La circolazione delle opere: i papiri filosofici e logici
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Questa voce, articolata in quattro paragrafi, è dedicata ad una rassegna dei testi filosofici tramandati su papiro. Il primo paragrafo discute i luoghi e le date dei ritrovamenti; il secondo il contributo filologico che i papiri hanno dato nello stabilire i testi originali; il terzo le opere filosofiche recuperate grazie ai papiri; il quarto infine prende in analisi i principali testi papiracei di logica antica ad illustrazione dell’importanza che il ritrovamento di testi su papiro ha per la nostra conoscenza della filosofia antica.
Già nella prima stagione dei ritrovamenti papirologici, sia nella Villa dei Pisoni a Ercolano (dalla seconda metà del Settecento), sia in Egitto (fine Ottocento), furono recuperati numerosi testi filosofici antichi perduti nella trasmissione medievale. In particolare, ad Ercolano venne alla luce un’ampia sezione della biblioteca della cosiddetta Villa dei Papiri – o dei Pisoni, dal nome del probabile proprietario, Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, amico e patrono di Filodemo di Gadara – con predominanza di testi di Epicuro e, soprattutto, di Filodemo (con le sue 30 opere circa). Questi rotoli, di cui circa 1800 frammenti sono conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, carbonizzati e spesso devastati da lacune, sono preziosi non solo per la loro relativa antichità – sono tutti prodotti precedenti l’eruzione del Vesuvio (79), e alcuni sono di epoca ellenistica – ma perché arricchiscono la nostra conoscenza dei temi discussi nelle scuole filosofiche ellenistiche, tramandando spesso una dossografia di cui altrimenti avremmo avuto scarse notizie. Essi costituiscono inoltre una delle rare testimonianze di una biblioteca unitaria.
Dalla Grecia proviene invece uno dei più antichi papiri (d’ora in avanti riportati secondo l’uso tecnico abbreviato con “P.”). Esso risale alla seconda metà del IV secolo a.C., ed è stato rinvenuto nel 1962 fra i resti di una pira funebre a Derveni, una località nei pressi di Salonicco, dalla quale prese il nome: il P.Derveni contiene un’esegesi allegorica di poesia orfica, in un’ottica religioso-filosofica che rimanda a pensatori ionici, quali Anassagora, Diogene di Apollonia ed Eraclito, il quale viene espressamente citato.
Il territorio dell’antica Bactriana, in Afghanistan, ha contribuito ad estendere le nostre conoscenze sul primo platonismo o il primo peripato attraverso due colonne di un testo sulla methexis (la “partecipazione” delle cose sensibili alle Idee) ricavato dall’impronta sull’argilla lasciata da un papiro databile alla metà del III secolo a.C. e ritrovato negli scavi degli anni Ottanta nella capitale, Bactria, oggi Ai-Khanum.
A cavallo fra filosofia e retorica, viene recuperato un esteso rotolo del De exilio di Favorino di Arelate in un papiro (P.Vat.Gr. 11 del III secolo) proveniente dalla Marmarica, regione costiera compresa tra l’attuale Libia e l’Egitto, e acquistato per la collezione vaticana nel 1930.
Dei ritrovamenti favoriti dalla presenza in Egitto di numerosi studiosi europei dopo la spedizione napoleonica del 1825 e la conseguente scoperta della stele di Rosetta fa parte invece il rotolo (P.Paris 2) appartenente a un archivio della prima metà del II secolo a.C. ritrovato nel Serapeo di Menfi e acquistato dal Museo del Louvre nel 1827; il testo venne attribuito all’opera sulle proposizioni negative (Peri apophatikon) di Crisippo. Nei decenni successivi, l’intensificarsi dei ritrovamenti di frammenti di antichi libri greci proposti sul mercato antiquario suscitò il desiderio di recuperare una grossa parte del patrimonio letterario degli antichi presente nell’Egitto greco-romano e diede luogo, verso la fine del secolo XIX, all’individuazione di siti archeologici in cui effettuare scavi finalizzati soprattutto alla ricerca di testi antichi. Uno dei primi testi a riaffiorare fu la Costituzione degli Ateniesi (Athenaion Politeia) di Aristotele: dapprima in due pagine di un codice del IV secolo, proveniente dall’Arsinoites e acquistato nel 1880 per il Museo egizio di Berlino (P.Berol. 5009), poi l’intera opera, in un rotolo assegnabile alla fine del I secolo, che sembra essere un prodotto di uso privato. Il papiro, proveniente probabilmente dal medio Egitto (forse da Hermupolis), venne acquistato dal British Museum nel 1890. Negli stessi anni, fu acquistato dalla Papyrussammlung di Vienna uno spezzone di rotolo (P.Vindob. G 29946) proveniente dall’Arsinoites e databile alla metà del III secolo a.C. contenente aneddoti su Diogene di Sinope (alcuni dei quali si ritrovano in Stobeo), ad opera di un autore del IV secolo di ambito cinico. Sempre nell’Arsinoites, nel 1889, dal cartonnage di una mummia, F. Petrie recuperò il bellissimo rotolo del Fedone (P.Petrie I 5-8) che in origine doveva esser lungo quasi 15 metri.
All’inizio del XX secolo risale la scoperta degli Elementi di etica dello stoico Ierocle (P.Berol. 9780): un rotolo di un metro databile al II-III secolo, acquistato per la collezione berlinese nel 1901 e proveniente da Hermupolis.
Negli anni successivi, grazie soprattutto alla serie The Oxyhrynchus Papyri, ora in 75 volumi, che raccoglie tutti i papiri provenienti dagli scavi di Ossirinco dal 1897 al 1906 ad opera di Bernard Pyne Grenfell e Arthur Surridge Hunt, e in massima parte conservati all’Ashmolean Museum di Oxford, acquisiamo una gamma di autori e di opere filosofiche assai più variegata.
Una fonte importante per il recupero di testi filosofici di età tolemaica è costuita dai cartonaggi delle mummie ritrovati per lo più nell’Arsinoites. Dall’antica “Città delle àncore”, ora El-Hibeh, già dalla fine dell’Ottocento, e poi dallo scavo nella necropoli del 1902 ad opera di Grenfell e Hunt, proviene una serie di opere da mettere in relazione con ambiti di studio di influenza peripatetica, come, ad esempio, l’ampio frammento della Retorica ad Alessandro tradito da P.Hibeh I 26 e il testo in P.Hibeh I 16 attribuito al De aquis di Teofrasto.
L’assenza dei titoli, che, con l’eccezione dei rotoli di Ercolano (in cui più di 70 esemplari conservano la subscriptio, ovvero nome dell’autore, titolo dell’opera e numero dei righi), compaiono assai raramente nei frammenti egiziani, o la mancanza di precise corrispondenze con testimonianze antiche, ha fatto sì che svariati frammenti attribuiti nella prima metà del XX secolo siano stati in seguito riesaminati con maggiore cautela e restituiti all’anonimato. È il caso, ad esempio, del P.Oxy 9+2687 e del 667, assegnati ad Aristosseno; del P.Hibeh 13, assegnato al sofista Ippia; del sopra citato P.Paris 2, attribuito a Crisippo, e di diversi testi assegnati a Teofrasto.
Superata la fase della filologia ottocentesca che spesso contrapponeva la preminenza e la superiorità della tradizione dei manoscritti medievali – derivati dalla filologia bizantina e dalla cultura di “biblioteca” dei prodotti librari – alla trasmissione dei testi rinvenuti nei rotoli papiracei, si è posta in seguito maggiore attenzione alla qualità della trasmissione del testo apportata da un papiro in coerenza con la linea di tradizione a cui si avvicina, definendo il tipo di prodotto librario testimoniato e rintracciandone le buone lezioni al di là dei filoni consolidati nelle famiglie dei codici maggiori. Come appropriatamente fa rilevare Antonio Carlini (Corpus dei papiri filosofici greci e latini, 1989): “ciò che distingue e individua l’apporto testimoniale dei papiri in ogni caso è che essi risalgono ad età che sono anteriori alla serie di filtri, di strozzature, di strettoie che costellano il percorso tradizionale di un autore antico: edizioni critiche (ad esempio edizione accademica di Platone) che si sono imposte recidendo magari buoni rami e ramoscelli tradizionali dotati di una loro vitalità” (p. XIV). Naturalmente, per partire proprio dall’importante tradizione platonica, c’è differenza tra gli esemplari della prima età tolemaica, come il P.Petrie II 50 Lachete dell’inizio del III secolo a.C. e il P.Petrie I 5-8 Fedone della prima metà del III secolo a.C., che sono ricchi di varianti, distinte e spesso superiori alla tradizione manoscritta, e quelli di età imperiale, in cui la presenza di un’edizione autoritativa ha ormai tracciato un corso più stabile in cui è incanalata la trasmissione del testo. Ciò nonostante, anche nei papiri di II-IV secolo emerge un quadro tradizionale in cui si trovano lezioni superiori in singoli papiri che si accordano con codici più tardi – testimoniando la vitalità di tradizioni per le quali non potevamo presupporre un’origine antica – o che si pongono aporeticamente di fronte a lezioni entrambe note dalla tradizione medievale di cui il papiro si fa portatore (ad esempio P.Oxy. VII 1017 del III secolo riporta il testo base del Fedro e, in margine, tutta una serie di lezioni alternative) o ne introducono di nuove (come, nello stesso papiro, il famoso termine autokineton riferito all’anima nel Fedro, 245c, di contro all’aeikineton di tutta la tradizione manoscritta). Molti esemplari papiracei platonici testimoniano un assiduo lavoro di revisione e/o di collazione del testo: sono stati infatti corredati di segni critici e, in taluni casi, anche di scholia; è questo il caso di P.Oxy. XV 1808 della fine del II secolo che contiene il libro VIII della Repubblica. Importante anche la presenza di parafrasi o commenti del testo platonico: il caso del rotolo di un anonimo commentatore medioplatonico al Teeteto (BKT II), che in 75 colonne conserva il dialogo dal proemio fino a 158a2 con una parafrasi e un commento, è prezioso non solo come testimonianza dell’esegesi platonica del I-II secolo, ma anche perché consente di valutare una parte estesa del testo. Infatti il testo riportato dal commentatore presenta alcune varianti interessanti e reca l’importante notizia che un’altra versione del prologo del dialogo circolava nel I-II secolo (epoca di composizione del commento).
Nell’ambito dei papiri aristotelici emergono un tardo codice (metà del V sec.) che conserva un passo degli Analytica posteriora corredato di scholia in cui sono presenti due lezioni peculiari, seppure inferiori alla tradizione manoscritta, e il rotolo delle Categorie, P.Oxy. XXIV 2403 (inizio III secolo), che, pur presentando varianti discutibili, testimonia che i capitoli 10-15, detti anche Postpraedicamenta, erano considerati parte dell’opera, nonostante il parere contrario dell’editore di Aristotele Andronico di Rodi.
Per quanto riguarda Teofrasto, si segnala il frammento (tradito in P.Oxy. LII 3721) del De ventis 4-7, che conserva lezioni superiori al testo della tradizione manoscritta medievale e, contrariamente a quanto si riteneva, testimonia il livello di corruttele che presenta il codice principe (Vat. Gr. 1302 P).
Rispetto a Plutarco, il valore della tradizione papiracea consiste soprattutto nella pressoché contemporaneità di alcuni papiri, risalenti agli inizi del II secolo, all’età dell’autore, cosa che rivela l’ampia circolazione dei testi in Egitto, in particolare Ossirinco, da cui proviene la maggior parte di essi.
I papiri di Ercolano restituiscono il più cospicuo ritrovamento di testi filosofici, soprattutto epicurei quali i libri II, XI, XIV, XV, XXVIII, XXXIV del Peri physeos di Epicuro, gran parte dell’opera di Filodemo, Colote, Metrodoro, Demetrio Lacone, Carneisco, Polistrato, Zenone Sidonio, ma anche opere di filosofi stoici come i Logika zetemata di Crisippo.
Per quanto riguarda i ritrovamenti di diversa provenienza, a parte le testimonianze di letteratura sapienzale arcaica, come i Detti dei Sette Sapienti e le Gnomai attribuite ad Epicarmo, un papiro della collezione di Strasburgo (P.Strasb. gr. 1665-1666), assegnabile al I secolo, riporta passi di Physica I-II di Empedocle in cui si parla di temi religiosi che venivano riferiti ai Katharmoi. Sotto il nome di Democrito (68B300, 19 e 20DK) due papiri conservano poi materiali magici e alchemici. Per quanto riguarda l’antica sofistica, di Antifonte recuperiamo un lungo brano dal perduto De veritate (P.Oxy. XI 1364+LII 3647 e XV 1797), la cui conoscenza frammentaria viene così arricchita.
I papiri platonici (una novantina di frammenti, appartenenti a tutte le collezioni papirologiche, che si estendono dal III secolo a.C. al VI d.C.) riportano passi di tutti i dialoghi della II, III, V, VI, VII tetralogia, con l’eccezione del Critone e dello Ione. Non mancano invece i dialoghi spuri (tranne Sisifo e Assioco) ed anzi a Platone viene attribuito anche l’Alcione, di cui P.Oxy. LII 3683 del II secolo conserva battute finali e titolo, prova della circolazione a quell’epoca del dialogo insieme a quelli spuri; in seguito, il testo verrà aggregato anche al corpus delle opere di Luciano di Samosata. È importante notare che sono attestate anche le Epistole (II e VIII), nel quadro della diffusione di un tipo di letteratura a margine di quella filosofica; il fenomeno è interessante in quanto veniamo a conoscenza di versioni ampliate o diverse da quelle della tradizione manoscritta (cfr. per Eraclito, Ep. VII, P.Gen. 271 del III secolo; per i pitagorici, Ep. 3 e 5 Städele, P.Haun. II 13 del III secolo; per Aristotele, ep. II ad Alexandrum, P.Mich. 1676b del I secolo a.C. - I d.C.).
Ricche di notizie sono anche le varie Vite o le opere che registrano allo stesso tempo dati biografici, aneddotici e dossografici, di cui possediamo vari frammenti: per Socrate, si veda il P.Hibeh II 182 (III sec. a.C.), per l’epicureo Filonide, P.Herc. 1044 (I sec.), per il filosofo Secondo “il silenzioso”, P.Ross.Georg. I 17 (III sec.) e P.Lond.Lit. 198 (V/VI).
Per quanto riguarda Aristotele, la decina di papiri che possediamo, oltre alle opere di logica (Analitici Secondi, Categorie, Topici) e alla Costituzione degli Ateniesi, trasmettono frammenti dell’Etica a Nicomaco (P.Oxy. XXIV 2402, II sec.), della Politica (P.Mich. 6643+P.Brux. E 8073, del I/II) e dell’Historia animalium (P.Rein. 80, II sec.), sebbene sia trasmesso il libro X da considerare spurio, oltre a un brano dell’Epitome a quest’opera compilata da Aristofane di Bisanzio (P.Lond.Lit. 164, II-III sec.). Un esiguo frammento di una collezione privata (P.Vindob. Barbara 22 del V/VI, ora al Museo del Papiro di Siracusa) riporta un brano del De caelo, ma frammenti di altre opere, come la Fisica o il De partibus animalium (I sec. a.C. - I d.C.), appariranno nei prossimi volumi degli Oxyrhynchus Papyri. Fra le opere di tradizione indiretta recuperiamo un frammento del Protrettico (P.Oxy. IV 666, II sec.). Tra gli immediati discepoli di Platone e Aristotele, troviamo Eraclide Pontico (P.Oxy. IV 664+L 3544 dell’inizio del III secolo con buona probabilità attesta un frammento del suo De imperio) e Teofrasto (Caratteri 7 e 8 in P.Hamb. II 143, e un’interessante Epitome ai Caratteri 25-26 in P.Oxy. IV 699, probabile opera di ambito retorico della fine del II secolo).
Passando all’era cristiana, P.Harris I 1 del III secolo reca un frammento della diatriba XV di Musonio Rufo, rappresentante dello stoicismo del I secolo della Roma imperiale, che consente di colmare una lacuna presente nella tradizione manoscritta. Per quanto riguarda la diffusione dell’opera di Ierocle, egregio divulgatore della dottrina stoica in età imperiale, si noterà che la datazione del papiro alla seconda metà del II secolo dovrebbe essere di poco posteriore all’acme dell’autore stesso. Testimone di spicco del platonismo, Plutarco è presente in un certo numero di papiri, anche estesi, delle Vitae, e, per quanto riguarda le opere filosofiche (Moralia), in due papiri del II secolo con le Quaestiones convivales e in due (PSI 565, del II e P.Harrauer 1 del V) con il De cohibenda ira; inoltre un passo del Septem Sapientes convivium, opera inserita nel Catalogo di Lampria ma ritenuta spuria (P.Oxy. LII 3685 della prima metà del II secolo). Interessanti altri tre pezzi collegati al corpus plutarcheo: il primo conserva estesi brani dell’epitome del De placitis philosophorum di Aezio che va sotto il suo nome (P.Ant. II 85+III 213 un codice del III secolo); il secondo, rappresentato da due diversi papiri del II e III secolo che si sovrappongono testualmente, conserva delle “questioni greche” che assomigliano a quelle plutarchee (cfr. P.Oxy. XXXIV 2688 e 2689); il terzo (P.Lond.Lit. 175, III d.C.), per i confronti che è possibile stabilire con la Vita Homeri pseudo-plutarchea e dei brani di Stobeo assegnati a Plutarco, è stato messo in riferimento con la perduta opera Homerikai meletai.
A parte i numerosi testi di autori noti, i papiri ci consegnano una messe di frammenti di cui possiamo solo indicare la scuola o l’ambito di appartenenza: si spazia da opere di scuola platonica (P.Munch. II 21+P.Heid. 28 del III secolo a.C., commento o trattato che discute il Fedone; P.Vindob. G 24800 I/II che discute la dottrina delle Idee), aristotelica (P.Vindob. G. 26008 del III secolo, variamente attribuito ad opere aristoteliche), forse scettica (P.Louvre E 7733 recto II secolo a.C.), epicurea (P.Heid. 1740 recto, P.Oslo 1039 del II), stoica (P.Mil.Vogliano 1241 recto del II sec.), a dialoghi di tipo socratico (P.Köln V 205 del III sec. a.C., PSI XI 1215 del I sec.), a numerose diatribe dalla prima età ellenistica a quella romana, e ancora a testi sulla religiosità (di tipo epicureo: P.Oxy. II 215 II-I sec. a.C., di tipo teofrasteo: P.Petrie II 49 E fine III sec. a.C.) per finire con un testo di fisica neoplatonica della metà del VI secolo (PSI 1400).
Importanti sono poi i prodotti provenienti dall’ambito “scolastico” in senso lato: da una parte commenti ed epitomi che accompagnavano gli studi superiori, come il famoso Commento al Teeteto di Platone (lo stesso autore si autocita come commentatore di altri dialoghi platonici, Fedone, Simposio, Timeo, e sempre nello stesso volume dei BKT, l’Epitome alle Leggi conservata in P.Berol. 9766 del III sec.); dall’altra parte testi di letteratura gnomica, dalla singola massima attribuita, ad esempio, a Talete, ad Antistene, a Socrate, agli gnomologi che riportano passi che compaiono anche nella tradizione tarda di Stobeo o di Massimo Confessore, sino alle “perle di saggezza in un sol rigo” delle Menandri sententiae.
Un arricchimento per i filosofi antichi sostanzioso, ancorché frazionato in singole citazioni o frammenti, apportato dai papiri si ricava poi da molteplici opere di vari generi: erudizione, critica letteraria, storia, dossografia, scoliastica, anche medica: si consideri il caso esemplare degli Iatrica dell’Anonimo Londinese (P.Br. Lib. inv. 137, I sec.). Non si può tacere infine la miniera dossografica rappresentata dal ritrovamento dei codici di Turah (VI-VII sec.) delle opere di Didimo il Cieco, testimonianza di come la memoria dei filosofi greci – anche presocratici – si preservasse nell’Egitto cristiano per giungere fino all’età araba attraverso la mediazione cristiana.
Tutte le informazioni relative alle opere, frammenti e testimonianze di filosofi traditi da papiri si possono trovare nell’opera Corpus dei papiri filosofici greci e latini (Firenze, Olschki 1989-) e nella serie Studi e testi per il Corpus dei papiri filosofici greci e latini (ibidem).
Passiamo ora all’analisi di alcuni papiri di logica, come esempio del contributo dei testi papiracei alla nostra conoscenza della filosofia antica.
Come abbiamo visto, la maggior parte dei testi di logica preservati su papiro ha principalmente la limitata, benché preziosa, funzione di confermare o arricchire la nostra lettura degli stessi testi tramandati anche su manoscritto. Tuttavia, possediamo alcuni papiri che conservano (anche se solo parzialmente) testi logici che altrimenti sarebbero andati completamente perduti.
P.Herc. 1065: Il De signis di Filodemo
Il caso più eclatante è quello del P.Herc. 1065 che ci tramanda il De signis di Filodemo di Gadara. Il titolo greco dell’opera è corrotto; De Lacy e De Lacy (On Methods of Inference, 1978) nella seconda edizione del papiro hanno adottato il titolo greco incompleto Peri semeioseon e il più noto titolo latino De signis. Poeta e filosofo epicureo proveniente dalla Siria, Filodemo studia ad Atene per poi spostarsi in Italia nel I secolo a.C., dove a Napoli forse fonda e sicuramente dirige un’importante scuola epicurea, a testimonianza della cui esistenza abbiamo i numerosi ritrovamenti nella Villa dei Pisoni ad Ercolano. P.Herc. 1065 è ben conservato, con poche lacune (ma con molti errori e correzioni); esso preserva 38 colonne continue della seconda parte dell’opera in cui Filodemo espone le opinioni di quattro epicurei. Il De signis è, quindi, una sorta di raccolta di fonti su dottrine e argomenti epicurei. Il tema generale è quello della difesa della teoria epicurea dell’“inferenza tramite segni” (semeiosis) contro un attacco probabilmente stoico. Tale teoria non è esposta direttamente, ma può essere ricostruita da quanto argomentato in sua difesa. In breve, un’inferenza tramite segni è un’inferenza che da qualcosa di noto (“ciò che appare”, essendo parte della nostra esperienza in senso lato) conduce a qualcosa di non noto (“ciò che è non chiaro”, non (ancora) noto), solitamente nella forma “Dal momento che (epei)..., allora...”: ad esempio, “Dal momento che gli uomini nella mia esperienza sono mortali, allora tutti gli uomini sono mortali” (tali inferenze non vanno confuse con induzioni classiche: cfr. Barnes J., Epicurean Signs, “Oxford Studies in Ancient Philosophy” s.v. 1988, pp. 110-11). Per gli epicurei le inferenze tramite segni sono valide in virtù della somiglianza tra le cose che sono oggetto dell’inferenza. Per esempio, l’inferenza “Dal momento che c’è il movimento, allora c’è il vuoto” va validata nel seguente modo: dopo aver considerato tutto ciò che, nella mia esperienza, accompagna ogni oggetto in movimento e in assenza del quale non ho sperimentato movimento, affermo che tutti i casi di movimento sono simili da tale punto di vista; posso quindi inferire che non può darsi movimento senza vuoto (cfr. De signis viii.26-ix.3).
Esponenti della scuola stoica avevano una teoria rivale secondo la quale inferenze tramite segni sono validate per “eliminazione” (anaskeue), e non per somiglianza: l’inferenza “Dal momento che c’è il movimento, allora c’è il vuoto” è valida solo nel caso in cui non ci fosse il vuoto (cioè il conseguente fosse “eliminato”), allora non ci sarebbe neanche il movimento esattamente perché non c’è il vuoto (cioè anche l’antecedente sarebbe “eliminato”). Nel De signis le obiezioni alla teoria epicurea sono di due tipi: (a) inferenze basate sulla somiglianza non hanno valore di necessità; (b) il concetto di somiglianza invocato è troppo vago. L’obiezione (b) è presa in considerazione all’interno della difesa della teoria epicurea da parte di Demetrio di Laconia (il terzo epicureo menzionato in P.Herc. 1065). Da tale difesa, articolata in cinque punti, Barnes (1988, pp. 112-130) ha estratto cinque regole che governano il concetto di somiglianza e le condizioni di inferenza, ricostruendo così una plausibile teoria epicurea delle inferenze tramite segni. Quando si procede alla validazione di un’inferenza quale “Dal momento che tutti gli X (uomini) di cui ho esperienza sono Y (mortali), tutti gli X sono sempre e comunque Y” bisogna (1) selezionare la caratteristica X maggiormente rilevante nel rendere tutti i casi di Y considerati simili tra di loro (tutti gli uomini mortali osservati sono specialmente simili non nell’avere occhi, ma nell’essere uomini); (2) considerare una grande varietà di X, includendo casi anomali (come nani e giganti); (3) derivare la conclusione se e solo se non ci sono contro-argomenti (basati ad esempio su differenze fondamentali nel gruppo degli X); (4) selezionare la caratteristica X tale che tutti gli X osservati sono Y in quanto X (tutti gli uomini sono mortali in quanto uomini, e non in quanto bipedi terrestri; questo implica anche la necessità del nesso inferenziale, cioè risponde all’obiezione (a): se gli X sono Y in quanto X, allora essi sono necessariamente Y); (5) accettare l’inferenza se e solo se non è possibile concepire che tutti gli X noti sono Y ma possa esistere qualche X non noto che non è Y (anche questo suggerisce la necessità della conclusione).
Questa breve descrizione dovrebbe essere sufficiente a dimostrare la grande importanza del ritrovamento di P.Herc. 1065: esso ci restituisce una presentazione di prima mano delle idee epicuree sulle inferenze tramite segni (a cui altrimenti non avremmo accesso), informandoci di un’intensa disputa su tali idee tra gli epicurei e scuole rivali e indicando l’esistenza di una varietà e sviluppo delle teorie epicuree (contro l’assunzione comune che gli epicurei fossero estremamente dogmatici e ortodossi nel perpetuare le dottrine di Epicuro).
P.Herc. 1479 e P.Herc. 1717: Sulla Natura XXVIII di Epicuro
Anche quanto ci resta dell’opera Sulla Natura di Epicuro è conservato solo su papiri ercolanesi. Di particolare interesse per noi è il libro XXVIII, conservato parzialmente in P.Herc. 1479 e P.Herc. 1717: il papiro originario si spezzò in due parti che furono catalogate separatamente. Il frammento conclusivo e più lungo (contenente parti di 12 colonne consecutive) include una breve discussione del sofisma del Velato. Il sofisma, non citato da Epicuro, è il seguente:
(1) È possibile conoscere e non conoscere una stessa cosa? No.
(2) Conosci tuo padre? Si.
(3) Conosci quest’uomo con il velo sul volto? No.
(4) Ma quest’uomo è tuo padre.
(5) Dunque è possibile conoscere e non conoscere la stessa cosa.
Il Velato, introdotto dal megarico Eubulide, è già analizzato da Aristotele (Elenchi sofistici 24, 179a27-b7); la discussione di Epicuro è radicalmente diversa in quanto inserita, seguendo la ricostuzione congetturale di Sedley (Epicurus On Nature XXVIII, “Cronache Ercolanesi” 3, 1973), nella discussione di carattere epistemologico del “ragionamento pratico” (epilogismos) usato per giudicare la verità o falsità di un’opinione (se un’opinione ha conseguenze sull’agire umano, allora se ne constaterà la falsità se le azioni conseguenti sono svantaggiose; nel caso invece di un’opinione teorica su ciò che non è accessibile ai sensi, se essa conduce a conseguenze notoriamente false o, indirettamente, ad azioni svantaggiose, allora è falsa). Una soluzione “pratica” è proprio ciò che Epicuro propone in risposta al Velato. Egli spiega che chi accetta (1) ed è poi condotto ad accettare (5) sulla base di (2)-(4) lo fa solo perché non ha realizzato, sulla base di dati empirici, che in circostanze normali è impossibile conoscere e non conoscere la stessa cosa con l’eccezione del caso citato dal sofista; in realtà la vittima del sofisma non sta accettando la verità di (5): se lo facesse ne cercherebbe subito conferma pratica secondo epilogismos, cosa che invece non fa (e che quindi prova che non ha mai realmente accettato (5)).
La prospettiva di Epicuro è decisamente lontana da quella dialettica di Aristotele, il quale mira ad individuare la fallacia logica al cuore dell’argomento sofistico, e, in tutta onestà, conferma la ben nota avversità di Epicuro alla logica.
P.Herc. 307: Le Ricerche logiche di Crisippo
Crisippo è il massimo rappresentante dello stoicismo antico specialmente per quanto riguarda gli studi di “logica” (per gli stoici la logica includeva tutto ciò che ha a che fare con il logos, “discorso razionale”). Purtroppo le sue 130 opere (in 300 libri) di logica sono andate perdute, ad eccezione di alcuni frammenti di un libro delle Ricerche logiche (in 39 libri) tramandati da P.Herc. 307. Dato lo stato molto frammentario del papiro, una ricostruzione del suo contenuto non è semplice. Il primo tema trattato sembra essere quello dei “predicabili” (semplificando, i significati dei verbi) e “asseribili” (semplificando, i significati degli enunciati) passati, plurali e passivi: a prima vista il papiro sembra presentare argomenti a favore della tesi che non esistono predicabili e asseribili passati, plurali e passivi. Questo tuttavia contrasta con quanto riportato da altre fonti; perciò Crivelli ha proposto di interpretare questi argomenti di P.Herc. 307 come attacchi alla dottrina crisippea contro cui Crisippo si starebbe difendendo (The Stoic analysis of tense and of plural propositions in Sextus Empiricus, ’Adversus Mathematicos’ x 99, “Classical Quarterly” 44 (1994)). Per quanto riguarda il resto del papiro, Baldassarri (Crisippo. Il catologo degli scritti e i frammenti dai papiri, 1985) suggerisce che il tema principale sia l’ambiguità linguistica, mentre Atherton (The Stoics on Ambiguity, 1993) sostiene che non ci siano ragioni sufficienti per ritenere che quello fosse il tema principale. Mi limito ad elencare alcune questioni che sembrano essere discusse nel resto del papiro: (1) problemi connessi all’uso dei pronomi deittici e all’ambiguità di significato di enunciati in cui non è chiaro quale sia il soggetto e quale il predicato; (2) difficoltà connesse ad espressioni che sono singolari nella forma ma plurali nel significato, come “nostro” e “l’insieme”; (3) ambiguità sintattica di certi enunciati, laddove enunciati aventi la stessa struttura non sono invece ambigui; (4) forse il paradosso del Sorite; (5) il paradosso del Mentitore; (6) il problema se ci sono “dicibili” (lekta) corrispondenti a certi comandi complessi, ad esempio “Cammina; altrimenti sta’ seduto”.
P.Herc. 307 prova quanto le analisi crisippee di temi logici fossero tecniche e dettagliate, a differenza delle sommarie testimonianze di seconda e terza mano su cui solitamente siamo costretti a basarci per la ricostruzione della logica stoica.
All’ambito stoico sembrano appartenere anche due papiri adespoti: P.Paris 2 e P.Mich. 2906. P.Paris 2, che preserva 15 colonne di testo e che secondo Donnini Macciò e Funghi (Il Papiro Parigino n. 2, in W. Cavini, M. C. Donnini Macciò, M. S. Funghi e D. Manetti, Studi su papiri greci di logica e medicina, 1985) risale circa al 200 a.C., è stato inizialmente attribuito al Peri apophatikon (“Sulle negazioni”) di Crisippo. Tale attribuzione è rigettata da von Arnim (SVF I, 1905-1924), secondo il quale si tratta invece di un esercizio scolastico. Un’altra ipotesi, interessante e persuasiva, è avanzata da Walter Cavini (La negazione di frase nella logica greca, in W. Cavini, 1985, cit.): P.Paris 2 conterrebbe una critica nei confronti di una teoria logico-grammaticale della negazione secondo cui la negazione non equivoca di un enunciato si ottiene anteponendo la pura particella ou (“non”) all’intero enunciato (questa teoria era stata probabilmente ideata al fine di evitare certi casi di ambiguità). Lo stile è dialettico: la teoria criticata è assunta al fine di mostrarne le conseguenze assurde. Anche se l’idea della negazione preposta si ritrova già nei dialettici e negli stoici, la dottrina oggetto d’attacco in P.Paris 2 non può essere attribuita ad essi. Data la terminologia stoica, è possibile però che l’opera parzialmente preservata nel papiro sia stata composta da uno stoico della seconda metà del III secolo a.C. per criticare la suddetta teoria estrema della negazione. Secondo Cavini, la maggior parte dei 26 argomenti deduttivi ricostrubili in P.Paris 2 ha la seguente struttura: l’iniziale premessa condizionale asserisce che se un certo enunciato negativo detto da un poeta (non-P) è stato effettivamente detto, allora ad esso si deve opporre un corrispondente enunciato affermativo (P); ma la seconda premessa asserisce che in realtà non è possibile affermare P (dal momento che P è un enunciato grammaticalmente scorretto); dunque la conclusione paradossale è che non è possibile che il poeta abbia detto quel che ha detto. Il problema risiede nella falsità della premessa iniziale: tutte le citazioni poetiche iniziano con una negazione diversa da ou (ouk, oppure ou in composizione con o seguito da una particella enclitica) e l’autore mostra che applicando la teoria secondo cui l’enunciato negativo è sempre formato preponendo ou la contraddittoria affermativa risulterebbe essere mal formata o non corretta grammaticalmente. Se questa ricostruzione è esatta, P.Paris 2 allude ad una dottrina logica sulla negazione di cui altrimenti non avremmo notizia e conserva un’attacco ad essa.
Il P.Mich. 2906, che preserva un frammento di 18 righe, è stato interpretato da Kneale (P.Mich. inv. 2906, a fragment of logic, “Zeitschrift für Papyrologie und Epighraphik” 10, 1973) come un testo di tradizione stoica contenente tre dimostrazioni del teorema “Se A, allora non-B; se A, allora B; non-A” (tale teorema sarebbe fornito in due righe scritte nel margine superiore del papiro). Il suggerimento che il frammento provenga da un testo stoico è decisamente plausibile, come anche la terminologia indica (a parte l’uso degli ordinali tipici della logica stoica, anche i connettivi sembrano essere stoici), ma importanti critiche possono essere mosse alla ricostruzione di Kneale. Secondo un’altra ricostruzione, basata su una diversa interpretazione del testo e in particolare delle due righe nel margine del papiro, P.Mich. 2906 presenta quattro argomenti sillogistici con struttura simile (due premesse complesse e una premessa semplice, non-B) e aventi tutti non-A come conclusione; che tali argomenti siano sillogistici sarebbe indicato dal commento a margine (per gli stoici un sillogismo è un argomento valido, la cui validità viene provata tramite riduzione, utilizzando regole di inferenza chiamate themata, a uno dei cinque schemi argomentativi validi fondamentali, chiamati “anapodittici”). P.Mich. 2906 sembrerebbe dunque discutere una tipologia specifica di argomenti formali dei quali si indaga la sillogisticità, confermando l’interesse dei logici stoici per aspetti puramente formali della logica. (Per tale interpretazione cfr. Di Lascio E.V., Papyrus Michigan 2906 Revisited: A Fragment of non-Chrysippean Logic?, “Papiri Filosofici. Miscellanea di Studi” 5, 2007)
Restano altri, per la maggioranza brevi, papiri adespoti che sembrano trattare di logica: P.Oxy. 3320, P.Hibeh 184, P.Hibeh 189, PSI 1095. Di recente identificazione aristotelica sono invece P.Harris 2 e P.Rylands 510r+P.Giss.Lit. 4.8. Tutti questi papiri sono variamente discussi in “Papiri filosofici. Miscellanea di studi” 6 (2011).
Antifonte
De veritate
Si offre alla vista che le cose che sono per natura sono necessarie in tutti gli uomini e si possono procurare da parte di tutti in virtù delle stesse facoltà; sotto questo aspetto nessuno di noi è distinto, né come barbaro, né come greco. Tutti aspiriamo l’aria per la bocca e le narici; e ridiamo se siamo allegri e piangiamo se siamo addolorati, e con l’udito recepiamo i suoni, e per la luce attraverso la vista vediamo, e con le mani lavoriamo, e con i piedi camminiamo. […]
Filodemo
De Signis
Comprendiamo che se c’è movimento c’è vuoto in nessun altro modo che attraverso il metodo della similarità, stabilendo che il movimento non si può realizzare in assenza di vuoto. Così, dopo aver passato in rassegna tutto ciò che accompagna oggetti in movimento nella nostra esperienza, in assenza di cui non vediamo alcunché muoversi, in questo modo diciamo che tutte le cose che si muovono in qualche modo si muovono similmente, e attraverso tale metodo operiamo l’inferenza tramite segni che non ci può essere movimento senza vuoto.