilità della disciplina “speciale”: e, dunque – per esemplificare ‒ la inapplicabilità dell’esenzione della concessione di ipoteca dalla revocatoria fallimentare (che altrimenti opererebbe ai sensi dell’art. 39, co. 4, TUB); la inapplicabilità della disposizione che prevede il diritto (del debitore, del terzo acquirente, del promissario acquirente o dell’assegnatario del bene ipotecato) di ottenere la suddivisione del finanziamento in quote e il correlativo frazionamento dell’ipoteca (art. 39, co. 6, TUB); la inapplicabilità della disposizione che consente alla Banca di iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore (art. 41, co. 6, TUB); e così via.
Pur abbandonando (a nostro avviso condivisibilmente) la tesi della nullità (abbracciata nel precedente del 199516), la Cassazione adotta tuttavia una soluzione diversa da quella qui propugnata, facendo applicazione della distinzione tra «regole di comportamento» (o “di responsabilità”) e «regole di validità» (che i giudici considerano criterio fondamentale per decidere se – in presenza della violazione di una norma “imperativa” ‒ sussista o meno una nullità virtuale, ai sensi del co. 1 dell’art. 1418 c.c.17), e ritenendo a questa stregua che la disposizione dell’art. 38 TUB, contenga una norma (imperativa) “di comportamento”, e non una regola di validità18.
Pur mantenendo la qualificazione dell’operazione (in quanto, appunto, ritenuta “valida”19) come “credito fondiario”, la sentenza afferma peraltro che sarebbe soggetta a revocatoria nei termini ordinari (e dunque senza il veloce “consolidamento” previsto dalla disciplina degli artt. 38 e ss. TUB) la concessione dell’ipoteca a favore della banca.
Risultato, quest’ultimo, bensì condivisibilestyle="text-decoration: none" href="%(link19)" _fcksavedurl="%(link19)">20,ma anche del tutto incoerente rispetto alla soluzione generale adottata dai giudici di Piazza Cavour. Il che alimenta i dubbi sulla “tenuta” di una pronuncia, che avrebbe potuto essere meglio argomentata e calibrata.
1 Cass., 28.11.2013, n. 26672.
2 Come si ricava dal co. 1 dell’art. 38 TUB, per «credito fondiario» si intende un finanziamento «a medio e lungo termine » cui si accompagni la concessione a favore delmutuante di una «garanzia ipotecaria di primo grado su immobili».
3 Si trattava del Tribunale di Cagliari, che ha deciso il caso con decreto del 15.3.2012.
4 Cfr. la deliberazione CICR del 22.4.1995, che integra sul punto l’art. 38, co. 2, T.U.B.
5 Se non nella forma della ripetizione di indebito (e quale credito chirografario).
6 Che è la (sola) disposizione che i giudici ritengono applicabile, escludendo che la fattispecie in esame possa essere ricondotta all’ambito di applicazione dell’art. 117, co. 8, TUB.
7 Trib. Padova, 5.6.2003, in Giur. mer., 2004, 925; Trib. Milano, decr. 16.10.1995, in Fallimento, 1996, 485 (con nota di Petraglia, A., Crediti fondiari e nuovo testo unico in materia bancaria e creditizia), e – tra le pronunce più recenti – Trib. Venezia, decr. 26.7.2012, in Fallimento, 2013, 211 (con nota di Tarzia, G., Credito fondiario e limite di finanziabilità). In dottrina v. ad es. Tardivo, C.M., Inderogabilità delle norme attinenti alla percentuale di concessione del finanziamento fondiario, in Banca borsa, 1997, II, 243 ss.; e, più recentemente, Farina, V., Superamento del limite di finanziabilità e (nullità del) credito fondiario, (in corso di pubbl.).
8 Pagliatini, S., La logica (illogica) dell’art. 38 TUB ed il canone (mobile) della Cassazione, in Contratti, 2014, 439 ss.; e Balestra, L.,Mutuo fondiario e limiti di finanziabilità, in Fallimento, 2014, 410 ss.; entrambi in sede di commento a Cass. 26672/2013.
9 L’idea della nullità “totale” del contratto di “mutuo fondiario” con conversione dello stesso in un “mutuo ipotecario” ordinario (per l’intero importo finanziato) ‒ a parte l’obiezione che sarebbe difficile per varie ragioni ritenere ricorrente il requisito richiesto dall’art. 1424 c.c. (ossia che «avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità»), per non parlare della ritenuta inconvertibilità dei contratti “illeciti”, si espone all’obiezione (chiaramente formulata in Cass., 1.9.1995, n. 9219) che il contratto che risulterebbe a seguito della conversione violerebbe anch’esso il limite di legge, perché supererebbe comunque la soglia di finanziabilità (pur non attribuendo più alla Banca i “privilegi” connessi alla disciplina del credito fondiario). Né potrebbe operare qui il meccanismo di cui al comma 2 dell’art. 1419 c.c. (sostituzione automatica di clausole), sia perché la nullità non riguarda una clausola ma “una parte” del contenuto del contratto, sia soprattutto perché «l’inserzione automatica delle norme imperative può verificarsi quando la sostituzione debba avvenire di diritto, in forza di un’espressa disposizione di legge, la quale imponga la sostituzione di determinate norme alle clausole contrattuali ad essa difformi» (Cass. n. 9219/1995).
10 Cass., 1.9.1995, n. 9219, in Banca borsa, 1997, II, 243, con nota di C.M. Tardivo, Inderogabilità, cit.
11 Il risultato cui perviene Cass. n. 9219/1995 coincide, nella sostanza, con quello propugnato da Pagliatini, S., op.cit., con la differenza che nell’impostazione dei giudici viene in primo piano l’autonomia privata (di cui si riconosce – pro parte ‒ la valida esplicazione),mentre nell’impostazione di Pagliatini si enfatizza l’intervento integrativo/correttivo del giudice (che “sostituirebbe” alla previsione pattizia invalida – deve supporsi: nella sua interezza – una determinazione giudiziale dell’oggetto del contratto, tale da rispettare il limite di legge).
12 Il che è particolarmente rilevante soprattutto se si ragiona in termini di nullità “virtuale”.
13 Non può, invece, integrare una ratio idonea a spiegare il carattere “imperativo” (nel senso pregnante del termine) della fissazione di una “soglia di finanziabilità” nel mutuo “fondiario”, la esigenza di assicurare la stabilità patrimoniale dei soggetti che erogano il credito (ratio, che viene invocata – sia pure per escludere la nullità – anche da Cass. n. 26672/2013), in quanto – venuta meno la “specialità soggettiva” del credito fondiario e venuto meno, altresì, il carattere “esclusivo” di tale attività per i soggetti legittimati a porla in essere (v. subito infra, nel testo) ‒ la ratio suddetta finisce anch’essa per diventare evanescente, atteso che essa dovrebbe/potrebbe – come tale – essere riferita (anche) a qualsiasi altra operazione di concessione del credito (non essendoci alcun motivo per individuare nel solo “credito fondiario” un’operazione che richieda una particolare cautela).
14 È noto come da tale impostazione, il nostro sistema si sia progressivamente allontanato attraverso una evoluzione normativa (nel segno della “despecializzazione”) che ha avuto il suo punto d’approdo nel Testo Unico Bancario del 1993. Su questa vicenda (e, più in generale, sull’evoluzione storica della disciplina del credito fondiario), per una prima informazione, si vedano, nella letteratura più recente: Tardivo, C.M., Il credito fondiario nella nuova legge bancaria,Milano, 2006.; Falcone, G., in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura diM. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro, I, Bologna, 2010, sub art. 38, 365; Sepe,M., Commento Sub art. 38, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da F. Capriglione, I, Padova, 2012, 429.
15 Abbiamo esposto questa opinione già in D’Amico, G., Sull’ambito di applicazione della disciplina del credito fondiario, in Contratti, 2014, 439 ss. Nello stesso ordine di idee v. anche Dolmetta, A., Identità del credito fondiario e “premio dell’ irragionevolezza”, in Banca borsa, 2014, p. 129.
16 È vero che detto precedente era specificamente riferito ad una fattispecie di credito “edilizio”, ma – sia pure in obiter ‒ la soluzione della nullità veniva in esso estesa a qualsiasi ipotesi di “credito fondiario”.
17 Cfr. Cass., S.U., 19.12.2007, nn. 26724 e 26725, in Danno e resp., 2008, 5, p. 536, con nota di Roppo, V., La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf.
18 I giudici fanno questa affermazione anche sulla base dell’idea che la ratio del limite di finanziamento sia (esclusivamente) quella di tutelare l’integrità patrimoniale della Banca.
19 Salva la “responsabilità” degli amministratori verso la società, e di quest’ultima nei confronti dell’organo di vigilanza di settore.
20 Perché recepisce (almeno in parte) l’esigenza di “attenuare” (e circoscrivere) il regime (ormai ingiustificato) di privilegio (“iperprotezione”) di cui la banca continua a godere in materia di credito fondiario.