La Cassazione e l'annullamento senza rinvio
Tra le modifiche operate sul piano delle norme processuali penali dalla l. 23.6.2017, n. 103 deve ricomprendersi anche la nuova formulazione dell’art. 620, co. 1, c.p.p. dettato con specifico riferimento all’epilogo del giudizio di legittimità caratterizzato dall’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. In particolare, la modifica è intervenuta con riguardo alla lett. l) della norma, quale previsione originariamente strutturata in termini di “chiusura” rispetto a quelle specificamente menzionate, laddove il legislatore, nell’affidare alla Corte la valutazione, in precedenza non espressamente contemplata, sulla possibilità di decidere il ricorso senza necessità di «ulteriori accertamenti di fatto» e, dunque, senza ulteriori epiloghi nelle fasi di merito. È peraltro compito dell’interprete cercare di comprendere se e come la ragione “deflattiva” ispiratrice della novella, espressamente menzionata, del resto, dalla stessa relazione di accompagnamento al d.d.l., non nasconda, al suo interno, la “spia” di un possibile mutamento dello stesso giudizio di legittimità e dei suoi limiti cognitivi tanto più singolare in quanto determinato da esigenze di sollecita celebrazione dei giudizi di merito.
L’art. 1, co. 67, l. n.103/2017 ha modificato l’art. 623, co. 1, c.p.p., dedicato all’epilogo decisorio del giudizio di cassazione consistente nell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e formulato, a mo’ di elenco, attraverso la enunciazione dei singoli e specifici casi che legittimano tale soluzione; la novella ha in particolare interessato la lettera l) della norma che, in precedenza, consentiva l’annullamento senza rinvio «in ogni altro caso in cui la corte» ritenesse «superfluo il rinvio ovvero» potesse «essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari». La disposizione, rimasta immutata sino alla modifica appena ricordata, riprendeva, con la sola aggiunta dell’espresso riferimento alla determinazione della pena, quanto già l’art. 539, co. 1, n.9, c.p.p. del 1930, innovando i modelli di epilogo contenuti nei codici del 1865 e del 1913, aveva previsto, disponendosi infatti che l’annullamento senza rinvio operasse laddove la Corte ritenesse superfluo il rinvio ovvero potesse essa medesima, nei limiti della propria competenza, «dare i provvedimenti necessari». A seguito della riforma del 2017, il testo attuale prevede dunque l’annullamento senza rinvio «se la corte ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio».
Il nuovo testo contempla fondamentalmente quattro ipotesi di annullamento senza rinvio, rispettivamente consistenti nelle circostanze che la Corte: ritenga di poter decidere; ritenga di rideterminare la pena; ritenga di adottare i provvedimenti necessari; ritenga in ogni altro caso superfluo il rinvio. Oltre a doversi segnalare la ristrutturazione della norma con riguardo alle ipotesi contemplate ed al loro ordine di elencazione, variato rispetto a quello precedente, e su cui si dirà più oltre, non sembra senza significato la soppressione dell’incipit che originariamente apriva la norma, e che per il suo contenuto («in ogni altro caso») segnalava la natura di disposizione residuale e fondamentalmente indeterminata rispetto a quelle menzionate nelle lettere precedenti (e relative, invece, a casi specificamente tipizzati), e lo spostamento della locuzione alla fine del periodo. Con ciò il legislatore sembra avere inteso porre l’ultima ipotesi della lett. l) sullo stesso piano delle altre, quasi come stimolo ad una utilizzazione non confinata a casi estremi: anche una tale variazione, dunque, pare concorrere nel senso della lettura della nuova disposizione come fondamentalmente volta ad ampliare i poteri di annullamento senza rinvio della Corte, come sottolineato da tutta la dottrina all’indomani della riforma1.
La vera novità rispetto alla versione originaria appare sostanzialmente rappresentata dall’affidamento alla Corte, in precedenza testualmente non previsto, del potere di annullare senza rinvio a fronte della possibilità di decidere non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Di per sé, la nuova ipotesi, così come formulata, potrebbe a prima vista apparire tautologica: è infatti evidente che in tanto il mancato rinvio al giudice di merito si giustifica in quanto non siano necessari ulteriori accertamenti da questo espletabili; sicché, in altri termini, dire che l’annullamento del provvedimento impugnato non comporta il rinvio in quanto non sia necessario compiere altre operazioni significherebbe affermare una cosa addirittura ovvia e, come tale, inutiliter data. Posto dunque che alla nuova ipotesi deve essere attribuito un significato effettivo che vada al di là della mera apparenza e che segni la differenza rispetto al precedente testo (giacché, ove così non fosse, la norma finirebbe tra l’altro per limitarsi a prevedere ciò che deve evidentemente darsi sempre per presupposto, ovvero che anche il giudice di legittimità, nei propri ambiti cognitivi, decide come qualunque altro giudice), deve allora ritenersi che la condizione di non necessità di ulteriori accertamenti di fatto sia dato strettamente qualificante la stessa nozione di decisione: in altri termini, decisione adottabile dalla Corte sarà solo quella che non richieda accertamenti di fatto, essendo dunque preclusi epiloghi che impegnino il giudice di legittimità nel formulare valutazioni di merito. E a ciò concorrerebbe anche la significativa variazione della norma, nella sua definitiva versione, rispetto al testo licenziato dalla Commissione Canzio laddove si faceva espressa menzione della «decisione della causa nel merito»2: la soppressione di ogni specifico riferimento all’oggetto della decisione parrebbe ulteriore sintomo della cautela del legislatore nell’evitare che all’ampliamento dei poteri di annullamento senza rinvio corrispondano sconfinamenti nel merito. In definitiva, dunque, l’introduzione della nuova ipotesi si tradurrebbe, a contrario, nella possibilità per la Corte di utilizzare i soli accertamenti già risultanti dalla sentenza impugnata al fine di determinare o meno la necessità del rinvio, possibilità, peraltro, mai preclusa alla Corte anche nel vigore dell’originario testo della norma e che finirebbe per porre un serio interrogativo sulla effettiva utilità della nuova norma. Sicché parrebbe difficile non ricadere, da un lato, adottando interpretazioni attente alla funzione e ai limiti del giudizio di legittimità, in letture della nuova disposizione sostanzialmente neutralizzanti della nuova locuzione e, dall’altro, invece, nel tentativo di rivestire di effettivo significato l’elemento della “decidibilità”, in letture potenzialmente destabilizzanti perché inevitabilmente conducenti a richiedere alla Corte un giudizio sui fatti.
La seconda ipotesi di annullamento senza rinvio concerne la rideterminazione della pena. Già prevista nel testo originario, l’ipotesi è stata enunciata con una diversa formula: mentre, anteriormente alla novella, in tanto l’annullamento senza rinvio era possibile in quanto la Corte potesse procedere alla determinazione della pena («può essa medesima procedere alla determinazione della pena»), oggi l’annullamento senza rinvio dipende dal fatto che la Corte ritenga di rideterminare la pena («ritiene di rideterminare la pena»). Le due espressioni non paiono equipollenti posto che, anche in tal caso, ove si fosse inteso mantenere l’ambito del potere di annullamento senza rinvio nei medesimi termini della disciplina anteriore, non avrebbe avuto senso alcuno mutare la locuzione: ed allora, mentre nel primo caso l’accento era posto su un potere implicitamente affermato come prestabilito, nel secondo è posto su un potere individuato dalla stessa Corte in relazione alla singola decisione. E se è così, pare difficile escludere che alla modifica dovrebbero conseguire spazi decisionali maggiori rispetto a quelli esercitabili nel vigore della versione precedente; anche in tal caso non sarebbe tuttavia facile conciliare l’esercizio di un potere frutto, sostanzialmente, di un giudizio “discrezionale” esercitato sul punto dalla Corte, con la tradizionale esigenza di contenimento dell’operazione nei confini dettati dai criteri di irrogazione indicati dal giudice di merito che fungono, al contempo, da limite non valicabile per una giurisdizione di mera legittimità. In definitiva, solo l’opzione per una impostazione più estensiva, apparentemente suggerita dalla nuova formulazione della norma, potrebbe condurre a rimeditare il tradizionale indirizzo che, ove venga meno, per varie cause, il calcolo applicato dal giudice di merito, ha fino ad ora impedito alla Corte, in caso di mancate indicazioni nella sentenza impugnata dei parametri di applicazione, di procedere ad annullare senza rinvio rideterminando direttamente la pena3. Non pare invece potersi attribuire un reale diverso significato all’impiego della nozione di «rideterminazione» in luogo di quella, precedente di «determinazione» della pena, impiego verosimilmente dovuto alla esigenza di esprimere più accuratamente il profilo cronologico della operazione, effettuata sull’inevitabile presupposto che, prima del giudizio di legittimità, la pena sia già stata, almeno una volta, determinata dal giudice di merito. Non pare invece di ostacolo al potere di rideterminazione il fatto che il ricorso riguardi sentenza di condanna impugnata dal pubblico ministero con riguardo al profilo sanzionatorio, quanto meno con riguardo ai casi in cui, pur trattandosi di elevare la pena precedentemente irrogata, ciò possa avvenire sulla base di parametri fissi forniti dal legislatore (come in caso di pena determinata nel merito in misura inferiore a quella edittale minima o superiore a quella edittale massima o di pena erroneamente indicata nel genus)4 o predeterminati dalla stessa sentenza: se la ratio fondante la previsione di annullamento senza rinvio è quella dovuta ad esigenze di deflazione e celerità del giudizio, non si vede come potrebbe escludersi dal novero delle possibilità anche un tale caso.
La terza ipotesi di adozione dei provvedimenti necessari è rimasta sostanzialmente immutata (solo essendo cambiato il verbo) nei suoi connotati oggettivi; anche in tal caso, tuttavia, in forza dell’incipit della norma, è cambiato il collegamento di tale potere a ciò che la Corte “ritiene” esercitabile e non a ciò che “può” operare; il nuovo sfondo pone dunque anche qui l’alternativa tra una opzione che si limiti, nella tradizionale visione, a proseguire nei parametri applicativi espressi dalla giurisprudenza nel vigore della precedente formulazione e una opzione che, invece, possa consentire di prescindere dagli stessi in ipotesi che possano, di volta in volta, prefigurarsi.
L’ultima ipotesi, rimasta immutata rispetto alla originaria versione, è quella che viene in rilievo laddove la Corte ritenga superfluo il rinvio. Va subito detto che, a differenza delle altre tre, questa è l’unica in cui la valutazione in ordine al presupposto del mancato rinvio, ovvero, appunto, la superfluità, era, già in precedenza, affidata al “ritenuto” della Corte (cosa, ovviamente, di per sé inevitabile, proprio in ragione della stessa nozione di superfluità, quale concetto non catalogabile a priori). Non sembra senza rilievo che l’ipotesi in oggetto sia stata, tuttavia, collocata, nell’ordine di elencazione effettuato dalla norma, in ultima posizione, al fine evidente di sottolineare, più incisivamente che nella precedente versione, la natura di ipotesi di “chiusura”, diretta, cioè, a colmare possibili evenienze non ricadenti nelle precedenti. Peraltro, proprio la sostanziale immutazione della formulazione impiegata ripropone la evidente necessità di dare concretezza ad un concetto atecnico, quale quello di superfluità, già impiegato dall’art.190 c.p.p., con riferimento all’ammissione delle prove, di per sé suscettibile di non univoche interpretazioni; conservano dunque attualità quelle pronunce della Corte che hanno sostanzialmente interpretato il concetto rapportandolo alle risultanze probatorie emergenti dalla motivazione delle sentenze di merito, oggetto di necessaria valutazione ai fini di consentire o meno definito, e non più suscettibile di sviluppi ulteriori, il quadro decisorio sul punto. In altri termini, ed esemplificativamente, l’annullamento senza rinvio è allora giustificato quando gli stessi elementi acquisiti nel giudizio di merito siano de visu significativi dell’applicabilità dell’art. 129 c.p.p.5, ovvero quando «per l’avvenuta puntuale e completa disamina del materiale acquisito ed utilizzato nel giudizio di merito, il giudizio di rinvio non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata»6.
Il nuovo quadro normativo è stato peraltro già oggetto del giudizio delle Sezioni Unite penali, specificamente chiamate a decidere in quali limiti la Corte possa, nel caso di applicazione di pena illegale da parte del giudice di merito, procedere alla rideterminazione della pena in base, appunto, alla più recente formulazione dell’art. 620 c.p.p.7 Pur a fronte dello stretto ambito della questione devoluta con riferimento appunto ai soli poteri in ordine al trattamento sanzionatorio8, le Sezioni Unite hanno affrontato la lettura e le implicazioni del nuovo testo considerato nella sua completezza. Nel chiarire il significato della nuova norma, e dopo avere individuato la ratio ispiratrice della novella in un’ottica deflattiva nonché nella omologazione a quanto già previsto per il giudizio civile di legittimità dall’art. 384 c.p.c., la Corte ha posto l’accento sui limiti, tradizionalmente elaborati nella lettura di tale ultima disposizione, del potere di annullamento senza rinvio, esercitabile solo ove non necessari ulteriori accertamenti in fatto e solo sulla base di quelli, già compiuti dal giudice di merito, risultanti dalla sentenza impugnata, in essi compresi peraltro i passaggi argomentativi a sostegno delle decisioni assunte. Da ciò ha fatto dunque derivare la classificazione del potere di annullamento senza rinvio come esercizio di una discrezionalità “vincolata” perché stretta, appunto, tra i binari segnati dal percorso di merito. Allo stesso tempo, proprio perché l’annullamento senza rinvio presuppone che la Corte possa disporre di elementi definiti in misura sufficiente, desumibili dalla motivazione del provvedimento impugnato ed eventualmente di quello di primo grado, le Sezioni Unite hanno chiarito l’importanza della completezza delle motivazioni delle sentenze di merito sotto il profilo della puntuale indicazione di tutti gli elementi sui quali si fondano le decisioni.
I passaggi fin qui seguiti nell’analisi della nuova norma paiono dunque giustificare serie perplessità sulla effettiva novità della norma e, perciò stesso, indefinitiva, sulla sua reale utilità. È singolare che una disposizione, ispirata ad esigenze deflattive e quindi, ove logicamente letta in tal senso, di portata necessariamente più ampia della precedente, sia poi stata, nella formulazione delle ipotesi che consentirebbero l’annullamento senza rinvio, corredata da due precisazioni (la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto ai fini della “decisione” senza rinvio della Corte e l’ancoraggio dei poteri di rideterminabilità della pena alle statuizioni del giudice di merito) che, non presenti nella versione originaria perché più generica, rischiano paradossalmente di ottenere un effetto di contrazione: ciò che il legislatore concede ex novo, ovvero l’apparente esercizio di discrezionalità concesso alla Corte mediante il ricorso alla possibilità di “ritenere” di decidere definitivamente della causa, risulterebbe, al tempo stesso, rigidamente circoscritto negli ambiti accertativi risultanti dalla sentenza impugnata. Né – pare di potere aggiungere – poteva forse essere diversamente, attesa la fisiologica strutturazione del giudizio di legittimità, necessariamente alieno, per sua stessa essenza, da accertamenti in fatto e da valutazioni di merito, strutturazione che, certo, non potrebbe ritenersi oggi mutata per il solo fatto di avere il legislatore affidato anodinamente alla Corte di cassazione, in una norma oltre tutto di carattere fondamentalmente “residuale”, un potere di valutazione “discrezionale” non ricollegato a parametri normativi predeterminati. Se è così, non pare allora casuale che la sentenza delle Sezioni Unite già ricordata, pur precisando che l’intento del legislatore sia stato quello di ampliare le possibilità di decidere il ricorso senza rinvio, si sia poi soffermata essenzialmente sulle condizioni legittimanti un tale epilogo, individuate nella non necessità di ulteriori accertamenti e, al tempo stesso, nella doverosa irrilevanza di quanto non emergente dalle sentenze di merito, in definitiva richiamando requisiti che, pur in precedenza non specificamente previsti, già tuttavia erano stati elaborati ed affermati dalla giurisprudenza9 e segnando al tempo stesso la difficoltà di rivestire, nei ribaditi tradizionali limiti del giudizio di legittimità, di un contenuto davvero nuovo la norma in oggetto. Riemergono, in definitiva, al fondo dello snodo interpretativo, considerazioni di matrice datata ma pur sempre attuali secondo cui tanto più si amplia l’area dell’annullamento senza rinvio tanto più si rischia di accentuare il ruolo improprio di giudice di terza istanza della Corte10. Spetta dunque all’interprete il non facile compito di mediare tra le opposte istanze facendo salva l’effettività della nuova disposizione.
1 Tra gli altri, De Caro, A., Il ricorso per cassazione, in La riforma della giustizia penale, a cura di A. Scalfati, Torino, 2017, 245; Iasevoli, C., Le nuove prospettive della Cassazione penale : verso l’autonomia dalla Costituzione?, in Giur. it., 2017, 2297; Spangher, G., La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, fasc. 1.
2 Ci si riferisce alla Commissione istituita dal Ministro della giustizia con decreto del 10.6.2013 per elaborare una proposta di interventi in tema di processo penale.
3 Così, nell’ambito di reato continuato, nel caso di estinzione del reato satellite, la cui pena in aumento non sia stata previamente indicata, Cass. pen., 27.3.1991, n. 5247, in CED rv. n. 187140, ovvero, con riguardo alla pena derivante da giudizio di bilanciamento di circostanze, Cass. pen., 6.12.2016, n. 6782, in CED rv. n. 269450.
4 Nel senso, infatti, in tali casi, già prima della novella, del potere di annullamento senza rinvio (e non della mera rettifica), Cass. pen., 28.4.2004, n. 26635, in CED rv. n. 229869; Cass. pen., 6.3.2006, n. 15589, in CED rv. n. 233972; Cass. pen., 19.3.2015, n. 20399 , in CED rv. n. 263648.
5 Così, in ipotesi di causa di esclusione della particolare tenuità del fatto sulla base di quanto accertato e valutato dalla sentenza impugnata anteriore all’entrata in vigore dell’art.131 bis c.p., Cass. pen., S.U., 25.2.2016, n. 13681, in CED rv. n. 266589-93.
6 Cass. pen., S.U., 30.10.2003, n. 45276, in CED rv. n. 226100 e, da ultimo, Cass. pen., 15.3.2013, n. 26226, in CED rv. n. 255784.
7 Cass. pen., S.U., 30.11.2017, n. 3464, in CED rv. n. 271831.
8 La questione controversa concerneva precisamente i limiti di rideterminazione della pena da parte della Corte di cassazione giustificanti l’annullamento senza rinvio.
9 Già in precedenza, significativamente, nel senso che la possibilità per la Corte di procedere direttamente alla determinazione della pena, doveva ritenersi circoscritta alle ipotesi in cui alla situazione da correggere potesse porsi rimedio senza accertamenti e valutazioni discrezionali su circostanze e punti controversi, Cass. pen., 6.12.2016, n. 6782.
10 Così Ludovici, L., Il giudizio di cassazione dopo la c.d. riforma Orlando, in Le recenti riforme in materia penale, Padova, 2017, 442; Spangher, G., Note (minime) in tema di poteri della Corte di cassazione, in Cass. pen., 1991, 593.