La civilta islamica: condizioni materiali e intellettuali. Gli ospedali
Gli ospedali
Il termine persiano più comunemente usato in riferimento a ospedale è bīmāristān, vocabolo composto da bīmār (malato) e dal suffisso stān (luogo); la sua forma abbreviata, māristān, entrò nell'uso arabo fin dal primo secolo dell'egira. In epoca preislamica esistono racconti leggendari di istituzioni simili in Egitto e Grecia, è tuttavia probabile che l'origine dell'istituzione ospedaliera e della sua etimologia sia sasanide. Si ritiene che il califfo omayyade al-Walīd I (r. 705-715) sia stato il primo monarca del mondo islamico a edificare un ospedale dotato di medici stipendiati e, secondo alcune fonti, a vietare ai lebbrosi di uscire fra la gente assegnando loro donazioni; tali racconti, tuttavia, sono probabilmente falsi. Il primo importante modello d'ospedale di epoca abbaside fu quello di Jundishapur, nel Khuzistan, regione a sud-est di Baghdad. Le famiglie di medici che vi lavoravano parlavano persiano ed essendo cristiani nestoriani usavano il siriaco come lingua scientifica e liturgica. Questi, avendo accesso alla tradizione ellenistica e in una certa misura a quella sasanide e indiana, e lavorando in ambiente arabo-islamico, rivestirono un ruolo rilevante nel processo d'introduzione della cultura medica greca nel mondo islamico. L'istituzione dell'Accademia medica di Jundishapur può essere datata ai tempi del monarca sasanide Šāpūr I (r. 240-273), il cui nome figura nella seconda parte del toponimo. Vi sono attendibili evidenze del fatto che l'accademia e l'ospedale di Jundishapur vissero l'epoca di maggior fioritura dal regno di Cosroe I Anushirwan (r. 531-578) e Cosroe II (r. 590-628) fino al primo periodo abbaside, intorno all'869, quando morì Sābūr ibn Sahl, l'ultimo direttore conosciuto dell'accademia. Durante il regno del califfo abbaside al-Manṣūr (m. 775), il fondatore di Baghdad e forse il più importante promotore dell'opera di traduzione dal greco in arabo, il direttore dell'ospedale di Jundishapur, Ǧurǧīs ibn Baḫtīšū῾ (m. 768), antenato della celebre famiglia di medici dei Baḫtīšū῾, fu chiamato alla corte di Baghdad. A partire da quest'epoca i medici della scuola di Jundishapur e, primi inter pares, quelli della famiglia Baḫtīšū῾, iniziarono a trasferirsi nella capitale e a giocare un ruolo importante nello sviluppo della medicina islamica. Il nipote di Ǧurǧīs, Ǧibrīl (m. 827), ricevette l'ordine dal califfo Hārūn al-Rašīd di creare un ospedale a Baghdad. Nella stessa epoca un altro abile medico dell'ospedale di Jundishapur fu inviato a Baghdad, e il figlio di questo, Yūḥannā ibn Māsawayh (m. 857), fu nominato direttore dell'ospedale e lavorò al servizio di vari califfi a Baghdad e Samarra. L'ospedale di Baghdad era situato in origine nel quartiere sud-occidentale del canale di Karkhaya. La fondazione di successivi ospedali, a Baghdad e in altre città, continuò a trarre vantaggio dalla tradizione di Jundishapur e dal mecenatismo dell'alta società abbaside.
Non si sa per quanto tempo l'ospedale istituito da Hārūn al-Rašīd continuò a funzionare, ma certamente, dalla fine del IX sec., questo ispirò la fondazione di un numero considerevole di nuovi ospedali a Baghdad. Uno fu istituito da Badr al-Mu῾taḍidī, cortigiano del califfo al-Mu῾taḍid (r. 892-902), nel quartiere di Mukharrim, sul lato orientale del fiume Tigri. Un altro dal visir ῾Alī ibn ῾īsā nel 914, nel quartiere di Tarbiyya e fu diretto dal noto medico e traduttore Abū ῾Uṯmān al-Dimašqī, il quale fu anche direttore di altri ospedali di Baghdad, Mecca e Medina. L'ospedale al-Sayyida fu fondato nel 918 e posto sotto la direzione di Sinān ibn Ṯābit (m. 942), medico dei califfi al-Muqtadir e al-Qāhir, incaricato da al-Muqtadir di presiedere la commissione che aveva il compito di esaminare tutti i medici di Baghdad e successore di Abū ῾Uṯmān al-Dimašqī alla direzione degli ospedali di Baghdad, Mecca e Medina. Nel 925 Ṯābit ibn Sinān, figlio del menzionato Sinān ibn Ṯābit, fu nominato direttore di altri due ospedali, quello di al-Muqtadirī, situato vicino alla porta di al-Šām, nelle mura nord-occidentali della città, e quello di Ibn al-Furāt, nel Darb al-Mufaddal. Alcune di queste strutture erano verosimilmente ancora in attività quando, nel 982, venne fondato il famoso ospedale ῾Aḍudī, così chiamato dal nome del sovrano buwayhide ῾Aḍud al-Dawla (r. 949-983), situato nell'ansa del Tigri, nella parte occidentale della città. Al pari delle biblioteche, gli ospedali costituivano un segno visibile sia della magnificenza sia del potere politico dei sovrani. La preminenza dell'ospedale ῾Aḍudī si riflette nei molti racconti leggendari che lo riguardano, come quello che vede il celebre al-Rāzī (il quale morì cinquant'anni prima dell'evento) selezionare il sito dell'ospedale, fra più di cento possibili, lasciando sospeso un pezzo di carne in ogni parte della città per scegliere il luogo dove la putrefazione avveniva più lentamente.
In Egitto vi sono evidenze attendibili di un ospedale istituito al Cairo nell'874 da Aḥmad ibn Ṭūlūn (r. 868-884), fondatore della prima dinastia locale indipendente dal governo abbaside. Più noto è l'ospedale al-Nāṣirī, voluto dal sovrano ayyubide Ṣalāḥ al-Dīn (r. 1169-1193); ma senza dubbio il più famoso e il più imponente fondato in Egitto, e forse nell'intero mondo islamico, fu l'ospedale al-Manṣūrī, istituito dal sovrano mamelucco al-Manṣūr Qalāwūn (r. 1280-1290) nel quartiere di Bayn al-qasrayn, che fu completato in soli undici mesi nel 1284, e fu edificato seguendo il modello del māristān Nūrī di Damasco. Il celebre medico e scrittore Ibn al-Nafīs donò a quest'ultimo ospedale le sue fortune e la sua biblioteca. Il più famoso istituto ospedaliero della città di Damasco, il māristān Nūrī, fu invece edificato dal sovrano zangide Nūr al-Dīn Maḥmūd (r. 1146-1174), che ne finanziò la costruzione con il riscatto di un ignoto principe crociato. L'edificio si è conservato intatto fino a oggi e ospita un museo di storia della medicina islamica.
In Iran l'istituzione di ospedali costituì un interesse prioritario da parte dei locali regnanti musulmani; scarse sono le notizie sui primi edificati in questa regione. Il celebre al-Rāzī diresse quello di Rayy, sua città natale; il principe saffaride ῾Amr ibn al-Layṯ (r. 879-901) edificò a Zarang, nel Sistan, un bazar nei pressi dell'ospedale, destinando a questo e alla moschea gli introiti del mercato. Più numerose sono le notizie sull'epoca nella quale regnò la dinastia buwayhide. A ῾Aḍud al-Dawla è attribuita la fondazione di un ospedale a Shiraz, che faceva parte di una più grande madrasa, dove oltre alla medicina erano insegnate anche matematica, astronomia e filosofia. Bahā᾽ al-Dawla edificò un ospedale a Gurgan, mentre, probabilmente sempre per iniziativa buwayhide, un altro fu fondato a Isfahan. Tra XI e XII sec. numerosi altri ospedali erano in funzione in Iran: due si trovavano a Nishapur, uno dei quali istituito dal celebre visir selgiuchide Niẓām al-Mulk (m. 1092); vari nel Khwarizm, il più noto dei quali fu quello costruito da Quṭb al-Dīn Muḥammad (r. 1097-1127), il cui direttore fu per qualche tempo Ismā῾īl ibn Muḥammad al-ǧurǧānī (m. 1136), autore della Ḏaḫīra-yi ḫwārizmšāhī (Il tesoro dei sovrani del Khwarizm), la prima enciclopedia medica composta in persiano. Tre grandi strutture ospedaliere furono costruite a Shiraz nel XIII sec., sotto il regno della dinastia semindipendente del Fars, altre due a Yazd e una a Firuzabad. Il più grande ospedale dell'Iran dei secc. XIII e XIV fu fondato a Tabriz da Rašīd al-Dīn Faḍl Allāh (m. 1318), visir e storico ufficiale del sovrano ilkhanide Maḥmūd ġĀzān. In Iran, dopo il XIV sec., si notò un declino dell'opera di edificazione di nuove strutture sanitarie. Verso la fine del dominio safavide (XVI-XVIII sec.) l'agitazione politica e militare provocò un'ulteriore decadenza di tali istituzioni, che furono ravvivate sotto il governo dalla dinastia dei Qāǧār (XVIII-XX sec.).
Nel mondo islamico occidentale, in Nord Africa e Spagna, furono edificati vari importanti ospedali, sebbene in numero minore rispetto alle regioni arabe e centro-asiatiche. Il primo fu quello fondato a Marrakesh dal sovrano almohade Ya῾qūb al-Manṣūr (r. 1184-1199), il quale attrasse alla sua corte anche i più famosi medici andalusi dell'epoca, come Ibn ṭufayl, Averroè, Ibn Zuhr e il figlio di quest'ultimo, Muḥammad. Ya῾qūb al-Manṣūr fece costruire in vari luoghi del suo regno anche ospedali per malati di mente, lebbrosi e non vedenti. Il sultano nasride Muḥammad V (r. 1354-1359 e 1362-1391) fondò un ospedale a Granada nel 1367, mentre a Tunisi, nel 1420, il sultano Abū Fāris ῾Abd al-῾Azīz (r. 1394-1434) ne fondò uno per poveri, stranieri e musulmani infermi.
In Turchia, per indicare gli ospedali, oltre a māristān erano usati anche i termini bīmār-ḫāna (casa del malato) e dār al-šifā᾽ (casa di cura). Sotto la dinastia selgiuchide di Rūm (XI-XIV sec.), furono fondati ospedali nelle città di Kayseri (1206), Sivas, Divrigi, Cankiri, Kastamonu, Konya, Tokat, Erzurum, Erzincan, Mardin e Amasya. Il primo di epoca ottomana fu istituito a Bursa dal sultano Bāyazīd I Yïldïrïm nel 1399, come parte del complesso architettonico Yïldïrïm Imareti che comprendeva, oltre all'ospedale, un bagno, un caravanserraglio e altri stabilimenti. Mehmed II (r. 1444-1446 e 1451-1481) fondò una grande dār al-šifā᾽ a Istanbul e il suo successore Bāyazīd II (r. 1481-1512) edificò a Edirne, nel 1493, un complesso architettonico del quale faceva parte un ospedale a lui intitolato. Fino al XVIII sec. vi fu un declino delle istituzioni sanitarie, ma già prima del nuovo fermento dimostrato dalla stagione riformista delle Tanẓīmāt (XIX sec.), un numero considerevole di nuovi ospedali fu fondato a Istanbul e in Anatolia.
Aspetti legali e finanziari
Nel mondo islamico l'istituzione di ospedali faceva parte delle funzioni pubbliche dei monarchi e degli alti ufficiali di corte. Al fine di favorire il benessere pubblico erano fondate istituzioni religiose, come moschee e madāris (pl. di madrasa, scuola religiosa), e civili come scuole, biblioteche, fontane, grandi opere idrauliche, ponti, caravanserragli e ospedali. La costruzione di queste opere pubbliche era un atto privato e volontario di sovrani e nobili, possibile solo nei periodi di prosperità economica; un declino del potere politico e finanziario dello Stato induceva inevitabilmente una decadenza nella fondazione e manutenzione di istituzioni come gli ospedali. Oltre allo Stato, anche i privati benestanti provvedevano all'edificazione di tali opere attraverso donazioni caritatevoli che erano gestite e regolate dall'istituzione tradizionale del waqf, termine arabo che nel linguaggio giuridico indica comunemente le fondazioni pie. I waqf erano usufrutti donati dal proprietario in beneficenza e generalmente finalizzati a scopi caritatevoli e religiosi. L'intenzione principale del waqf, a parte le ragioni di prestigio e l'utilità di conservare proprietà di valore immuni da altri interessi, era compiere un atto gradito a Dio e ottenere in questo modo una ricompensa per la vita futura. Gli ospedali istituiti da monarchi godettero di grande magnificenza e, nonostante i waqf da essi ricevuti in donazione, contrariamente al principio generale di autonomia nella loro amministrazione, subivano spesso interferenze e pressioni di vario tipo, dall'assegnazione del personale medico, e in particolare del direttore, fino alla sospensione e al ritiro dei fondi. In epoca abbaside, a Baghdad, vi era anche una certa negligenza nella sorveglianza degli amministratori incaricati di convogliare le donazioni dei cittadini privati per la manutenzione degli ospedali.
Personale ed equipaggiamento
L'ospedale ῾Aḍudī di Baghdad, quando fu istituito, aveva ventiquattro medici ripartiti in quattro specializzazioni: fisiologia, oftalmologia, chirurgia e ortopedia. Il viaggiatore Ibn ǧubayr lo visitò due secoli dopo la sua fondazione e rimase attonito di fronte al suo splendore; esso, infatti, era rifornito con l'acqua del fiume Tigri ed era sfarzoso come un palazzo reale. Alcuni giuristi in determinati periodi furono impiegati all'interno dell'amministrazione dell'ospedale, e fra questi, intorno al 983, il noto Abū Ḥayyān al-Tawḥīdī. I trattati di giurisprudenza non includevano capitoli sulla regolamentazione degli ospedali, sebbene vi siano occasionali evidenze del fatto che un giudice (qāḍī) svolgesse il ruolo di supervisore degli interessi pubblici legati agli ospedali; questi era responsabile di registrare in modo dettagliato le proprietà di una persona morente e forse di vigilare sull'ammissione dei pazienti. L'elenco di illustri medici e autori che operarono nell'ospedale ῾Aḍudī è ragguardevole, fra questi: ǧibrīl ibn ῾Ubayd Allāh (m. 1006) della famiglia dei Baḫtīšū῾, il medico e filosofo nestoriano Abū 'l-Faraǧ ῾Abd Allāh ibn al-ṭayyib (m. 1043), il suo allievo Ibn Buṭlān (m. 1066), ῾Alī ibn ῾īsā (m. dopo il 1010), autore del più famoso compendio arabo di oftalmologia, Sa῾īd ibn Hibat Allāh (m. 1101), e il suo allievo Ibn ǧazla, Abū 'l-Barakāt al-Baġdādī (m. dopo il 1164-1165), meglio noto come filosofo. L'ospedale al-Manṣūrī del Cairo, secondo quanto attesta una fonte di centocinquant'anni posteriore alla sua fondazione, riceveva una donazione annuale di circa un milione di dirham. Vi erano ammessi sia uomini sia donne e non vi erano limiti di tempo nella degenza. L'edificio, che in precedenza era stato un palazzo reale, possedeva reparti separati per il trattamento della febbre, della dissenteria, delle malattie degli occhi e per la chirurgia; vi erano poi una farmacia, un dispensario e alcuni magazzini; vi operavano dipendenti di entrambi i sessi e un folto personale amministrativo.
Un ospedale, generalmente, era diviso in due sezioni, un ambulatorio per i pazienti esterni e i reparti per quelli ospedalizzati. Un paziente, dopo essere stato visitato, riceveva una ricetta dal medico che poi doveva presentare al dispensario per ottenere i farmaci prescritti. Nei casi in cui la diagnosi del medico richiedeva l'ospedalizzazione, il paziente era inviato al reparto specialistico. In ogni reparto prestava servizio un numero di medici e infermieri proporzionale a quello dei pazienti. Della direzione dei medici in servizio era incaricato il ra᾽īs al-aṭibbā᾽ (capo dei medici) o saur nella tradizione siriaca. Fra gli infermieri (farrāš) vi erano sia uomini sia donne e questi erano assistiti da altri impiegati chiamati mušrif e qā᾽im, responsabili sia del servizio sia della raccolta dei fondi.
Educazione, biblioteche, dispensari
È stato dimostrato che vari ospedali, oltre a svolgere la funzione primaria di assistenza ai malati, erano anche importanti centri d'istruzione che rilasciavano diplomi agli studenti; essi, pertanto, erano spesso situati vicino a una madrasa. A molte famose madāris, come quelle di Nishapur, Isfahan, Balkh e Baghdad, erano infatti annessi ospedali. Ai medici erano corrisposti stipendi sia per assistere i pazienti sia per impartire lezioni agli studenti, il che denota la forte interdipendenza che esisteva fra la teoria e la pratica clinica. Le biblioteche degli ospedali, insieme a quelle delle corti, costituivano i loci classici della collezione di letteratura medica, scientifica e filosofica. L'attività dei dispensari annessi agli ospedali favorì la scrittura di un genere particolare di letteratura medica sul lavoro di questi reparti; ne costituiscono un esempio la Maqāla Amīniyya fī 'l-adwiya al-bīmāristāniyya (Trattato sull'amministrazione dei farmaci dell'ospedale) di Ibn al-Tilmīḏ (m. 1154 ca.), un medico dell'ospedale ῾Aḍudī, e il Dustūr al-bīmāristānī (Regola dell'ospedale) di Dāwūd ibn Abī 'l-Bayān al-Isrā᾽īlī (m. 1240 ca.), che lavorava all'ospedale Nāṣirī del Cairo. Furono composti anche testi sul regolamento generale degli ospedali, fra i quali al-Bīmāristān (L'ospedale) di al-Rāzī e Kitāb al-Bīmāristānāt (Libro degli ospedali) del nestoriano Zāhid al-῾Ulamā᾽ al-Manṣūr ibn ῾Īsā al-Fāriqī, che aveva diretto i lavori e l'organizzazione dell'ospedale di Mayafariqin istituito da Naṣr al-Dawla (r. 1011-1061), ma questi risultano perduti. La seconda parte del testo di al-Manṣūr conteneva un'interessante raccolta di considerazioni, domande e risposte date dal professore durante le lezioni tenute in sede.
Ospedali per i malati mentali
La cura delle persone affette da malattie mentali all'interno degli ospedali fu uno degli aspetti più considerevoli della pratica medica nella società islamica medievale. Nel Medioevo la stessa parola māristān divenne sinonimo di manicomio, e molte di queste istituzioni erano identificate principalmente per l'asilo e le cure date ai malati di mente. L'alienazione psichica, come nella tradizione ellenistica, era considerata un oggetto legittimo d'interesse e di studio medico-scientifico, ed è plausibile che l'accademia di Jundishapur abbia svolto un ruolo importante nel trasmettere all'interno del mondo islamico il concetto di malattia mentale e il suo trattamento istituzionale. La cultura medica ufficiale del mondo islamico, opposta alla cultura medico-religiosa del sufismo e alla magia popolare, non sanzionò l'esorcismo in modo analogo a quanto avvenne nella cristianità; per i medici musulmani e cristiani che lavoravano nelle istituzioni islamiche l'esorcismo religioso non costituiva quindi un'alternativa opposta al trattamento medico. L'ospedale islamico fu probabilmente il luogo dove, attraverso i dialoghi fra medici e pazienti, la terminologia e il modello della patologia umorale furono diffusi tra la gente comune e in seguito nella medicina popolare e profetica. Vari racconti di viaggiatori offrono descrizioni di come i malati di mente erano accuditi e curati all'interno degli ospedali islamici. Benjamin di Tudela (m. 1177) scrisse di
un grande edificio [a Baghdad], chiamato Dār al-māristān, dove sono tenute le persone dementi divenute folli a causa dell'intenso caldo estivo; esse sono legate con catene fino a quando non rinsaviscono in inverno. Nel periodo in cui risiedono là, sono nutrite con cibo proveniente dalla casa del califfo e quando la loro ragione è ristabilita sono dimesse e ritornano alla propria casa. A coloro che sono stati in ospedale, quando ritornano a casa, è data una certa somma di danaro. Ogni mese gli ufficiali del califfo domandano se essi hanno riacquisito la ragione e, in questo caso, sono dimessi. Tutto questo il califfo dà in carità a coloro che vengono nella città di Baghdad, siano malati o folli. (Dols 1992, p. 119)
Il celebre viaggiatore Ibn ǧubayr nel 1183 descrisse così l'ospedale al-Nāṣirī del Cairo: "Un terzo [edificio], annesso ai precedenti, un luogo grande, ha stanze con sbarre alle finestre dove sono confinati i malati di mente. Vi sono anche persone che li visitano giornalmente e danno loro ciò che è adatto. Il sultano controlla tutte queste attività, esaminando e richiedendo la più elevata cura e attenzione per essi. In Misr [Cairo vecchio] vi è un altro ospedale basato precisamente sullo stesso modello" (p. 44). Quattro secoli più tardi, nel 1599, il famoso storico, poeta e scrittore ottomano Muṣṭafā ῾Alī (m. 1600) visitò l'Egitto per la seconda volta nella sua vita e descrisse il livello raccapricciante di decadenza nel quale erano cadute queste istituzioni: "Alcuni caffè della città sono pieni di folli scherzosi, privati della ragione e della cognizione, mentre gli ospedali [della città] languiscono di malati di mente. Chiamati 'casa del malato' (bīmār-ḫāna), questi luoghi soffrono della stessa malattia; i loro angoli decrepiti sono pieni di scorpioni e serpenti, e alcuni pidocchi sono rimasti attaccati ai muri […]. La cosa più strana di tutte è che a queste persone 'scordate' è dato anche di eseguire musica" (pp. 109, 38).
In un numero considerevole di ospedali erano eseguiti brani musicali per i malati di mente; per esempio, le spese dell'ospedale al-Manṣūrī del Cairo includevano una somma per i gruppi dei musicisti che intrattenevano ogni giorno i pazienti. Le precedenti descrizioni degli ospedali di Baghdad e del Cairo indicano che questi malati, all'interno dell'istituzione, se non erano innocui e lasciati liberi di circolare, erano confinati in specifici reparti ed edifici, dove venivano legati, e potevano essere visitati da parenti e cittadini. Nella società islamica i malati di mente ospedalizzati non erano emarginati; a parte la curiosità, vi era una sincera premura per la loro condizione. Il trattamento delle malattie mentali includeva le percosse, ma fatta eccezione per questa misura rigida i testi medici raccomandavano bagni, fomentazione, massaggi con oli, compresse e fasciature. Altri trattamenti molto usati erano la flebotomia, il salasso con coppette e il cauterio. Venivano somministrati anche vari farmaci semplici e composti, principalmente d'origine vegetale. I rimedi farmaceutici includevano sedativi, stimolanti, purganti, emetici e digestivi; anche la teriaca era indicata frequentemente per i disturbi psichici. In ogni caso si deve sottolineare che nella società islamica la famiglia era il luogo primario dove erano accuditi i malati di mente. È probabile che gli ospedali servissero principalmente le classi urbane disagiate che non avevano altre risorse, e in particolare i casi violenti, che, verosimilmente, costituivano la causa prevalente che induceva una famiglia a internare un congiunto in un luogo di cura.
Lebbrosari
La lebbra, durante il Medioevo, era diffusa nel Medio Oriente e nell'Africa del Nord e, nonostante certi ambienti religiosi rifiutassero il concetto di contagio, vi era la chiara esigenza di segregare coloro che avevano contratto la malattia. A questo scopo nelle regioni occidentali del mondo islamico furono edificati lebbrosari e assegnati ai malati quartieri speciali, generalmente collocati al di fuori delle mura della città, spesso vicino al cimitero dei lebbrosi. Il primo lebbrosario sembra sia stato costruito a Qayrawan; nelle sue vicinanze fu eretto anche un edificio separato dove i malati ricevevano le cure mediche. Il sultano almohade Ya῾qūb al-Manṣūr fece costruire ospedali per lebbrosi, di preferenza vicino a terme sulfuree ritenute benefiche per i pazienti. In Anatolia gli Ottomani edificarono un lebbrosario a Edirne, all'epoca di Murād II (m. 1451), uno a Istanbul, grazie a un waqf di Selim I (m. 1520), che rimase aperto fino al 1920, e un altro a Uskudar, all'epoca di Sulaymān II (m. 1566), che restò in funzione fino ai tempi moderni.
Architettura degli ospedali e ambulatori mobili
A parte i casi nei quali si usava un precedente edificio con diverse funzioni che veniva adattato ai bisogni dell'ospedale, un diffuso modello architettonico era basato su una pianta a croce che produceva quattro īwān, sale chiuse su tre lati che si aprivano direttamente all'esterno sul quarto lato, dando luogo a un ampio cortile rettangolare interno che spesso conteneva una fontana al centro. Nei quattro rettangoli esterni adiacenti gli īwān vi erano stanze separate per i pazienti. L'īwān era un elemento architettonico d'antica origine iranica caratteristico non solo degli ospedali ma anche della madrasa, dei caravanserragli e degli edifici privati. Questa struttura architettonica produceva uno spazio comune che faceva da complemento alle sale chiuse nonché offriva opportunità per lezioni e conferenze, e diverse opzioni per le differenti stagioni dell'anno. Il più antico esempio esistente di questo tipo di architettura è l'ospedale Nūrī di Damasco, edificato nel 1154, ma gli edifici fondati dai Selgiuchidi nei secoli precedenti, dei quali non è rimasta traccia, erano probabilmente costruiti sulla stessa pianta. Alcuni storici dell'architettura attribuiscono l'origine di questa pianta all'epoca dei Parti (si veda la maison carrée di Nasa, in Turkmenistan, del III o II sec. a.C.). La pianta a croce, comunque, con le sue sezioni a cupola, l'entrata di rappresentanza, le gallerie aperte sul cortile interno e certi elementi decorativi, ha influenzato l'architettura di ospedali e ospizi nel mondo latino occidentale (Rodi, Canossa, Firenze) e in Cina. Il famoso ospedale al-Manṣūrī del Cairo aveva una struttura più elaborata che includeva una stanza centrale per la preghiera, una cucina e un dispensario su un lato, due reparti separati per donne e uomini malati di mente sull'altro, il mausoleo del fondatore e, accanto a questo, una grande madrasa per l'istruzione medica con due īwān, uno a oriente, uno a occidente.
A partire dall'inizio del primo millennio, nelle regioni orientali del mondo islamico, si trovano descrizioni di maḥmūl, ambulatori mobili comparabili a moderne ambulanze. Questi ambulatori, che furono sviluppati in origine per intervenire nelle campagne belliche e durante le crisi epidemiche, disponevano di medici e infermieri ed erano equipaggiati con medicinali e strumenti medici e chirurgici; per il trasporto erano utilizzati animali da soma. I medici assegnati a queste unità mobili avevano lo stesso livello professionale di quelli impiegati negli ospedali. Questi ambulatori mobili visitavano anche le prigioni e raggiungevano le aree più remote per trattare pazienti di ogni classe, musulmani e non musulmani.
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‒ 1976: Terzioğlu, Arslan, Das Nureddin-Krankenhaus in Damaskus (gegr. 1154) aus der Epoche der Seldschuken und seine Bedeutung für die Medizin- und Krankenhausgeschichte, "Historia hospitalium", 11, 1976, pp. 59-75.
‒ 1990: Terzioğlu, Arslan, Über die Architektur der seldschukischen Krankenhäuser im Iran, im Irak, in Syrien und in der Türkei, und ihre weltweite Bedeutung, "Zeitschrift für Geschichte der arabisch-islamischen Wissenschaften", 6, 1990, pp. 195-226.
Torres Balbás 1944: Torres Balbás, Leopoldo, El Maristan de Granada, "al-Andalus", 9, 1944, pp. 481-500.
Ünver 1948: Ünver, Ahmet Süheyl, About the history of the leproseries in Turkey, in: Festschrift zum 80. Geburtstag Max Neuburgers, hrsg. von Emanuel Berghoff, Wien, Maudrich, 1948, pp. 447-450.