Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gli insediamenti coloniali nell’America del Nord cominciano ad assumere connotati propriamente urbani soltanto nel corso della seconda metà del XVIII secolo. Infatti in precedenza la penetrazione continentale effettuata dalle diverse potenze europee aveva favorito la fondazione di semplici avamposti di frontiera o di piccoli empori, spesso modestamente strutturati come sedi attrezzate per la convivenza civile. L’espansione e i piani urbanistici adottati in seguito nelle colonie rimangono fortemente legati ai modelli architettonici adottati dalle potenze europee in patria.
Gli insediamenti coloniali nell’America del Nord
Le strategie insediative vengono diversificate e risentono di modelli importati dalla madrepatria.
Così, se gli Spagnoli fondano missioni, presidios e pueblos tra il golfo del Messico e la California, i Francesi danno vita a nuclei lungo le aste fluviali del Mississippi (Nouvelle-Orléans, Mobile e Saint-Louis) e del San Lorenzo (Montréal), mentre gli Olandesi e soprattutto gli Inglesi edificano centri lungo la fascia atlantica. L’isola di Manhattan viene colonizzata a partire da un nucleo fortificato olandese (Nieuw Amsterdam) che presto si coordina con altri villaggi (Bowery, Harlem) fino a strutturarsi nella più vasta armatura urbana di New York.
Il territorio chiamato New England presenta una costellazione di piccoli villaggi pionieri, molti dei quali – New Haven e Cambridge, per esempio – cresciuti attorno a una distesa di terreno centrale lasciata inedificata: il common. Più a sud, alle foci del fiume Delaware, si sviluppa Filadelfia, la cui nitida planimetria ortogonale ideata da William Penn si afferma come prototipo di successo, in seguito largamente diffuso. L’assetto di Williamsburg (Virginia) e quello di Annapolis (Maryland) risente dell’influenza dei piani urbanistici per la ricostruzione di Londra dopo l’incendio del 1666. Griglie regolari e ben strutturate vengono proposte per Charleston (South Carolina) e soprattutto per Savannah, in Georgia, dove viene sperimentato uno schema insediativo di grande efficacia compositiva con un duttile sistema di piazze e di isolati, virtualmente estensibile su larga scala.
L’architettura coloniale inglese prende a prestito modelli di importazione continentale per l’esecuzione delle opere più rappresentative. Il palladianesimo e il classicismo inglese rientrano così nel repertorio di Peter Harrison, autore della King’s Chapel di Boston (1749-1754) e di Joseph Brown, progettista della First Baptist Meeting House di Providence (1774-1775) e l’edilizia ecclesiastica risente diffusamente dei progetti per le chiese anglicane di James Gibbs a Londra.
La crescita urbana degli Stati Uniti nella seconda metà del XVIII secolo
All’indomani della Dichiarazione d’indipendenza, gli Stati Uniti d’America contano soltanto 4 milioni di abitanti, in gran parte dispersi su un ampio territorio. Il primo censimento federale del 1790 mette in luce fenomeni di scarsa concentrazione urbana: il 95 percento della popolazione vive in aree rurali e solo cinque città superano i 10.000 abitanti. Filadelfia è il centro più densamente abitato con 40.000 abitanti, seguito da New York (25.000 abitanti), Boston (16.000 abitanti), Charleston e Newport (entrambe con 10.000 abitanti); mentre Baltimora, Norfolk e Providence si attestano a un rango leggermente inferiore. Nonostante le dimensioni contenute, la dotazione di servizi di queste città viene presto arricchita. La burocrazia nascente della giovane Repubblica federale necessita infatti di architetture per gli uffici dello Stato, di dogane, tribunali e prigioni, da affiancare agli edifici ecclesiastici e a quelli mercantili, come borse e banche. L’impiego del linguaggio architettonico classico, ben presto elevato a stile nazionale, si diffonderà poi anche nell’architettura domestica (il cosiddetto “greco dei carpentieri”).
Tra le opere più significative, oltre il Campidoglio di Richmond (Virginia) di Thomas Jefferson (1785-1789) ispirato alla Maison Carrée di Nîmes, vanno segnalate la Massachusetts State House di Charles Bulfinch (1795-1798), la Bank of Pennsylvania a Filadelfia di Benjamin Henry Latrobe (1798-1800) e, sempre di quest’ultimo, il penitenziario di Stato, ancora a Richmond (1797-1798): un edificio a pianta semicircolare che risente della lezione architettonica di John Soane.
Progetti e realizzazioni per una capitale: Washington
Il compito di celebrare trionfalmente la nuova repubblica americana viene messo alla prova al momento della progettazione urbanistica della nuova capitale federale. Messa da parte l’ipotesi di assegnare questo ruolo primario a una delle città esistenti, per non creare squilibri tra gli Stati dell’Unione, si fa strada la soluzione di fondare una capitale ex novo, in posizione baricentrica tra gli Stati del Nord e quelli del Sud, che potesse essere inaugurata nel 1800. È lo stesso presidente in carica, George Washington, a localizzare l’insediamento della nuova città nelle vicinanze di Georgetown, un centro lungo il fiume Potomac, vicino alla confluenza con la Eastern Branch. Il piano urbanistico viene affidato a un ufficiale dell’esercito, Pierre-Charles L’Enfant, mentre Thomas Jefferson elabora alcuni schizzi progettuali relativi al nuovo insediamento.
Le riflessioni urbanistiche di Jefferson (1790) si limitano a suggerire una semplice griglia a scacchiera entro cui collocare i diversi edifici di Stato, ma vengono criticati da L’Enfant per la loro eccessiva regolarità. La soluzione di quest’ultimo, presentata nel luglio del 1791, è invece modellata sui grandi disegni territoriali tardo barocchi francesi e crea una immagine di grandiosità senza precedenti. Nel piano di L’Enfant schemi radiocentrici si intersecano a un impianto ortogonale che definisce isolati spazialmente differenziati, generando una fitta maglia di streets, avenues e squares. I due fuochi maggiori del piano sono rappresentati dalla residenza del presidente, sede dell’esecutivo, e dalla sede del Parlamento (il Capitol o Campidoglio, centro del potere legislativo). Il reticolo delle avenues diagonali che si libera da questi due poli definisce poi altri fuochi nelle quindici piazze che simboleggiano gli Stati dell’Unione, epicentri da destinare ad attrezzature collettive e da ornare con obelischi e statue. Alla principale di queste arterie stradali – Pennsylvania Avenue – è affidato il compito di stabilire un collegamento tra il nucleo di Georgetown e il ponte sulla Eastern Branch, raccordando altresì la residenza presidenziale al Campidoglio; una seconda arteria, parallela a quest’ultima – Massachusetts Avenue – stabilisce altrettanta funzionalità sul versante settentrionale, mentre le altre avenues hanno funzioni di raccordo con il territorio.
Il piano di L’Enfant, criticato in sede esecutiva, viene parzialmente rimaneggiato da Andrew Ellicott che effettua alcune rettifiche stradali e lo ripropone nel 1792. La costruzione della capitale viene avviata in tempi stretti, ma la sua realizzazione non è altrettanto rapida. Ancora alla metà dell’Ottocento, infatti, Washington presentava vastissimi spazi inedificati e i lunghi tracciati stradali di collegamento tra i centri monumentali giustificavano la denominazione di “città delle magnifiche distanze”.
Thomas Jefferson: architetture e idee di città
Le aspirazioni riformatrici di Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti per due mandati (1801-1809), trovano conferma nell’orientamento della sua ricerca architettonica: l’influenza del suo pensiero progettuale, che spazia dall’elaborazione di modelli per la residenza isolata alla pianificazione territoriale, è capillare e diffusa. Promotore del primo concorso nazionale per gli edifici monumentali della capitale federale (1792), Jefferson si impegna inoltre incessantemente nella costruzione e ricostruzione della sua villa di Monticello (1771-1809), vera e propria opera aperta alla continua rielaborazione di modelli palladiani e di temi ripresi dall’antichità classica. Nel progetto per l’università di Virginia a Charlottsville (realizzata tra 1817-1826) Jefferson propone uno schema insediativo, il campus, definito da padiglioni collegati fra loro secondo uno schema a U – successivamente alterato con la sede della biblioteca – che, sul modello del Pantheon, è al centro della composizione.
Thomas Jefferson è anche l’ispiratore della politica territoriale nazionale che stabilisce le regole insediative per la colonizzazione degli Stati del Midwest. Con la Land Ordinance del 1785 vengono disposti i criteri di suddivisione del territorio delle great plains secondo una griglia regolare ripartita in townships di 6 miglia quadrate, suddivise a loro volta in 36 settori di 640 acri.
All’interno di questa trama indifferenziata che deve costituire l’armatura di riferimento per qualsiasi intervento infrastrutturale, Jefferson indica soluzioni urbanistiche articolate in dettaglio, proponendo piani a scacchiera definiti da un’alternanza di blocchi edificati e squares della stessa dimensione. In questo modo l’ideologia della agrarian society di derivazione fisiocratica, che anima Jefferson, può condizionare lo sviluppo stesso delle città di nuova fondazione.
Nelle concrete realizzazioni di Jeffersonville, in Indiana (1802), e di Jackson, in Mississippi, i principi paesaggistici di partenza vengono tuttavia snaturati da arbitrarie lottizzazioni intensive.
Tra il 1788 e il 1815 si assiste a un vero e proprio boom di città nuove soprattutto in Ohio, dove tra le altre vengono costruite Cincinnati (1788), Dayton (1795) e Cleveland (1796), ma anche in Kentucky – Franklinville e Lystra (1796) – e in Indiana, dove Indianapolis viene costruita su piano di Alexander Ralson nel 1821, e in Michigan con la rifondazione di Detroit. Quasi sempre lo sviluppo prende le mosse da una griglia ortogonale di rapida attuazione; tuttavia schemi radiali che si richiamano a quelli sperimentati nella capitale federale vengono impiegati nella progettazione di alcune città capitali di Stato, come a Buffalo, nello Stato di New York (1803), Baton Rouge, in Louisiana, e Madison, in Wisconsin.
I più intensi ritmi di crescita urbana riscontrabili al tornante del secolo sono sollecitati anche dallo sviluppo della rete stradale e delle vie d’acqua. Nei primi anni del XIX secolo, infatti, le comunicazioni interne vengono agevolate da nuove arterie che si sostituiscono alle antiche piste, dirigendosi verso ovest e verso sud. Entro pochi decenni, poi, la costa atlantica viene diffusamente collegata con l’area dei Grandi Laghi, il centro del continente e il sud da un’efficiente rete di canali navigabili (Erie Canal, Pennsylvania Canal, Wabash and Erie Canal), presto frequentata da compagnie di navigazione a vapore.