Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le trasformazioni urbanistiche attuate in Europa nel corso del Settecento ruotano intorno alla necessità di conferire un assetto più moderno e funzionale all’organizzazione spaziale delle città, spesso ritenute inadeguate per una vivace crescita economica, tuttavia le aspirazioni al rinnovamento spesso rimangono proposte progettuali: numerosi sono infatti gli spunti teorici tesi a ridefinire il ruolo, le funzioni e il disegno stesso della città. L’applicazione di più razionali criteri d’intervento dovrebbe configurare un nuovo ordine urbano, improntato a una maggiore economicità, salubrità e decoro, caratterizzato da servizi diffusi e sostenuto da una coerente organizzazione delle risorse impiegate. Questi nuovi principi vengono formulati soprattutto nell’ambito della ricerca critica condotta da parte dei philosophes illuministi e costituiscono un tratto rilevante dei loro disegni riformatori. La cultura architettonica ne assorbe poi il segno, impiegandolo, al di là delle affermazioni teoriche, in una grande varietà di concrete soluzioni sperimentali.
Le trasformazioni di Parigi
Le vivaci modificazioni avvenute in molte città francesi durante il Settecento seguono dapprima gli orientamenti già programmati nel corso del grand siècle, per muoversi poi lungo la strada suggerita dai plans d’ensemble e dai plans d’embellissement, due strumenti di coordinamento progettuale più razionali e complessi di quelli impiegati nel passato. Tra gli interventi più rilevanti si segnala in primo luogo il completamento delle places royales.
A Parigi, una volta portate a compimento la Place des Victoires e la Place Vendôme secondo i progetti di Jules-Hardouin Mansart, l’amministrazione cittadina promuove la costruzione di una piazza dedicata a Luigi XV (1749), affidandone le sorti a un concorso che impegna gli ingegni architettonici più vivaci dell’epoca. La soluzione offerta da Jacques-Ange Gabriel individua un’area all’estremità occidentale dei giardini delle Tuileries (l’attuale Place de la Concorde) e propone di regolarizzarla come un ampio spazio libero su tre lati, circondato da fossati (ora colmati) e chiuso da due palazzi gemelli solo sul versante settentrionale, dove si innestava la Rue Royale, allineata con la facciata della nuova chiesa della Madeleine.
Altri interventi di vasto respiro urbanistico, come le proposte di Giovanni Nicolò Servandoni per Place Saint-Sulpice (1752) o la riorganizzazione del quartiere dei Cordeliers da parte di Jacques Gondouin, furono attuati solo in parte. Tra le realizzazioni architettoniche di maggior impatto per l’organizzazione della città: l’École Militaire (1751-1788) dello stesso Gabriel, che ridefinisce monumentalmente l’area degli Invalides; la chiesa dedicata alla santa protettrice di Parigi, Sainte-Geneviève, di Jacques-Germain Soufflot (iniziata nel 1757 e poi trasformata in Panthéon nel 1791 e, a partire dal 1784, la costruzione delle barrierès della nuova cinta daziaria, progettate da Claude-Nicolas Ledoux. Nonostante questi interventi, soltanto negli anni della Rivoluzione francese cominceranno a formarsi progetti di più ampio respiro, attuati solo negli ultimi anni del secolo e soprattutto all’inizio dell’Ottocento.
Teorie urbanistiche nell’età dei Lumi: il ruolo di Pierre Patte
Mentre Parigi cresce sulla spinta di questi interventi – tutto sommato circoscritti – si fanno strada diverse proposte che insistono sulla necessità di trasformazioni radicali dell’intera città, giudicata poco funzionale e insalubre. Le critiche di Voltaire che si rivolgono aspramente contro l’organizzazione ancora medievale del centro cittadino (Des embellissements de Paris, 1749), influenzano ulteriori riflessioni letterarie, come nel caso di Sébastien Mercier, e stimolano concreti spunti progettuali. Una risposta particolarmente significativa in tal senso è quella espressa da Pierre Patte, l’architetto-urbanista che per primo sostiene l’opportunità di approntare alla città un vero e proprio piano regolatore, capace di correggere le presunte imperfezioni strutturali e di determinare una nuova forma urbana più razionale. Nel 1765 Patte illustra i progetti presentati in occasione del concorso per la piazza a Luigi XV, sotto forma di un collage delle diverse proposte a suo tempo fatte dai vari partecipanti, e correda l’opera con uno scritto in cui espone programmaticamente le proprie idee in merito a un piano di “abbellimento totale” della città. Pochi anni dopo (1769), nelle sue Mémoires sur les objects les plus importants de l’architecture, lo stesso Patte enuncia compiutamente i temi di una critica funzionalista al modello tradizionale della città di ancien régime. La cosiddetta distribution vicieuse des villes dovrebbe essere combattuta attraverso migliori comunicazioni (nuovi tracciati e rettifiche stradali), prescrizioni igieniche capaci di contrastare le exalaisons (ovvero le fonti di corruzione dell’aria, dell’acqua e di inquinamento acustico), politiche di decentramento residenziale, produttivo e sanitario – è questo il caso dei cimiteri – da favorire attraverso l’istituzione di una diffusa rete di servizi pubblici. La visione utilitaristica di Patte richiama alla mente i concetti classici di commoditas e di utilitas, ma anche alcuni principi teorici esposti da Marc-Antoine Laugier nel suo Saggio sull’architettura (1753), quali la necessità di variare la gamma delle soluzioni formali da applicare all’architettura della città o la volontà di applicare a quest’ultima (paragonata a una foresta) le tecniche d’intervento proposte per i grandi parchi extraurbani.
Piani urbanistici per le città francesi
Dagli anni Venti del Settecento la Francia conosce una crescita economica che si riflette sullo sviluppo urbanistico, improntato alla magnificenza e al gusto classicistico proprio del regime monarchico e accentratore. La crescita demografica provoca una domanda crescente di derrate alimentari, parzialmente soddisfatta dai progressi agricoli, e al tempo stesso si assiste, nonostante i colpi inferti dall’Inghilterra all’impero coloniale francese, a uno sviluppo commerciale, marinaro e manifatturiero che per le città portuali affacciate sull’Atlantico (Brest, Le Havre, Bordeaux) e sul Mediterraneo (Marsiglia, Tolone) ha importanti conseguenze sul piano urbanistico.
In molte città francesi di media dimensione si moltiplicano le iniziative di “abbellimento” e ristrutturazione in base a piani di maggiore razionalità proposti nel corso del Settecento. A Lione Jacques-Germain Soufflot, dopo avere realizzato l’Hôtel Dieu (1741), contribuisce a prefigurare l’espansione della città in concorso con Perrache e Morand, promotori rispettivamente dello sviluppo a sud e a est, oltre Rodano. A Toulouse viene proposto un piano di ampliamento da parte di Louis de Mondran (1752), coordinato da un reticolo di boulevards radiali che confluiscono in un sistema di piazze e rond-points. Rennes, devastata da un incendio nel 1720, viene ricostruita secondo schemi di grande regolarità su disegno di Robelin.
Particolarmente significativi, infine, sono gli interventi di trasformazione urbanistica di Nancy e di Nantes. A Nancy, capitale del ducato di Lorena, l’ex re di Polonia Stanislao Leszczynski, sovrano illuminato, letterato e urbanista dilettante, mette in pratica a partire dal 1750 alcuni principi architettonici che animano la città attraverso una sequenza di interventi – coordinati dall’architetto Emmanuel Héré de Corny – che permettono di collegare, mediante un sistema di piazze assiali, il nucleo antico delle città con quello della più recente espansione seicentesca (la ville neuve). Mentre a Nantes, città portuale sulla Loira in forte espansione per tutto il secolo, i piani di Vigné de Vigny (1755), di Pierre Rousseau (1760) e, soprattutto, di Jean-Baptiste Ceineray (1761) forniscono schemi generali di sviluppo che fissano i connotati durevoli della struttura urbana, come nel caso dei quartieri neoclassici di Graslin, Delorme e del Gigant.
La politica urbana degli improvements a Londra
Interessante è il confronto con ciò che avviene contemporaneamente in Gran Bretagna. Il Paese, nel Settecento, è al suo decollo capitalistico attraverso due salti qualitativi e tecnologici successivi: la rivoluzione agraria, di cui è protagonista la grande proprietà fondiaria, e i prodromi della rivoluzione industriale, sorretta dalla forte società borghese e imprenditoriale, che non trova ostacoli nel controllo dello Stato accentratore, come avviene in Francia, ma ha libertà d’iniziativa economica.
A Londra, nei primi decenni del Settecento, ferve ancora un’intensa attività edilizia sulla scia dei programmi di ricostruzione che seguirono al Grande Incendio del 1666. Molte delle chiese già previste da Christopher Wren vengono erette dai suoi collaboratori e allievi, applicando tipologie di intervento che si sarebbero presto affermate. James Gibbs, degno di nota, introduce in Saint Martin-in-the-Fields (1720-1726) il tema dello svettante campanile a guglia che si eleva sul portico di un tempio: una combinazione tipologica di successo che verrà diffusamente imitata nelle isole britanniche e nelle colonie oltreoceano.
La riqualificazione del tessuto urbano procede anche attraverso la politica degli squares, piazze generalmente di forma quadrangolare con un giardino al centro, che costituiscono gli epicentri delle aree di intervento delle estates, società immobiliari per la promozione delle nuove lottizzazioni private. Nella prima parte del secolo vengono realizzati Hannover Square, Grosvenor Square e soprattutto Bloomsbury Square; negli ultimi decenni, a seguito del Building Act del 1774, vengono costruite Bedford Square, Fitzroy Square (con l’intervento di Robert Adam) e Finsbury Square, disegnata da George Dance il Giovane. Oltre a questi, molti altri squares contribuiscono a caratterizzare la fisionomia dei quartieri londinesi, la cui impronta architettonica vira dal palladianesimo, rigorosamente dominante fino alla metà del secolo, a nitide soluzioni neoclassiche arricchite dai più svariati richiami archeologici e dall’applicazione di nuove tecniche costruttive, come per esempio le superfici intonacate a stucco.
Dal punto di vista delle tipologie edilizie si afferma la casa georgiana a tre-quattro piani con basement, dai fronti stretti e serrati, che anticipa la produzione edilizia seriale ottocentesca. Non mancano, inoltre, tentativi di sperimentare soluzioni tipologiche più complesse, come nel caso dell’Adelphi Terrace (1768-1774), un sistema di edifici promosso e progettato dai quattro fratelli Adam – tre dei quali in veste di architetti, l’altro di promotore immobiliare e finanziario – come un grande blocco di residenze a schiera e spazi commerciali, disposto monumentalmente lungo la sponda settentrionale del Tamigi.
In alternativa ai disegni speculativi delle diverse estates si collocano le proposte urbanistiche a più vasta scala elaborate da John Gwynn, ma rimaste inattuate. Le tesi di Gwynn sono enunciate in Londra e lo sviluppo di Westminster (1766), un’opera che affronta le problematiche dello sviluppo urbano londinese in una prospettiva globale, fornendo risposte progettuali di grande respiro fondate in primo luogo su di una radicale trasformazione della rete stradale cittadina, ritenuta a tratti quasi intransitabile, in un reticolo atto ad agevolare i traffici, ma anche capace di sostenere e diffondere la crescita di un’edilizia moderna e monumentale, ispirata a quei modelli razionalisti di cui era stato maestro Christopher Wren. Alle proposte di Gwynn, inoltre, possono essere almeno in parte collegate le successive riflessioni progettuali di George Dance il Giovane per la sistemazione dell’area portuale nelle vicinanze del Monument (1794-1800) e le più edulcorate ipotesi di ristrutturazione della City e delle sponde del Tamigi sostenute da Eden (1798). Ma l’esiguità degli interventi pubblici non consentirà, almeno fino alla prima metà dell’Ottocento, di dare corpo a interventi pianificati di tale dimensione.
I progetti architettonici per l’ampliamento di Bath
La costruzione settecentesca della new town di Bath è il prodotto di una coerente sequenza di progetti architettonici su scala urbana, messi a punto in gran parte nell’arco di cinquant’anni da una singolare coppia di architetti-imprenditori: John Wood I e John Wood II. La cittadina, che all’inizio del secolo conta soltanto 2.000 abitanti, si afferma ben presto come il centro privilegiato di villeggiatura termale della società londinese e viene rimodellata attenendosi alle soluzioni architettoniche più aggiornate dell’epoca. I lavori iniziano con la costruzione di Queen Square (1729-1736), contemporanea a Grosvenor Square di Londra, dove per la prima volta delle residenze civili sono saldate in un coerente disegno monumentale. John Wood II prosegue poi l’opera paterna creando un originale complesso residenziale dal carattere spiccatamente monumentale, il Royal Crescent (1767-1774). Si tratta di una costruzione semiellittica generata dalla fusione di trenta unità edilizie che si apre, con una facciata unitaria dal richiamo palladiano, all’anfiteatro verde antistante. Quest’ultima invenzione (il Crescent) riscontra una notevole fortuna per le sue qualità pittoresche, divenendo una delle forme urbane più sfruttate nell’ambito della costruzione dei quartieri inglesi tardo-settecenteschi.
James Craig a Edimburgo
Il rinnovamento di Edimburgo tra 1750 e 1840, invece, viene realizzato per successive “addizioni”, capaci di dare luogo a un organismo unitario di dimensioni pari a quelle del nucleo più antico.
Vincolata dalle condizioni topografiche di centro medievale, sviluppato sul crinale di un dosso, la prima spinta all’espansione della città (1750 ca.) viene risolta mediante la crescita sul versante meridionale, adottando una strategia insediativa simile a quella sperimentata nell’ambito degli squares londinesi. Solo quando viene realizzato lo scavalcamento del North Loch grazie a un nuovo ponte (1769), è possibile edificare sulle riserve di terreno di proprietà pubblica che si trovano a settentrione. Ed è la stessa amministrazione della città a bandire un concorso per il piano di espansione, vinto da James Craig (1739-1795).
Il quartiere proposto da Craig, e realizzato con leggere modifiche nel corso di alcuni decenni, prevede uno sviluppo a griglia e si articola per grandi isolati regolari lungo tre strade rettilinee, di cui la mediana confluisce in piazze a entrambe le estremità. L’assetto architettonico della più occidentale di queste due piazze, Charlotte Square, viene progettato e in parte realizzato da Robert Adam dopo il 1791. Lo stesso Adam fornisce i disegni per ulteriori progetti su vasta scala: il South Bridge – che resterà sulla carta – e la nuova università iniziata nel 1789 e portata a termine da William Henry Playfair dopo il 1815. Questa volta si tratta di interventi nel settore meridionale della città, interessato negli stessi anni anche dalle nuove proposte urbanistiche di Craig (1786), per la ristrutturazione e l’attraversamento della città vecchia.
Una capitale per la Prussia: Berlino
Nel mosaico di staterelli sovrani in cui viene frazionata la Germania dopo la pace di Westfalia, nel corso del Settecento la Prussia si impone vigorosamente. Il rinnovamento della sua capitale, Berlino, viene considerato un impegno primario da parte dei sovrani di Hoenzollern.
Nelle intenzioni di Federico I, Berlino – paragonata entusiasticamente a un’“Atene del Nord” – dovrebbe in primo luogo affermare il suo rango accrescendo la popolazione. Per stimolare questo sviluppo, il sovrano favorisce inizialmente un ampliamento a occidente del nucleo di Kolln, impostandolo sugli assi fra di loro perpendicolari della Leipzigerstrasse e della Friedrichstrasse e cingendolo di un nuovo recinto murario. Quindi assegna gratuitamente la proprietà dei nuovi lotti ai futuri residenti, stimolando la produzione edilizia con forti incentivi economici. La stessa politica insediativa viene riproposta, con arricchimento di privilegi, da Federico Guglielmo I che accentua il carattere monumentale dei nuovi insediamenti. Tra il 1734 e il 1737 vengono impostate le tre grandi piazze del Rondell, dell’Octagon e del Quarré, disposte ai margini della Friedrichstadt. Alla loro forma planimetrica regolare non corrisponde tuttavia altrettanta coerenza nella definizione architettonica dei prospetti, mentre l’obiettivo di popolare la città nuova viene nel frattempo conseguito. In poco più di trent’anni la popolazione di Berlino è quasi raddoppiata e raggiunge i 100.000 abitanti, a cui si devono aggiungere gli oltre 70.000 soldati alla ricerca di un acquartieramento.
La nuova dimensione sollecita progetti di portata sempre più vasta e, soprattutto negli anni di governo di Federico II, Berlino si afferma, anche figurativamente, come un’indiscussa città-capitale. Da sovrano profondamente influenzato dalle dottrine illuministiche, Federico il Grande imposta una serie di provvedimenti urbanistici molto ambiziosi, affidando a Georg Wenceslaus von Knobelsdorff la responsabilità progettuale di un Forum fredericianum all’inizio del viale Unter den Linden (tracciato nel 1647), la cui realizzazione risente però di alcuni difetti compositivi e attuativi. Solo la parte del piano che prevede una residenza reale, un teatro dell’Opera (poi costruito da von Knobelsdorff nel 1741) e un’Accademia delle scienze viene infatti realizzata. Ma al di là di questo centro direzionale, la politica urbana di Federico il Grande – che si serve anche dell’apporto progettuale di J. Boumann – segue pure altri indirizzi, favorendo la costruzione di grandi edifici multipiano di gusto classicheggiante per fronteggiare il fabbisogno residenziale della popolazione civile (Immediatbauten) e cercando di soddisfare le necessità dell’esercito attraverso la creazione di numerose caserme.
Verso la fine del secolo, con la costruzione del Branderburger Tor (Porta del Brandeburgo) di Karl Gotthard Langhans (1789) e con i progetti di Friedrich Gilly per il rinnovamento monumentale della città (monumento a Federico il Grande, 1797) la cultura architettonica prussiana si apre a un ciclo di nuove esperienze, cui sarà dato modo di esprimersi compiutamente solo dopo il 1815, quando Karl Friedrich Schinkel verrà nominato architetto di Stato da Federico Guglielmo IV e i progetti urbanistici di Berlino verranno riaffrontati su più vasta scala.
Il rinnovamento delle capitali degli Stati tedeschi
Mannheim, semidistrutta in seguito alla guerra della Lega d’Asburgo (1689), viene “rifondata” nel 1699. L’assetto del nucleo precedente viene completamente rimodellato e il sito occupato dalla cittadella ettagona riconvertito, per alloggiare il castello dell’elettore palatino che vi si stabilisce nel 1721, lasciando Heidelberg. Il nucleo centrale viene riservato al patriziato (Oberstadt), mentre le zone periferiche (Unterstadt) sono destinate alla borghesia; due isolati vengono lasciati inedificati e trasformati in piazze. La severità e l’uniformità degli edifici eretti nel corso del secolo è poi interrotta dagli episodi architettonici di alta qualità proposti da Alessandro Galli da Bibiena, tra cui il collegio (1730-1731), la chiesa dei Gesuiti (inizio 1738), l’Hofopernhaus (1737-1741) e i progetti per la piazza del mercato.
Il nucleo settecentesco di Karlsruhe costituisce un esempio insuperato di impianto urbano perfettamente radiocentrico, reso possibile dalla volontà ordinatrice del margravio Karl Wilhelm di Baden-Durlach e del suo architetto Jacob Friedrich von Betzedorf. Il palazzo margraviale è al centro della composizione urbana e costituisce la vera e propria pietra di fondazione della città. A partire da questo nucleo residenziale, realizzato nel centro di una foresta (1715), vengono tracciate 32 strade disposte a raggiera, di cui solo nove segnano lo sviluppo della prevista urbanizzazione, mentre le rimanenti sono semplici vie di attraversamento forestale. Il ventaglio delle nove strade urbane viene allineato con le due ali estreme del palazzo e disegnato in modo da ritagliare una vasta piazza (Schlossplatz) su cui si affacciano lunghi palazzi porticati, ordinati su tre piani, che sarebbero dovuti diventare gli alloggi per il patriziato di corte (diventeranno poi sede dei ministeri dello Stato di Baden). Per borghesi e popolani le residenze sono più modeste, a due piani, e negli isolati retrostanti, dove viene aperta una ulteriore piazza destinata a mercato. Verso la fine del secolo questa parte della città cresce di importanza e si rende così necessario programmare un ampliamento a sud, realizzato all’inizio del XIX secolo, di cui sarà responsabile Johann Jacob Friedrich Weinbrenner.
Tra i tentativi di replicare il fortunato modello di Karlsruhe, vanno segnalati Neustrelitz in Meclemburgo e Karlsruhe in Slesia. La prima viene fondata dal duca Adolfo-Federico III per sostituire Strelitz, devastata da un incendio, e presenta un impianto impostato su otto arterie radiali che confluiscono in una vasta piazza di impianto quadrangolare. La seconda – l’attuale Krzywa Gora in Polonia – ha lo stesso numero di bracci radiali e le residenze dei cortigiani occupano l’estensione di un cerchio concentrico attorno al Palazzo Ducale. Anche altre residenze di corte vengono fondate con il preciso intento di farne delle capitali: vicino a Stoccarda, per esempio, il granduca Eberhard Ludwig fonda Ludwigsburg (1709). Anche in questo caso, al fine di favorirne lo sviluppo, sono promossi incentivi fiscali e patrimoniali per chi intenda insediarvisi: si tratta di una città parzialmente destinata a ospitare guarnigioni, tanto che lo spazio per la popolazione civile viene circoscritto fin dal momento della progettazione.
Importanti contributi nell’ambito della sperimentazione tipologica e insediativa di età neoclassica sono infine quelli offerti dalla fondazione di Ludwiglust, promossa dai duchi di Meclemburgo, e dall’espansione di Kassel – apertura della Friedrichsplatz e del quartiere attiguo alla piazza circolare di Königsplatz – su progetto di Simon Louis du Ry.
La costruzione di San Pietroburgo
L’urbanistica imperiale della monarchia zarista trova il suo banco di prova più impegnativo nel programma di rifondazione della nuova capitale, San Pietroburgo, promosso inizialmente da Pietro I, il Grande.
La conquista di uno sbocco marittimo sul Baltico e la necessità di difendere un sito altamente strategico dalle offensive svedesi spingono lo zar a fortificare l’area deltizia del fiume Neva – all’imbocco del golfo di Kronstadt – fondando una città nuova (1703) che presto si sostituisce a Mosca come centro direzionale dello Stato (1712). L’intenzione di creare un centro in linea con il classicismo europeo, voltando le spalle al mondo orientale, porta Pietro il Grande a frequentare gli ambienti in cui circola la cultura architettonica più aggiornata, per poter disporre di un piano urbanistico “regolare” e geometrico. L’architetto ticinese Domenico Trezzini fornisce i primi disegni per indirizzare lo sviluppo della città nuova secondo questi principi, progettando un quartiere per la nobiltà lungo la Neva (Moskowskaja storona, 1712) e un piano per urbanizzare la grande isola deltizia di Vasilievskij (1716), servendosi di un sistema vascolare di strade e canali che si richiama a Venezia e Amsterdam. Un anno dopo, lo zar decide di reclutare a Parigi Jean-Baptiste-Alexandre Le Blond, allievo di Le Nôtre, per disporre di un nuovo piano urbanistico complessivo. Quest’ultima idea di città viene espressa da un circuito murario bastionato di forma leggermente ellittica, frazionato al suo interno da tracciati viari alternati e grandi piazze modellate come places royales, da costruire a cavallo delle tre isole principali alla foce del fiume. Lo schema di Leblond, mai eseguito, viene però scavalcato da un processo di sviluppo meno “disegnato”, anche se altrettanto pianificato, che si concentra lungo la sponda sinistra della Neva – dove l’assegnazione dei terreni lungo le sponde del fiume è regolamentata per privilegiare il patriziato – e soprattutto attorno alla cittadella dell’Ammiragliato, ovvero nel primitivo nucleo generatore della città nuova. Verso questo epicentro convergono tre strade a patte d’oie: le vie dell’Ascensione, dell’Ammiragliato e la Prospettiva Nevskij, che diventano la principale armatura urbana di riferimento per la costruzione dei successivi edifici neoclassici.
Ai numerosi edifici di Stato realizzati dal Trezzini (tra i quali molti ministeri, la fortezza dei Santi Pietro e Paolo, il primo palazzo d’Inverno, il palazzo d’Estate), negli anni di Pietro il Grande si aggiungono presto le architetture di Rastrelli (revisione del palazzo d’Inverno, monastero Smol’nyj) e quelle di Vallin de La Mothe (prima versione dell’Ermitage e Accademia di Belle Arti). Ma è soprattutto negli anni di Caterina II, sovrana profondamente influenzata dalla cultura illuministica francese, che la città semi-insulare diventa compiutamente continentale e monumentale (Lavedan et al., L’urbanisme à l’époque moderne, 1982). Tra i primi atti di governo, Caterina II indice un concorso per l’ampliamento della città (1753) e fissa gli indirizzi strategici dello sviluppo urbano che varranno fino ai primi decenni del XIX secolo. In seguito a questo provvedimento diventa ancora più evidente la propensione all’insediamento di architetture di Stato lungo la fascia a ridosso della sponda sinistra della Neva – secondo una crescita che ricorda quella per fasce concentriche di Amsterdam –, la disposizione di nuovi quartieri residenziali disposti a ventaglio a nord, oltre la fortezza dei Santi Pietro e Paolo, e l’infittirsi del quadrillage di isolati regolari nell’isola Vasilievskij.
Per realizzare le ambizioni architettoniche di Caterina II vengono chiamati numerosi architetti, prevalentemente italiani e francesi; soprattutto Giacomo Quarenghi si dimostra capace di controllare con perizia lavori su vasta scala, a cui si dedica per oltre un trentennio, raggiungendo risultati di alta qualità. Tra le sue opere ricordiamo i tanti edifici commerciali lungo la Prospettiva Nevskij, l’Accademia delle scienze, la Borsa e la Banca di Stato, i fabbricati destinati a fini educativi, come l’istituto Smol’nyj, e quelli a scopo assistenziale, come ospizi e ospedali. La lunga stagione di iniziative architettoniche inaugurata negli anni Settanta sarebbe poi proseguita fino al primo trentennio del XIX secolo, arricchendosi di protagonisti (in primo luogo Carlo Rossi) e di opere (completamento del foro monumentale, complesso degli stati maggiori ecc.).
Numerose, inoltre, sono le città di nuova fondazione promosse da Caterina II per favorire la colonizzazione del Paese. Impostate su schemi planimetrici regolari, presentano una grande varietà di soluzioni morfologiche e funzionali, non sempre originali ma ampiamente rappresentative degli orientamenti urbanistici prevalenti all’epoca (Sebastopoli, 1784; Iekaterinoslav, 1787; Odessa, 1794).
La ricostruzione di Lisbona
L’esperienza progettuale legata alla ricostruzione della Baixa (la città bassa) di Lisbona, devastata da un terremoto il 1° novembre 1755, costituisce una delle più rilevanti imprese portate a termine negli anni del dispotismo illuminato di Sebastião José de Carvalho, marchese di Pombal, e va letta come un capitolo centrale nella storia della città europea del Settecento. Le conseguenze urbanistiche dell’intera vicenda hanno grande risonanza presso le corti europee sia per la natura della sciagura, sia per la risoluzione data al nuovo assetto centrale della città. Il sisma, uno dei più violenti del secolo, impone infatti un’immediata risposta operativa che non tarda ad arrivare. A un mese dal disastro Manuel da Maia, ingegnere capo del Regno, fornisce quattro distinte ipotesi d’intervento: ricostruire fedelmente ciò che è andato distrutto; seguire il vecchio reticolo insediativo allargando le strade; adottare uno schema urbanistico completamente nuovo; abbandonare il centro antico e ricostruire altrove la città. Prevale infine la terza proposta, quella di dotarsi di un piano “regolare e bello” da realizzare attraverso nuovi allineamenti, strade più larghe del passato, casamenti più salubri e decorosi dalla tipologia uniforme: un repertorio che tiene conto delle più avanzate teorie insediative, sanitarie e architettoniche.
Da Maia si affida a tre gruppi di collaboratori, per elaborare schemi più circostanziati di intervento relativi alla vasta zona – larga 380 metri e lunga 550 – che si estende tra la piazza del Rossio e il Tago. La soluzione più radicale, offerta da dos Santos e Mardel, è anche quella che si impone e che viene realizzata a partire dai primi mesi del 1759. Il disegno urbano di dos Santos prevede una rettifica del tessuto stradale medievale lesionato e l’imposizione di una scacchiera di isolati regolari che dal Rossio giunge al Terreiro do Paco. Quest’ultimo viene riconfigurato in forma di piazza – piazza del Commercio – aperta sul fiume con un impianto che si richiama a quello impiegato da Gabriel per la Place Royale di Bordeaux. La nuova scacchiera si doveva infine estendere anche alla parte occidentale del tessuto urbano superstite, ma questo stralcio del progetto rimane inattuato. La scala del disegno è molto dettagliata. Gli autori sviluppano nitidamente ogni particolare tipologico, conferendo unità figurativa ai lunghi prospetti su strade e piazze, contribuendo a definire ambiti spaziali differenziati per favorire l’insediamento di gruppi sociali distinti, in primo luogo di commercianti e artigiani. Anche l’organizzazione del cantiere viene razionalizzata, sia applicando elementari economie di scala, sia impiegando tecnologie sperimentali, come nel caso delle rudimentali strutture antisismiche in legno (la gaiola).
Realizzazioni e progetti in Italia
In Italia il più interessante e ampio intervento urbanistico è costituito dall’ampliamento di Torino – capitale dello Stato sabaudo, ora elevato a Regno – a opera di Filippo Juvarra. Realizzato tra il 1714 e il 1728, esso traccia le basi di tutti i successivi ampliamenti della città, nonché le caratterizzazioni tipologiche fondate su un’ordinata scacchiera e su architetture uniformi per le vie e le piazze principali. Anche i nuclei esterni delle residenze di corte – Stupinigi, Venaria, Superga e Rivoli – sono collegati idealmente alla città mediante un preciso disegno. Torino e le idee juvarriane saranno frequentemente portate ad esempio nei dibattiti urbanistici del secolo.
Nel Regno di Napoli vengono intrapresi solo alcuni interventi nella capitale, cresciuta enormemente durante tutto il secolo in maniera disordinata, e a Caserta, dove sorge la nuova reggia a opera di Luigi Vanvitelli. In Calabria, dopo il terremoto del 1783, vengono impostati i riassetti urbani e le ricostruzioni anche in altro sito di numerosi centri, ma non tutti giungono a compimento perché le forze locali contrastano spesso le direttive del governo centrale.