Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel nuovo clima di interesse per l’uomo, durante il Rinascimento fioriscono le riflessioni sulla città, intesa quale teatro della vita collettiva. Accanto alla città ideale, illustrata in una dimensione teorica nella trattatistica e nelle opere d’arte, sono da valutare le realizzazioni concrete, connotate dal tentativo di conferire al contesto urbano esistente un ordine, una funzionalità, un decoro e un significato conformi ai principi dell’umanesimo.
Contesto reale e aspirazioni ideali
A fronte del rinnovamento culturale che coinvolge l’architettura, l’urbanistica del XV secolo non conosce nella pratica un fenomeno equivalente, conservando la città dell’epoca un rapporto di stretta continuità con quella medievale. La riflessione teorica sul problema ha però grande vitalità, alimentata, nell’epoca dell’indebolimento delle libertà comunali e del consolidarsi delle signorie, anche dall’impegno civile; ciò da parte di umanisti come Leonardo Bruni, autore del Panegirico alla Città di Firenze (1403-1404), ma soprattutto di teorici dell’architettura. Nei loro trattati e nei loro disegni essi arrivano a configurare nuove fondazioni, radicali ristrutturazioni o espansioni urbane (in verità raramente verificatesi) che diano risposte migliori alle esigenze della vita collettiva: quelle di natura abitativa, igienico-sanitaria, produttiva, di difesa e di rappresentanza.
Esse sono spesso considerate alla luce delle teorie filosofiche che vedono nell’uomo e nel mondo un riflesso dell’armonia celeste. Anche per questo motivo agli schemi urbani proposti dai teorici sono spesso sottesi dei significati simbolici. Un contributo importante nella messa a fuoco di nuovi panorami urbani è dato dalle arti visive. Anche grazie alle conoscenze maturate in ambito prospettico si delineano scenari che, per la compiuta adesione, sull’esempio delle opere di Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, ai criteri di misura, ordine, simmetria e decoro del Rinascimento, appaiono avveniristici rispetto a quelli reali. Fra i molti esempi in pittura, scultura e, nel secondo Quattrocento, nell’arte dell’intarsio, di particolare efficacia è la città rappresentata nelle tre grandi tavole, oggi alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, allo Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz Gemäldegalerie di Berlino e alla Walters Art Gallery di Baltimora. Lette in passato in rapporto alle scene tragica e comica descritte da Vitruvio, sono oggi interpretate come una sorta di promemoria e di esortazione per immagini, incarnazione di un modello ideale.
Il contributo della trattatistica
Un ruolo di rilievo spetta a Leon Battista Alberti. La circolazione delle sue idee è favorita dalla stesura del De re aedificatoria, pubblicato nel 1485 ma pronto fin dal 1452. Le sue considerazioni, esposte in vari passaggi nei dieci libri in cui si articola il testo, maturano sulla base di quanto esposto da Vitruvio sulla città antica e sull’osservazione dei centri medievali. Alberti auspica un organismo che, perfezionando le caratteristiche dedotte dalla città reale, risponda in modo razionale alle necessità di funzionalità e decoro di abitanti e istituzioni. Con riferimento alla sfera politica e sociale, prevedendo soluzioni diverse a seconda delle forme di governo (repubblica, monarchia, tirannia), il trattato fornisce osservazioni sulla morfologia più adatta con indicazioni, ad esempio, sulla pianta circolare (ritenuta forma perfetta per eccellenza) ad anelli concentrici, prediligendo il sistema organizzativo con più centri destinati ad assolvere a più funzioni. Vi compaiono inoltre riferimenti a una città che, fatta di strade ampie e piazze regolari con edifici monumentali, sia in sintonia con i paesaggi urbani offerti dall’arte coeva.
Lo stretto legame che intercorre fra la forma della città e la sua dimensione politica, sociale ed economica è rappresentato anche nel progetto di Antonio Averlino, detto Filarete per l’utopica città di Sforzinda; intesa quale omaggio a Francesco Sforza, essa è descritta nel trattato a cui l’architetto lavora fra il 1461 e il 1464. Entro una pianta stellare inscritta in un perimetro circolare, ricca di riferimenti astrologici e simbolici, la città ha il suo fulcro nella piazza principale, sulla quale si affacciano non solo il palazzo signorile e la cattedrale, ma anche i portici con le botteghe mercantili. Un fattore distintivo è la presenza di canali fluviali; su questo tema, legato a quello igienico -sanitario, riflette anche Leonardo da Vinci. I suoi disegni, riferiti a Milano, a Vigevano o Pavia ma anche a Firenze, mostrano interesse per gli aspetti tecnici; in relazione al problema della viabilità concepisce una città su due livelli di cui quello superiore pedonale e quello inferiore navigabile.
Nel suo trattato rimasto manoscritto Francesco di Giorgio Martini adotta planimetrie circolari o poligonali a sviluppo radiale (dove cioè le strade collegano secondo un andamento rettilineo il centro alla periferia), le cui caratteristiche si adattino al mutevole andamento del territorio. Sono presenti anche schemi ortogonali, il cui perimetro, regolare o irregolare, risente delle riflessioni maturate negli stessi anni nell’ambito dell’architettura militare. Sul tema della fortezza lavorano anche altri: ad esempio Giuliano da Sangallo, autore intorno alla fine del secolo di studi per cittadelle che ben illustrano il carattere di astrazione ideale proprio della pianificazione urbana. Francesco di Giorgio Martini propone anche una tipologia antropomorfica, stabilita cioè in base alle caratteristiche e al sistema proporzionale desumibili dal corpo umano; ritenuto esempio di perfezione, sulla scorta delle indicazioni vitruviane, esso è utilizzato nel Rinascimento come riferimento nella progettazione.
Gli interventi del Quattrocento
Le realizzazioni concrete sono costituite soprattutto da episodi circoscritti all’interno di tessuti urbani già definiti. Su di essi si interviene con l’intento di conferire nuovo aspetto e significato agli spazi, soprattutto quelli destinati alla collettività come la piazza; questa è concepita dai trattatisti alla stregua del foro antico, luogo di rappresentanza dei poteri politico e religioso ma anche di incontro e discussione. Fra gli esempi più significativi, pur nella loro diversità funzionale, si ricordano, all’inizio e alla fine del secolo, la piazza della Santissima Annunziata di Firenze, di cui il brunelleschiano Ospedale degli Innocenti (1419-1421) costituisce l’intervento pregnante, e la piazza porticata di Vigevano a cui Donato Bramante lavora su commissione sforzesca fra il 1492 e il 1494.
L’insegnamento albertiano porta, se non alla stesura di programmi organici, a operazioni architettoniche significative anche dal punto di vista urbanistico. Così accade a Firenze nei lavori per Giovanni Rucellai, ma anche a Roma, a Pienza, a Urbino e Mantova. Spesso intesi come strumenti di affermazione e legittimazione del potere, anche nella Milano viscontea e poi sforzesca, nella Bologna dei Bentivoglio e nella Napoli aragonese degli ultimi anni del secolo si registrano interventi rilevanti, ma un posto di primo piano, per la lungimiranza delle politiche urbane che vi furono condotte, spetta alla Ferrara estense.
Roma
Dopo il periodo di lontananza dei pontefici da Roma (la cosiddetta “cattività avignonese”) e il debole impegno dei suoi predecessori rispetto al degrado della città, Niccolò V promuove, forse con l’aiuto di Leon Battista Alberti, un piano di rinnovamento urbano. Esso consiste, secondo le fonti, di cinque punti: ammodernamento delle mura, restauro delle più importanti chiese cittadine in occasione del giubileo del 1450, riedificazione della basilica di San Pietro, creazione di una più degna residenza papale in Vaticano, ricostruzione per i membri della curia del quartiere di Borgo. Per quanto una parte delle sue iniziative (ad esempio il restauro dell’acquedotto Vergine, la realizzazione della fontana di Trevi e alcuni lavori pensati per il Campidoglio) siano rivolte alla città “laica”, posta al di là del Tevere, i punti qualificanti del piano papale – attuato solo in minima parte – si concentrano sulla zona di più diretta pertinenza pontificia, assumendo per questo un carattere elitario volto a consolidare l’autorità della Chiesa.
Di diversa natura è la politica del francescano Sisto IV Della Rovere, le cui preoccupazioni sono volte alla pubblica utilità e al ripristino del decoro urbano. Insieme a quelle religiose (l’edificazione della cappella Sistina e il restauro delle grandi chiese urbane) molte delle sue iniziative sono pensate in funzione della comunità: la costruzione dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia e di un acquedotto, il ripristino delle fognature e il restauro delle mura, ma anche le energie spese per la Biblioteca Vaticana, aperta al pubblico, e la costituzione del Museo Capitolino. La ricostruzione di un ponte antico sul Tevere, che da Sisto prende nome, la pavimentazione delle strade (per cui viene istituita un’apposita carica) e il trasferimento del mercato dal Campidoglio – luogo di grande significato per l’identità cittadina – a piazza Navona sono inoltre chiari segni della volontà di restituire a Roma la perduta dignità.
Pienza
Un caso unico è costituito dalla nascita di Pienza, dove il mecenatismo e la volontà di autorappresentazione del papa umanista Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, si intrecciano a motivi di interesse economico. Originario di Borgo Corsignano, in Toscana, egli promuove la ristrutturazione della cittadina in chiave moderna ribattezzandola Pienza (1459-1464). Forse su indicazione di Leon Battista Alberti e dell’architetto documentato nell’iniziativa, Bernardo Rossellino (1409-1464), le energie si concentrano sulla piazza tangente alla via principale, e sugli edifici che, delimitandone il perimetro, ne definiscono i tre lati: quello destro occupato dalla residenza dei Piccolomini – le cui facciate riprendono il palazzo fiorentino dei Rucellai – e quello sinistro, dove è l’edificio vescovile (pure ristrutturato), inquadrano con il loro andamento divergente la facciata della cattedrale, anch’essa di ispirazione albertiana. Con la sua griglia geometrica regolare, la pavimentazione è l’elemento che unifica visivamente lo spazio irregolare della piazza amplificandone l’impatto monumentale.
Alcuni casi di ambito padano: Mantova e Ferrara
Un articolato programma di rinnovamento è promosso da Ludovico Gonzaga per Mantova in vista e sulla scia del concilio ospitato in città nel 1460. Si basava, in primo luogo, sull’introduzione di un lessico aggiornato grazie agli episodi di edilizia religiosa (la ristrutturazione delle chiese di Sant’Andrea e di San Lorenzo, la costruzione di San Sebastiano) e pubblica (i lavori sul palazzo del Podestà, la casa del Mercato e la torre dell’Orologio) affidati, fra gli altri, a Luciano Laurana, Luca Fancelli e soprattutto a Leon Battista Alberti. A loro si accompagna la volontà di imprimere sul tessuto medievale i segni della politica del signore, creando un percorso privilegiato in seno al sistema viario cittadino, migliorato dai lavori di pavimentazione.
Senza variazioni di rilievo rispetto alle preesistenze, grazie all’accorta dislocazione di alcuni interventi, si conferisce centralità alle vie che, attraversando la città, collegano la residenza ducale e il duomo alla chiesa di San Sebastiano, sede, nelle intenzioni di Ludovico, del mausoleo di famiglia, con il risultano di creare un asse gonzaghesco.
La politica urbana perseguita a Ferrara da Borso e Ercole I d’Este (1431-1505) nasce nel solco di una lunga tradizione locale. Già responsabile il primo di un’espansione programmata della città, è il secondo a varare, contribuendovi in maniera attiva, il più ambizioso e lungimirante progetto dell’epoca, noto come “addizione erculea”. L’annessione, che è considerata un piano regolatore ante litteram, raddoppia la superficie urbana anche con l’intento di accrescerne la sicurezza; viene realizzata dal 1492 nei termini di una griglia ad assi non perfettamente ortogonali imperniata su quelli principali orientati in senso nord-sud (via degli Angeli) ed est-ovest (via dei Prioni), che si intersecano secondo un andamento perpendicolare. Da ridimensionare è il ruolo attribuito nell’impresa all’architetto Biagio Rossetti. Lungi dall’essere l’unico protagonista dell’iniziativa, egli è affiancato da altri professionisti nelle varie fasi dei lavori, non ultimo in quelli di costruzione degli edifici patrizi che sorsero sugli isolati di nuova definizione.