La civilta islamica: scienze della vita. Le 'cose naturali': struttura e funzioni del corpo umano
Le 'cose naturali': struttura e funzioni del corpo umano
La struttura e le funzioni del corpo umano, di cui oggi si occupano rispettivamente l'anatomia e la fisiologia, erano trattate indistintamente nei compendi generali di medicina islamica, sotto il titolo 'le cose naturali' (al-umūr al-ṭabī῾iyya), un calco dal greco physiología rintracciabile già nel Kitāb al-Masā᾽il fī 'l-ṭibb (Libro delle questioni sulla medicina), noto anche come al-Mudḫal fī 'l-ṭibb (Introduzione alla medicina) di Ḥunayn ibn Isḥāq, il testo che introdusse il sistema alessandrino nella medicina islamica. Conformemente alla concezione alessandrina dei secc. VI e VII, espressa nell'Isagoge al canone degli scritti galenici, nella medicina medievale la 'fisiologia' abbracciava infatti un campo assai più vasto della disciplina che attualmente porta questo nome e comprendeva l'intera biologia dell'uomo, ossia lo studio di tutti quegli elementi che si riteneva ne costituissero l'organismo e cioè la 'natura'. L'anatomia è quindi considerata parte della fisiologia e i capitoli che le vengono riservati affrontano prima l'anatomia generale ‒ ossia i cinque sistemi principali delle ossa, dei nervi, dei muscoli, delle vene e delle arterie ‒ e poi l'anatomia speciale degli organi composti, nell'ordine a capite ad calcem. Soltanto l'aristotelico Averroè (520-595/1126-1198) si proporrà di distinguere in modo sistematico anatomia e fisiologia e, nel suo manuale di medicina, il Kitāb al-Kulliyyāt (Colliget), dedicherà a ciascuna un libro autonomo. Fra i pochi trattati dedicati esclusivamente all'anatomia spicca il Tašrīḥ-i manṣūrī (L'anatomia dedicata ad al-Manṣūr, 798/1396) di Manṣūr ibn Muḥammad ibn Ilyās, un testo redatto in persiano che si distingue anche per le illustrazioni di cui è corredato, ispirate, probabilmente, alla stessa fonte iconografica antica cui si devono le illustrazioni anatomiche di alcuni manoscritti medievali latini. Alcune tavole rappresentano schematicamente la topografia delle ossa e quella dei nervi, dei muscoli, delle arterie, delle vene, mentre un'altra illustra il sistema vascolare di una donna gravida.
La spiegazione dei processi fisiologici presente nei testi di medicina islamica si fonda sulla sistematizzazione della teoria galenica operata nella Tarda Antichità dai medici alessandrini e deriva, quindi, dalla complessa teoria elaborata da Galeno di Pergamo, sulla base della dottrina umorale degli ippocratici e di alcuni concetti della medicina e della filosofia della Natura dei secoli seguenti. Lo dimostrano i vari scritti arabi ispirati all'Isagoge alessandrina; oltre al Mudḫal fī 'l-ṭibb di Ḥunayn ibn Isḥāq, il Kitāb Kāmil al-ṣinā῾a al-ṭibbiyya (La summa dell'arte medica) di al-Maǧūsī (risalente al 365/975 ca.) e l'Urǧūza fī 'l-ṭibb (Poema sulla medicina) di Avicenna.
Secondo la teoria galenica l'organismo umano è un sistema armonico cui contribuiscono diversi fattori materiali e dinamici le cui interazioni danno luogo ai processi fisiologici, sia quelli normali sia quelli patologici. Nel costruire i propri modelli esplicativi Galeno si fondava perlopiù su assiomi della filosofia della Natura ai quali non riteneva di dovere aggiungere ulteriori dimostrazioni. Così, sebbene nei suoi scritti egli dia conto di numerosi esperimenti sugli animali e di numerose osservazioni cliniche, gli elementi del suo sistema si basano in larga misura su una base speculativa cui egli attribuisce di volta in volta un peso diverso a seconda del contesto. Galeno sviluppò, infatti, la propria teoria fisiologica mettendo in primo piano ora l'uno ora l'altro aspetto della propria dottrina, a seconda dell'oggetto della controversia che ogni volta lo interessava. Furono invece i medici medievali, e in primo luogo i rappresentanti della Scuola alessandrina, a cercare di costruire un corpo dottrinale unitario raccogliendo, ordinando, sistematizzando e persino modificando all'occasione le tesi di Galeno.
La fisiologia galenica recepita dal mondo islamico si presenta così come una teoria in sé già conclusa, fondata su un ristretto numero di schemi concettuali molto flessibili ai quali si ricorreva per dare una risposta a pressoché tutte le questioni mediche concepibili. I medici dell'Islam medievale, come del resto quelli di Bisanzio e del mondo latino medievale, non erano pertanto motivati a intraprendere una ricerca autonoma per sottoporre a verifica sperimentale le concezioni tradizionali. L'autonomia rispetto al testo galenico veniva manifestata piuttosto in sede esegetica: nonostante la sua compattezza, infatti, riguardo ad alcune singole questioni, il sistema galenico poteva dar adito a diverse interpretazioni. Le critiche erano però sempre di carattere teorico e non si cercava una spiegazione empirica. Nella maggioranza dei casi, si criticavano quelle interpretazioni di Galeno che erano in conflitto con Aristotele, l'altra grande autorità nel campo biologico. In ambito islamico, infatti, molti di quei medici che erano al tempo stesso filosofi, ammettendo l'autorità di Aristotele in questo campo, difendevano le sue posizioni anche in medicina, cercando di conciliarle con i risultati cui era arrivata la ricerca postaristotelica. Un egregio esempio in questo senso è quello di Avicenna, il quale arrivò a formulare per via speculativa una serie di idee originali le quali, grazie all'ampia risonanza del suo testo, il Canone, furono recepite anche nel mondo latino medievale.
Le fonti arabe ispirate all'Isagoge alessandrina, per esempio al-Maǧūsī, comprendevano, sotto il titolo di 'cose naturali', sette categorie di componenti del corpo umano: gli elementi (usṭuqus); le complessioni o temperamenti (mizāǧ); gli umori (ḫilṭ); le membra (῾uḍw); le potenze o facoltà (quwwa); le azioni o attività (fi῾l); i vari tipi di pneuma (rūḥ). Queste categorie, molto schematiche, corrispondono perlopiù alle materie trattate nei vari scritti galenici di fisiologia che ad Alessandria valevano quali testi per l'insegnamento. Questa schematizzazione indica chiaramente che lo scopo dei compendi arabi era quello di fornire nozioni elementari in forma facilmente riproducibile. I fattori delle prime tre categorie (elementi, complessioni e umori), che comprendono ognuna quattro entità, sono strettamente collegati tra loro. Gli elementi e gli umori sono reciprocamente correlati attraverso le quattro qualità primarie ‒ caldo, freddo, umido, secco ‒ in modo tale che due elementi o umori adiacenti abbiano una qualità in comune. La particolare mescolanza di queste qualità ‒ che sono le proprietà fondamentali degli elementi e degli umori ‒ determina la costituzione individuale del corpo umano. Quindi, anche se le quattro qualità primarie non figurano come categorie autonome, esse rivestono un ruolo fondamentale nella spiegazione dei processi naturali; è proprio perché le quattro qualità sono presenti in tutte le cose determinandone le varie proprietà che tutti i fenomeni risultano reciprocamente collegabili.
I processi interni dell'organismo, così come le interazioni di questo con il mondo esterno, potevano in tal modo essere descritti in base ai mutamenti nei rapporti delle qualità dell'organismo che si ritenevano essere all'origine dei fenomeni direttamente percepibili.
Anche fra le ultime tre categorie (potenze, attività, vari tipi di pneuma) sussiste una stretta relazione reciproca. Esse sono articolate secondo uno schema tripartito, in quanto riguardano le tre funzioni fondamentali dell'organismo: la funzione 'naturale' (ṭabī῾ī), quella 'vitale' (ḥayawānī, lett. 'animale', un probabile errore di traduzione dovuto alla confusione del termine greco zōtikos con zōikos) e quella 'psichica' (nafsānī). La funzione naturale comprende la nutrizione, la crescita e la riproduzione. Quella vitale o animale è preposta alla respirazione, alla conservazione e alla distribuzione del 'calore naturale' (al-ḥarāra al-ṭabī῾iyya), responsabile di tutti i processi vitali e degli affetti. La funzione psichica, infine, era ritenuta condizione della percezione sensoriale e del movimento volontario e, nell'uomo, anche delle attività mentali. Oltre agli aspetti fisiologici, le ultime due categorie comprendono quelli psicologici; ed è facile in ciò riconoscere un riflesso della dottrina platonica delle tre parti dell'anima.
Ciascuna delle sette categorie della dottrina medica così elaborata presenta caratteristiche proprie. I quattro elementi classici ‒ vale a dire fuoco, aria, acqua, terra ‒ costituiscono la materia fondamentale di tutte le cose della Natura e sono, di conseguenza, anche gli elementi ultimi del corpo umano. Le loro componenti visibili sono le parti omogenee del corpo (omeomeri), che a loro volta si formano dagli umori, i quali svolgono il ruolo di elementi intermedi. I quattro elementi primari non si presentano mai in forma pura; la loro esistenza può essere soltanto dedotta a partire dalle proprietà delle cose che da essi sono composte. Gli elementi vanno intesi, dunque, come sostanze materiali che incarnano, nella loro forma più pura, le quattro qualità primarie ‒ rispettivamente il caldo, il freddo, l'umido e il secco ‒, in sé stesse immateriali. Ogni elemento, oltre alla propria qualità primaria distintiva, ne possiede anche una seconda (così il fuoco è caldo-secco, l'aria è umida-calda, l'acqua è fredda-umida, la terra è secca-fredda).
Poiché questi quattro elementi sono le componenti ultime di tutte le cose, anche la particolare complessione o mescolanza degli organismi, a seconda degli elementi che vi entrano a far parte, è caratterizzata da un determinato rapporto fra le quattro qualità primarie. Fondamentalmente vi sono nove complessioni, una perfettamente equilibrata e le altre otto con un certo squilibrio; quattro di esse sono semplici e quattro sono composte. Nella complessione calda, in quella fredda, in quella umida e in quella secca domina un'unica qualità primaria, mentre le complessioni calda-secca, umida-calda, fredda-umida e secca-fredda sono caratterizzate da due qualità primarie. Le differenze tra individui derivano da diverse gradazioni delle qualità primarie e la costituzione qualitativa propria di ciascun individuo è soggetta anche a influenze interne ed esterne di vario genere. Così, i due sessi presentano mescolanze tendenzialmente opposte: nell'uomo prevale il caldo-secco, nella donna il freddo-umido. La complessione, inoltre, si modifica nel corso delle quattro fasi del ciclo di vita: nell'infanzia prevale il caldo-umido, nella giovinezza il caldo-secco, nella maturità il secco-freddo, nella vecchiaia il freddo e l'estremamente secco. Il ciclo fisiologico della vita è dunque contraddistinto da un graduale raffreddamento ed essiccamento del corpo. Anche le differenze nel colore della pelle, dei capelli e degli occhi erano fatte derivare da particolari mescolanze delle qualità primarie e alle singole parti del corpo erano del pari attribuite diverse complessioni, adeguate alle loro funzioni; per il resto si riteneva che la complessione originaria dell'individuo potesse essere modificata dall'influenza dell'ambiente esterno e dalle abitudini di vita.
I quattro umori del corpo rappresentano la forma che gli elementi cosmici universali assumono nell'organismo e a essi erano pertanto attribuite le medesime qualità primarie: al fuoco, caldo-secco, corrisponde la bile gialla; all'aria, umida-calda, il sangue; all'acqua, fredda-umida, il flegma; alla terra, secca-fredda, la bile nera. Gli umori, così come gli elementi, non sono costituenti materiali del corpo ma sono, piuttosto, schemi concettuali; questo loro carattere emerge in modo particolarmente evidente nel caso della bile nera il cui corrispettivo concreto nel corpo umano è difficilmente individuabile, ma la cui presenza era resa necessaria per completare la struttura quadripartita imposta dalla correlazione con le qualità fondamentali.
Segno dello stato di salute del corpo si riteneva fosse la mescolanza armonica degli umori. Le alterazioni qualitative o quantitative dell'equilibrio, in tutto l'organismo o in una delle sue parti, indicavano, invece, la presenza di malattie. Esse insorgono, infatti, soprattutto quando il chilo, formato dal cibo assunto, non è una mescolanza ideale, così da presentare umori patologicamente alterati con mutamenti della consistenza, del sapore e del colore. Gli umori possono poi in parte trasformarsi l'uno nell'altro, soprattutto per l'azione del calore dell'organismo che li 'cuoce' portandoli a un grado superiore di maturazione. Si tratta di un processo non reversibile, in quanto il muco freddo può, per esempio, tramutarsi in sangue, ma non viceversa. Il sangue, però, per l'azione di un calore molto intenso può perdere la propria umidità e trasformarsi in bile calda-secca la quale, sottoposta a un forte calore, può 'bruciare', trasformandosi a sua volta in bile nera.
Le parti del corpo sono classificate in diversi modi. In primo luogo possono essere associate alle funzioni del corpo sopra descritte: i tre organi cardinali ‒ cervello, cuore e fegato ‒ controllano gli ambiti funzionali di cui sono gli organi principali, rispettivamente le funzioni psichica, vitale e naturale. Alcuni autori, seguendo un'altra classificazione data da Galeno, aggiungono come quarto organo le ghiandole germinali. Gli organi cardinali sono coadiuvati da altri organi, in particolare quelli conduttori, che trasmettono le loro funzioni fondamentali al corpo intero ‒ nervi, arterie, vene ‒, nonché da altri organi speciali; di qui deriva la distinzione tra parti del corpo 'servitrici' e parti del corpo 'servite'. Un'altra classificazione, basata invece sulla struttura, distingue tra parti del corpo 'omeomere' (semplici) che sotto alcuni aspetti possono essere assimilate ai tessuti dell'anatomia moderna, e 'organiche' (composte). Le prime, come ossa, vasi, nervi, muscoli, hanno una struttura omogenea. Le parti del corpo organiche, quali il cuore, l'intestino e i polmoni, sono formate da diverse componenti semplici.
Le 'potenze' o facoltà servivano a spiegare in modo provvisorio le cause specifiche di quei processi fisiologici di cui non era possibile indicare con maggior precisione la natura. Poiché si osservava che determinati organi esercitano funzioni specifiche che non sono presenti in altre parti del corpo, si assumeva che a tali funzioni fossero associate determinate potenze, proprie solo degli organi in questione. In primo luogo, le tre funzioni principali degli organi cardinali erano esplicate attraverso tre tipi di potenze, e venivano trasmesse alle zone periferiche attraverso le appendici di tali organi; inoltre alle singole funzioni erano preposte potenze specifiche. Alle potenze naturali si associavano la nutrizione, la crescita e la riproduzione. La loro sede era individuata nel fegato dove, dal chilo prodotto dal processo della digestione, si sarebbe formato il sangue denso venoso che attraverso le vene è distribuito nel corpo come sostanza nutritiva. Per poter trattenere e sfruttare le dosi convenienti di tale sostanza nutritiva, le singole parti del corpo dispongono di quattro facoltà preposte alla nutrizione ‒ le potenze dell'attrazione, della ritenzione, della trasformazione e dell'espulsione. Alle potenze vitali che hanno la funzione di mantenere in vita il corpo erano associati la respirazione e il battito del polso, ma anche le emozioni, le quali promanano dal cuore e, attraverso le arterie, sono trasmesse al resto del corpo. Alle potenze psichiche, infine, vanno ricondotti la percezione sensoriale e il movimento volontario, nonché i processi mentali, la cui sede era individuata nel cervello e i cui canali conduttori erano i nervi.
Le potenze descrivono soltanto la capacità degli organi di esplicare le loro diverse funzioni; la loro azione effettiva è inclusa in una categoria autonoma, quella delle 'attività', le quali, in quanto ne rappresentano le attualizzazioni, ricalcano esattamente l'articolazione delle potenze: l'attività dell'attrazione rappresenta così l'attualizzazione della potenza dell'attrazione, e così via. Accanto a queste attività semplici ve ne sono però anche di complesse, alle quali partecipano due o più potenze; è questo il caso della digestione, in cui la potenza della ritenzione e quella della trasformazione operano in maniera congiunta.
Per poter esercitare concretamente le loro funzioni, le potenze funzionali hanno bisogno di strumenti materiali, rappresentati da tre tipi di pneuma, costituiti da una materia sottile: quello naturale, quello vitale e quello psichico. In quanto ne costituiscono il substrato materiale, essi sono strettamente legati alle tre potenze fondamentali. I tre pneumi hanno origine dai tre organi cardinali da cui dipartono anche i canali conduttori che li distribuiscono in tutto il corpo. Il più grezzo, il pneuma naturale, si forma nel fegato dal sangue venoso più puro, mentre il più sottile, il pneuma vitale, ha origine nel cuore ed è costituito dal vapore puro di tale sangue venoso e dall'aria inspirata. Quando, attraverso le carotidi, il pneuma vitale arriva al cervello, nei ventricoli di quest'organo si forma il pneuma sottilissimo, quello psichico, associato alle funzioni sensoriali e motrici. I nervi, concepiti come una rete di condotti cavi, trasmettono il pneuma psichico, responsabile delle funzioni sensorie e motrici, agli organi di destinazione.
È solamente negli scritti islamici che i tre tipi di pneuma, i veicoli materiali delle potenze, appaiono come categoria autonoma della fisiologia. Se ne trova una prima traccia già nel Mudḫal fī 'l-ṭibb (Introduzione alla medicina o Isagoge) di Ḥunayn, che fa pensare a un precedente modello alessandrino. Però, la categoria del pneuma appare meno saldamente integrata nello schema dello fisiologia di quanto non lo siano i restanti sei gruppi di fattori; nel Canone, per esempio, Avicenna, che pure lo menziona nell'elenco generale degli oggetti della fisiologia, non dedica al pneuma alcun capitolo specifico. Anche la tripartizione del pneuma è frutto degli sforzi medievali di sistematizzazione. Il pneuma vitale, la cui esistenza era stata contestata da Galeno, è introdotto per evidenti ragioni di simmetria, ma non può essere integrato del tutto nella teoria medica in quanto le sue funzioni sono le uniche a non essere definite con precisione nei manuali.
I tre livelli funzionali, i cui centri sono localizzati nel ventre, nel torace e nel capo, sono gerarchicamente articolati e strettamente collegati tra di loro. Il piano delle funzioni naturali comprende soprattutto la nutrizione e la crescita (la riproduzione ha un posto speciale, in quanto non è strettamente finalizzata alla conservazione dell'individuo). Il compito principale del fegato, organo centrale preposto alla nutrizione, è quello di 'cuocere' il chilo che gli organi della digestione ‒ e cioè lo stomaco e l'intestino ‒ formano a partire dal cibo e che giunge al fegato attraverso la vena porta. Dopo tale 'cottura' esso è trasformato in sangue denso e scuro distribuito nel corpo, per nutrirlo, mediante le vene che si dipartono dal fegato, fino a essere assorbito nelle zone periferiche. Una parte del sangue venoso scorre attraverso la vena cava inferiore nel ventricolo destro del cuore e, attraverso i pori invisibili di cui è dotato il setto interventricolare, passa nel ventricolo sinistro, dove ha sede il calore innato. È con il suo ausilio che, dalle parti più fini del sangue e dall'aria inspirata che arriva attraverso le vene dei polmoni, si forma il pneuma vitale il quale, mescolandosi al sangue scuro delle vene, dà luogo al sangue chiaro arterioso. Le arterie, che hanno origine nel ventricolo destro del cuore, distribuiscono il pneuma vitale e il sangue chiaro in tutte le parti del corpo che li assorbe così interamente.
Anche se tra le vene e le arterie contigue è possibile, attraverso sottili collegamenti o anastomosi, un certo scambio di sangue e pneuma, i due tipi di vasi formano due sistemi separati che provvedono indipendentemente a distribuire il sangue alle zone periferiche; alla medicina galenica è pertanto estranea l'idea di una circolazione del sangue.
Così, come il sangue venoso è un costituente fondamentale del pneuma vitale, questo a sua volta costituisce il materiale di base del pneuma psichico. Il pneuma vitale è purificato in una rete di vasi posta alla base del cervello, una mirabile rete arteriosa dalle molteplici ramificazioni che, come tale, nell'uomo non esiste. Infine è nei due ventricoli anteriori del cervello che il pneuma purificato è trasformato interamente in pneuma psichico, associato alle funzioni fisiologiche del cervello, come la percezione sensoriale, il movimento volontario e l'attività delle facoltà superiori dell'anima, ossia l'immaginazione, il pensiero e la memoria. Nei testi di medicina del mondo islamico, infatti, queste tre facoltà, grazie a una rielaborazione della teoria galenica influenzata senza dubbio da fonti cristiane ‒ come, per esempio, il De natura hominis di Nemesio di Emesa ‒ sono localizzate nei ventricoli del cervello. Per legittimare una tale localizzazione, occorreva postulare tre cavità cerebrali e, quindi, i due ventricoli laterali sono rappresentati come una coppia che sul piano funzionale costituisce un'unità: il ventricolo anteriore.
Già nei testi anteriori all'Islam l'anatomia appare come un sapere sistematico. Fondata sulle accurate descrizioni di Galeno, spesso basate sull'osservazione diretta, l'anatomia poteva essere appresa dall'aspirante medico attraverso la semplice lettura dei testi e prescindendo, dunque, dall'osservazione diretta dell'uomo o degli animali. Inoltre, data la compattezza con cui si presentava e la ricchezza di dettagli che comprendeva, poche questioni vi erano lasciate aperte e ricerche ulteriori apparivano in tal senso superflue. L'anatomia era considerata prevalentemente una scienza ausiliaria della fisiologia e non godeva quindi dello status di una disciplina descrittiva autonoma. I pochi tentativi di modificarne singoli punti non portarono a progressi sistematici perché, fondati interamente su speculazioni teoriche, non erano corroborati da indagini empiriche.
È da notare soprattutto l'orientamento seguito dai manuali arabi di medicina in ambito anatomico. Nelle trattazioni dedicate all'anatomia, l'aspetto funzionale assume, infatti, un'importanza primaria e la descrizione dei particolari morfologici passa spesso in secondo piano rispetto all'analisi della 'utilità' ‒ ossia della funzione ‒ degli organi. Questo particolare orientamento determina anche la scelta delle fonti: se la principale autorità è, ancora una volta, Galeno, per il quale l'anatomia aveva un ruolo fondamentale, a essere privilegiata, fra le sue opere è il De usu partium il testo in cui, più che sulle singole nozioni di anatomia pratica, Galeno si sofferma sulla funzionalità dei vari organi.
Il De usu partium (in arabo Kitāb fī manāfi῾ al-a῾ḍā᾽, Libro sulle utilità delle membra) è un trattato precedente alla grande opera di anatomia di Galeno, il De anatomicis administrationibus. Le basi scientifiche sulle quali è costruito sono costituite prevalentemente dalle dissezioni condotte su animali (maiali e buoi) ‒ la dissezione dei cadaveri, che era pratica corrente tra i medici alessandrini del III sec. a.C., non era più tollerata nel II sec. d.C. ‒, ma la particolare impostazione dello scritto, incentrato sulla fisiologia, fa sì che la mancanza di un riferimento all'anatomia umana vi abbia scarso peso. Nel De usu partium le strutture anatomiche sono analizzate alla luce delle concezioni teleologiche di impronta aristotelica: poiché la Natura non crea nulla di inutile, ogni parte del corpo è adatta a svolgere in modo ottimale la propria funzione e le funzioni dei vari organi di conseguenza vengono considerate individuabili attraverso un esame della loro struttura. L'orientamento funzionale del testo galenico concordava in tal senso con la fondamentale ispirazione teologica dell'Islam; nella visione monoteistica dei musulmani, l'ingegnosa conformazione del corpo ‒ che già Galeno attribuiva a un demiurgo ‒ diviene prova della potenza e della bontà del Creatore e offre quindi un'occasione per lodare la cura amorevole con cui Iddio ha provveduto alle proprie creature. Così, se nei testi arabi la topologia e la morfologia degli organi sono descritte in genere in modo alquanto superficiale, al contrario, è dedicato ampio spazio alle riflessioni sulla finalità della loro struttura e della loro posizione.
Scarsa fu, invece, l'influenza nel mondo arabo della maggiore opera di anatomia descrittiva di Galeno, il De anatomicis administrationibus (titolo che in arabo fu reso con ῾Amal al-tašrīḥ, La pratica della dissezione), che costituisce una vera e propria guida alla dissezione. Questo testo si basa sullo studio di varie specie animali e, in particolare, sull'esame della scimmia berbera (Macacus silvestris, non ancora disponibile nel De usu partium), un piccolo macaco privo di coda e affine alla specie Macaca mulatta (oggi utilizzato di frequente come animale da esperimento). In esplicita contrapposizione con le scuole di medicina del proprio tempo, Galeno aveva definito l'anatomia un elemento irrinunciabile sia per la formazione sia per l'attività del medico. Malgrado ciò, lo scritto ‒ che pure si è conservato in traduzioni arabe in numerose copie ‒ non sembra essere riuscito a mantenere vivo nel mondo islamico un interesse duraturo per l'anatomia pratica. Gli autori arabi si rifanno soltanto raramente alle osservazioni di Galeno sui primati e, talvolta, sono persino indotti all'errore presupponendo che le descrizioni di Galeno si riferiscano all'anatomia umana.
Un'opera fondamentale per l'anatomia nel mondo arabo-islamico fu invece una silloge di quattro monografie che Galeno aveva composto sui quattro elementi del corpo (ossa, muscoli, nervi e vasi sanguigni) e dalla quale gli alessandrini avevano tratto un manuale per l'insegnamento dell'anatomia generale destinato a coprire l'insieme delle conoscenze del campo. Già nella Scuola alessandrina, infatti, il De anatomicis administrationibus di Galeno non aveva più alcun ruolo negli studi di medicina e, in tal senso, è significativo che l'originale greco dello scritto ci sia giunto in un unico manoscritto, mutilo nella parte finale di oltre un terzo del testo.
Tipico dell'elaborazione scolastica della materia anatomica da parte dei medici arabi è poi il completamento sistematico delle osservazioni che Galeno soltanto sporadicamente dedica al numero delle ossa e dei muscoli nelle singole regioni del corpo, mediante il quale essi arrivarono a stabilire un numero complessivo di 248 ossa e 529 muscoli. Ma anche per questo, come è stato dimostrato, è possibile rintracciare una fonte alessandrina, la sezione di anatomia dei Summaria Alexandrinorum (Ǧawāmi῾ al-Iskandarāniyyīn), un'altra rielaborazione manualistica degli scritti galenici a fini didattici (Garofalo 1995).
Ai medici arabi sono attribuite tradizionalmente alcune scoperte autonome nel campo dell'anatomia. Per quanto alla luce di una comparazione sistematica con le fonti antiche molte di queste attribuzioni si dimostrino infondate, non si può negare che alcune affermazioni degli autori arabi si discostino da quelle di Galeno o siano persino in aperto contrasto con esse. Però è controversa la discussione riguardo al modo con cui i medici dell'Islam siano pervenuti a formulare tali affermazioni alternative e in quale misura ciò autorizzi ad attribuire loro indagini anatomiche autonome. Spesso ci si limita ad affermare genericamente che nel mondo islamico la dissezione dei cadaveri era proibita per motivi religiosi; per suffragare l'ipotesi di un divieto religioso, gli autori moderni si fondano in genere sulla testimonianza del medico e giurista Ibn al-Nafīs (m. 687/1288). Nello Šarḥ tašrīḥ al-Qānūn (Commentario all'anatomia del Canone), scritto già in anni giovanili, egli afferma, infatti, di essersi attenuto, per quanto riguarda la pratica della dissezione, alle prescrizioni delle leggi religiose.
L'esercizio pratico dell'anatomia ci è stato vietato dalle prescrizioni della legge religiosa [al-šarī῾a] e dalla pietà umana insita nel nostro carattere. Pertanto per la conoscenza delle forme degli organi interni ci atterremo alle osservazioni di coloro che prima di noi hanno esercitato l'anatomia pratica; ci riferiamo in particolare a Galeno, poiché i suoi scritti sono quanto di meglio ci sia giunto su quest'arte e poiché oltre a ciò egli ci dà notizia di numerose parti del corpo che in precedenza erano sfuggite all'osservazione. Di conseguenza per la conoscenza delle forme degli organi interni, della loro posizione, ecc. ci baseremo principalmente sulle teorie di Galeno, fatta eccezione per alcuni punti, per i quali si può assumere che si tratti di errori del copista, o che le conclusioni di Galeno non si fondino su un'osservazione sufficientemente attenta. Per quanto però concerne l'utilità dei singoli organi, ci atterremo a quanto esige un'indagine approfondita e uno studio accurato, senza curarci se ciò concordi o meno con l'opinione dei nostri predecessori. (p. 17)
A tale dichiarazione alcuni autori attribuiscono un peso notevole, anche perché Ibn al-Nafīs dimostra, nei confronti della tradizione anatomico-fisiologica, un'indipendenza tale da far pensare di avere lui stesso, nonostante i divieti, praticato in segreto la dissezione di cadaveri.
All'ipotesi di una proibizione religiosa della dissezione si oppongono, tuttavia, i risultati delle ricerche recenti. L'analisi dell'antica letteratura giuridica e delle raccolte di tradizioni del Profeta (ḥadīṯ) che, accanto al Corano, costituiscono i fondamenti del diritto religioso islamico, ha infatti lasciato emergere come, in tali testi, non venga mai formulato un divieto esplicito alla dissezione anatomica e come, anzi, il problema della liceità di tale pratica non sia neppure mai affrontato sotto il profilo teologico-giuridico (Savage-Smith 1995).
La pratica della dissezione dei cadaveri doveva quindi apparire alla società islamica come fondamentalmente ammissibile e la questione appare così rovesciata: poiché nell'Islam il compito del diritto religioso è quello di regolamentare tutti gli ambiti rilevanti per la vita quotidiana del credente e della comunità, si può concludere che per i dottori di diritto non vi era alcun motivo di occuparsi della dissezione dei cadaveri in quanto essa non aveva alcuna rilevanza pratica. A sostegno di questa tesi si può addurre anche il fatto che nel capitolo dedicato alla professione medica, nei manuali destinati a coloro che erano incaricati della sorveglianza del commercio e dei mestieri, si prescrive la conoscenza dell'anatomia, soprattutto per i diversi rami della professione chirurgica senza fare cenno alla dissezione, nemmeno come pratica proibita.
Del resto, un divieto esplicito di mutilare i cadaveri è formulato dal profeta Muḥammad, ma soltanto per proibire la profanazione dei corpi dei nemici caduti. Si può pensare allora che nel Medioevo i musulmani pii, come Ibn al-Nafīs, abbiano esteso tale divieto anche alla dissezione anatomica. L'ostacolo religioso più significativo era probabilmente costituito dalla credenza nella resurrezione del corpo che rappresenta per la religione islamica, così come per quella cristiana, uno dei fondamenti dottrinali e presuppone, almeno nella credenza popolare, l'integrità fisica (attualmente i dottori di teologia risolvono il problema raccomandando di praticare la dissezione su cadaveri di persone non musulmane). La dissezione dei cadaveri divenne un problema religioso nell'Islam soltanto in epoca moderna, a seguito della penetrazione nel mondo islamico della medicina occidentale, per la quale l'anatomia svolge un ruolo essenziale. Così, sebbene nel loro insieme le testimonianze delle fonti ‒ quelle mediche come quelle religiose e letterarie ‒ autorizzino a concludere che questi metodi non fossero praticati, né a scopi didattici né ai fini della ricerca, non si può ritenere che la rinuncia alla dissezione anatomica si dovesse a motivi religiosi. Le ragioni, anche se nei testi non sono mai menzionate come tali, possono essere state diverse e tra di esse è difficile operare distinzioni nette.
Uno dei motivi della rinuncia alla dissezione anatomica è senza dubbio da ricercarsi nella potenza dei tabù arcaici che vietavano la mutilazione dei cadaveri; all'origine di questi tabù, in parte ancora vivi nella moderna società secolarizzata, vi era l'incertezza sul destino che sarebbe toccato all'uomo dopo la morte e sulla forma che la vita dell'aldilà avrebbe eventualmente assunto, con il conseguente timore che, violando i cadaveri, ci si sarebbe macchiati di una grave colpa. Inoltre, l'antica resistenza all'idea della dissezione del corpo umano avrebbe potuto essere superata soltanto dietro la spinta di un forte interesse scientifico e pratico per lo studio della struttura interna del corpo, il quale era però assente dato l'orientamento complessivo della medicina dell'epoca, radicalmente differente da quello moderno, incentrato sui singoli organi. Lo scopo principale della terapia nella medicina araba medievale non era quello di curare le alterazioni patologiche dei singoli organi, bensì quello di ripristinare l'equilibrio degli umori del corpo e la sua armonia con l'ambiente esterno. Anche se determinate patologie erano localizzate nei singoli organi o nelle singole regioni del corpo, nelle concezioni patogenetiche l'alterazione morfologica passava in secondo piano rispetto all'alterazione dell'equilibrio interno e, ai fini della medicina pratica, le conoscenze di anatomia che erano state ereditate dagli Antichi apparivano più che sufficienti. A questo orientamento generale della medicina va aggiunto il fatto che la chirurgia, cui servono precise conoscenze topografiche, doveva all'epoca rinunciare a interventi sugli organi interni per il pericolo di infezioni.
Per quanto, nei manuali, il sezionamento dei cadaveri sia menzionato quale metodo per ampliare le conoscenze empiriche sulla struttura e sulle funzioni del corpo, è evidente che si tratta di semplici calchi letterari da Galeno. Ne offre un esempio Ibn Ǧumay῾ (m. 594/1198), il medico personale del sultano d'Egitto Ṣalāḥ al-Dīn (Saladino), che nel suo trattato sulla deontologia medica, fra le misure necessarie per innalzare il livello di preparazione dei medici, inserisce la pratica della dissezione, definendo una serie di requisiti per la formazione del medico che, ripresi letteralmente da Galeno, appaiono totalmente privi di riscontro nella prassi dell'epoca. Senza altri elementi di sostegno concreti, posizioni come quelle di Ibn Ǧumay῾ non possono essere considerate una dimostrazione del fatto che nel mondo islamico esistesse un'effettiva prassi anatomica.
Alla luce di quanto si è precisato, affermare che i medici dell'Islam non sarebbero potuti arrivare alle conoscenze descritte nei loro testi se non attraverso la pratica diretta della dissezione, significherebbe attribuire al mondo islamico medievale una concezione della scienza e una coscienza metodologica tipicamente moderne. Non si può infatti assumere che alla base di quelle dottrine che si discostano, realmente o apparentemente, dalle teorie di Galeno debbano necessariamente esservi osservazioni empiriche. Non si può, cioè, ignorare il fatto che nella scienza medievale la pura speculazione, disgiunta da ogni verifica empirica, fosse considerata un metodo legittimo di conoscenza, in particolare in campi come l'anatomia e la fisiologia, in cui le strutture e i processi celati all'interno del corpo sono sottratti all'osservazione diretta. È quindi probabile che i medici dell'Islam arrivassero a fornire diverse descrizioni dei rapporti anatomici e nuove spiegazioni dei processi fisiologici, dando semplicemente una moderna interpretazione ai risultati dei predecessori o armonizzando le concezioni discordanti degli Antichi.
Anche l'ambiguità terminologica dei testi arabi può dare adito a fraintendimenti. Il termine tecnico tašrīḥ (dissezione) è un calco del termine greco anatomḗ e designa sia l'anatomia quale campo del sapere e materia d'insegnamento, sia la dissezione come prassi concreta. Come dimostra il confronto con le fonti più antiche, quando, per suffragare una data tesi, nei testi arabi si afferma che così insegna il tašrīḥ, si fa riferimento al patrimonio tradizionale di conoscenze di tale scienza e non già a una pratica della dissezione che gli autori avrebbero effettuato in prima persona. Ne è una conferma un'osservazione incidentale del medico damasceno ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī (m. 629/1231) il quale, nel Kitāb al-Ifāda wa-'l-i῾tibār (Libro dell'informazione e della considerazione), resoconto di un prolungato soggiorno in Egitto, interpreta nel modo seguente il riferimento alla testimonianza concorde di tutti gli anatomisti: "Quando diciamo 'tutti', intendiamo qui il solo Galeno, poiché egli fu l'unico a praticare l'anatomia e a farne l'oggetto delle sue ricerche e della sua attenzione" (p. 274).
῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī è il solo medico dell'Islam cui sono certamente attribuibili alcune personali osservazioni anatomiche sull'uomo, effettuate intorno al 597/1201-1202 grazie a una grave carestia che, nell'anno precedente, aveva causato un gran numero di morti; l'impossibilità di dare sepoltura a tutti i cadaveri permise l'osservazione dello scheletro umano senza dover praticare la dissezione.
Resosi conto che i suoi allievi, non potendo effettuare osservazioni dirette del corpo umano, incontravano grandi difficoltà nello studio del De anatomicis administrationibus, ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī li condusse in una località nei pressi del Cairo, dove erano accatastati circa 20.000 cadaveri. Studiando lo scheletro dei resti umani, egli riscontrò in due punti una discrepanza tra ciò che poteva osservare e le affermazioni di Galeno, senza tener conto del fatto che queste si riferivano alle scimmie e non all'uomo.
Secondo Galeno l'osso mandibolare è formato da due metà, collegate così saldamente che la giuntura risulta invisibile. In effetti, nei neonati la mandibola è formata da due parti la cui giuntura cartilaginosa si indurisce dopo la nascita in diversa misura e con ritmo differente nelle varie specie; nell'uomo il processo si compie già nel corso del primo anno di vita. Poiché in alcune specie, come per esempio nel cane, il legamento interosseo si può staccare facilmente, Galeno, contrariamente a quanto risultava dall'osservazione superficiale, ipotizzò una bipartizione dell'osso mandibolare anche nelle scimmie. Peraltro, fu in grado di separare le due parti soltanto dopo la lisciviazione delle ossa mediante bollitura, e anche allora con grande difficoltà. L'accurata indagine su oltre 2000 mandibole umane portò il medico arabo alla conclusione, corroborata anche dai suoi compagni, che l'osso mandibolare è sempre unico, deduzione che concordava del resto con il risultato della semplice osservazione di Galeno. Tuttavia, mentre quest'ultimo cercò di verificare per via sperimentale tale risultato, il medico arabo si basò soltanto sull'osservazione di vecchi resti di scheletri. A suo parere, nel caso di una fusione dei legamenti, questi, per quanto saldi, a seguito del deterioramento causato dal tempo si sarebbero dovuti allentare, ma ciò non si era verificato. Neppure l'esame di ossa umane risalenti all'epoca faraonica, reso possibile dai resti delle tombe di Abu Sir, in Egitto, permise ad al-Baġdādī di rinvenire nell'osso mandibolare una qualche articolazione o sutura; del resto la scienza moderna conferma la mancanza di tale sutura nell'uomo adulto.
La seconda osservazione, che peraltro non contrasta completamente con le affermazioni di Galeno, ma piuttosto le integra, riguarda il numero delle vertebre di cui si compongono, nell'insieme, l'osso sacro e il coccige. L'ispezione di numerosi scheletri indusse ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī a confermare la conclusione cui era pervenuto Galeno per le scimmie, secondo la quale questa regione dello scheletro è formata da sei parti tra loro saldamente collegate. In due casi, tuttavia, egli individuò un unico osso, trovandosi evidentemente di fronte a varianti anatomiche in cui non solo le vertebre rudimentali dell'osso sacro e del coccige erano fuse insieme, ma anche la giuntura che li univa era saldamente ossificata. E il fatto che negli altri casi egli conti soltanto sei segmenti ‒ sebbene nell'uomo, diversamente dalle scimmie, l'osso sacro e il coccige siano formati di norma da cinque vertebre rudimentali ciascuno ‒ dimostra quanto fosse forte il peso della tradizione anche in uno studioso come ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī che aveva a cuore l'osservazione oggettiva.
Il suo atteggiamento nei confronti di Galeno era, peraltro, ambivalente. Se da un lato egli cercava di correggerne o ignorarne gli errori, dall'altro affermava che la testimonianza dei sensi è più affidabile dell'autorità di Galeno, anche quando le sue descrizioni e osservazioni risultano della massima accuratezza. Del resto, anche questa dichiarazione della preminenza che deve essere assegnata all'esperienza rispetto alla tradizione, è mutuata da Galeno e, per quanto ci risulta, ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī fu, tra i medici dell'epoca, l'unico che seguì la sua esortazione a sfruttare l'opportunità di studiare direttamente gli scheletri umani. Tuttavia, egli non realizzò mai ‒ come pure aveva in progetto ‒ un'opera basata sulle proprie osservazioni anatomiche e le scoperte alle quali egli poté pervenire grazie a circostanze eccezionali non furono recepite nella medicina islamica.
In conclusione, è possibile affermare che nel mondo islamico, come già nella Tarda Antichità, nel campo dell'anatomia e della fisiologia non fu perseguita una ricerca empirica sistematica e tale da richiedere interventi sui cadaveri, nemmeno su quelli degli animali. Alcuni medici, tuttavia, non si limitarono a seguire pedissequamente le dottrine fisiologiche di Galeno ma, al contrario, si preoccuparono di chiarirne alcuni punti oscuri, tentando di proporre ‒ attraverso una verifica dottrinale e speculativa della tradizione e in virtù delle argomentazioni di tipo teleologico dello stesso Galeno ‒ interpretazioni prive di contraddizioni.
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