La civilta islamica. Introduzione. Le scienze nell'Islam classico e la periodizzazione della storia della scienza
Introduzione. Le scienze nell'Islam classico e la periodizzazione della storia della scienza
Un'enciclopedia in dieci volumi è un evento destinato a rimanere negli annali della storia della scienza. Tale iniziativa, infatti, rappresenta una svolta rispetto agli importanti tentativi di sintesi degli ultimi cinquant'anni, sia per la concezione e il metodo sia per l'ampiezza del progetto. Fra gli aspetti che s'imporranno all'attenzione dei lettori vi sono ricostruzioni storiche condotte nel rispetto dei diritti di ogni forma di civiltà scientifica, la scelta di non limitarsi alle biografie degli studiosi o alle sole realizzazioni individuali, l'esigenza di fornire strumenti che permettano di approfondire la storia di ogni disciplina scientifica.
Partendo da simili presupposti, niente è più naturale del fatto che all'interno di tale iniziativa se ne collochi un'altra di uguale importanza: la decisione di dedicare un intero volume alla storia delle scienze arabe, infatti, ha un significato che supera di gran lunga la semplice esigenza di esaustività. Tale scelta rivela, innanzi tutto, che la vecchia immagine delineata dalla scuola filologica tedesca e dalla filosofia romantica, ben salda fino alla metà del secolo scorso, se pur non decaduta è, comunque, particolarmente vacillante. Mi riferisco all'ideologia che, a suo tempo, ho definito come "occidentalità della scienza", secondo la quale la scienza, fin dalle sue origini e poi nel suo sviluppo, sarebbe unicamente il prodotto della civiltà europea (in particolare di quella dell'Europa occidentale e del suo allargamento all'America Settentrionale; Rashed 1978). La scienza araba, con cui lo storico inevitabilmente entrava in contatto nel corso delle sue ricerche, era considerata solamente il riflesso di quella ellenistica. Non è certo necessario ricordare che tale ideologia e le leggende che ha generato hanno acquisito nuovo vigore per motivi del tutto estranei alla scienza e alla sua storia.
L'iniziativa di dedicare un volume alla scienza araba ne contiene, a sua volta, un'altra: esso viene pubblicato meno di un decennio dopo l'Histoire des sciences arabes (1996, 1997). I legami di parentela fra i due progetti non attenuano le differenze delle concezioni da cui sono ispirati. Nell'Histoire des sciences arabes l'interesse era incentrato prevalentemente sulla storia delle singole discipline che costituivano l'enciclopedia dei saperi e sul loro prolungamento attraverso altre lingue; in questo volume si tenta invece di ricostruire la costituzione e lo sviluppo delle tradizioni concettuali privilegiando le condizioni materiali e intellettuali. Tale differenza d'impostazione non è dovuta soltanto al progresso della ricerca storica, ma esprime anche la nostra concezione della storia delle scienze, che merita di essere esposta per porre nel giusto rilievo la presenza di questo volume accanto agli altri nove (più uno di indici).
1. Da molto tempo gli storici della scienza sono consapevoli del fatto che per sette secoli la parte essenziale dell'attività scientifica si è svolta nei centri urbani della civiltà islamica e prevalentemente in lingua araba. Questa consapevolezza non ha, tuttavia, impedito a un certo numero di studiosi di optare per una periodizzazione storica proposta dapprima, nel XVIII sec., con intenzioni polemiche, e divenuta, in seguito, 'antropologico-teorica' con i filosofi romantici tedeschi e 'teorica' con il positivismo di Comte. Tale periodizzazione della storia delle scienze è sorta, nell'ambito del dibattito noto come Querelle des anciens et des modernes, per supportare le tesi dei filosofi illuministi ed è fondata sulla dicotomia che viene stabilita tra Medioevo ed Età moderna. Secondo tale concezione la scienza attraversa, grosso modo, tre stadi: antico, medievale e moderno. Tale suddivisione e tale dicotomia permettevano di suffragare l'idea, cara alla filosofia illuminista, di un progresso indefinito che procede attraverso un continuo superamento degli errori. Gradualmente, questa dicotomia, da semplice strumento per scandire le tappe di una cronologia o piuttosto del progresso di un'umanità concepita come un unico essere ‒ come pensa, per esempio, Condorcet ‒, è diventata un assunto a cui gli autori si richiamano per definire due culture scientifiche distinte. Poco importa poi che, secondo questa prospettiva, la 'scienza moderna' sia rappresentata come il superamento radicale della 'scienza medievale', o come il suo sviluppo naturale, oppure, ancora, come la diretta continuazione della scienza greca, saltando a pié pari la scienza medievale. La dicotomia di cui abbiamo appena parlato e le nozioni stesse di scienza medievale e di scienza moderna si basano su un postulato di questo tipo: le attività scientifiche di una data epoca appartengono alla medesima scienza o, semplicemente, sono tutte allo stesso livello.
Qualunque sia l'interpretazione adottata, non tarderanno comunque a presentarsi ostacoli insormontabili. Il primo nasce dalla pluralità di significati del termine 'medievale'. Niente infatti permette di dedurre da una coesistenza storica l'identità, e neppure la somiglianza, degli interessi epistemici e logici. In altre parole, si possono definire con lo stesso termine le scienze latine, bizantine o arabe? Non è raro, del resto, vedere gli storici aggirare la questione, evitando di formularla preliminarmente mentre si apprestano a ricostruire la storia di queste tre attività scientifiche o di altre ancora. Dato che non si può però individuare, né supporre, un tratto genericamente comune alla matematica, all'ottica e all'astronomia medievali, la diacronia stabilita si distrugge da sola, e con essa la periodizzazione che implica.
Ancora più discutibile è l'uso del termine 'medievale' nel caso di una stessa scienza e di una medesima entità culturale. Invano si cercheranno motivi che ne giustifichino l'utilizzo per Leonardo Fibonacci e non per Luca Pacioli; o per al- Karaǧī, alla fine del X sec., e non per al-Yazdī all'inizio del XVII secolo.
Tutto sembra suggerire che la coppia 'medievale-moderna' si applichi assai male all'attività scientifica, e non sia un valido criterio di periodizzazione; essa rischia, anzi, di falsare l'importante dibattito sollevato dalla questione della modernità classica. Bisognerebbe dunque liberarsi dai pregiudizi e invertire il procedimento; solo così si potrà approfondire la conoscenza delle componenti di ogni scienza raggruppate sotto il titolo 'medievale' che funziona da ripostiglio, in modo tale da mettere in evidenza i tratti distintivi di ciascuna di esse. Questo volume è stato organizzato proprio sulla base di tale impostazione.
Scopo dell'iniziativa è quello di portare alla luce questi caratteri e, in tal modo, le direttrici di sviluppo di quest'attività scientifica alla luce delle nostre conoscenze. Tale orientamento impone una nuova metodologia, quella che abbiamo applicato alle nostre ricerche, ma che fino a ora non è mai stata utilizzata in un'opera enciclopedica. Si tratta in primo luogo di interrompere una pratica abituale degli storici delle scienze arabe, i quali giustappongono i diversi contributi individuali ‒ secondo la regione o la disciplina ‒ soltanto a causa della disponibilità degli scritti. Può accadere così che uno scienziato tra i più eminenti sia collocato accanto a un autore d'importanza incomparabilmente minore. Tale abitudine impedisce di riconoscere e comprendere la nascita e lo sviluppo delle razionalità scientifiche a cui invece è possibile pervenire soltanto ritornando alle tradizioni. Il compito principale è allora la ricostruzione di queste tradizioni scientifiche che hanno attraversato questo o quel campo d'indagine.
Neppure la nozione di 'tradizione', tuttavia, è semplice o facilmente utilizzabile. Per riconoscere una tradizione scientifica infatti non è sufficiente una semplice descrizione empirica; ricordare i nomi, i titoli delle opere, le istituzioni, le reti per l'interscambio delle informazioni e degli uomini, certamente permette di reperire una tradizione, ma non di circoscriverla né di definirla. Inoltre è necessario saperla isolare, attribuirle un inizio e una fine, delimitarne i confini, evitando di semplificare arbitrariamente la totalità infinitamente mobile e viva della storia.
La nozione di 'tradizione' si esprime in due dimensioni essenziali. Una è la dimensione materiale e sociale, che abbiamo chiamato 'oggettuale' e che esige il riconoscimento dei fatti scientifici nella loro materialità. A questo scopo si devono esaminare i testi, manoscritti o a stampa, le reti di scambio costituitesi intorno ai più importanti poli di ricerca, il contesto sociale, e così via; si tratta, in breve, di affrontare le opere scientifiche come prodotti materiali e culturali, sui quali gli uomini hanno lavorato in un luogo e in un tempo determinati. La seconda dimensione di ogni tradizione scientifica è quella concettuale, che ricostruisce gli schemi teorici a cui appartengono le opere (Rashed 1997).
2. Tali nozioni e principî hanno guidato l'ideazione di questo volume e la redazione di gran parte dei suoi capitoli. La Parte I si occupa esclusivamente della tradizione oggettuale. Nei primi capitoli si esamina la trasmissione in arabo degli antichi saperi e si cerca di rispondere ad alcuni interrogativi: quali saperi furono trasmessi, in che modo e in quali luoghi è avvenuta la loro trasmissione e quali istituzioni l'hanno favorita. La prima sottoparte è dedicata al contesto intellettuale nell'ambito del quale si sviluppa la ricerca scientifica: per esempio, come si è formata la comunità scientifica, da quali problemi è partita, dove sono stati reclutati i ricercatori. Ciò conduce a domandarsi del tutto naturalmente in che modo si siano sviluppate altre discipline che sono attualmente definite umane e sociali, quali la linguistica, la lessicografia, la criptografia, la criptoanalisi, la storiografia, la filosofia e la teologia speculativa. Anche la giurisprudenza, l'esegesi coranica, la critica delle fonti avrebbero dovuto essere trattate, ma sarebbero stati necessari specialisti in grado di affrontare tali argomenti secondo questa prospettiva. È la ricerca nell'insieme di queste discipline sociali e umane come anche nel campo della medicina, e delle scuole che ne sono sorte, a fornire i primi elementi della comunità scientifica, vale a dire il suo ambiente e le esigenze che doveva soddisfare.
La seconda sottoparte prende in esame le istituzioni e i supporti materiali della ricerca scientifica; essa avrebbe dovuto essere completata da due contributi: uno sulla corrispondenza scientifica e il suo ruolo nella costituzione delle reti d'interscambio delle informazioni e degli uomini tra i diversi centri di un impero così vasto; l'altro sulla Moschea come istituzione scientifica. Promesso da anni, il primo contributo non è mai arrivato, mentre per il secondo non si è trovato un autore in grado di scriverlo.
Dopo la Parte I dedicata alle condizioni materiali e intellettuali della scienza nella città islamica, quattro Parti analizzano la formazione e lo sviluppo delle tradizioni concettuali nei principali campi della scienza dell'epoca: l'astronomia e le discipline a essa collegate, le diverse branche della matematica e della fisica, le tecniche meccaniche e chimiche e, infine, le scienze della vita. Naturalmente la conoscenza delle tradizioni concettuali non raggiunge lo stesso livello in ogni campo, sia a causa del grado di conoscenze acquisito dalla ricerca, sia a causa del diverso talento degli autori. In tutte queste Parti, abbiamo, comunque, cercato di collocare, per quanto ci è stato possibile, le tradizioni nella loro esatta posizione, partendo dall'esame dei rapporti che le uniscono all'eredità ellenistica, prima di seguirne le tracce nelle culture scientifiche di lingua latina, greca bizantina ed ebraica.
Dopo aver ricostruito queste tradizioni concettuali, le caratteristiche fondamentali della scienza araba non tardano a emergere; la sua posizione all'interno della diacronia si precisa e diventa allora possibile proporre un'altra periodizzazione della storia delle scienze, sfrondata dalle leggende e più fedele ai fatti. In breve, senza conoscere la scienza araba si rischia facilmente di ingannarsi sul ruolo di 'novità' della scienza nel XVII secolo. Attraverso le ricerche presentate in questo volume, la nozione di 'scienza classica' finirà per imporsi allo storico secondo una prospettiva allo stesso tempo nuova e più evoluta. A titolo di esempio prendiamo la matematica: niente permette di classificare in periodi distinti i lavori che hanno visto la luce a partire dal IX sec. e quelli scritti in epoca successiva fino all'inizio del XVII secolo. Tutto sembra indicare che appartengano alla stessa matematica. Ciò risulta evidente se, per esempio, si confrontano gli scritti sull'algebra e sul calcolo numerico di al-Karaǧī e del suo successore al-Samaw᾽al (m. 1174) con quelli di Simon Stevin; oppure i risultati raggiunti da al-Fārisī (m. 1039) nella teoria dei numeri e quelli di Descartes e del padre Deidier; o anche i lavori di al-Ḫayyām e di Šaraf al-Dīn al-Ṭūsī sulla geometria algebrica e quelli composti da Descartes fra il 1619 e il 1637; o ancora fra il libro di Ibn al-Hayṯam Maqāla fī 'l-ma῾lūmāt (Trattato sui noti) e quello di Fermat terminato nel 1636, noto con il titolo di De locis planis; e la lista degli esempi potrebbe proseguire. Questi accostamenti sono un passaggio obbligato per individuare la reale novità della matematica del Seicento. Se, d'altra parte, si prescinde dai lavori di al-Ḫwārizmī, di Abū Kāmil e di al-Karaǧī, per limitarci soltanto a loro, non potremmo comprendere l'opera di Leonardo Fibonacci e quella dei matematici italiani, ma anche la matematica del XVII secolo. Probabilmente la rottura con questa matematica non è stata improvvisa e non è avvenuta contemporaneamente in tutte le discipline. Le linee di separazione, del resto, delimitano raramente gli autori, ma attraversano spesso le loro opere. Per esempio, contrariamente a ciò che è stato affermato, la nuova teoria dei numeri non inizia con il ricorso ai metodi algebrici da parte di Descartes e Fermat, che in questo si limitavano a riprendere i risultati di al-Fārisī. La rottura si produce, in realtà, all'interno dell'opera stessa di Fermat con l'applicazione dei metodi puramente aritmetici, vale a dire nel momento in cui, verso il 1640, egli inventa il metodo della 'discesa infinita' e intraprende lo studio di alcune forme quadratiche. Del tutto diverso è il caso della costruzione geometrica delle equazioni intrapresa da al-Ḫayyām, proseguita dal suo successore Šaraf al-Dīn al-Ṭūsī, arricchita da Descartes e ripresa da numerosi matematici fino alla fine del secolo.
Tale situazione tuttavia non riguarda soltanto i matematici: l'esempio dell'ottica la illustra ancora meglio. Peraltro era opinione diffusa, qualche anno prima della scoperta dell'opera di Ibn Sahl (980 ca.), in cui è esposta la teoria geometrica delle lenti ed enunciata la legge di Snell (Rashed 1993), che questi risultati andassero ricondotti allo sviluppo dell'artigianato del vetro nel XVII secolo. Analizzando i risultati ottenuti dalla Scuola di Marāġa e dai suoi successori è possibile dimostrare che nel campo dell'astronomia esiste una situazione simile. Ricordiamo che molti autori hanno rivendicato la novità assoluta del contributo di Copernico, nello stesso momento in cui gli storici dell'astronomia ‒ come Neugebauer ‒ individuavano la straordinaria somiglianza tra i modelli di quest'ultimo e quelli della Scuola di Marāġa e dei suoi successori (Ibn al-Šāṭir in particolare). Va notato che gli esempi citati riguardano discipline che si riteneva avessero subito vere e proprie rivoluzioni nel corso del Seicento.
Per riassumere, l'analisi storica ed epistemologica che assegna il corretto valore alle scienze arabe e all'uso che ne viene fatto nella cultura di lingua latina giunge all'elaborazione di configurazioni coerenti nel periodo compreso tra il IX sec. e l'inizio del XVII. Ciò è valido in particolare per alcune discipline come matematica, ottica, astronomia e statica, limitandoci alle materie che hanno subito i cambiamenti più rilevanti nel corso del XVII secolo. La suddivisione di questo ampio periodo non può essere adattata entro la dicotomia 'medievale' e 'moderno'. Essa sembra ricalcata sulla storia politica dell'Europa occidentale, che è doppiamente sfalsata nei confronti della storia delle scienze: la sola suddivisione fedele ai fatti storici deve essere differenziale. Questo volume si rivolge dunque agli studiosi di storia delle scienze arabe, ma anche a coloro che si interessano alla storia degli esordi della scienza moderna. L'ignoranza della storia delle scienze arabe rischia infatti di ingannare questi ultimi in due modi: collocando la novità dove non si trova e modernizzando gli Antichi per armonizzare il loro rapporto con i Moderni.
Il volume desterà interesse anche tra quanti si occupano di scienze dell'Antichità, non soltanto per i testi che, perduti gli originali greci, sono disponibili unicamente nella traduzione araba (Apollonio, Diocle, Diofanto), ma anche perché essi trarranno profitto, nel lavoro storico, dalla lettura delle opere degli Antichi compiuta dai loro eredi.
3. Ancora qualche cenno sul titolo di questo volume e sulla terminologia utilizzata. Scienza araba? Scienza islamica? Le due espressioni sono usate indifferentemente, perché sono entrambe del tutto legittime. La prima concerne la lingua della scienza. Qualunque sia, infatti, l'origine etnica, linguistica o religiosa dello studioso dell'epoca esaminata nel volume, è in arabo che questi redige la maggior parte dei suoi scritti scientifici e filosofici. Anche se può capitare che scriva in un'altra lingua, principalmente in persiano, egli stesso traduce la sua opera in arabo ‒ come al-Nasawī (1030 ca.) o Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī (1201-1274). Solo i libri per l'insegnamento sono stati, a volte, composti in altre lingue. Questa scienza era dunque, perlopiù, quella degli studiosi di lingua araba e il riflesso della cultura urbana. Si comprende allora che la 'scienza araba' non può essere confusa con la 'scienza degli Arabi', cioè dei popoli arabi, siano essi dell'Arabia o arabizzati nei secoli che seguirono all'avvento dell'Islam.
La denominazione 'scienza islamica' è, anch'essa, perfettamente adeguata: lo sviluppo di questa scienza, infatti, dovuto a studiosi di origine linguistica, etnica e religiosa diversa, è sempre avvenuto nei centri urbani della civiltà islamica ed essenzialmente in lingua araba. Usata in riferimento alle scienze in questione, la formula 'scienza islamica' non può generare confusione con la concezione della scienza islamica intesa come scienza dei musulmani. Quest'ultima accezione viene riservata dagli autori antichi solo alle scienze direttamente legate alla Rivelazione. Si tratta in particolare di quattro gruppi di discipline: le scienze coraniche (esegesi del Corano, le ragioni della Rivelazione, le regole della recitazione, ecc.); le scienze profetiche (la parola del Profeta, la sua trasmissione, le regole d'interpretazione, ecc.); le scienze dei fondamenti della religione (uṣūl al-dīn; Dio, la profezia, il dogma, ecc.); le discipline giuridiche fondate sui principî dell'Islam. La differenza essenziale tra queste scienze definite dagli Antichi 'scienze della trasmissione' (al-῾ulūm al naqliyya) e le altre, dette 'scienze razionali' (al-῾ulūm al-῾aqliyya), è che le prime dipendono dalla Rivelazione e sono proprie dei musulmani, mentre le seconde riguardano la sola ragione e sono comuni a tutti gli uomini.
In tal modo, 'scienza araba' e 'scienza islamica', nel senso in cui l'abbiamo evocate, si riferiscono agli stessi campi del sapere: le discipline razionali sviluppate nella civiltà islamica, essenzialmente in arabo, da studiosi di qualunque origine e religione. Ora, se queste due definizioni sono storicamente attestate e logicamente coerenti, altre utilizzate di recente negli scritti di alcuni storici sono del tutto contestabili: scienze degli Arabi, scienze persiane, scienze ottomane, scienze maghrebine, scienze andaluse, ecc. Non soltanto infatti nessuno studioso antico si è mai definito in questi termini, ma è impossibile non percepire l'ideologia recente e appena mascherata che tali denominazioni sottintendono.
Dobbiamo, infine, motivare l'assenza di alcuni capitoli e indicare alcuni orientamenti che la ricerca storica dovrebbe adottare in futuro. Basta uno sguardo alle antiche classificazioni delle scienze, almeno a partire da al-Fārābī, e alle opere enciclopediche del X sec. per scoprire l'assenza in quest'opera di una pleiade di discipline linguistiche, letterarie, geografiche, ma anche della logica, degli zīǧ, dell'astrologia, dei quadrati magici, ecc. Tutto ciò è dovuto a una scelta e non all'ignoranza; una scelta determinata dalla difficoltà di trovare un autentico specialista che accettasse di trattare in maniera esauriente l'una o l'altra disciplina, ma anche dallo spazio a disposizione. Quando è stato possibile, abbiamo optato per un'analisi approfondita delle principali discipline piuttosto che per un esame rapido del loro insieme.
Questo volume ha beneficiato, in tale prospettiva, dell'esperienza accumulata nell'elaborazione e nella redazione dei tre tomi della Histoire des sciences arabes. Come quest'ultima, tuttavia, il presente volume non pretende di superare l'effettiva ricerca storica, e non potrebbe essere altrimenti. Abbiamo così scelto di riprendere due capitoli dell'opera già pubblicata, dei quali il primo ‒ Trigonometria ‒ non è ancora sorpassato, mentre il secondo ‒ La scienza nautica ‒ è opera di un autore che aveva unito felicemente e in modo eccezionale la conoscenza e la pratica marittime: Henri Grosset-Grange. Altri due capitoli, i cui specialisti sono rari o quasi inesistenti, sono stati riportati con modifiche o aggiunte: Ingegneria e Geografia matematica e cartografia.
Avrei, infine, desiderato che altri capitoli trovassero posto, come la storia degli strumenti astronomici, per esempio, redatti non sotto forma di cataloghi di vendita o di musei, ma dalla penna di autentici specialisti: purtroppo se ne lamenta ancora la mancanza. Avrei anche voluto inserire alcuni capitoli sugli scambi tra scienze arabe, indiane e cinesi, oltre che sull'influenza delle scienze arabe nell'Africa Nera, in Indonesia, in Malesia, e così via. Tali ricerche rimangono una promessa per il futuro, ma soltanto compiendole sarà possibile comprendere un tratto essenziale della scienza araba, ossia la sua dimensione mondiale. Storicamente la scienza araba è la prima scienza a raggiungere una tale espansione e la sua completa comprensione permetterà di ricostruire un quadro più realistico delle diverse culture scientifiche. Non c'è altra via per chi voglia riportare i fatti nella loro autenticità e mostrare che la scienza araba non si è mai limitata a un rapporto esclusivo con la sola scienza dell'Occidente europeo. Le ricerche in questo campo, rare e ancora parziali, lasciano intravedere tutte le ricchezze che una conoscenza più approfondita di questi scambi offrirà alla storia delle scienze in futuro.
La realizzazione del volume, con tutto il lavoro scientifico e l'organizzazione che ha comportato, non è stata impresa da poco. Il merito principale spetta senza dubbio ai numerosi autori che hanno messo la loro scienza e il loro talento nella redazione dei diversi capitoli. In secondo luogo, si deve ringraziare vivamente la competenza e l'impegno dei membri dell'équipe dell'Enciclopedia Italiana, e in particolare del loro direttore Sandro Petruccioli. Ringrazio anche Ursula Weisser e Régis Morelon per l'aiuto nell'organizzazione del lavoro, soprattutto per i capitoli relativi alle scienze della vita e all'astronomia.
Infine un ringraziamento particolare ad Aline Auger del CNRS per l'assistenza nella preparazione del manoscritto nel suo insieme e nella correzione delle bozze.
Rashed 1978: Rashed, Roshdi, La notion de science occidentale, in: Human implication of scientific advance, edited by Eric G. Forbes, Edinburgh, 1978, pp. 45-54 (rist. in: Rashed, Roshdi, Entre arithmétique et algèbre. Recherche sur l'histoire des mathématiques arabes, Paris, Les Belles Lettres, 1984, pp. 301-318).
‒ 1993: Rashed, Roshdi, Géométrie et dioptrique au Xe siècle: Ibn Sahl, al-Qūhī et Ibn al-Haytham, Paris, Les Belles Lettres, 1993.
‒ 1996: Encyclopedia of the history of Arabic science, edited by Roshdi Rashed, London-New York, Routledge, 1996, 3 v. (trad. franc.: Histoire des sciences arabes, sous la direction de Roshdi Rashed avec la collaboration de Régis Morelon, Paris, Seuil, 1997, 3 v.).
‒ 1997: Rashed, Roshdi, L'histoire des sciences entre épistémologie et histoire, "Historia scientiarum", 7, 1997, 1, pp. 1-10.