La civilta islamica: scienze della vita. La medicina nel mondo islamico
La medicina nel mondo islamico
Il concetto di medicina comprende generalmente diverse forme di terapia, da quelle in cui fattori empirici si trovano associati a elementi magici, come i rimedi casalinghi, la stregoneria e la medicina popolare dei guaritori, a quelle che possiedono un proprio fondamento teorico e aspirazioni scientifiche. Infatti nelle epoche premoderne, quando la medicina scientifica poteva rivendicare in misura ancor minore di oggi il monopolio dei trattamenti terapeutici, esistevano diverse forme di medicina. Occorre inoltre tener conto che in una cultura come quella islamica, di così ampia estensione geografica, esistevano numerose varianti regionali. Nella maggior parte dei casi, infine, ci è giunta un'immagine fortemente deformata delle diverse tradizioni terapeutiche, in quanto le fonti di cui disponiamo riflettono perlopiù le concezioni dei medici eruditi, i quali esprimevano giu-dizi sprezzanti sugli esponenti degli altri orientamenti, considerati guaritori e ciarlatani. Poiché naturalmente in una storia della scienza l'attenzione deve essere rivolta a quel tipo di medicina in cui ci si richiama a una teoria che cerchi nella Natura un fondamento di tipo scientifico, è alla medicina vera e propria che si farà qui riferimento e, delle varie tradizioni terapeutiche dell'Islam, sarà considerata solo la medicina del Profeta; nella sua forma pienamente sviluppata, infatti, essa contiene, accanto agli elementi religiosi e a quelli attinenti alla medicina popolare, anche quelli della medicina colta.
Come nella cultura bizantina e in quella del mondo latino medievale, nell'Islam la medicina scientifica era parte integrante del patrimonio culturale ereditato dall'ellenismo e dunque si collocava nel solco dell'antica tradizione medica, improntata essenzialmente a Galeno (130-200 ca.). Tuttavia il livello delle conoscenze poteva variare notevolmente da medico a medico, in quanto, nonostante il richiamo a una comune tradizione scientifica, non esistevano norme vincolanti per la formazione professionale. All'infimo grado di questa scala ideale, i medici potevano essere figure contigue a coloro che si limitavano a praticare la medicina, gli empirici, che non avevano alcuna cognizione della teoria galenica.
Anche tra quanti avevano una preparazione teorica acquisita attraverso lo studio della letteratura medica occorre distinguere tra i medici, che consideravano quale loro unico compito la cura degli ammalati, e un numero considerevole di studiosi che ‒ come attesta il carattere estremamente eterogeneo della letteratura medica ‒ oltre a esercitare la professione, coltivava anche aspirazioni scientifico-letterarie. Tra questi ultimi si trovavano sia i medici puri, le cui competenze erano limitate esclusivamente all'arte medica, sia quei dotti per i quali essa rappresentava uno fra i molti campi di attività, sino ad arrivare a quei sapienti, la cui dottrina abbracciava l'intera scienza dell'epoca, i cui interessi erano rivolti prevalentemente ad altri ambiti e che spesso esercitavano l'attività medica solamente per necessità. Infatti, in un periodo nel quale la maggior parte delle conoscenze costituiva un'arte che non dava da vivere, la medicina era uno dei pochi campi del sapere che permetteva agli studiosi che non riuscivano a trovare un ricco mecenate di provvedere al proprio sostentamento.
Anche i rappresentanti delle minoranze non musulmane si dedicavano alla medicina, assai più che alle altre discipline, sia nella fase iniziale, quando ci si stava ancora appropriando della tradizione scientifica preislamica e il ruolo dei Siri cristiani era particolarmente importante, ma anche nei secoli successivi, quando nei principali territori arabi la partecipazione dei medici cristiani ed ebrei rimase insolitamente elevata (i primi soprattutto in Siria e in Iraq, i secondi in Egitto). Una delle ragioni della particolare predilezione dei non musulmani per la professione medica potrebbe essere individuata nel fatto che la medicina, perlomeno nei suoi aspetti tecnici, è in larga misura una disciplina ideologicamente neutrale che, anche sul piano teorico, offre pochi appigli per una visione del mondo religiosamente determinata. Nonostante la sua origine preislamica, essa urtava pertanto contro l'ortodossia musulmana in misura assai minore delle altre scienze secolari. Così, l'utilità e la legittimità della medicina non furono mai messe seriamente in discussione, nemmeno dai musulmani di stretta osservanza, e solamente pochi si spinsero sino a condannare il ricorso a medici di altre confessioni; tanto più che i credenti delle tre grandi religioni monoteiste condividevano la convinzione che la guarigione dei malati dipendesse in ultimo dalla volontà di Dio e che le conoscenze e le capacità dei medici, così come i rimedi, fossero un dono divino. Le opere di medicina degli autori ebrei o cristiani non si distinguono pertanto da quelle dei medici musulmani. Se mai è significativo il fatto che gli 'specchi del medico' sinora noti, ossia gli scritti sulla professione medica, i suoi obblighi e la sua deontologia, siano in prevalenza da attribuirsi ad autori non musulmani. Dato il numero esiguo di testi di questo tipo, non sembra infatti legittimo dedurre che i medici cristiani ed ebrei avessero una particolare sensibilità per gli aspetti deontologici della disciplina.
Nell'Islam la medicina come scienza non fece progressi rapidissimi e si mosse sostanzialmente nel solco della tradizione fissata nella letteratura dell'Antichità e della prima epoca bizantina. Per quanto riguarda il rapporto con la tradizione si distinguono varie fasi e tendenze ma non è possibile delimitare nettamente singoli periodi; anche in questo caso, infatti, come accade in ogni sviluppo storico, elementi di continuità coesistono con momenti di rottura. Poiché la medicina islamica si basava quasi esclusivamente su quella ellenistica delle popolazioni del Vicino Oriente assoggettate dall'Islam, i suoi inizi coincidono con quel processo che portò alla traduzione in arabo delle fonti greche e che verso la fine del IX sec. poteva dirsi in larga parte concluso; l'influsso della medicina indiana fu, invece, del tutto trascurabile. Tuttavia, è soltanto entro certi limiti che si può parlare di una 'ricezione' da parte degli Arabi della letteratura medica che essi trovarono nei territori conquistati, e questo perché nei primi secoli dell'Islam la medicina continuò a essere coltivata da chi l'aveva esercitata fino a quel momento. La conquista islamica non segnò quindi alcuna cesura nella prassi della disciplina. Si ebbe, piuttosto, un''arabizzazione' della cultura medica dei territori conquistati, che rispecchiava i mutati rapporti di potere, e una traduzione ‒ realizzata in genere dai depositari tradizionali del sapere medico ‒ delle opere scientifiche locali nella lingua dei nuovi signori, ormai divenuta la lingua corrente.
D'altro canto, nel contesto di questo processo di traduzione, che fiorì grazie al generoso appoggio di mecenati pubblici e privati, fu notevolmente ampliato il numero degli antichi testi cui si faceva riferimento. Si costituì, infatti, un organizzato corpus di opere, recuperando una congrua parte di quella letteratura antica di uso generale in Oriente che, prima della conquista islamica, era stata ridotta a un esiguo nucleo di testi, sia a seguito del progressivo abbandono del greco a vantaggio del siriaco, sia a causa del fatto che, nelle scuole, ci si limitava soltanto ad adottare determinati testi per l'insegnamento. Di conseguenza, l'arabizzazione della tradizione medica all'epoca dell'espansione islamica nel Vicino Oriente, tra la fine dell'VIII e il IX sec., fu legata anche a un'ampia ricezione degli Antichi; essa rese nuovamente disponibili parti essenziali della letteratura greca sull'argomento che ai medici autoctoni, di lingua siriaca, erano diventate inaccessibili. E questo spiega anche perché, nel caso della medicina, assai più legata di altre scienze all'esercizio pratico della professione, una parte considerevole delle fonti greche fu tradotta prima in siriaco e soltanto successivamente in arabo. Infatti, coloro che esercitavano la professione medica ‒ in un primo momento ancora prevalentemente cristiani ‒ si attennero sino a buona parte del IX sec. alla loro tradizionale lingua tecnica, il siriaco, commissionando, specialmente all'inizio, versioni siriache dei testi greci recentemente riscoperti.
Il passaggio all'Islam non comportò quindi alcuna rottura della tradizione scientifica; tuttavia, già durante la fase della traduzione delle fonti greche videro la luce alcune opere originali redatte ancora prevalentemente in lingua siriaca che saranno poi tradotte in buona parte anche in arabo. Tra i loro autori alcuni furono anche traduttori. Nella misura in cui è possibile formulare un giudizio sulla scorta dei pochi esempi risalenti ai primi due-tre secoli dell'Islam che ci sono giunti, si può affermare che gli scritti di questo periodo proseguono sia nella forma, sia nei contenuti, le tradizioni della prima epoca bizantina. Accanto a sintetici manuali pratici, ricettari e trattati sulle proprietà dei farmaci e degli alimenti, un ruolo preminente è assunto da monografie su temi particolari o campi specialistici come l'oftalmologia.
Già nel corso del IX sec. si cominciò però a delineare un rapporto autonomo con il patrimonio degli Antichi che in parte si tradusse nella ricerca di nuove vie, sia per la definizione delle problematiche della disciplina, sia per la strutturazione formale delle cognizioni mediche in sede didattica. Un punto d'arrivo nella medicina islamica medievale si ebbe dunque con i grandi manuali e le enciclopedie mediche di al-Rāzī (251-313/865-925), al-Maǧūsī (attivo intorno al 365/975) e Avicenna (370 ca.-428/980 ca.-1037), le cui opere avrebbero poi stimolato lo sviluppo di una medicina scientifica anche nell'Occidente europeo e sarebbero state tradotte in latino tra l'XI e il XIII secolo. Di pari passo con la composizione di nuovi trattati si ebbe una graduale emancipazione dalle fonti antiche, che nel corso dei secoli furono soppiantate in maniera crescente dalle autorità islamiche, pur non venendo mai del tutto abbandonate.
Restano aperte questioni estremamente controverse: non è chiaro, per esempio, in quale momento si debba porre la fine di quest'epoca di fioritura e in quale misura si possa parlare in seguito di un declino della medicina. Poiché la letteratura medica dei secoli più tardi è ancora poco conosciuta, per ora non è possibile esprimere un giudizio definitivo, sebbene si possano già individuare determinate tendenze. Non v'è dubbio che a seguito dello svilupparsi di una tradizione medica araba dotata di proprie caratteristiche si ebbe una maggiore integrazione della medicina di origini pagane nella cultura islamica. Inizialmente i medici che coltivavano vasti interessi si dedicavano di preferenza anche ad altre scienze profane risalenti a tradizioni ellenistiche, in particolare alla filosofia, intesa in senso ampio, come era proprio della tradizione aristotelica che in essa includeva anche la scienza della Natura. Al più tardi a partire dal XIII sec. l'associazione tra la medicina e la dottrina islamica, e in particolare quella tra la medicina e il diritto religioso, divenne dominante: il medico-filosofo fu soppiantato dal medico-giurista.
Inoltre, già prima della metà dell'XI sec. potevano dirsi conclusi gli sforzi per sintetizzare il patrimonio delle cognizioni mediche acquisite sino a quel momento in compendi generali sistematici e dettagliati; dopo il testo di Avicenna, al-Qānūn fī 'l-ṭibb (Canone della medicina), noto al mondo latino-medievale come Canon medicinae o Liber canonis totius medicinae, nessun'altra grande enciclopedia medica vide la luce. Dal XIII sec. in poi, quest'opera divenne essa stessa il punto di partenza di una trattazione scientifica della medicina, e questo elemento sembra indicare un indebolirsi dell'impulso creativo. Alla struttura e al contenuto del Canone si ispirarono gli autori di manuali più agili e maneggevoli e il testo di Avicenna divenne anche oggetto di un'estesa letteratura di epitomi, commentari e commentari di commentari. Per quanto in questa letteratura derivata si possano rinvenire alcune osservazioni o speculazioni originali, il richiamo al grande modello sembra indicare un esaurirsi della volontà di seguire strade autonome.
Un ulteriore indizio del declino della medicina, che in passato è stato talvolta interpretato come il risultato dell'influenza dell'invasione mongola della metà del XIII sec., è da ravvisarsi anche nel peso crescente assunto dalle tradizioni popolari e dalle scienze occulte ‒ alchimia, astrologia e magia ‒, considerate autentiche scienze da una parte dei dotti musulmani influenzata dal neoplatonismo. Tuttavia nella medicina dell'epoca classica, dominata dalle teorie galeniche di impronta fortemente razionalistica, l'influenza delle interpretazioni causali di tipo magico e astrologico rimase irrilevante e guadagnò terreno unicamente con la crescente islamizzazione della medicina. Soltanto nel caso dell'astrologia le autorità classiche, quali Ippocrate e Galeno, sembravano ammettere l'esistenza di un generale influsso delle stelle ‒ in particolare del corso del Sole e della Luna ‒ sull'insorgere delle malattie e sul loro decorso (dottrina delle crisi); questo generale influsso celeste poteva quindi essere ammesso anche dagli irriducibili avversari delle pratiche divinatorie.
La cultura islamica non fu in grado di farsi protagonista di un rinnovamento della medicina che passasse attraverso nuovi approcci teorici basati sulla ricerca empirica, come accadde in Europa nel corso del Rinascimento. Durante l'epoca ottomana, nello scambio culturale tra Oriente e Occidente, i ruoli si invertirono; a partire dal XVII sec. fu la cultura islamica a ricevere gli apporti da quella dell'Occidente. Alcuni elementi della nuova medicina occidentale vennero recepiti nella letteratura, senza però essere realmente integrati nel sistema tradizionale. Autore di questa trasmissione di nuovo segno fu, per esempio, un medico nativo di Aleppo, Ṣāliḥ ibn Naṣr Allāh ibn Sallūm (m. 1080/1669), il quale introdusse la 'nuova medicina chimica' di Paracelso (1493-1541), che ai quattro umori galenici sostituiva i tre 'elementi' alchemici e cioè sale, mercurio e zolfo. Egli la illustrò in una sezione separata della sua opera, Ġāyat al-iṯqān fī tadbīr badan al-insān (L'estrema perfezione per il trattamento del corpo umano), in cui anche nuovi quadri clinici, per esempio quello della sifilide o del cosiddetto 'sudore inglese', sono trattati sulla base di altre fonti occidentali. Nel XVIII sec. in Turchia lo Stato promosse la traduzione in arabo e la diffusione attraverso la stampa di un certo numero di farmacopee e di manuali pratici, che però non riuscirono ancora a imporsi sui testi delle autorità islamiche classiche, in particolare Avicenna. In India e in Pakistan il Canone rimase, sino a tempi molto recenti, il manuale fondamentale di un'antica medicina islamica tradizionale, la cosiddetta Yūnānī Ṭibb (lett. medicina ionica o greca), anche quando, nel XIX sec., la medicina occidentale-internazionale cominciò a prendere definitivamente piede nel mondo islamico, grazie all'istituzione delle prime scuole di medicina di tipo occidentale al Cairo e a Costantinopoli.
Conrad 1995: Conrad, Lawrence I., The Arabic-islamic medical tradition, in: The Western medical tradition, 800 B.C. to 1800 A.D., edited by Lawrence I. Conrad [et al.], Cambridge, Cambridge University Press, 1995, pp. 93-138.
Isaacs 1987: Isaacs, Haskell D., Medicine, science and technology: islamic reactions to western learning, "Renaissance and modern studies", 31, 1987, pp. 43-57.
Ullmann 1978: Ullmann, Manfred, Islamic medicine, Edinburgh, Edinburgh University Press, 1978 (rist.: 1997; ed. orig.: Die Medizin im Islam, Leiden-Köln, E.J. Brill, 1970).