La civilta islamica: antiche e nuove tradizioni in matematica. Le tradizioni sulle coniche...
Le tradizioni sulle coniche e l'inizio delle ricerche sulle proiezioni
A partire dalla metà del IX sec. i matematici operano molto più di prima con trasformazioni geometriche. I lavori di al-Farġānī, dei fratelli Banū Mūsā ‒ in particolare di al-Ḥasan, il minore dei tre ‒ e di Ṯābit ibn Qurra ne danno la migliore testimonianza. Un secolo più tardi, i nomi di Ibn Sahl, di al-Qūhī e al-Siǧzī, per fare solo qualche esempio, si legheranno allo studio di questi concetti matematici che non tarderanno a prendere il posto degli oggetti studiati. Una lettura attenta dei loro scritti mostra infatti che i geometri non si interessano più soltanto allo studio delle figure, ma anche alle relazioni che uniscono una figura all'altra. Le trasformazioni avevano fatto qualche apparizione anche prima del IX sec., in particolare con Archimede e Apollonio. Il primo, nell'opera Dei conoidi e degli sferoidi, fa intervenire un'affinità ortogonale; l'opera non era però nota ai matematici arabi. Il secondo, stando a quanto riferisce Pappo, avrebbe applicato alcune trasformazioni nei Luoghi piani, libro che i matematici dei secc. IX-X non possedevano, e dei cui enunciati non si può affermare con certezza se, in maniera indiretta, ne fossero venuti a conoscenza.
Nel IX sec. l'uso delle trasformazioni geometriche è molto più frequente e il campo di applicazione molto più ampio. Si può apprezzare la differenza tra gli Antichi e i moderni se si considera che presso i primi le trasformazioni compaiono nel corso delle dimostrazioni, mentre con questi ultimi è un nuovo punto di vista che si fa strada negli studi di geometria, quello appunto delle trasformazioni. La disciplina nella quale si afferma questo nuovo orientamento della geometria riceverà presto il nome di 'scienza delle proiezioni' (῾ilm al-tasṭīḥ). Si tratta di una sezione della geometria staccatasi dall'astronomia e fondata quando era stata avvertita, nella costruzione degli astrolabi, la necessità di stabilire quali procedimenti applicare nel rappresentare in maniera esatta la sfera. Due significativi fatti storici meritano di essere ricordati. Alla metà del IX sec. problemi di proiezione erano già oggetto di discussioni e anche di controversie, alle quali prendevano parte, tra gli altri, matematici come i Banū Mūsā, al-Kindī, al-Marwarrūḏī (l'astronomo del califfo al-Ma᾽mūn) e al-Farġānī. Non si è mai abbastanza insistito sul fatto che tali problemi di proiezione sono stati sollevati e dibattuti da matematici che conoscevano la traduzione delle Coniche di Apollonio, comparsa poco tempo prima. Questo incrociarsi della ricerca sulle proiezioni con la geometria delle sezioni coniche si verifica in particolare nel libro di al-Farġānī, al-Kāmil fī ṣan῾at al-asṭurlāb (La perfezione dell'arte dell'astrolabio), nel quale l'autore dedica un capitolo intero alla geometria delle proiezioni. Esso rappresenta il primo studio condotto dal punto di vista geometrico delle proiezioni coniche. Da al-Farġānī ad al-Bīrūnī nell'XI sec., passando in particolare per al-Qūhī e Ibn Sahl, si assiste a uno spiegamento e a una sicura affermazione di queste ricerche geometriche. Nelle due opere Tasṭīḥ al-ṣuwar wa-tabṭīḥ al-kuwar (La proiezione piana delle figure [delle costellazioni] e delle sfere) e Istī῾āb al-wuǧūh al-mumkina fī ṣan῾at al-asṭurlāb (Su tutti i possibili metodi per la costruzione dell'astrolabio), al-Bīrūnī ricostruisce alla sua maniera questa storia dei metodi proiettivi. Elenca i diversi tipi di proiezioni noti all'epoca ed egli stesso ne elabora alcuni. Rivendica l'invenzione della proiezione cilindrica e presenta un esempio di quella che oggi va sotto il nome di 'proiezione zenitale equidistante', ricordando che era stata oggetto di qualche controversia.
In queste ricerche sulle proiezioni i matematici prendono diverse strade. La più frequente è quella tracciata dalla ricerca teorica sulla proiezione stereografica ‒ proiezione conica della sfera da uno dei poli ‒ e che comprende lo studio e le dimostrazioni delle sue proprietà accompagnati da una discussione sulle possibilità di applicazione all'astrolabio, cioè sulla precisione di questa proiezione nella rappresentazione della sfera su un piano. Altre strade riguardano, sempre nel contesto dell'astrolabio, la generalizzazione della proiezione stereografica ottenuta spostando il polo lungo l'asse, o anche le proiezioni cilindriche e coniche della sfera in tutta la loro generalità. Saranno esplorate altre direzioni ed elaborate nuove proiezioni indipendenti dagli studi di cui abbiamo parlato, tra le quali troviamo la 'proiezione zenitale equidistante' e la proiezione globulare. Questo nuovo capitolo sulle proiezioni, rispetto al quale il Planisfero di Tolomeo è tutt'al più un lontano antenato, si arricchirà con le ricerche geometriche sui quadranti solari condotte da molti studiosi, tra i quali Ṯābit ibn Qurra e suo nipote Ibn Sinān. A partire dal IX sec., con al-Ḥasan ibn Mūsā e soprattutto con Ṯābit ibn Qurra, si assiste, nel contesto dei lavori sulle sezioni del cilindro, all'inizio di tutta una tradizione di ricerca sulla proiezione cilindrica, la quale si trova appunto all'origine del capitolo sulle trasformazioni puntuali.
La testimonianza di al-Bīrūnī e le sue rivendicazioni di priorità
In molte sue opere al-Bīrūnī rivendica l'invenzione della proiezione cilindrica. Negli Aṯār al-bāqiya ῾an al-qurūn al-ḫāliya (Le vestigia superstiti dei secoli passati), dopo aver affermato che la priorità riguardo alla generalizzazione della proiezione conica ottenuta spostando il polo lungo l'asse della sfera (v. par. 2), spettava ad al-Ṣāġānī, egli attribuisce a sé stesso quella relativa alla proiezione cilindrica: "Ne esiste un genere che io chiamo proiezione cilindrica. Non mi risulta che qualcuno tra gli specialisti di quest'arte l'abbia mai menzionata prima di me. Essa consiste nel far passare per i cerchi e i punti della sfera rette e piani paralleli agli assi; si generano così nel piano dell'equatore ['piano diurno' nel testo] soltanto rette, cerchi ed ellissi" (p. 357). Al-Bīrūnī si riferisce qui alla proiezione ortografica.
Si trova un passo sullo stesso argomento nel trattato Tasṭīḥ al-ṣuwar di cui abbiamo già parlato, e dove l'autore riconosce di aver avuto l'idea della proiezione cilindrica da una lettura critica di al-Kāmil di al-Farġānī, il quale affermava l'impossibilità di una tale proiezione:
quanto alla proiezione cilindrica, essa mi è venuta in mente grazie alle molte assurdità, nelle quali si avventura al-Farġānī alla fine del suo libro, riguardo al rifiuto dell'astrolabio a forma di melone. Penso di essere stato il primo ad avere avuto l'idea di questa proiezione, che ho chiamato proiezione [cilindrica] per una ragione che non voglio affrontare qui. Si tratta di una proiezione intermedia, né dal nord né dal sud, mediante la quale si possono proiettare gli astri della sfera celeste nella loro totalità sul piano dell'equatore celeste o sul piano di un cerchio massimo comunque fissato. (p. 14)
Nel suo libro Istī῾āb al-wuǧūh, al-Bīrūnī descrive più precisamente i principî di questa proiezione, che a volte egli chiama perfetta (kāmil) perché permette di rappresentare tutta la sfera celeste:
questa proiezione è costruita a partire dalle intersezioni del piano dell'equatore con le superfici laterali di cilindri [a sezione circolare retta] e di cilindri a sezione ellittica retta, di lati (generatrici) paralleli e paralleli all'asse della sfera. In effetti ogniqualvolta si fanno passare per le circonferenze dei cerchi celesti [paralleli al piano dell'equatore] le superfici dei cilindri secondo la condizione precedente, queste tagliano il piano dell'equatore secondo cerchi paralleli e uguali in dimensione ai cerchi celesti. E quando si fanno passare per le circonferenze dei cerchi inclinati sulla sfera, grandi o piccoli che siano, dei cilindri a sezione retta ellittica secondo la posizione detta, sul piano dell'equatore si formano per intersezione ellissi diverse per posizione e grandezza. (ms. Leida Or. 591, f. 93r)
Al-Bīrūnī non esce qui dall'ambito della proiezione ortografica, verosimilmente perché il suo progetto consiste nello studiare metodi che si possono mettere in pratica per costruire l'astrolabio. Vedremo che mezzo secolo prima di lui altri due matematici, al-Qūhī e Ibn Sahl, avevano concepito proiezioni cilindriche più generali; molto probabilmente però al-Bīrūnī ignorava il contributo dei suoi predecessori.
Egli non menziona nemmeno gli autori che sotto l'impulso dei Banū Mūsā, e in particolare di al-Ḥasan, avevano studiato la proiezione cilindrica in ricerche sul cilindro e le sezioni piane. Lavori di questo genere risalgono all'Antichità: nel trattato Sulla sezione del cilindro e la sezione del cono, Sereno di Antinoe applica il metodo di Apollonio al caso del cilindro, sviluppando in tal modo un abbozzo di teoria delle sezioni piane del cilindro retto od obliquo a base circolare, sezioni che sono delle ellissi. Non sappiamo se tali ricerche abbiano avuto o meno un seguito; bisognerà attendere il IX sec. a Baghdad perché questo campo di studi acquisti nuova vita.
Lo studio di al-Ḥasan ibn Mūsā sull'ellisse
Secondo l'attribuzione dei bio-bibliografi al-Nadīm e al-Qifṭī, al-Ḥasan ibn Mūsā scrive nel IX sec. un trattato sull'ellisse dal titolo Kitāb fī 'l-šakl al-mudawwar al-mustaṭīl (La figura circolare allungata), andato purtroppo perduto. Abbiamo testimonianze che ne attestano l'autenticità e permettono di conoscere qualche particolare sul contenuto. Innanzi tutto quelle dei suoi fratelli, Muḥammad e Aḥmad, che ricordano, nel breve trattato Muqaddimāt kitāb al-Maḫrūṭāt (I lemmi al libro delle Coniche), che al-Ḥasan aveva scritto un'opera sulla generazione delle sezioni ellittiche, come pure sulla dimostrazione della misura della loro area: "Grazie alla sua abilità in geometria e alla sua superiorità in questa disciplina, è stato possibile ad al-Ḥasan ibn Mūsā studiare la sezione del cilindro quando questo viene tagliato da un piano non parallelo alla base, e quando la curva che delimita la sezione racchiude completamente la sezione stessa. Rivela così di conoscere quel che si ottiene a partire dai diametri, dalle frecce, dalle corde e mostra di conoscerne l'area" (Istanbul, Aya Sofya, ms. 4832, f. 223v-224r).
Testimonianza confermata, anche se non ce n'era bisogno, dal matematico della fine del X sec. al-Siǧzī, che nel trattato Risāla fī rasm al-quṭū῾ al-maḫrūṭiyya (Epistola sul tracciato delle sezioni coniche) cita il titolo dell'opera attribuendolo ai Banū Mūsā, senza fare distinzione tra i tre fratelli, e riassume il procedimento da loro applicato per il tracciato continuo dell'ellisse sfruttando la proprietà bifocale. È molto probabile che al-Ḥasan avesse una conoscenza soltanto approssimativa del trattato di Apollonio, perché la versione della quale disponeva era poco leggibile, se non addirittura incomprensibile. Verosimilmente è solo dopo la sua morte che il fratello Aḥmad portò a Damasco la redazione di Eutocio, che permise finalmente di comprendere quest'opera ellenistica.
Sappiamo comunque che i lavori di al-Ḥasan ibn Mūsā ispirarono una vera e propria tradizione di ricerca sulle sezioni del cilindro mediante l'uso di proiezioni e di altre trasformazioni geometriche. Si trovano in questa tradizione lo studio magistrale di Ṯābit ibn Qurra, collaboratore dei Banū Mūsā, e un secolo più tardi quello di Ibn al-Samḥ, allievo di Maslama al-Maǧrīṭī a Cordova, autore di un trattato che riprendeva i risultati di al-Ḥasan sull'argomento. L'analisi dei lavori di questi suoi due successori ci permetterà quindi di ritornare sul contributo di al-Ḥasan.
Il trattato di Ṯābit sul cilindro
Nello studio dal titolo Kitāb fī quṭū῾ al-usṭuwāna wa-basīṭi-hā (Sulle sezioni del cilindro e sulla sua superficie laterale), Ṯābit ibn Qurra segue la strada aperta da al-Ḥasan ibn Mūsā, riferendosi direttamente a lui nell'introduzione: "Proseguiremo parlando dell'area di una sezione del cilindro che è stata determinata da Abū Muḥammad al-Ḥasan ibn Mūsā ‒ che Dio sia soddisfatto di lui ‒ e che è l'ellisse appartenente alle sezioni coniche, e dell'area dei vari tipi di porzioni di questa sezione" (Rashed 1996, p. 500). A differenza del suo predecessore, Ṯābit conosce bene il trattato sulle Coniche di Apollonio, del quale traduce i Libri V, VI e VII e rivede la traduzione degli altri quattro. Ne trae ispirazione per il proprio progetto, che pertanto si distingue da quello di al-Ḥasan. Ṯābit elabora una teoria del cilindro e delle sue sezioni piane analoga nel caso del cono a quella di Apollonio, ma con l'aggiunta di trasformazioni geometriche come proiezioni, omotetie e affinità. Un aspetto che risulta chiaro se si confronta il lavoro di Ṯābit con quello di Sereno di Antinoe: le analogie sono numerose e mostrano che Ṯābit consultava il libro di Sereno, tanto più che la conoscenza delle Coniche di Apollonio gli permetteva di accedere direttamente ai risultati che Sereno prendeva da quest'ultimo. Tuttavia, si può vedere chiaramente come le strade divergano nel punto in cui Ṯābit ibn Qurra introduce le proiezioni: sono proprio i mezzi ai quali ricorre al-Ḥasan ibn Mūsā, utilizzati nel quadro del metodo di Apollonio (e dunque di Sereno), che permettono a Ṯābit di seguire una sua propria strada. Anche se, grazie alle definizioni generali di cono e cilindro mediante generatrici, ne avrebbero avuto la possibilità, né Apollonio né Sereno hanno mai preso la via delle proiezioni.
È nella prop. 7 del suo trattato che Ṯābit introduce per la prima volta una proiezione cilindrica p di un piano (P) su un piano (P′) parallelo a (P) nella direzione (AE).
Questa proiezione coincide con la traslazione di vettore AE; ma nel seguito si vedrà che si tratta proprio di una proiezione, in particolare con la prop. 10, quando (P′) non è più parallelo a (P). Ṯābit mostra nella prop. 7 che se una figura (φ) è contenuta nel piano (P), e se (φ′)=p(φ), allora le due figure (φ) e (φ′) sono simili. Considera due punti A e B di (φ) e le loro immagini E e F secondo p. Allora E e F sono sulla (φ′) e ABFE è un parallelogramma; di conseguenza AB=EF ed è possibile sovrapporre (waḍa῾a ῾alā) i segmenti AB ed EF. Dimostra allora per assurdo che tutta la figura (φ) si sovrappone (inṭabaqa ῾alā) alla (φ′), supponendo che un punto C della (φ) si sovrapponga, nel piano (P′), a un punto I che non è su (φ′). Considerando il punto G=p(C), che si trova per ipotesi su (φ′), si arriva a una contraddizione perché G e I devono coincidere. Da cui la conclusione.
Nella proposizione successiva egli applica questo risultato al caso in cui (φ) è un cerchio. La proiezione cilindrica è quindi utilizzata per studiare la natura delle intersezioni della superficie laterale di un cilindro con un piano parallelo alle basi. Se un piano taglia un cilindro parallelamente alle basi, allora la sezione che si ottiene è l'immagine di una delle basi nella proiezione cilindrica con direzione l'asse del cilindro, e dunque è simile alle basi, cioè è circolare (e anzi è uguale alle basi).
Questa prop. 8 corrisponde alla prop. I, 4 delle Coniche, e Ṯābit ibn Qurra avrebbe potuto applicare il metodo di Apollonio al caso del cilindro e dimostrare, utilizzando la prop. 1, che ogni punto L della sezione soddisfa ML=d/2 se M è il punto nel quale il piano secante incontra l'asse e d è il diametro delle basi.
Nella prop. 9, che corrisponde alla prop. I, 5 delle Coniche e che riguarda le sezioni antiparallele, non fa uso evidentemente di proiezioni cilindriche. In questo caso è naturale ricorrere al metodo di Apollonio, che fa intervenire "l'equazione" del cerchio rispetto a uno dei diametri e alla tangente in un estremo dello stesso diametro, cioè, se d è il diametro, l'equazione y2=x(d−x).
Reintroduce in compenso la proiezione cilindrica nella prop. 10, per dimostrare che la proiezione di un cerchio ABC di centro D e contenuto in un piano (P), su un piano (Q) non parallelo a (P), è un cerchio oppure un'ellisse. In questa proposizione, come nella prop. 7, non considera un cilindro, ma soltanto la proiezione p di (P) su (Q) nella direzione CG, e la dimostrazione riposa questa volta sulla caratterizzazione dell'ellisse che risulta dall'inversa alla prop. I, 21, delle Coniche. Ṯābit distingue due casi, a seconda che il piano (Q) passi o no per il centro D del cerchio da proiettare.
Nel primo caso, il piano (Q) passa per il centro D del cerchio ABC, e taglia dunque il piano (P) secondo un diametro AB di questo cerchio. Sia E un punto qualunque del cerchio ABC e F=p(E), C uno degli estremi del diametro di ABC perpendicolare ad AB e CG la direzione della proiezioni, con G=p(C); allora CG è parallela a EF.
Ṯābit ibn Qurra costruisce il rettangolo EHDI che ha due lati sui due diametri perpendicolari considerati, e quindi il punto K=p(I). Dimostra prima che K sta su DG, poi che FK è parallelo a HD e a EI, e quindi FH=KD. Ciò ha come conseguenza che i triangoli FEH e CGD sono simili. Allora EH2/HF2=CD2/DG2, da cui (AH∙HB)/HF2= (AD∙DB)/DG2, e ciò, per l'inversa della prop. I, 21 delle Coniche, caratterizza l'ellisse di centro D, uno degli assi della quale è AB.
Nel caso in cui il piano (Q) non passa per D, Ṯābit Ibn Qurra introduce il piano (Q′) parallelo a (Q) e passante per D. Decompone allora la proiezione p in due proiezioni, p′ di (Q′) su (Q) e p″ di (P) su (Q′). Per il caso precedente l'immagine di ABC è determinata in (Q′) da p″, e allora non resta che applicare la proiezione p′ tra due piani paralleli utilizzando la prop. 7.
Nella prop. 12, con la quale inizia la seconda parte dell'opera dedicata alla misura dell'area dell'ellisse e delle sue porzioni, Ṯābit ricorre ancora alle proiezioni per dimostrare che un piano taglia due cilindri, con lo stesso asse e stessi piani di base, secondo due sezioni omotetiche.
Considera il cilindro (C1) di basi i cerchi (ABC) e (DEF) di diametro d1, e il cilindro (C2) di basi i cerchi (GHI) e (KLM) di diametro d2 tali che (ABC) e (GHI), con lo stesso centro N, siano contenuti nello stesso piano (Π) e che (DEF) e (KLM), con lo stesso centro S, siano contenuti nello stesso piano (Π′). I due cilindri hanno dunque per asse (NS). Se un piano (Φ) taglia i due cilindri senza incontrarne le basi, allora le sezioni ottenute, (OPU) in (C1) e (QRV) in (C2) sono simili, cioè la prima è l'immagine della seconda nell'omotetia il cui centro Ω è il loro centro comune situato su NS, e il cui rapporto è quello tra i diametri dei cerchi di base d1/d2. Il problema si pone soltanto se il piano (Φ) non è né parallelo né antiparallelo ai piani (Π) e (Π′), cioè se le sezioni (OPU) e (QRV) sono delle ellissi, di assi rispettivamente (2a1,2b1) e (2a2,2b2).
Ṯābit ibn Qurra comincia con lo stabilire il rapporto di omotetia. Dimostra che OU/QV=AC/GI=DF/KM, considerando la proiezione p di (Π) su (Φ) parallelamente all'asse (NS) e ponendosi nel piano principale del cilindro ‒ che contiene l'asse (NS) e il diametro (AC) del cerchio (ABC) ‒ che taglia il piano (Φ) secondo la retta (OU), asse maggiore dell'ellisse (OPU), e la retta (QV), asse maggiore dell'ellisse (QRV). Così OU/QV=2a1/2a2=d1/d2.
Dimostra poi che per ogni diametro (PW) della sezione (OPU), collineare al diametro (RT) della sezione (QRV), si ritrova la medesima uguaglianza di rapporti, e cioè PW/RT=d1/d2. Infatti, mediante la proiezione p, applicata questa volta nel piano contenente l'asse del cilindro e il diametro (BJ) del cerchio (ABC) tale che p(BJ)=(PW), si ottiene PW/RT=BJ/HZ; ma poiché i due cerchi di base nel piano (Π) sono concentrici, (ABC) è l'immagine di (GHI) nell'omotetia h(N,d1/d2), ciò che egli esprime con l'uguaglianza BJ/HZ=AC/GI=d1/d2. In altri termini, a questo punto del ragionamento l'autore dimostra che se δ1 e δ2 sono due diametri collineari rispettivamente con le sezioni (OPU) e (QRV), allora δ1/δ2=2a1/2a2=2b1/2b2=d1/d2. Conclude, permutando i rapporti nell'uguaglianza centrale:
[1] 2a1/2b1=2a2/2b2
e rimandando alla prop. VI, 12 delle Coniche. In questa proposizione Apollonio mostra che se due ellissi hanno per assi 2a1 e 2a2 e per lati retti associati c1 e c2 tali che
[2] 2a1/c1=2a2/c2
allora sono simili, e viceversa. Infatti, l'uguaglianza [1], utilizzata da Ṯābit ibn Qurra come una caratterizzazione della similitudine di due ellissi, non è stabilita da Apollonio, tuttavia, si può dimostrare facilmente che è equivalente all'uguaglianza [2].
Se 2b1 e 2b2 sono gli assi minori delle ellissi, si ha 4b12=2a1∙c1 (Coniche, I, seconde definizioni III), da cui a12/b12=2a1/c1, e analogamente a22/b22=2a2/c2. Ne segue 2a1/c1=2a2/c2 se e solo se 2a1/2b1=2a2/2b2.
In questa prop. 12 è come se Ṯābit caratterizzasse la similitudine delle due ellissi mediante la corrispondenza che si stabilisce tra loro nell'omotetia h(Ω,2a1/2a2), decomponendola in tre trasformazioni: le due proiezioni p e p′ e l'omotetia h(N,d1/d2) tra i cerchi di base.
L'insieme delle proposizioni contenute nel trattato di Ṯābit ibn Qurra Kitāb fī quṭū῾ al-usṭuwāna wa-basīṭi-hā che abbiamo ora presentato, costituisce un contributo molto importante per la storia delle proiezioni: è la prima volta che compare il concetto di proiezione cilindrica e che viene dedicato uno studio teorico a questa proiezione, applicata qui al caso di un cerchio, se si eccettua il trattato di al-Ḥasan ibn Mūsā andato perduto, e del quale come abbiamo detto ci è rimasto un riassunto di Ibn al-Samḥ. Ṯābit studia la proiezione cilindrica di un cerchio su un piano parallelo e su uno non parallelo per poterla utilizzare come trasformazione geometrica allo stesso titolo di un'omotetia o di un'affinità (dilatazione o contrazione), allo scopo di risolvere vari problemi che si sono posti nello studio delle sezioni di un cilindro e che riguardano la loro natura o la loro misura.
Lo studio di Ibn al-Samḥ sulle sezioni piane del cilindro e la determinazione delle loro aree
A cavallo tra il X e l'XI sec. Ibn al-Samḥ (368-426/979-1035), allievo come detto in precedenza del celebre matematico Maslama al-Maǧrīṭī (m. 398/1007-1008), scrive un "gran libro di geometria nel quale vengono esaurite tutte le parti relative alle linee rette, arcuate e curve", stando a quanto dice Ṣā῾id al-Andalusī nella sua opera ṭabaqāt al-umam (Le categorie delle nazioni, p. 170), libro che è andato purtroppo perduto. È tuttavia molto probabile che un testo pervenutoci in una versione in ebraico e che tratta del cilindro e delle sue sezioni piane, ne sia un estratto (Rashed 1996). Poiché l'attribuzione a Ibn al-Samḥ è indubbia, tale testo dimostra il suo interesse per un argomento già incontrato in autori che lo avevano preceduto. Il matematico andaluso riprende inoltre in quest'opera il trattato di al-Ḥasan ibn Mūsā sull'ellisse. Vediamo ora quale posto occupa questo testo nella tradizione degli studi sul cilindro e quale la proiezione cilindrica nelle ricerche di Ibn al-Samḥ.
Lo studio comparato dei contributi di Ṯābit ibn Qurra, Sereno e Ibn al-Samḥ, come pure delle testimonianze sul trattato perduto di al-Ḥasan ibn Mūsā, può permettere di trarre le seguenti conclusioni. Tutto sta a dimostrare che Ibn al-Samḥ non conosceva il trattato di Ṯābit e prendeva invece le mosse dallo studio di al-Ḥasan, al quale resta fedele più di Ṯābit. Il confronto diretto degli studi di Ṯābit e di Ibn al-Samḥ dimostra da un lato che progetti, metodi e perfino il lessico sono diversi. Mentre il primo elabora una teoria del cilindro adottando il modello fornito da Apollonio per il cono, e dunque partendo dalla definizione del cilindro data con basi e generatrici, il secondo parte dalla definizione bifocale dell'ellisse per dimostrare che la figura così ottenuta ha le stesse proprietà di quella ottenuta per intersezione di un cilindro con un piano. Per designare questa figura definita dai fuochi, egli utilizza l'espressione "figura circolare allungata", esattamente come il più giovane dei Banū Mūsā, ma non come Ṯābit. In compenso quest'ultimo tratta il caso della sezione antiparallela, di cui non c'è traccia nel testo di Ibn al-Samḥ. Dalla testimonianza dei fratelli sappiamo che al-Ḥasan ibn Mūsā si è occupato nel trattato sull'ellisse, dei diametri, delle corde e delle frecce, che sono precisamente il contenuto delle ultime tre proposizioni di Ibn al-Samḥ. Lo studio di al-Ḥasan fornisce pertanto il punto di partenza delle ricerche dei suoi due successori; ma Ṯābit ibn Qurra si allontana dal progetto utilizzando alcuni risultati dalle Coniche, mentre Ibn al-Samḥ, che pure è posteriore di un secolo e mezzo, prosegue le ricerche nello stesso spirito. Il confronto tra i due contributi rivela d'altra parte anche punti in comune: le nozioni di proiezione legate o no alle due affinità ortogonali che trasformano ognuno dei cerchi inscritti e circoscritti all'ellisse, il calcolo dell'area dell'ellisse a partire dalla prop. XII, 2 degli Elementi, il metodo della riduzione all'assurdo. È quanto viene preso dallo studio di al-Ḥasan. Per concludere il confronto, osserviamo che non esiste alcun rapporto tra il testo di Ibn al-Samḥ e quello di Sereno. Solo Ṯābit si interessa a quest'ultimo, per via del richiamo alla teoria di Apollonio, come abbiamo osservato in precedenza.
In Ibn al-Samḥ l'idea di proiezione cilindrica è insito in quella di cilindro. Cominciamo riprendendo le diverse definizioni di cilindro che si incontrano all'inizio del testo. Nell'introduzione generale alla parte che ci è pervenuta, l'autore comincia con il dare le definizioni dei solidi principali sfera, cilindro e cono, riprendendo le definizioni di Euclide nel Libro XI degli Elementi. Secondo queste definizioni il cilindro: "è ciò che si ottiene fissando il lato di un rettangolo in modo che non si muova, e facendo ruotare tutto il rettangolo attorno alla retta finché non ritorna nella posizione iniziale" (Rashed 1996, p. 930). Ibn al-Samḥ considera il cilindro retto a base circolare. Poi, nel paragrafo seguente, dà una definizione più generale: "siano date due figure ricurve, di perimetro di forma qualunque, poste su due piani paralleli; se ne determinino i centri e questi siano uniti da una retta. Si fa girare una retta intorno alle due figure parallelamente all'asse che unisce i centri finché non ritorna nella posizione iniziale. Ciò che questa retta parallela all'asse descrive è il cilindro" (ibidem, p. 931). L'autore definisce insieme i cilindri obliquo e retto, sotto la condizione che le due curve si deducano l'una dall'altra per traslazione. Ritornerà su questa condizione un po' più in là quando definirà le "figure di posizioni simili". Se le figure ricurve considerate sono cerchi, si ritrova la definizione di Ṯābit ibn Qurra, come pure quella di Sereno. Queste figure ricurve designano infatti, secondo il traduttore del testo, cerchi o ellissi, e nel paragrafo successivo Ibn al-Samḥ distinguerà allora quattro tipi di cilindri, associati a due a due. Il cilindro retto a base circolare è associato al cilindro obliquo a base ellittica, nel senso che si può generare il secondo a partire dal primo; basta per questo tagliare il primo cilindro con due piani paralleli tra loro ma non paralleli alle basi. Analogamente, se si taglia un cilindro obliquo a base circolare con due piani perpendicolari all'asse, le due sezioni ellittiche generano, assieme alla superficie cilindrica che delimitano, un cilindro retto a base ellittica.
Ibn al-Samḥ precisa poi che procedendo all'inverso si possono generare in maniera analoga i due tipi a base circolare a partire da due tipi a base ellittica. Questa proprietà messa in evidenza da Ibn al-Samḥ rivela la proiezione cilindrica soggiacente che associa cerchi ed ellissi, sezioni di una stessa superficie cilindrica. Una proiezione che apparirà nel corso della sua esposizione della prop. 7, che commenteremo più avanti.
Dopo questa introduzione l'autore passa al capitolo dedicato al cilindro propriamente detto, e generalizza ulteriormente la definizione a cilindri le cui basi sono curve chiuse che ammettono un centro di simmetria. Tuttavia questa volta egli precisa le condizioni che due di queste curve devono soddisfare per poter generare un cilindro: devono essere uguali, della stessa forma e in posizione simile, e ciò significa, in linguaggio moderno, che si possono dedurre l'una dall'altra per traslazione. A questo scopo comincia con il considerare due curve chiuse uguali dotate ciascuna di un centro di simmetria, (C1) e (C2), e aventi la stessa forma, e due punti M1 e M2, posti rispettivamente nella parte di piano definita da ognuna delle curve. I due punti si dicono essere in posizione simile quando le rette condotte da M1 alla curva (C1) sono uguali alle loro omologhe condotte da M2 alla curva (C2). Oggi diremmo che (C1) e (C2), rispetto a coordinate polari di poli M1 e M2 hanno la stessa equazione. Ibn al-Samḥ non misura l'angolo polare a partire da un asse iniziale, ma confronta gli angoli formati da due raggi vettori. Se le curve (C1) e (C2) sono su due piani paralleli , e se sono tagliate da un piano passante per i punti M1 e M2 in posizioni simili, secondo due rette uguali, allora le due curve sono in posizioni simili. A partire da due curve (C1) e (C2) di posizioni simili, l'autore definisce il cilindro generato da una retta che ruota poggiando su (C1) e (C2) e restando parallela alla retta M1M2. La prop. 7 del trattato di Ṯābit, nella quale egli studia esplicitamente l'immagine di una figura piana secondo una traslazione che si rivela essere in realtà una proiezione di un piano su un piano parallelo, costituisce una specie di inversa di questa definizione. I metodi utilizzati dai due matematici sono diversi, ma l'accostamento dei loro risultati e la considerazione del carattere generale della definizione di Ibn al-Samḥ rafforza l'impressione che l'idea della proiezione fosse implicita in questo autore.
Nel seguito del trattato, Ibn al-Samḥ ritorna al caso particolare della sua prima definizione e si pone nel caso del cilindro retto a base circolare per studiarne le sezioni piane: prima il cerchio, poi l'ellisse, a seconda che il cilindro sia tagliato da un piano parallelo o no alle basi.
Se si considera la struttura del trattato sul cilindro si possono distinguere tre livelli. Al primo troviamo tre parti indipendenti nelle quali l'autore dimostra alcune proprietà del cerchio, poi dell'ellisse in quanto "figura circolare allungata" ottenuta a partire dalla definizione bifocale, e infine dell'ellisse come sezione piana del cilindro. Al secondo livello l'autore confronta le diverse proprietà per identificare in particolare l'ellisse-sezione con la figura circolare allungata-bifocale. Al terzo livello si interessa da un lato all'area dell'ellisse, dall'altro alle corde, alle frecce e infine ai diametri, che calcolerà. Osserviamo che la prop. 7, che riguarda le proprietà dell'ellisse definita come sezione, gioca un ruolo centrale nel suo studio e condiziona sette proposizioni del secondo livello. È proprio in questa proposizione che compare chiaramente l'uso della proiezione cilindrica.
Ibn al-Samḥ introduce l'ellisse come sezione piana di un cilindro, ricordando certe definizioni e una proprietà che considera nota: la sezione di un cilindro retto a base circolare con un piano (P), parallelo alle basi e passante per il centro dell'ellisse ottenuta come sezione del cilindro stesso con un piano (Q) non parallelo a (P), è un cerchio uguale al cerchio di base come pure al cerchio inscritto nell'ellisse, avente per diametro il diametro minore dell'ellisse (cioè l'asse minore GD).
L'autore aggiunge che se si fa ruotare il piano (Q) attorno al diametro GD per portarlo su (P), allora il cerchio inscritto nell'ellisse si sovrappone al cerchio che è sezione del cilindro con il piano (P). Così Ibn al-Samḥ giustifica il fatto che il cerchio del piano (P) è sia il ribaltamento del piccolo cerchio dell'ellisse, sia la proiezione ortogonale di questa.
Nella prop. 7 che segue questo enunciato, Ibn al-Samḥ considera l'ellisse ABGD di assi AB=2a e GD=2b, con AB>GD, e il cerchio inscritto DEG di diametro GD. Cerca di dimostrare che l'ellisse è l'immagine del cerchio nell'affinità ortogonale di asse GD e rapporto a/b, cioè dimostra che HT/HK=AB/GD=a/b. A questo scopo riprende la configurazione che fornisce la proprietà precedente e considera il cilindro retto di cui il cerchio DEG è una delle basi. Allora può far ruotare l'ellisse ABGD intorno a GD fino a farla arrivare alla superficie cilindrica, ciò che si ottiene facendo descrivere al punto A un arco di cerchio di centro N posto in un piano perpendicolare a DG in N, che termina nel punto L, sulla perpendicolare al piano ABGD in E.
Basta così dimostrare che il punto T descrive anch'esso un arco di cerchio di centro H che termina nel punto M posto sull'ellisse sezione del cilindro. I triangoli LNE e MHK sono rettangoli e simili, e ciò ha come conseguenza che LN/NE=MH/HK. Ora LN=AN=a, NE=NG=b e MH=HT, da cui il risultato.
Come nel caso della proprietà precedente, l'ellisse ABGD è dunque il ribaltamento dell'ellisse DLG e il cerchio DEG è la proiezione cilindrica di questa stessa ellisse nel piano ABGD. Alla base dell'affinità ortogonale troviamo quindi un ribaltamento e una proiezione. In questo ragionamento il cilindro compare solo parzialmente, come supporto della proiezione, lasciando il posto alle trasformazioni geometriche.
Ibn al-Samḥ utilizzerà questo risultato quando vorrà costruire un'ellisse definita a partire dai fuochi e uguale a una sezione obliqua di cilindro retto a base circolare, e viceversa per dimostrare l'equivalenza delle due figure. L'affinità ortogonale sarà utilizzata per calcolare l'area dell'ellisse, al modo di Ṯābit ibn Qurra, e senza dubbio anche di al-Ḥasan ibn Mūsā, e ritroveremo la configurazione delle propp. 19 e 20, riguardanti le frecce e le corde dell'ellisse.
La teoria delle proiezioni di al-Qūhī e Ibn Sahl
Qualche anno prima dello studio di Ibn al-Samḥ che abbiamo ora visto, al-Qūhī redige un'opera apparentemente dedicata all'astrolabio, ma nella quale si trova invece un'esposizione molto più generale riguardante le proiezioni. Si tratta della prima teoria del metodo delle proiezioni ovvero di una geometria proiettiva locale della sfera, ampiamente completata da un commento di Ibn Sahl, contemporaneo dell'autore. Nel Kitāb Ṣan῾at al-asṭurlāb bi-'l-burhān (Libro sull'arte dell'astrolabio mediante la dimostrazione), sul quale torneremo a lungo nella seconda parte di questo capitolo, al-Qūhī non si interessa ai problemi pratici che incontravano gli artigiani costruttori di astrolabi, ma considera soltanto la teoria geometrica soggiacente. Nel cap. 1 del Libro I presenta il metodo delle proiezioni, sul quale verte più della metà del commento di Ibn Sahl. L'astrolabio serve a studiare il moto di rotazione della sfera celeste attorno a un asse, proiettandola su una superficie mobile sovrapposta a una superficie fissa: i due matematici sono quindi spinti a studiare in generale la proiezione di una sfera di asse BC, noto, su una superficie che può essere o meno di rivoluzione, e a distinguere in questo studio di carattere geometrico due casi per la superficie di rivoluzione, a seconda che l'asse di questa sia parallelo o meno all'asse BC della sfera. Al-Qūhī, seguito da Ibn Sahl, definisce allora le proiezioni cilindriche di direzione parallela o meno all'asse della sfera, e le proiezioni coniche a partire da un vertice che appartiene o no a quest'asse. A nostra conoscenza si tratta della prima volta in cui compare l'espressione "proiezione cilindrica" ortogonale od obliqua (ricordiamo che il concetto si trova già in Ṯābit ibn Qurra). Nelle parole di al-Qūhī: "[…] la proiezione della sfera si divide in due: una cilindrica, l'altra conica. La proiezione cilindrica è quella che dà, a partire dai cerchi della sfera, cilindri ad assi paralleli che cadono sulla superficie sulla quale si proietta la sfera e, a partire dalle linee e dai punti che sono sulla sfera, superfici e rette parallele a questi assi e che cadono su questa superficie" (Rashed 1993, pp. 191-192).
Anche se motivato da problemi di costruzione dell'astrolabio, il metodo esposto dai due studiosi non rientra in questo ambito. Troviamo infatti una classificazione di tutte le proiezioni cilindriche e coniche applicate alla sfera, mentre è una sola tra queste, la proiezione stereografica, che si utilizza per l'astrolabio. Tale classificazione riposa da un lato sulla natura del supporto della proiezione, e dall'altro sulla natura delle proiettanti. Lo studio delle proiezioni resta nondimeno legato al contesto del moto della sfera celeste, come abbiamo già detto. Ed è questo il motivo per il quale, riprendendo il disegno di al-Qūhī, esponendolo nei particolari e completandolo abbondantemente, Ibn Sahl studia non soltanto queste proiezioni, ma anche il modo in cui i diversi casi permettono alla superficie mobile di ruotare, sempre restando sovrapposta alla superficie fissa. Ciò può accadere soltanto se si tratta di superfici di rivoluzione. L'autore comincia con il considerare il caso in cui la superficie dell'astrolabio è un piano: ogni perpendicolare a questo piano è allora un asse per esso. In questo paragrafo considereremo il caso delle proiezioni cilindriche, ma i due matematici di cui riportiamo le ricerche trattano contemporaneamente le proiezioni coniche. Torneremo su queste ultime nel prossimo paragrafo.
Si presentano due situazioni, a seconda che l'asse BC della sfera coincida o meno con un asse della superficie. Ibn Sahl dimostra però che nel caso in cui l'asse BC non coincide con alcun asse della superficie piana, cioè quando BC non è perpendicolare a questa superficie, durante il movimento la superficie mobile non rimane sovrapposta alla superficie fissa. Nel caso in cui i due assi coincidono egli introduce i due concetti di proiezione cilindrica.
1) Proiezione cilindrica di direzione D parallela a BC: se l'asse BC della sfera è anche l'asse di rivoluzione della superficie mobile che esso incontra in A, questo punto è la proiezione dei punti B e C. La rotazione di un punto M qualunque della sfera attorno a BC induce quella della sua proiezione M′ attorno ad A, e dunque attorno all'asse BC. La superficie mobile, insieme dei punti M′, rimane sovrapposta alla propria posizione iniziale, cioè sovrapposta alla superficie fissa. Osserviamo che nel caso in cui la superficie dell'astrolabio è un piano, la proiezione così definita è una proiezione ortogonale od ortografica.
2) Proiezione cilindrica di direzione D non parallela a BC: siano A la proiezione del polo B ed E quella del polo C della sfera; B e C restano fissi durante il movimento dello strumento, come pure A ed E. Se M′ è la proiezione di un punto M della sfera, la rotazione di M attorno a BC induce una traiettoria ellittica, dunque non circolare, per M′. La superficie sulla quale la sfera si proietta non può perciò ruotare attorno all'asse BC avendo due punti fissi, A ed E.
Se le due superfici dell'astrolabio sono di rivoluzione attorno all'asse AΔ, ma non piane, allora la superficie mobile può rimanere sovrapposta alla superficie fissa solo nel caso in cui AΔ e BC coincidono. La situazione allora è compatibile con la proiezione cilindrica parallela a BC.
Dopo questo studio particolareggiato delle varie classi di proiezioni e delle diverse condizioni alle quali le superfici devono soddisfare affinché lo strumento possa essere progettato, Ibn Sahl precisa alcune proprietà delle proiezioni. La proiezione sulla superficie dell'astrolabio si ottiene intanto per intersezione di due superfici. Nel caso in questione, se D è la direzione della proiezione cilindrica, allora questa associa a ogni cerchio della sfera, il cui piano non contenga D o non sia parallelo a essa, una superficie cilindrica. La proiezione di un tale cerchio sarà ottenuta intersecando questa superficie cilindrica con la superficie, cilindrica o conica, dell'astrolabio. Intersezioni che non sono in generale curve piane. Nel caso in cui il piano del cerchio contiene la retta D, o è parallelo a essa, la proiezione associa al cerchio un piano parallelo a D, e il cerchio si proietta secondo l'intersezione di questo piano con la superficie dell'astrolabio.
Ibn Sahl ritorna infine, nel commento al testo di al-Qūhī, alla nozione di retta proiettante. Egli spiega che per la proiezione della quale ci stiamo occupando la proiettante di un punto qualunque è una retta parallela a D, e la superficie che proietta una linea L è generata dalle parallele a D tracciate da ogni punto di L, a meno che questa linea non sia una retta parallela a D, nel qual caso essa è la proiettante di sé stessa.
Se la proiezione ha la direzione dell'asse BC della sfera, allora il cilindro che proietta un cerchio Γ di diametro DE taglia la sfera secondo un altro cerchio Γ′di diametro D′E′; i due cerchi hanno dunque la stessa proiezione. La proiezione di un punto qualunque della calotta sferica di base è sovrapposta a quella di un punto della calotta di base Γ′.
A conclusione del commento sulla proiezione cilindrica Ibn Sahl studia la proiezione di un cerchio su un piano, affermando che si tratta di una sezione conica, a condizione ovviamente che il piano del cerchio non contenga o non sia parallelo alla direzione AB della proiezione. Si basa allora sul trattato di Ṯābit ibn Qurra, Kitāb fī quṭū῾ al-usṭuwāna wa-basīṭi-hā, di cui abbiamo già parlato, e in particolare sulla prop. 10, per dimostrare che se si proietta il cerchio di diametro CF della sfera sul piano dell'astrolabio, allora l'immagine è una sezione conica, un'ellisse di asse minore DE. A questo scopo considera il cilindro CDEF.
Nel periodo che qui ci interessa le proiezioni cilindriche sono una nozione importante quanto quella delle proiezioni coniche: nessuna delle due si collega direttamente a costruzioni particolari, anche se una delle proiezioni coniche, quella stereografica, è più legata di ogni altra alla costruzione dell'astrolabio. Ci soffermeremo ora sulle proiezioni coniche e sul loro sviluppo tra il IX e l'XI secolo.
Una delle scienze matematiche necessarie alla determinazione delle carte del cielo, della Terra e dei mari è la 'scienza della proiezione della sfera' (῾ilm tasṭīḥ al-kura). Questa scienza è indispensabile sia per la costruzione di astrolabi sia per la cartografia. La necessità di costruire carte risale all'Antichità, ma occorre attendere il mondo islamico affinché una tale scienza faccia la sua comparsa. È il motivo per cui gli studi sull'astrolabio hanno costituito un vasto campo di ricerca nell'ambito degli studi sulle proiezioni.
Il Planisfero di Tolomeo
Il nome di Ipparco di Nicea, astronomo del II sec. a.C. (ca. 160-125), è legato al primo studio conosciuto relativo a un metodo di rappresentazione della sfera celeste su un piano, il quale, in seguito sarebbe diventato la proiezione stereografica (Neugebauer 1949). L'opera più antica su questo metodo del quale si ha conoscenza è il Planisfero di Tolomeo. Secondo Otto Neugebauer lo scopo principale di quest'opera è dimostrare come sia possibile risolvere problemi di trigonometria sferica utilizzando solo la trigonometria piana. Tolomeo cerca di 'rappresentare' gli elementi della sfera (l'eclittica, i cerchi paralleli all'equatore, i cerchi meridiani) su un piano in modo da "ottenere una configurazione conforme a ciò che appare sulla sfera solida" (Anagnostakis 1984). Non utilizza il termine proiezione, né alcun altro termine che designi un elemento geometrico legato alla trasformazione. Comincia tracciando sul piano un cerchio che rappresenta l'equatore e cerca quindi di disporre "correttamente gli altri cerchi della sfera" in relazione a esso. Suppone che i diametri di questo cerchio rappresentino i meridiani, e il centro il Polo Nord. Ne deduce che è necessario che i cerchi paralleli posti a nord dell'equatore sulla sfera siano rappresentati all'interno del cerchio ABGD preso come equatore nel piano, e che i cerchi paralleli posti a sud si trovino all'esterno di ABGD. Costruisce allora due cerchi concentrici al cerchio ABGD a partire dagli archi uguali GZ e GH situati da parte opposta rispetto al punto G, tracciando le rette (DTZ) e (DHK) e prendendo come raggi di questi due cerchi ET ed EK. Afferma che questi due cerchi "corrispondono" a due cerchi della sfera situati da parte opposta rispetto all'equatore e alla stessa distanza. Ma non lo dimostra, perché questo fa parte di ciò che egli stabilisce nella rappresentazione e che deve corrispondere a ciò che compare sulla sfera.
Dimostra in compenso che il cerchio inclinato rappresentato dal cerchio il cui centro è il punto di mezzo di TM e tangente ai due cerchi in T e in M, taglia l'equatore ABGD in due metà, nei punti B e D. A questo scopo costruisce DM che taglia ABGD in N. Allora gli archi AN, GH e GZ sono uguali e dunque N e Z sono diametralmente opposti sull'equatore, l'angolo MDT è retto e il cerchio di diametro TM passa per D.
Supponendo poi che il centro E del cerchio ABGD rappresenti il polo della sfera, dimostra che ogni retta passante per E rappresenta un meridiano della sfera e taglia l'eclittica in due punti, Z e H, che corrispondono a punti diametralmente opposti sulla sfera.
La dimostrazione utilizza la prop. III, 35 degli Elementi di Euclide. Secondo questa proposizione, ZE×EH=ED×EB= =ET2, dove ET è perpendicolare a ZH. Dunque, in base alla proposizione inversa della prop. VI, 8 degli Elementi, l'angolo ZTH è retto, e dunque uguale all'angolo ATG. Ne segue che gli archi AK e LG sono uguali, e quindi i cerchi paralleli all'equatore e passanti per i punti rappresentati da Z e H sono disposti in maniera simmetrica rispetto a esso. Questi punti pertanto sono diametralmente opposti sulla sfera.
Dimostra poi che un orizzonte GTAH taglia in due metà l'equatore ABGD come pure l'eclittica BTDH: in altre parole i punti T, E e H sono allineati. La dimostrazione riposa anch'essa sulla prop. III, 35 degli Elementi di Euclide.
Sono queste le basi del metodo esposto nel Planisfero. L'autore designa l'operazione effettuata per rendere piana la sfera con i termini 'tracciare', 'rappresentare', 'corrispondere'. Cerca di dimostrare che i principî della sua rappresentazione sono compatibili con quanto accade sulla sfera. Questa rappresentazione è quella che si ottiene se si applica alla sfera una proiezione stereografica, ma non vi è alcuna trattazione matematica di tale proiezione nell'opera menzionata.
La lettura del commento al Planisfero fatta da Federico Commandino nel XVI sec. è di sostegno a questa interpretazione. Il piano dell'equatore non viene definito esplicitamente da Tolomeo come piano di proiezione, in quanto quest'ultimo non definisce la proiezione. Commandino sottolinea questo fatto dicendo che egli suppone che Tolomeo rappresenti il cerchio sul piano dell'equatore. Nel commento egli verifica infatti che dal punto di vista matematico, almeno per le prime proposizioni, la rappresentazione proposta da Tolomeo è coerente con la proiezione stereografica. È proprio lui a introdurre lo spaccato della sfera e a verificare che gli elementi tracciati da Tolomeo su un piano sono effettivamente le immagini che si ottengono sul piano dell'equatore in una proiezione conica degli elementi della sfera dal Polo Sud.
Nella versione che ci è pervenuta del Planisfero lo stile della terza parte subisce qualche modifica. Nel paragrafo 16 troviamo un elemento che si riferisce alla proiezione, ed è quando Tolomeo prende un punto come polo nascosto, cioè come polo di proiezione. Nel paragrafo 18, quando considera l'intersezione dei piani di due cerchi della sfera, utilizza implicitamente un ribaltamento. Infine nel paragrafo 19 determina l'immagine di un cerchio parallelo all'eclittica, passante per il polo, considerando l'intersezione del piano del cerchio con il piano dell'equatore. Come si vede, in questa parte il linguaggio e l'operazione geometrica cambiano: ci troviamo in presenza di proiezioni. Questo fatto ci porta a supporre che la versione della quale disponiamo oggi, nella traduzione in lingua araba, non sia autentica.
Il trattato al-Kāmil fī ṣan῾at al-asṭurlāb di al-Farġānī
Alla metà del IX sec. vi sono tutte le condizioni perché la scienza delle proiezioni si separi dall'astronomia. Questo periodo, infatti, è caratterizzato da una proliferazione di studi su differenti tipi di proiezioni cui si accompagna un utilizzo sempre maggiore delle Coniche di Apollonio. Per gli astronomi e i geografi il problema principale era quello di concepire una proiezione che potesse rappresentare con precisione la sfera, le linee e i cerchi tracciati su di essa; per i matematici occorreva però che essa avesse solide basi geometriche. L'incontro tra il problema delle proiezioni necessarie all'elaborazione di una teoria, in particolare dell'astrolabio, e la geometria delle coniche si riproporrà nell'opera di al-Farġānī, al-Kāmil, che costituisce l'atto fondatore della nuova disciplina geometrica sulle proiezioni.
Nel trattato sulla teoria dell'astrolabio al-Farġānī dedica un intero capitolo ai fondamenti geometrici della stessa. Il capitolo s'intitola 'Introduzione alle proposizioni geometriche mediante le quali si dimostra la figura dell'astrolabio'. L'uso dell'aggettivo 'geometriche' è fondamentale. Come era abitudine all'epoca nei trattati sull'astrolabio, al-Farġānī comincia con il considerare il problema della proiezione conica di una sfera, o la rappresentazione esatta di questa, prima di studiare l'astrolabio in quanto strumento astronomico; e segna una tappa importante studiando in modo puramente geometrico le proiezioni coniche. Il problema si può tradurre in questi termini: siano A il polo della proiezione conica e (Γ) un cerchio di centro ω in un piano (P), la proiezione conica del cerchio (Γ) su un piano (Q) è l'intersezione di questo piano e della superficie conica definita dal vertice A e dal cerchio (Γ).
Dalla scelta del piano (Q) dipende la natura della sezione conica che si ottiene: cerchio, ellisse, parabola o iperbole. Per la costruzione dell'astrolabio, il problema è come scegliere (Q) affinché la proiezione di un cerchio (Γ) sia un cerchio (Γ′).
Nel primo libro delle Coniche di Apollonio si dà una risposta indiretta a questa domanda, nel senso che la questione della proiezione non è mai affrontata. Il problema è formulato in termini diversi, che vertono sulla natura dell'intersezione di una superficie conica con un piano. Nella prop. 4, nella quale (Q) è parallelo a (P), Apollonio dimostra che l'intersezione è un cerchio il cui centro è allineato con il centro del primo cerchio e con il vertice del cono. Traducendo questa proposizione nel linguaggio moderno delle proiezioni, l'intersezione (Γ′), ovvero l'immagine di (Γ) nella proiezione conica di polo A, è la trasformata di (Γ) nell'omotetia h di centro A tale che (Q)=h(P). Si ha allora ω′=h(ω), e A, ω e ω′ sono allineati. Non era questa però l'intenzione di Apollonio, né il suo modo di procedere.
Nella prop. 5 Apollonio considera il piano principale del cono, cioè il piano (Π) che contiene l'asse Aω del cono e la perpendicolare abbassata da A sul piano del cerchio. Questo piano è un piano di simmetria per la superficie conica. Sia BC il diametro di (Γ) nel piano (Π). Apollonio considera allora un piano (Q) perpendicolare a (Π) e che lo taglia secondo B′C′ di modo che l'angolo AC′B′ sia uguale all'angolo ABC, e dimostra che l'intersezione del cono con il piano (Q) è un cerchio di diametro B′C′. Questa proposizione è nota come 'proposizione delle antiparallele'.
Al-Farġānī conosceva l'opera di Apollonio e a essa si ispira in larga misura adottando però un punto di vista nuovo, quello delle proiezioni, dovuto al quadro generale nel quale s'inserisce lo studio e cioè la costruzione dell'astrolabio. Il suo studio geometrico comincia con la dimostrazione del seguente lemma.
Siano dati un cerchio di diametro AG, la tangente in G a questo cerchio e una corda qualunque BC. Le proiezioni di polo A dei punti B e C sulla tangente siano rispettivamente K e I. Allora i triangoli ABC e AIK sono simili.
Infatti, gli angoli AGB e ACB sono uguali perché inscritti e intercettano lo stesso arco AB. Gli angoli AGB e AKG sono anch'essi uguali perché hanno lo stesso complementare, l'angolo BAG. Gli angoli ACB e AKG sono quindi uguali. In maniera analoga si dimostra che gli angoli CBA e KIA sono uguali.
Usando un'altra terminologia si può interpretare questo risultato come segue: osservando che nei triangoli GAK e GAI di altezze rispettivamente GB e GC si ha AG2=AB×AK= =AC×AI, nell'inversione T di polo A e potenza AG2 si ha I=T(C) e K=T(B). Dall'uguaglianza segue che nei triangoli i punti B, C, I, K appartengono a un cerchio invariante nell'inversione T.
Il lemma equivale infatti a dire che la proiezione conica di polo A di una corda sulla tangente nel punto diametralmente opposto è un segmento della tangente tale che gli estremi della corda e del segmento sono su un cerchio invariante nell'inversione T che ha lo stesso polo A e trasforma il cerchio dato nella retta tangente.
In una seconda proposizione al-Farġānī considera il problema della proiezione di un cerchio di una sfera su un piano tangente a essa.
Siano AG il diametro della sfera e (Q) il piano tangente in G. Si consideri il cono di vertice A che ha come base un cerchio (Γ) di centro ω, che si trova sulla sfera. Sia BC il diametro nel piano (Π) definito da A, G e ω, piano di simmetria per la sfera, il cono e il piano (Q). L'intersezione (Γ′) della superficie conica (A,Γ) con il piano (Q) ammetterà anche il piano (Π) come piano di simmetria. La figura nel piano (Π) è quella del lemma e GIK è la tangente in G.
Al-Farġānī comincia con lo studiare (Γ′), la proiezione di (Γ). Sia L un punto di (Γ′). Il piano passante per L e parallelo al piano di (Γ) taglia la superficie conica secondo il cerchio SLO di diametro OS, omotetico del cerchio (Γ). I piani IKL e SLO sono entrambi perpendicolari al piano (Π) e quindi anche la loro intersezione lo è. Il diametro OS taglia allora IK in P e dunque PL è perpendicolare a IK e a OS. Per il lemma gli angoli ACB e IKO sono uguali; ma SO è parallela a BC e quindi gli angoli ACB e ISO sono uguali, e perciò lo sono anche IKO e ISO, e i due triangoli KPO e SPI sono simili. Ne segue KP/PS=PO/PI e di conseguenza PI×PK=PS×PO. Tuttavia, OLS è un cerchio di diametro OS, e PL è perpendicolare a OS, e dunque PL2=PS×PO. Di conseguenza, per tutti i punti L della curva (Γ′) tali che PL è perpendicolare a IK si ha PL2=PI×PK, e la curva (Γ′) è un cerchio di diametro KI.
In una terza proposizione al-Farġānī dimostra che la retta Aω che passa per il centro di (Γ) taglia IK in un punto E che non è il centro di (Γ′). La retta Aω taglia infatti il cerchio massimo ABCG in M e si ha arco(CM)⟨arco(MB) in quanto AB⟨AC e ω è il punto di mezzo di BC, e quindi l'angolo CAM è minore dell'angolo MAB. Si tracci per A la semiretta Aω′ tale che l'angolo BAω′ sia uguale all'angolo CAω. Per il lemma si ha l'uguaglianza degli angoli AKω′ e ACω, dunque i triangoli ACω e ABC sono simili rispettivamente ai triangoli AKω′ e AIK; dunque:
Ora Cω=(1/2)BC, e dunque Kω′=(1/2)IK, il punto ω′ è il centro di (Γ′) e si ha ω′≠E.
Al-Farġānī dimostra così che se si considera una sfera di diametro AG e un piano (Q) tangente in G, la proiezione conica di polo A sul piano (Q) di un qualunque cerchio (Γ) tracciato sulla sfera è un cerchio (Γ′).
È chiaro che ogni piano parallelo al piano tangente in G taglierà la superficie conica secondo un cerchio. Si ottiene così la sezione che Apollonio studia nella prop. I, 5 delle Coniche e che egli chiama 'sezione di senso contrario'. Il metodo di dimostrazione è lo stesso, ossia l'uso della proprietà dell'altezza di un triangolo rettangolo che porta all'equazione del cerchio (potenza di un punto):
[4] [PL2 = PIⅹPK] ⇒ [y2 = x(d-x)],
posto
[5] IK = d, IP = x, PL = y.
Malgrado queste somiglianze vi sono quindi differenze, ugualmente importanti: la proposizione di Apollonio non riguarda la sfera, e inoltre al-Farġānī non si occupa della 'sezione di senso contrario'. Se si adotta il procedimento di dimostrazione, oggetto e scopo delle ricerche restano comunque diversi. Se si segue infatti lo sviluppo dello studio di al-Farġānī a partire dal lemma, e si ricorda che i matematici e i bibliografi posteriori lo annoverano tra gli studiosi della 'scienza delle proiezioni' ‒ anche se egli non utilizza la terminologia delle proiezioni che presto entrerà nell'uso ‒ e se infine si pensa allo scopo che si era prefisso, ci si accorge facilmente che non si è più sul terreno di Apollonio, anche se è dalle Coniche che prende il via la sua ricerca sulle proiezioni coniche. Se l'idea di inversione sembra latente nel lemma, lo è anche per la proposizione. In effetti il piano tangente in G è l'immagine della sfera nell'inversione T di polo A e potenza AG2=p, e ogni punto D del cerchio (Γ) ha per inverso un punto Δ′ del cerchio (Γ′) tale che
[6] AD×AΔ′=AG2.
I due cerchi (Γ) e (Γ′) appartengono a una medesima sfera che ammette come cerchio massimo nel piano (Π) il cerchio circoscritto al quadrilatero BCIK. Questa sfera è invariante nell'inversione T. In altre parole si può dire che al-Farġānī arriva a dimostrare che la proiezione di una sfera, con polo il punto A della sfera, sul piano tangente nel punto diametralmente opposto, oppure su un piano parallelo a questo, è una proiezione stereografica.
Dopo questo lavoro di al-Farġānī nel IX sec., la ricerca proseguirà con molti altri matematici di grande prestigio, tra i quali Abū 'l-῾Alā᾽ ibn Karnīb, Abū Yaḥyā al-Māwardī, Ibn Ma῾dān e Ibn Sinān. Per valutare lo sviluppo di questa disciplina nell'arco di circa un secolo è sufficiente esaminare gli scritti di al-Qūhī, Ibn Sahl e di al-Siǧzī. I primi due studiosi sono strettamente legati nelle loro ricerche: il secondo scrisse infatti un commento al trattato del primo. Sono proprio i loro lavori che prenderemo ora in esame.
Il trattato di al-Qūhī e il commento di Ibn Sahl
Il Kitāb Ṣan῾at al-asṭurlāb bi-'l-burhān composto da al-Qūhī, del quale abbiamo parlato nel paragrafo precedente a proposito della proiezione cilindrica, non ci è pervenuto integralmente. Si presenta in due libri, il secondo dei quali è privo di tre dei sette capitoli che doveva avere in origine, i capp. 3, 4 e 5. A questo secondo libro manca anche gran parte della dimostrazione della sesta e ultima proposizione del cap. 2, che ha dovuto essere ricostruita per l'edizione (Rashed 1993).
Il Libro I consta di quattro capitoli ed è completo. I problemi esposti sono tutti risolti per sintesi. Nel cap. 1, dopo una presentazione globale dello strumento in uno stile che vuole essere rigoroso, l'autore espone, nella forma più generale possibile per questo periodo, i primi elementi di uno studio teorico sulla proiezione della sfera. Uno studio che, se nasce in una situazione legata alla costruzione e all'utilizzazione dell'astrolabio, cerca di uscirne completamente per diventare puramente geometrico. L'esposizione è però talmente breve e concisa che il commento di Ibn Sahl sarà per la maggior parte dedicato a svilupparne il contenuto. È da questa esposizione e dal commento che abbiamo ripreso le nostre considerazioni sulle proiezioni cilindriche. I due matematici trattano congiuntamente le proiezioni coniche. In un primo tempo Ibn Sahl considera il caso in cui la superficie dell'astrolabio è un piano. Delle due situazioni che si presentano in questa evenienza, a seconda che l'asse BC della sfera coincida o meno con l'asse della superficie, solo il caso in cui i due assi coincidono è compatibile con il movimento dello strumento. In questo caso Ibn Sahl entra nel dettaglio delle due nozioni di proiezione conica:
1) Proiezione conica da un punto D sull'asse BC: se D≠B e D≠C, A è la proiezione dei due punti B e C. Se D=B, A è la proiezione di C, e se D=C, A è la proiezione di B. Ora poiché B e C sono fissi anche A lo è, ed è il solo punto fisso della superficie; questa può quindi ruotare sull'altra superficie.
2) Proiezione conica da un punto D non appartenente all'asse BC. In questo caso i poli B e C hanno proiezioni distinte; siano esse A ed E. La superficie ha allora i due punti fissi A ed E, e di conseguenza non può ruotare restando sovrapposta all'altra superficie.
Quando le due superfici dell'astrolabio sono di rivoluzione attorno all'asse AΔ, ma non piane, si ritrova il caso della proiezione conica di polo su BC.
Ibn Sahl studia la nozione di proiettante nel caso della proiezione conica, in parallelo con il caso della proiezione cilindrica che abbiamo già visto. Nella proiezione conica da un punto B la superficie proiettante di un cerchio è in generale una superficie conica di vertice B, eccetto il caso in cui B appartiene al piano del cerchio perché allora la superficie proiettante è il piano stesso.
Nella proiezione conica, se il vertice S del cono appartiene all'asse BC, il cono proiettante un cerchio (Γ) di diametro DE taglia la sfera secondo un altro cerchio (Γ′) di diametro D′E′; i due cerchi hanno allora la stessa proiezione. La proiezione di un punto della calotta sferica di base (Γ) coincide con quella di un punto della calotta di base (Γ′).
Seguendo lo stesso percorso delle proiezioni cilindriche, dopo aver scartato il caso eccezionale dei cerchi al cui piano appartiene il vertice del cono, Ibn Sahl prende in esame la proiezione di un cerchio di diametro CF su una superficie piana e perpendicolare all'asse AB della sfera, con il vertice del cono in un punto G di AB. Due casi si presentano: G∈[AB] o G∈[AX).
Nel primo caso, l'angolo GFC è maggiore di AFC e AIE è maggiore di GDE; nel secondo è il contrario, cioè GFC è più piccolo di AFC e AIE di GDE. In entrambi i casi, se AJ è la tangente in A al cerchio di diametro AB, AJ è parallelo a DE e si ha pertanto uguaglianza degli angoli AFC, IAJ e AIE. Dunque nel primo caso l'angolo GFC è maggiore di AFC, IAJ e AIE. Nel primo caso l'angolo GFC è quindi maggiore di GDE e nel secondo è più piccolo. Per Apollonio allora, essendo CF un cerchio, la sua proiezione DE è una sezione conica non circolare.
Ibn Sahl evita volutamente di considerare il caso in cui G si trova in A oppure in B e che corrisponde alla proiezione stereografica. Questa proiezione sarà infatti l'oggetto di tutta la parte rimanente del trattato di al-Qūhī, che ne farà uno studio accurato.
Al-Qūhī prosegue quindi l'esposizione, sempre nel cap. 1, dimostrando la proprietà fondamentale della proiezione stereografica, e cioè che l'immagine di un cerchio della sfera è un cerchio o una retta; quest'ultimo caso si verifica quando il cerchio da proiettare passa per il polo di proiezione.
Si vuole proiettare sul piano (P) perpendicolare all'asse AD della sfera un cerchio di diametro BC non passante per il polo A della proiezione. Se i punti B e C si proiettano su (P) in E e in G, allora il cerchio si proietta nel cerchio del piano (P) di diametro EG. L'autore cerca sempre la massima generalità possibile: il piano (P) è qualunque, non è né il piano dell'equatore, né il piano tangente alla sfera in D.
Per dimostrare questa proprietà, già dimostrata da al-Farġānī, al-Qūhī fa esplicitamente uso della prop. I, 5 delle Coniche che abbiamo ricordato in precedenza. La proprietà fondamentale della proiezione stereografica è infatti una diretta applicazione della proprietà delle sezioni contrarie. Il piano (ABCD) del meridiano del cerchio da proiettare contiene il triangolo ABC ed è perpendicolare sia al piano (P) sia al piano del cerchio. Sono queste le ipotesi che permettono di ritrovare la configurazione fondamentale di Apollonio basata sul piano principale del cono. Qui è il piano del meridiano del cerchio da proiettare che ha questo ruolo. Si può dunque applicare la prop. I, 5 delle Coniche di Apollonio dopo aver dimostrato che i triangoli AGE e ABC sono simili. Quest'ultimo punto risulta dalla similitudine dei triangoli rettangoli ABD e AHE e dall'uguaglianza degli angoli ACB e ADB. Si può quindi concludere che l'intersezione del cono con il piano (P) perpendicolare all'asse della sfera è un cerchio. Se il cerchio di diametro BC passa per il polo A, allora il cerchio si proietta nell'intersezione del proprio piano con il piano (P), e dunque in una retta.
Da qui alla fine del trattato al-Qūhī non uscirà più dal quadro delimitato da questa proiezione, espressamente introdotta come caso particolare delle proiezioni coniche della sfera: il caso in cui il polo della proiezione coincide con uno dei poli della sfera. L'autore è tuttavia attento a che questo primo capitolo abbia carattere generale e che vi sia una certa indipendenza della proiezione rispetto all'astrolabio: oltre alle proiezioni di cui abbiamo parlato, egli considera anche la proiezione della sfera 'su un piano al quale l'asse della sfera è perpendicolare'. È solo a partire dal capitolo seguente che la sfera verrà proiettata 'sul piano dell'astrolabio'. Questa espressione si trova per la prima volta all'inizio del cap. 2 del primo libro, e rende bene la difficoltà nella quale si trova al-Qūhī che non riesce a separare questa ricerca dal contesto dei problemi posti dalla costruzione dell'astrolabio, cioè dalla loro 'terra d'origine'. Presenta allora nel cap. 2 la terminologia astronomica propria a questo strumento, ricordando in particolare i due procedimenti di costruzione degli astrolabi del nord e del sud.
Nel cap. 3 espone e dimostra le costruzioni delle muqanṭarāt, proiezioni dei cerchi d'altezza per un dato orizzonte. Il problema consiste nel costruire, sul piano dell'astrolabio, la proiezione di un cerchio (Γ) parallelo all'orizzonte noto mediante la distanza angolare α del suo polo dal polo della sfera (α è cioè il complementare della latitudine del luogo dal quale si considera l'orizzonte). Questo cerchio (Γ) ha per diametro IK sulla sfera ed è anch'esso definito dalla distanza angolare β dal proprio polo, che quindi rappresenta il complementare dell'altezza di questo cerchio sull'orizzonte.
Si prende sulla circonferenza BCDE, meridiano del cerchio (Γ), il punto G, polo dell'orizzonte noto e dunque anche del cerchio. Si prende poi il punto I tale che l'arco GI sia uguale a β, e il punto K simmetrico di I rispetto ad AG. Il cerchio (Γ) ha dunque diametro IK. Se i punti L e M sono rispettivamente le proiezioni di I e K, allora il cerchio (Γ′) di diametro LM e passante per N è la proiezione di (Γ) sul piano dell'astrolabio.
L'operazione di proiezione eseguita dall'autore consta in realtà di due fasi: (1) proiezione sul piano equatoriale, (2) ribaltamento sul piano della figura considerato come piano dell'astrolabio. Al-Qūhī, come in tutti i problemi di questo Libro I, presenta la costruzione sul piano dell'astrolabio, dimostrando poi che gli elementi proiettati sul piano equatoriale corrispondono per ribaltamento a quelli costruiti sul piano dell'astrolabio. Tale nozione di ribaltamento, che gli servirà lungo tutta l'opera, compare per la prima volta a questo punto. L'uso sistematico che l'autore fa di questo concetto nel Libro I della sua opera segnerà un cambiamento nel lessico e nello stile delle dimostrazioni.
Nel capitolo successivo, quarto e ultimo del Libro I del trattato, al-Qūhī affronta la costruzione dei cerchi azimutali (sumūt), proiezioni dei cerchi d'altezza per l'orizzonte dato.
Dato il meridiano BCDE nel piano dell'astrolabio, e un orizzonte per mezzo dei poli G e I, cioè l'angolo α, si propone di costruire l'immagine di un cerchio di altezza (Λ). Questo cerchio massimo della sfera passante per i poli G e I dell'orizzonte noto è definito dall'angolo γ che forma con il meridiano di questo orizzonte, cioè il complementare dell'arco azimutale. A questo scopo considera un cerchio ausiliario della sfera, parallelo all'orizzonte, e dunque di poli G e I, e di diametro KL nel piano del meridiano. Considera in realtà il ribaltamento di questo cerchio nel piano dell'astrolabio attorno a KL; lo denotiamo con (Γ).
Grazie a questo ribaltamento al-Qūhī può rappresentare la distanza angolare γ mediante un punto S del cerchio (Γ), tale che l'arco LS sia uguale a γ. Considera tutti i casi riguardanti questo cerchio ausiliario (Γ), cominciando con il caso generale di un cerchio che non passa per il polo di proiezione e che non è l'orizzonte. Poi, dopo aver osservato che la costruzione si semplifica se si prende come cerchio l'orizzonte, tratta il caso in cui il cerchio parallelo è quello che passa per il polo B di proiezione. Questa discussione sottolinea la volontà dell'autore di fare uno studio esaustivo e, sottolineamolo ancora una volta, entro un quadro interamente geometrico e teorico.
Al-Qūhī dimostra che la proiezione del cerchio d'altezza considerata è il cerchio (Λ′) passante per i punti P e Q, proiezione dei poli dell'orizzonte G e I, e per il punto N, intersezione del cerchio (Γ′), proiezione di (Γ) ribaltato sul piano dell'astrolabio, con la retta (Δ′), perpendicolare a CE in U, proiezione del punto O ottenuto anch'esso per proiezione ortogonale di S sul diametro LK del cerchio (Γ).
Va osservato che il modo in cui al-Qūhī distingue tra proiezione sul piano dell'astrolabio e proiezione sul piano equatoriale della sfera ha un ruolo essenziale nell'elaborazione della teoria geometrica delle proiezioni: il rapporto tra i due consiste in un ribaltamento. Le costruzioni hanno luogo sul piano dell'astrolabio, che egli considera come sovrapposto al piano della figura, e le dimostrazioni degli ultimi due capitoli del Libro I consistono nello stabilire la conformità di queste costruzioni alla teoria della proiezione stereografica.
Se si eccettua il cap. 7, che costituisce una sorta di annesso nel quale al-Qūhī dimostra alcuni lemmi utilizzati nei capitoli precedenti, i problemi del Libro II servono a costruire l'astrolabio, e dunque la sfera proiezione, a partire dal suo piano e da tre elementi particolari che egli considera in modo sistematico tra i possibili dati della rappresentazione sul piano dell'astrolabio. Così accade nei tre capitoli conservati, 1, 2 e 6, e possiamo supporre che fosse lo stesso nei capitoli andati perduti. Nei capp. 1 e 2 la struttura è del tutto simile. Entrambi comportano sei problemi dei quali al-Qūhī redige la sintesi. Come vedremo egli riporta, grazie ai risultati del Libro I, la costruzione dell'astrolabio alla determinazione del centro e del raggio della sfera.
Nel cap. 1 del Libro II sono raggruppati i problemi per i quali l'autore prende come dati un punto immagine nel piano dell'astrolabio, cioè nel piano dell'equatore ribaltato sul piano del meridiano, e la distanza angolare del suo omologo dal polo della sfera. Al-Qūhī chiama 'omologo' di un elemento (punto, cerchio o retta) del piano dell'astrolabio quello che noi chiamiamo oggi 'antecedente' nella proiezione (punto o cerchio), situato sulla sfera. Dare la distanza angolare di questo omologo dal polo della sfera equivale a darne la latitudine, dunque a situarlo su un cerchio parallelo all'equatore della sfera (Libro I, cap. 2). Il terzo dato viene allora scelto tra i seguenti: (1) il polo della sfera, (2) il centro della sfera, (3) il raggio della sfera, (4) la distanza sul piano dell'astrolabio del polo da un punto il cui omologo è a una distanza angolare nota da questo polo, (5) la distanza sul piano dell'astrolabio del centro della sfera da un punto il cui omologo è a una distanza angolare nota dal polo della sfera, (6) un altro punto immagine e la distanza angolare del suo omologo dal polo della sfera.
Il cap. 2 del Libro II raggruppa i problemi per i quali i dati sono una muqanṭara sul piano dell'astrolabio e la distanza angolare dal polo del suo omologo al polo della sfera. Dare questa distanza angolare equivale a dare l'orizzonte al quale è associato questo cerchio parallelo, e dunque la latitudine del luogo per il quale l'astrolabio viene concepito, in quanto un orizzonte ha gli stessi poli dei cerchi a esso paralleli. Si ritrovano allora per i sei problemi esattamente gli stessi terzi elementi dati nello stesso ordine nel cap. 1.
Nel cap. 6 ritroviamo la medesima variazione del terzo dato, che viene ad aggiungersi al punto dato nel piano dell'astrolabio e al suo omologo rispetto a un orizzonte noto. Questa volta l'autore si limita a enumerare i casi, sviluppando soltanto la soluzione del primo problema che risolve con l'analisi, e del quale Ibn Sahl darà la sintesi nel suo commento. Possiamo supporre che i problemi dei tre capitoli di questo libro, andati perduti, fossero nello stesso stile dei primi due, perché Ibn Sahl, che doveva possedere l'intero trattato del suo contemporaneo, non fa commenti.
Anche se con quest'opera al-Qūhī si pone nell'ambito dell'astrolabio, egli studia in realtà, in tutto il trattato, la struttura matematica che è alla base di questo strumento astronomico, e cioè la proiezione stereografica sul piano equatoriale di una sfera definita dal centro e dal raggio.
Gli elementi caratteristici di questo oggetto (il polo e il supporto) sono il centro, il raggio della sfera e il piano di proiezione. Il trattato si divide così tra lo studio diretto della proiezione, e cioè come costruire l'immagine di un punto o di un cerchio dati gli elementi caratteristici (Libro I), e lo
studio inverso, ossia come risalire agli elementi caratteristici della proiezione date alcune immagini (Libro II). Se la lettura di alcuni passi del Libro I può far pensare a uno dei numerosi studi del X sec. che avevano lo scopo di spiegare il funzionamento dello strumento e il suo tracciato, l'opera invece non si rivolge affatto agli artigiani. Lo stile è quello di un trattato di matematica e l'intento è chiaro fin dal titolo: l'autore si propone di 'dimostrare' tutte le costruzioni che effettuerà. Egli enuncia infatti queste costruzioni sotto for-ma di problemi, ne fornisce la soluzione sia per analisi siaper sintesi e poi le dimostra. Inoltre questo trattato è perfettamente ordinato e ha senza dubbio un carattere metodico. Al-Qūhī vi risolve sistematicamente i problemi geometrici posti dallo strumento studiato. Raggruppa le proposizioni che riposano su una stessa configurazione base e riduce, quando possibile, alcuni problemi ad altri già risolti. Il suo è un trattato puramente geometrico su un argomento del tutto originale, ed è il motivo per cui questo testo, accompagnato dal commento di Ibn Sahl, costituisce un contributo importante che testimonia l'attività geometrica del X secolo.
Lo studio di al-Ṣāġānī sulla proiezione della sfera
Quasi nello stesso momento al-Ṣāġānī scrive un trattato che intitola Kitāb Kayfiyyat taṣṭīḥ al-kura (Del modo di proiettare la sfera [sul piano dell'astrolabio]), nel quale generalizza la proiezione conica della sfera spostando il polo di proiezione lungo l'asse di questa, e sviluppa in dodici capitoli la sua nuova teoria e le relative applicazioni alla costruzione pratica da parte degli artigiani. Studia la costruzione, nel piano dello strumento, delle proiezioni dei paralleli all'equatore (madārāt) e dei meridiani, delle proiezioni di un orizzonte, dei paralleli a esso situati nell'emisfero delimitato da questo orizzonte e contenente il Polo Nord (questo emisfero rappresenta infatti la parte della volta celeste visibile) e dei cerchi d'altezza per questo orizzonte, come pure la costruzione delle proiezioni dello zodiaco e delle stelle fisse ‒ il ragno ‒ mediante modi di proiezione che derivano dalla proiezione stereografica. In tutto il trattato considera proiezioni coniche, ma invece di proiettare la sfera sul suo piano equatoriale da uno dei poli, sposta il polo di proiezione lungo l'asse discutendo tutti i casi che si presentano. Nell'introduzione al-Ṣāġānī rivendica la propria priorità riguardo a queste proiezioni. Al-Bīrūnī nel trattato Taṣṭīḥ al-ṣuwar parla delle proiezioni coniche con il polo sull'asse della sfera, coincidente o meno con i poli della sfera, ma non cita al-Ṣāġānī. Quest'ultimo precisa che nessuno aveva ancora studiato il tracciato delle sezioni coniche nel piano dell'astrolabio, ed è probabile che nel momento in cui scriveva non conoscesse l'opera di al-Qūhī e il commento di Ibn Sahl di cui abbiamo parlato.
Nei primi sei capitoli al-Ṣāġānī sviluppa l'aspetto teorico dei metodi di proiezione dei cerchi che costituiscono la rete delle coordinate orizzontali, e cioè i cerchi paralleli all'orizzonte e i cerchi d'altezza che per proiezione danno le muqanṭarāt e i sumūt sul timpano dell'astrolabio. Negli ultimi tre capitoli invece, dopo aver presentato tre modi di tracciare il ragno, presenta i metodi pratici, che chiama metodi 'dell'artigiano', che permettono di tracciare questa rete. Noi qui consideriamo soltanto la parte puramente geometrica del trattato. Il carattere innovatore dell'opera che, come abbiamo notato, non sfugge all'autore, è costituito dallo studio delle proiezioni coniche che non trasformano i cerchi della sfera in altri cerchi sul piano dell'astrolabio. Anche se non ne parla esplicitamente, al-Ṣāġānī conosceva senza dubbio la proprietà principale della proiezione stereografica (nella quale, ricordiamo, i cerchi della sfera si proiettano secondo cerchi e rette sul piano di proiezione) e si allontana volutamente da questa proiezione perché omette, ogni volta che si potrebbe presentare, il caso in cui il polo di proiezione coincide con uno dei poli della sfera. Soltanto le coniche, in quanto proiezioni dei cerchi della sfera, lo interessano e noi pensiamo che ciò sia dovuto a una conoscenza approfondita del libro di Apollonio, e che sia anche un esempio di applicazione della teoria delle coniche, un aspetto che caratterizza l'attività dei geometri del X secolo. Nel considerare i metodi dal punto di vista teorico, al-Ṣāġānī sviluppa i ragionamenti nello spazio ma riportandosi il più possibile al piano mediante procedimenti di ribaltamento che al-Qūhī nel suo trattato aveva riunito in un sistema. Il ribaltamento più usuale è quello attorno alla linea meridiana, e consiste nel sovrapporre il piano dell'equatore, supporto dell'astrolabio, al piano del meridiano dell'orizzonte.
La costruzione delle muqanṭarāt
Dopo aver esposto quattro lemmi, studiato la proiezione dei tropici e discusso i vari casi che si presentano in funzione della posizione del polo di proiezione, al-Ṣāġānī espone la proiezione dei cerchi paralleli all'orizzonte. Contempla varie situazioni che tratterà una dopo l'altra in diversi capitoli.
Prima situazione. Siano A il polo sud e C il polo nord della sfera di centro E, GH il diametro dell'orizzonte o di un cerchio ad esso parallelo, F la proiezione ortogonale sull'asse della sfera dell'estremità meridionale G del diametro dell'orizzonte e O il polo di proiezione. Allora tutte le muqanṭarāt possono essere rappresentate secondo ellissi se l'astrolabio è settentrionale e O si trova sulla semiretta aperta FA priva del punto A, o se è meridionale e O si trova all'esterno della sfera.
Al-Ṣāġānī distingue tre casi (O1,O2,O3), ma il teorema, che costituisce il cap. 3 dell'opera, si enuncia in modo unico, e cioè l'immagine del cerchio di diametro GH nella proiezione conica di polo O è l'ellisse di asse IK e parametro p, dove I e K sono le proiezioni rispettivamente di G e H e p è definito dalla relazione MO2/(MH×MG)=IK/p, dove M è il punto di intersezione della retta GH con la parallela a BD passante per O. Rimanda alla costruzione di Apollonio alla fine del Libro I delle Coniche per assicurare che l'ellisse è ben definita, sottolineando che nel primo caso p⟨IK, per cui IK è l'asse maggiore dell'ellisse, e negli altri due si ha p>IK, per cui IK è l'asse minore. Ciò risulta dai lemmi 3 e 4 del primo capitolo.
Al fine di dimostrare questo teorema, al-Ṣāġānī considera un cono di vertice O e di base il cerchio di diametro GH, e dimostra che sono soddisfatte tutte le condizioni che risultano dai primi due lemmi per poter applicare la prop. 13 del Libro I delle Coniche di Apollonio, il quale definisce l'ellisse.
Seconda situazione. Con gli stessi dati, se questa volta il polo di proiezione si trova in F, l'orizzonte si proietta in una parabola di vertice S, asse DS e parametro p, dove S è la proiezione dell'estremo H del diametro dell'orizzonte, e p è definito dalla relazione GH2/(GF×FH)= p/SF.
Tutte le altre muqanṭarāt sono ellissi nel piano dell'astrolabio. L'autore rimanda di nuovo ad Apollonio per la costruzione della parabola e la dimostrazione del risultato.
Terza situazione. Ancora con gli stessi dati, se il polo di proiezione O si trova tra F ed E l'orizzonte si proietta in un'iperbole di asse SQ, vertice Q, diametro SQ e parametro p, dove S e Q sono le proiezioni rispettivemente di G e H, e p è definito dalla relazione UO2/(GU×UH)=QS/p, dove U è il punto di intersezione di GH con la parallela a BD passante per O.
Quanto alle altre muqanṭarāt, sia IK il diametro del cerchio (Γ) parallelo all'orizzonte tale che OI sia parallelo a BD. Allora, per la seconda situazione, l'immagine nella proiezione di polo O è una parabola nel piano dell'astrolabio, quella di un cerchio parallelo all'orizzonte e posto tra questo orizzonte e (Γ) sarà un'iperbole, e quella di un cerchio parallelo posto al di là di (Γ) rispetto all'orizzonte sarà un'ellisse.
Quarta situazione. Questa volta il polo di proiezione si trova in F′, e gli altri dati sono gli stessi. L'astrolabio è allora di tipo meridionale perché il polo di proiezione si trova sulla semiretta uscente dal centro della sfera che passa per il polo nord. Sia M il punto in cui la retta HF′ interseca la sfera. Esiste allora un cerchio (Γ), parallelo all'orizzonte, un diametro del quale avrà uno degli estremi in M. Inoltre, se (Λ) è il cerchio parallelo all'orizzonte il cui diametro IK passa per F′, le immagini dell'orizzonte e di (Γ) sono parabole nel piano dell'astrolabio, quelle dei cerchi paralleli compresi tra i due sono iperboli, escluso (Λ) che ha per immagine una retta, e quelle dei cerchi paralleli all'orizzonte e posti al di sopra di (Γ), cioè tra questo e il polo dell'orizzonte, sono ellissi.
In questa situazione al-Ṣāġānī tratta solo il caso dell'iperbole e della retta. Per la proiezione di un cerchio posto tra l'orizzonte e (Γ), e diverso da (Λ), riprende allo stesso modo della proposizione precedente la definizione degli elementi caratteristici della conica: asse, vertice, lato retto e diametro. Dimostra poi che l'immagine di (Λ) è il segmento JL, perché il cono di vertice F′ e base (Λ) è appiattito ed è pertanto contenuto nel piano del cerchio (Λ), la cui intersezione con il piano di proiezione si ribalta sul piano dell'astrolabio in JL.
Quinta situazione. Lo studio delle muqanṭarāt termina con il caso in cui il polo di proiezione è nel centro E della sfera. Al-Ṣāġānī considera il cono di centro E e di base il cerchio (Γ) di diametro IK parallelo all'orizzonte di diametro GH.
L'immagine di (Γ) è allora l'intersezione del cono e del piano di proiezione, il cui ribaltamento sul piano dell'astrolabio consta di due segmenti ES ed ES′, dove S ed S′ sono i punti di intersezione del cerchio del meridiano (ABCD) con la perpendicolare a BD passante per L, dove L è il punto di intersezione del diametro IK con BD.
Al-Ṣāġānī aggiunge che se il segmento IK non interseca il segmento BD, allora il cerchio di diametro IK non si proietta. Non dice nulla in compenso sul caso in cui IK coincide con l'orizzonte né su quello nel quale l'estremo I del diametro del cerchio parallelo coincide con il punto D. Questo studio della proiezione il cui polo è il centro della sfera ci informa, se c'erano ancora dubbi, sulle intenzioni dell'autore. Considerando un caso che per via del suo carattere banale non si applica all'astrolabio, egli vuole sottolineare il fatto che la sua ricerca è teorica, e che i casi particolari sono importanti in quanto 'casi limite' per stabilire il carattere generale di una teoria delle proiezioni coniche della sfera.
La costruzione dei sumūt
Come per le muqanṭarāt, al-Ṣāġānī inizia lo studio della costruzione dei sumūt con la dimostrazione di quattro lemmi di trigonometria sferica. Sviluppa il ragionamento nello spazio e, se discute della natura della proiezione di un cerchio d'altezza (Γ), determina le caratteristiche della conica soltanto in rapporto ai piani della sfera dati nello spazio. È nel capitolo sesto, dedicato alla costruzione dei sumūt nel piano dell'astrolabio, che definirà la conica in questo piano utilizzando in particolare due ribaltamenti, gli stessi del primo lemma. Questa volta non dispone più del parametro della conica, come per le muqanṭarāt; per questo non rimanda più al Libro I delle Coniche di Apollonio ma ricorre a un'ordinata, tracciata dalla sezione sull'asse (Abgrall 2000).
Nelle prime tre proposizioni del cap. 6 proietta il primo cerchio d'altezza (Γ0) di diametro FH, quello ortogonale al meridiano (ABCD) dell'orizzonte, considerando le diverse posizioni del polo di proiezione ma limitandosi alle proiezioni settentrionali.
Poiché (Γ0) ha come meridiano (ABCD), può essere considerato come un orizzonte. Dunque l'asse della conica ottenuta proiettando (Γ0) ha come sostegno BD. Tuttavia al-Ṣāġānī non applica i risultati del suo studio sulle muqanṭarāt in quanto non determina il parametro della conica, ma in ogni caso AL è un'ordinata. Se U è la proiezione di H e V quella di F, quando esiste, allora nel primo caso il polo della proiezione M è esterno alla sfera, e dunque l'immagine di (Γ0) è l'ellisse di asse UV. Nel secondo caso il polo di proiezione è in J e l'immagine è la parabola di vertice U e asse UB. Nel terzo caso il polo di proiezione M è tra J e L e l'immagine è l'iperbole di vertice U e diametro UV.
Nella quarta proposizione, considera un cerchio d'altezza (Γ) qualunque, mettendo il polo di proiezione M all'esterno della sfera. Costruisce la retta LG tale che l'arco BG sia uguale alla distanza fra il meridiano e i punti equinoziali (qaws al-ḥāṣila), e i punti R ed E del cerchio ABCD tali che gli archi DR e BE siano uguali a δ, l'inclinazione di (Γ) sull'equatore (al-mayl), riprendendo quanto posto e dimostrato nel primo lemma della costruzione degli azimut. Si prendono I e S come intersezione di ME e MR con BD, e U e V su LZ, perpendicolare a LG, tali che LU=LS e LV=LI.
Al-Ṣāġānī è a conoscenza che, per il lemma 3, l'immagine di (Γ) è un'ellisse. La costruzione precedente comporta infatti i due ribaltamenti del lemma 1. Da un lato il meridiano di (Γ) è ribaltato, attorno ad AC, sul meridiano (ABCD). La retta PT, intersezione del meridiano di (Γ) e dell'equatore, si ribalta allora in BD, e proiettando E ed R si ottiene la lunghezza IS dell'asse dell'ellisse cercata. La posizione di questo asse si ottiene con il secondo ribaltamento, quello del piano dell'equatore attorno a BD, mediante il quale PT si ribalta su LZ. Per rotazione di IS attorno a L si ottiene l'asse dell'ellisse UV. In questo stesso ribaltamento attorno a BD uno dei due punti invarianti del cerchio (Γ) si sovrappone a G. Dunque l'ellisse ha per asse UV e una delle ordinate è GL. Nel testo al-Ṣāġānī non precisa questi ribaltamenti: definisce le tappe della costruzione e rimanda al lemma 3 per la dimostrazione.
Tratta poi, nella quinta proposizione, il caso in cui la proiezione sia una parabola, seguendo lo stesso metodo del ribaltamento; questo caso si ottiene quando il polo della proiezione coincide con la proiezione ortogonale J′di E sull'asse. Discute brevemente degli altri tipi di coniche ottenuti in funzione della posizione del polo di proiezione rispetto a J′per un cerchio di altezza fissata. Aggiunge che per un dato polo di proiezione tutti i sumūt passano per due punti fissi, che sono le proiezioni dei poli dell'orizzonte. Ritroviamo il fatto che i sumūt formano un fascio di cerchi passanti per i punti base. Al-Qūhī dimostra questo risultato indirettamente, determinando il luogo dei centri dei sumūt nel capitolo 4 del Libro I del suo trattato. Al-Ṣāġānī conclude lo studio con due proposizioni dove tratta il caso in cui il polo di proiezione è il centro della sfera.
Fin dal IX sec. gli studi sull'astrolabio basati sulla proiezione stereografica sono numerosissimi; le opere di al-Bīrūnī che abbiamo citato ci forniscono molte testimonianze. Ne troviamo altre in un'opera di Ibn al-Sarī, noto anche con il nome di Ibn al-Ṣalāḥ (m. 548/1154), dal titolo Tasṭīḥ basīṭ al-kura (La proiezione della superficie della sfera). L'opera è divisa in due parti, una teorica e l'altra 'pratica', sul modo di costruire l'astrolabio e di dividere i cerchi e le linee sui timpani dello strumento. L'autore cita un buon numero di suoi predecessori, soprattutto però per criticare il loro modo di trattare la costruzione dell'astrolabio. Ibn al-Sarī denuncia che nel libro di Tolomeo sulla proiezione della superficie della sfera (probabilmente il Planisfero) e nel commento di Pappo non ci sono spiegazioni su come costruire in pratica lo strumento. Rimprovera ad al-Farġānī di dare poco spazio alla teoria e troppo alla costruzione pratica, ma anche di dar prova d'incompiutezza, nel libro noto con il titolo al-Kāmil fī ṣan῾at al-asṭurlāb (La perfezione dell'arte dell'astrolabio) e che egli intitola 'Principî teorici e costruzione dell'astrolabio'. Secondo lui al-Farġānī enuncia lemmi inutili, ne dimentica altri indispensabili, ma soprattutto non ha letto Apollonio, fatto che pregiudica questo genere di ricerche. Infine, in riferimento a un'opera di Ḥabaš al-Ḥāsib sull'astrolabio settentrionale, a un trattato di al-Bīrūnī, forse l'Istī῾āb o il Tasṭīḥ al-ṣuwar, a un capitolo di un libro di Kūšyār sull'utilizzazione dell'astrolabio, e a un trattato sull'astrolabio di Ibn al-Samḥ, Ibn al-Sarī rimprovera a tutti di non dedicare nulla alla teoria, ma di trattare soltanto la costruzione dello strumento.
Come si vede, all'epoca e fino al XII sec. questo genere di studi suscitava dibattiti e anche dispute. Fin dal IX sec. altre proiezioni prese in considerazione nel campo della cartografia e della rappresentazione del cielo furono anch'esse oggetto di controversie e di critiche. Nel trattato Tasṭīḥ al-ṣuwar al-Bīrūnī ricorda dibattiti e dispute dell'epoca sulle qualità delle diverse proiezioni, in particolare a proposito di quella detta al-mubaṭṭaḫ (a forma di melone), una proiezione zenitale equidistante riferita a uno dei poli dell'eclittica. Egli scrive: "È possibile trasferire ciò che appartiene alla sfera su un piano con un altro metodo che Abū 'l-῾Abbās al-Farġānī attribuisce, in molte copie del suo libro al-Kāmil, a Ya῾qūb ibn Isḥāq al-Kindī, e in molte altre a ḫĀlid ibn ῾Abd al-Malik al-Marwarrūḏī, e che si chiama astrolabio a forma di melone. Abbiamo trovato per Ḥabaš un libro dedicato alla sua costruzione […]" (pp. 13-14). Questa proiezione, riguardo alla quale uno dei principali contributi pervenuti si deve ad Ḥabaš al-Ḥāsib, fu criticata come modo per costruire un astrolabio dai Banū Mūsā, e in particolare dal maggiore dei tre, Muḥammad. Perfino l'autore di una delle fonti di al-Bīrūnī, al-Farġānī, prese posizione contro questa proiezione. Molte altre proiezioni sono state elaborate per la costruzione di astrolabi, anche da parte di eminenti matematici, come al-Siǧzī, lo stesso al-Bīrūnī, Kūšyār e molti altri. Tra tutti questi studi abbiamo considerato in questa sede solo quelli che secondo noi hanno lasciato il segno nella storia della geometria proiettiva.
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