La civilta islamica: scienze della vita. Medicina generale
Medicina generale
Stabilito che la medicina è quel ramo della conoscenza che si occupa dello stato di salute e di malattia del corpo umano, la cui priorità fondamentale è mantenere e recuperare la salute con i mezzi adeguati, se ne può trattare in termini di un processo di equilibrio fra le forze, gli organi, i tessuti, ecc. dell'organismo, secondo quanto si evince dal prologo del Qānūn fī 'l-ṭibb (Canone della medicina) di Avicenna (m. 428/1037). Ciò indica anche che il corpo ha in sé il potere di mantenere e di recuperare l'equilibrio che ne caratterizza lo stato di salute. D'altronde, Averroè (m. 595/1198), nel Libro III del suo Kitāb al-Kulliyyāt fī 'l-ṭibb (Colliget) ‒ che ha come oggetto formale la cattiva disposizione o patologia ‒ definisce la malattia nel suo complesso, rendendo esplicite tutte le alterazioni patognomoniche dell'organismo, sia dal punto di vista dell'iperfunzionalità delle attività sia da quello della loro insufficienza, poiché la malattia è l'opposto della salute. La malattia, dunque, è considerata come la cattiva disposizione della struttura formale operativa dell'organismo.
Con questi due brevi cenni di carattere teorico, tratti dalle opere di Avicenna e Averroè, è nostra intenzione sottolineare la cruciale importanza che l'intero processo di recupero della salute ‒ quello stato d'equilibrio sottile e delicato dell'uomo ‒ riveste nel campo della medicina all'interno della civiltà arabo-islamica; in tal senso, è opportuno ricordare che in detta civiltà il fattore unificante, nonché il veicolo culturale di coesione, fu precisamente la lingua araba, utilizzata da grandi autori che non erano arabi o non erano di religione musulmana, ma che da sempre sono considerati pietre miliari della medicina tradizionale araba (Granjel 1981).
Ritornando all'antinomia salute-malattia, secondo al-Rāzī (251-313/865-925) la salute è la vicendevole collaborazione fra le molteplici potenze e i diversi umori del corpo, poiché è possibile ottenere lo stato di salute soltanto attraverso l'armonia degli organi di parti simili e l'unione di tutto il corpo. Nel suo sistema medico, al-Rāzī articola lo stato di buona salute su tre livelli: quando il corpo è ben formato dalla nascita e gli organi possiedono una costituzione sana e le sue complessioni sono equilibrate; quando la salute del corpo risponde ai parametri temporali, all'alimentazione e al paese di residenza; quando l'equilibrio fra la complessione del corpo e la sua costituzione fisica è debole.
Questi tre livelli dello stato di salute trovano un parallelo nei tre gradi in cui è articolato lo stato patologico: quando il corpo non è ben formato dalla nascita, la costituzione degli organi non è armonica e le complessioni non sono equilibrate; quando la malattia è causata dall'alterazione dell'aria, del clima, dell'alimentazione o dall'influsso del paese; quando viene meno l'equilibrio fra la complessione del corpo e la sua costituzione fisica.
D'altronde, in Avicenna, l'aspetto nosografico esposto nel suo Canone, a proposito della descrizione e della classificazione delle malattie si fonda essenzialmente sulla dottrina degli umori. La patologia è dunque percepita come la rottura di una legge fisica, fisiologica, somatica o psichica che sottende a una visione dell'essere umano come spazio percorso da fluidi in movimento (sangue, flegma, bile gialla e bile nera o atrabile), basato su un principio centrifugo, ossia, sul concetto di equilibrio.
In base a quanto detto finora circa l'importanza della salute e il suo mantenimento/recupero da parte del medico, non stupisce il fatto che per evitare l'esercizio fraudolento della professione medica, il medico, così come altre professioni e attività commerciali, era sottoposto al controllo del muḥtasib, un supervisore la cui responsabilità giuridica è sancita nei trattati di ḥisba, fra i quali possiamo citare la Nihāyat al-rutba fī ṭalab al-ḥisba(Il massimo rango nella ricerca della ricompensa) di ῾Abd al-Raḥmān al-Šayzarī e il trattato di Ibn ῾Abdūn (XI-XII sec.). Il primo, nel capitolo 37, afferma quanto segue: "La medicina è una scienza teorica e pratica il cui esercizio è stato dichiarato lecito dalla legge religiosa, giacché si occupa del mantenimento della salute […]. Il medico è colui che conosce la struttura del corpo, la complessione degli organi, le malattie, le cause, gli accidenti e i sintomi, nonché i rimedi efficaci contro le malattie […]. Colui che non sia in possesso di tale conoscenza non deve ottenere licenza di curare i malati né di dispensare cure che sarebbero pericolose" (Nihāyat al-rutba fī ṭalab al-ḥisba, cap. 37).
Ibn ῾Abdūn, dal canto suo, sottolinea l'importanza della deontologia: "Non sarà permesso a nessuno di considerarsi maestro in qualche cosa che non sa far bene, soprattutto nell'arte della medicina, ché può mettere in pericolo la vita, e l'errore medico la terra lo nasconda".
In linea generale, considerando lo stato patologico come stato di non salute, cattiva disposizione, alterazione e/o privazione dello stato armonico, sarà necessario saper comprendere tutte le alterazioni patognomoniche dell'organismo, vale a dire, tutti quei segni/sinto-mi che, di per sé, sono sufficienti a determinare una prima diagnosi, basata sia sull'iperfunzionalità sia sull'insufficienza delle funzioni, visto che lo stato di morbilità o malattia rivela una cattiva disposizione della struttura formale operativa dell'organismo. Pertanto, l'attività del medico professionista percorrerà un iter le cui tappe principali dovrebbero essere inscritte nei seguenti campi tematici: diagnostica, terapeutica, dietetica e igiene.
D'altronde, non possiamo dimenticare che nella medicina arabo-islamica la patologia ha come punto di partenza la dottrina degli elementi, basata sulla premessa che il contrario cura l'opposto ‒ contraria contrariis curantur ‒ così come il simile cura l'affine. La teoria di Empedocle di Agrigento dei quattro elementi (terra, aria, acqua, fuoco), e delle rispettive realtà, trova corrispondenza nella teoria degli umori, basata sugli scritti di Alcmeone di Crotone, nei quali si afferma che la malattia è determinata da un disturbo dell'equilibrio fra le caratteristiche fondamentali del corpo: umido e secco, caldo e freddo; l'armonia di tali caratteristiche ‒ la cui commistione è denominata crasi ‒ è alla base della salute. Dunque, si potrebbe definire la teoria degli umori come un'applicazione biologica di quella dei quattro elementi, poiché il corpo umano era concepito come una combinazione dei quattro fluidi primari, differenziati in normali (quelli assimilati dai tessuti) e anormali (ovvero, quelli che non sono adatti all'assimilazione e costituiscono l'origine di un cattivo stato di salute). In questo modo si giunse a stabilire il seguente parallelo fra i quattro elementi e i quattro umori: aria-sangue, fuoco-bile gialla, terra-bile nera e acqua-flegma.
In campo diagnostico e terapeutico, un concetto fondamentale è quello del mizāǧ (temperamento), che può essere definito come stato dinamico risultante dalla reciproca interazione delle qualità primarie (umido, secco, caldo e freddo) inerenti ai fluidi. Le fonti essenziali in base alle quali si determina il temperamento di un individuo sono i segni morfologici, fisiochimici e psicologici. In teoria, il temperamento presenta due varianti: è equilibrato quando le caratteristiche opposte sono qualitativamente uguali e l'equilibrio è il risultato di una media di tali caratteristiche; è squilibrato quando si verifica un eccesso di caldo o freddo, insieme a un eccesso di umido o secco, o viceversa.
In sintesi, il medico arabo-islamico ha il nobile compito di garantire l'equilibrio armonico del corpo umano ‒ la salute ‒, nonché di proteggerlo dall'aggressione della malattia, in primo luogo servendosi di un insieme di strumenti atti a preservarlo dalle malattie, e cioè somministrando la profilassi adeguata a ogni singolo caso con una particolare attenzione all'alimentazione personale del paziente.
Volendo definire la diagnostica come quell'aspetto della medicina che mira a identificare una determinata patologia in base ai segni e ai sintomi che essa manifesta, è evidente il primato dei segni in quanto strumento conoscitivo dei sintomi e, in ultima analisi, della malattia stessa. Per Averroè, i segni non sono semplici segnali, bensì i significanti intenzionali dell'unità patognomonica: in altre parole, la Natura li ha disposti al fine di avvertirci della reale esistenza di un processo. Per Avicenna il sintomo (῾araḍ) possiede una connotazione filosofica molto marcata: secondo questo autore, si tratta di un fenomeno casuale, non essenziale, che può interessare il normale decorso di una funzione organica, l'aspetto di un tessuto o l'equilibrio fisiologico in generale. Avicenna suddivide i sintomi in interni ed esterni, contrapponendo i sintomi accessibili ai sensi (vista, tatto), la cui interpretazione clinica è quasi immediata, a quelli la cui natura non è subito comprensibile. Un esempio della confusione che può avere luogo fra sintomo e malattia (nel quale Avicenna riprende una questione già dibattuta dai suoi predecessori) è quello delle febbri, rispetto alle quali esistevano interpretazioni differenti sul fatto che fossero malattie in sé stesse o, appunto, semplicemente sintomi. Ciò è dovuto alla loro definizione di 'calore non naturale', che non permette di farle rientrare nello schema nosografico di Avicenna, basato sul criterio tumorale, strutturale e traumatico.
Proseguendo con la questione dei segni, è possibile stabilire una correlazione fra questi e la predominanza/eccesso di un umore determinato: (1) sangue: battito sostenuto (pressione alta), urina densa, saliva dolciastra, testa pesante, emorragie nasali e gengivali; (2) bile gialla: battito accelerato, bruciore delle vie urinarie, vomito collerico (vomito bilioso), bocca amara, sete continua; (3) bile nera: urina scura o verdastra, sangue nero e coagulato durante la pratica della flebotomia; (4) flegma: urina pallida (bianca), svogliatezza, sonnolenza, battito debole e lento, saliva vischiosa. Da questa succinta presentazione dei segni/sintomi è possibile dedurre la preponderanza del ruolo svolto nella diagnosi dall'analisi del polso, dell'urina e, in secondo luogo, delle feci.
Analisi del polso
È uno degli strumenti più importanti per valutare lo stato di salute e di malattia: esso rispecchia il movimento e la contrazione del cuore ed è utile a determinare l'intensità dell'energia vitale. Espansione, pausa, contrazione e pausa sono, in successione, le fasi del battito cardiaco, che si rileva tastando nel polso l'arteria radiale. Tale rilevazione ha luogo in questo punto del corpo poiché è più accessibile di altri e, di conseguenza, il paziente è visitato senza subire alcun fastidio; inoltre si tratta di una parte direttamente collegata al cuore. È consigliabile, per non dire indispensabile che al momento di prendere il polso al paziente questi si trovi in condizioni di calma, senza dar segni di alterazioni emotive o fisiche. L'esame del battito cardiaco è di per sé complesso, poiché richiede la valutazione di una serie di aspetti in grado di fornire informazioni atte a comprovare lo stato di salute o a determinare la diagnosi della malattia. Tali aspetti sono i seguenti.
a) Dimensione. Si percepisce esaminando il grado di espansione, determinato in base al suo innalzamento, alla sua lunghezza e alla sua ampiezza, da cui si evince che un battito cardiaco prolungato indica un eccesso di calore e di attività, mentre nel caso di una pulsazione breve si è in presenza delle condizioni opposte. Parimenti, una pulsazione ampia indica un eccesso di umidità, mentre una breve indica la condizione opposta.
b) Temperatura. Indica la qualità degli umori, poiché una pulsazione calda manifesta la presenza di un calore nella qualità degli umori, mentre una pulsazione fredda è il segnale della presenza del freddo negli stessi; dunque, una pulsazione moderata indica una condizione d'equilibrio.
c) Pienezza. Una pulsazione piena rivela un eccesso di umori, mentre la loro carenza è manifestata da una pulsazione vuota o collassata. Dunque una pulsazione media indica una condizione d'equilibrio.
d) Durata della pulsazione. Una pulsazione rapida o accelerata, vale a dire quando il lasso fra i due battiti è inferiore a quello normale, indica uno stato di decadenza della potenza vitale. La pulsazione è lenta quando presenta un decorso lungo, indicatore di una potenza vitale vigorosa.
e) Regolarità. Una pulsazione regolare è indice di buona salute, mentre quella irregolare denuncia debolezza o disturbo, visto che in virtù di tale irregolarità può avere numerose evoluzioni.
f) Forza o qualità dell'impatto. La forza della pulsazione rivela la qualità della potenza vitale. Può essere percepita attraverso i pori delle dita. Quando il battito è forte, allora la potenza vitale è forte e così, quando la pulsazione è debole, lo è anche la potenza vitale.
g) Velocità e durata del ciclo. La velocità delle pulsazioni rivela una condizione in cui il paziente ha bisogno di fiato, in quanto il battito cardiaco accelerato indica la necessità di un maggior apporto d'aria.
h) Consistenza o elasticità. La consistenza della pulsazione può essere dura, a causa di un eccesso di secchezza, o invece morbida ed elastica, per un eccesso di umidità. Queste categorie generali usate nella diagnosi del polso sono integrate dalla descrizione di altre e più complesse forme di pulsazione caratteristiche di condizioni particolari.
Urina e feci
L'escrezione di determinati organi e, più in generale, del corpo fornisce indicatori utili a determinare la diagnosi. Fra i metodi d'esame di tali escrezioni, meritano di essere analizzate l'uroscopia e la coproscopia.
L'urina fornisce informazioni sullo stato di funzionamento dei reni, dell'apparato digerente, del fegato, della milza e sullo stato degli umori. Il ruolo significativo svolto dalle urine al fine di determinare una diagnosi è confermato dall'importanza dei suoi diversi componenti e fattori, poiché l'urina normale di un adulto in buona salute è color giallo chiaro e presenta una densità moderata. I fattori principali che debbono essere valutati sono i seguenti.
a) Colore. Il giallo dell'urina può presentare varie sfumature, come l'arancione, il giallo zafferano, ecc., che indicano uno stato di iperattività e calore, mentre il rosso rivela la predominanza del sangue. La comparsa di punti scuri indica la predominanza della bile nera, nonché una combustione eccessiva degli umori.
b) Densità. Essa può essere tenue, media o forte. L'urina altamente densa rivela una maturazione difettosa degli umori, mentre è prova della predominanza del flegma quando è chiara. L'urina poco densa è invece dovuta a una maturazione incompleta, a debolezza renale, all'ostruzione o all'afflusso dei fluidi.
c) Torbidezza. È possibile imputarla alla commistione di aria gassosa con particelle pesanti; se in principio l'urina è di colore chiaro, ma diventa scura quando la si lascia decantare, ciò vuol dire che il corpo sta giungendo alla maturazione della materia morbosa. La torbidezza può essere dovuta allo smaltimento di tale materia.
d) Odore. L'urina di una persona malata ha un odore diverso da quella di un individuo sano; un'urina inodore è segno di un temperamento freddo, nonché di immaturità degli umori; al contrario, una maleodorante indica un'ulcerazione dei reni o delle vie urinarie. L'urina con un odore dolciastro indica la predominanza del sangue, mentre un odore acre è segno di un eccesso di bile. Un odore pungente indica l'aumento della bile nera.
Quanto alle feci, i fattori relativi alla quantità, alla consistenza, al colore e ai sedimenti evacuati sono elementi importanti, poiché forniscono informazioni utili alla diagnosi. Dunque, le feci liquide denunciano indigestione, debolezza dei vasi mesenterici o un'eventuale ostruzione; quelle asciutte indicano il freddo. Un eccessivo cambiamento di colore delle feci può indicare un processo morboso in atto. L'iperfunzionalità della bile può modificare il colore delle evacuazioni, colorandole di un giallo intenso, mentre la mancanza di maturazione ne determina il colore chiaro. Le feci nere denotano eccesso di bile e sono sintomo di grave malattia.
La salute, una condizione d'equilibrio dinamica, è il risultato della capacità individuale di reagire alle influenze interne ed esterne. Le esigenze individuali non agiscono in maniera determinante soltanto sul raggiungimento dell'equilibrio in sé stesso, bensì anche sull'adattamento alle condizioni sociali, ecologiche e spirituali, vale a dire, sui fattori noti come le 'cose non naturali', poiché non appartengono alla natura dell'organismo. Tali fattori sono i seguenti: luce e aria (condizioni ecologiche), stati psichici (fattori mentali ed emotivi), sonno e veglia, cibi e bevande (dieta e nutrizione), movimento e riposo, ritenzione ed evacuazione.
a) Luce e aria. L'aria è necessaria per mantenere vita e salute, ed è elemento costitutivo dell'esistenza umana, a condizione che sia libera da inquinamento, eccessi di vapore acqueo, gas emessi da resti animali o vegetali. Le funzioni essenziali dell'aria sono due: condizionare e regolare il temperamento del pneuma vitale, che è moderato dall'aria inalata dai polmoni; purificare il pneuma vitale, in un processo attraverso cui i vapori tossici sono eliminati durante l'espirazione. Condizionata dall'indole della sua caratteristica dominante (caldo o freddo), l'aria ha effetti diversi sulla salute, in quanto è soggetta alle normali escursioni stagionali. La primavera è considerata la stagione migliore, poiché adatta, in generale, allo sviluppo e alla difesa della vita, e in particolare del sangue e del pneuma vitale. L'estate tende a disperdere gli umori e il pneuma vitale, provocando sia un indebolimento delle funzioni corporee sia una diminuzione delle quantità di sangue e di flegma che conseguentemente determinano un cambiamento della qualità degli umori. L'autunno è la stagione in cui prevale la malattia per un eccesso di bile nera, che causa una riduzione dell'attività di purificazione ed eliminazione degli umori interni. Infine, l'inverno è un periodo in cui il freddo riduce la bile, dando luogo a malattie di tipo flegmatico.
b) Sonno e veglia. Il sonno è un fattore importante ai fini di un buono stato di salute, dunque, la sua qualità e la sua durata possono essere elementi determinanti di una malattia. Il sonno separa e frena il flusso delle escrezioni derivanti dall'attività diurna. Durante il sonno, il calore innato è interno, aiuta la digestione, lo sviluppo e il recupero della salute. Il sonno maggiormente benefico è quello notturno, indisturbato, dopo una cena leggera. Il suo eccesso può predisporre a malattie nervose, mentre la sua mancanza può favorire la confusione mentale, il prurito e l'irritabilità. Per quanto riguarda la veglia, i suoi effetti sono opposti a quelli del sonno.
c) Cibi e bevande. Entrambi possono determinare un cattivo stato di salute. I vari modi in cui possono essere combinati esercitano sul corpo effetti specifici. Il modo di mangiare, lo stato psicologico della persona, il momento della giornata, la stagione dell'anno, nonché la quantità e la qualità dei cibi e delle bevande (strumento fondamentale per mantenere e recuperare la salute) sono tutti fattori da valutare con la dovuta considerazione.
d) Movimento e riposo. Una forma di attività prolungata o breve, blanda o energica, produce diversi gradi di calore. Un'attività blanda, sebbene prolungata, causa una grande dispersione di umori, mentre occupazioni differenti influiscono sullo stato di salute e possono causare malattie specifiche.
e) Ritenzione ed evacuazione. Uno squilibrio delle funzioni di ritenzione ed evacuazione può essere causa di malattia, poiché dall'equilibrio di tali attività dipende la conservazione di un buono stato di salute. Uno squilibro nella ritenzione può avere luogo quando la facoltà espulsiva è debole o la facoltà di ritenzione è eccessiva. Le malattie provocate da una ritenzione eccessiva sono umide e complesse, mentre quelle causate da un eccesso di evacuazione sono fredde e debilitanti.
f) Stati psichici (mentali ed emotivi). L'essenza dell'individuo risiede nello spirito, che si manifesta attraverso canali mentali ed emotivi. Le varie sfumature delle emozioni possono essere positive, creative e atte a riattivare il bene, ma anche negative, distruttive e in grado di portare alla morte. In generale, il movimento del pneuma vitale è esterno e graduale.
In presenza di stati positivi, come felicità e piacere, o di condizioni dolorose, per esempio depressione oppure paura, il movimento del pneuma vitale è interno. Lo stato di coma e la morte possono sopraggiungere sia a causa di un improvviso movimento interno del pneuma vitale sia a causa di uno shock. In definitiva, una situazione prolungata tendente ad aspetti negativi può facilmente predisporre a gravi malattie mentali e fisiche.
Nella medicina premoderna la 'dietetica' era concepita nel senso etimologico della parola, di cura e regolazione della condotta, rientrando così nel campo della medicina preventiva o igiene, chiamata in arabo tadbīr al ṣiḥḥa (regime della salute).
La dietetica è considerata quella branca della medicina che studia la dieta alimentare, sia in condizioni di buona salute sia in caso di malattia, anche se al-Bīrūnī nella sua opera Kitāb al-Ṣaydana fī 'l-ṭibb (Libro della farmacia in medicina) afferma che tutto ciò che è ingerito può costituire alimento o veleno, esplicitando tale asserzione sulla base delle differenti proprietà delle sostanze ingerite.
Per i medici arabo-islamici, la dietetica è alla base della cura. Essi stabiliscono alcune regole fondamentali per la conservazione della salute nell'arco dell'intera vita, poiché il fabbisogno organico di un elemento nutritivo deve essere altresì proporzionato all'età dell'individuo, essendo il cibo una delle principali cause di malattia fra gli esseri umani. In ultima analisi, come sostiene Averroè, il mantenimento della salute dipenderà da una buona digestione e dall'evacuazione equilibrata delle sostanze di rifiuto. Dal canto suo, Maimonide nella Risāla al-afḍaliyya fī tadbīr al-ṣiḥḥa (Epistola sul regime della salute dedicata ad al-Afḍal) afferma che la conservazione della salute dipende da tre fattori: l'esercizio fisico, il buon funzionamento degli intestini e un'alimentazione che non superi il fabbisogno necessario all'individuo.
I medici professionisti si sono occupati di dietetica, sia in modo esplicito con trattati e monografie specifiche sia, più implicitamente, in seno a grandi opere o enciclopedie. Dunque, autori come Yūḥannā ibn Māsawayh, Avicenna, Ibn Buṭlān, Abū Marwān ibn Zuhr, Averroè, Maimonide e Ibn al-Ḫaṭīb, fra gli altri, sono illustri esponenti delle teorie precedentemente esposte, dei quali intendiamo fornire alcune notizie relative al tema in questione.
Yūḥannā ibn Māsawayh
Yūḥannā ibn Māsawayh (m. 243/857), medico nestoriano, originario di Jundishapur e morto a Baghdad, espose la sua teoria dietetica in due trattati di medicina: il Kitāb Ḫawāṣṣ al-aġḏiya (Libro delle proprietà degli alimenti) e il Kitāb Daf῾ maḍārr al-aġḏiya (Libro della prevenzione dalle proprietà dannose degli alimenti). Sembra che per comporre il primo trattato (considerato la prima opera sulla dietetica scritta in lingua araba) Yūḥannā ibn Māsawayh si fosse ispirato alla versione siriaca del libro di Galeno intitolato De alimentorum facultatibus, come si può evincere dall'opera di Ḥunayn ibn Isḥāq, al-Risāla (che enumera 129 titoli delle opere di Galeno tradotte in siriaco e successivamente in arabo), dove al numero 74 compare appunto il De alimentorum facultatibus, nella versione siriaca di Sergios, Ayyūb e Ḥunayn, e la cui versione in lingua araba è opera dello stesso Ḥunayn ibn Isḥāq.
Sebbene nella sua opera in tre libri Galeno avesse enumerato 150 alimenti di cui si nutre l'uomo, descrivendone le singole proprietà, Yūḥannā ibn Māsawayh riduce il numero degli elementi nutritivi a 140, dividendoli in otto categorie secondo le loro proprietà: cereali, verdure, frutta, carne, parti di animali, prodotti del latte, pesce, piante aromatiche e spezie. Non si limita a elencare i prodotti alimentari, bensì ne menziona brevemente anche gli effetti positivi/negativi sul corpo umano. Dunque, parlando dei cereali, valuta le virtù e le proprietà del grano, dell'orzo, del riso e dei piselli, e ci mette in guardia contro l'assunzione del sorgo, in quanto è il meno nutritivo dei cereali e produce un umore denso, del sesamo (appesta l'alito) e della canapa (provoca epilessia). Nella parte II, dove elenca le proprietà positive della verdura, elogia il coriandolo, il cavolo, l'indivia, la menta e altre piante, ci parla anche delle proprietà negative della ruta (fa seccare lo sperma), della cipolla (genera un umore cattivo nello stomaco e corrompe la ragione), della carota (raffredda e riduce lo sperma), della melanzana (copre la bocca di pustole), della cuscuta (provoca pesantezza di stomaco), eccetera. Nella parte III, dedicata alle proprietà della frutta, Yūḥannā ibn Māsawayh si riferisce molto brevemente ai prodotti nocivi su un totale di 25 frutti: la pera (nuoce al colon), la pesca (nuoce ai nervi) e il cetriolo (causa umore freddo, umido e denso nei pori, nonché febbri altissime). Lo stesso può dirsi della parte IV riservata alle carni, poiché, su un totale di 19 prodotti, rileva soltanto gli effetti negativi della carne di bue (provoca ispessimento del sangue e nuoce alla milza), di montone (causa inacidimento dell'atrabile), di cervo (determina dolori seguiti da alterazioni dello stato fisico), di gru (asciuga e addensa il sangue) e d'allodola (provoca costipazione). Le parti dei corpi degli animali (parte V) presentano invece una diversa proporzione, in quanto di 13 prodotti, solamente tre sono considerati benefici per il corpo umano: il midollo (sana le screpolature delle mani quando vi è applicato), la trippa (fortifica gli intestini) e le zampe (producono sangue vischioso, che non è cattivo). Nella parte VI, dedicata ai latticini, l'autore valuta le proprietà del latte di capra, di pecora e di asina, del burro e del formaggio fresco; soltanto a proposito del formaggio vecchio mette in guardia contro la sua capacità di produrre umori maligni. Nell'elenco dei pesci (parte VII) egli include erroneamente anche due verdure (il tartufo e il fungo) che avrebbe dovuto inserire nella parte II; si limita a citare gli effetti negativi dei pesci sotto sale, che riducono al minimo il sangue e tendono ad aumentare la bile nera. Infine, nella parte VIII dedicata alle proprietà delle piante aromatiche e delle spezie, Yūḥannā non cita alcun prodotto nocivo per la salute, poiché tutti i 13 tipi menzionati inducono effetti positivi, soprattutto lo zafferano, il peperoncino, il ginepro e l'anice.
Avicenna
Avicenna (370 ca.-428/980 ca.-1037), conosciuto in tutto il mondo per la sua attività di filosofo, scienziato e ricercatore, teorico della medicina e profondo conoscitore della pratica clinica, poeta e mistico, si distinse soprattutto nel campo della medicina. Ciò avvenne in primo luogo con il Canone, un'opera monumentale, sintesi straordinaria del sapere medico del suo tempo, in cui con grande rigore logico espone e risolve, in uno stile estremamente conciso e chiaro, i problemi medici dell'epoca con uno studio che fa del Canone un testo incomparabile.
Ed è proprio il volume I di tale opera che ci offre un'ampia informazione scientifica sulla dietetica (seppure trasversalmente, senza costituire una monografia organizzata) secondo le seguenti direttrici: (a) fornire al corpo una quantità di elementi nutritivi sufficiente e variata, scegliendo in base alla natura dell'alimento, nonché al temperamento, l'età, le condizioni di vita dell'individuo; (b) non sovraccaricare l'organismo con cibi ricchi assunti frequentemente, poiché gli eccessi alimentari possono condurre alla morte; (c) equilibrare i pasti in modo che gli alimenti che comportano diversi tipi di digestione non provochino disturbi; evitare la coprostasi/costipazione intestinale assumendo alimenti facilmente assimilabili (utilizzando anche, se necessario, lassativi e purganti); (d) aiutare la digestione con un esercizio moderato e, al contrario, evitare esercizi ed emozioni violente. Avicenna sottolinea anche le proprietà digestive, nutritive e umorali di vari cibi e bevande, dando le opportune indicazioni dietetiche e terapeutiche. Visti gli aspetti dietetici trattati, non sorprende che il tema si estenda poi all'obesità, poiché essa costituisce un impedimento per il corpo, sia nel movimento sia nelle sue funzioni, contribuendo alla costrizione delle arterie, nonché ostruendo il passaggio del flusso vitale. Le persone obese sono esposte ad affezioni come l'apoplessia, l'emiplegia, le palpitazioni, le sincopi, le febbri maligne, eccetera. In definitiva, Avicenna espone in maniera chiara le sue profonde conoscenze sulle malattie vascolari, comprese le lesioni (costrizione, ostruzione e rottura) provocate dalle sindromi di rilassamento, dall'ischemia e dalle emorragie. Dopo aver descritto i rischi che l'obesità comporta, Avicenna termina con una serie di raccomandazioni dietetiche e farmacologiche per prevenirli, riassumibili in: limitazione degli alimenti, uso di sostanze che diminuiscano l'appetito o anoressanti, alternanza di bagni caldi e freddi, esercizio fisico intenso e, infine, prescrizione di diuretici.
Secondo Avicenna, la dietetica ha come suo corollario l'igiene dell'eliminazione, poiché se il suo obiettivo è impedire l'accumulo di sostanze di rifiuto negli organi, l'eliminazione libera l'organismo dalle sostanze di rifiuto che vi si depositano come resti alimentari non digeriti a livello intestinale (che sono evacuati) oppure sostanze provenienti dal decadimento fisiologico di umori che sono espulsi dagli emuntori (organi o vie escretive) come reni, polmoni, pelle, organi interni, eccetera. L'igiene dell'eliminazione consisterà nel mettere l'organismo nelle migliori condizioni di assimilazione e di escrezione, aiutandolo con l'esercizio fisico, una dieta appropriata, lassativi, purganti, diuretici, eccetera.
Ibn Buṭlān
Ibn Buṭlān (m. 458/1066), medico e teologo cristiano di Baghdad, discepolo di Ibn al-Ṭayyib, insegnò medicina e filosofia nella sua città natale; nell'anno dell'egira 440 (1049 d.C.) visitò Rahba, Rusafa, Aleppo, Antiochia e Giaffa per poi arrivare al Cairo, nel 441, dove rimase tre anni, durante i quali sostenne una controversia medico-filosofica con il medico egiziano ῾Alī ibn Riḍwān. In seguito si recò a Costantinopoli, per poi finire i suoi giorni in un monastero di Antiochia.
Nel campo della dietetica, Ibn Buṭlān compose il Taqwīm al-ṣiḥḥa (Almanacco della salute), un trattato di macrobiotica e d'igiene articolato in tavole sinottiche, ispirato alle opere di astronomia. In esso sono presenti un'introduzione, 40 tavole e la conclusione. Ogni tavola si sviluppa su due facciate opposte, divise in 15 colonne tagliate in orizzontale da 7 righe: 28 tavole sono dedicate a un determinato alimento (frutti, cereali e pane, verdure, latte, latticini, uova, carne ‒ selvaggina e uccelli ‒ pesci, piatti cucinati, dolci, varietà di vini), mentre 12 sono riservate a diversi aspetti dell'igiene (prodotti per il bagno e la depilazione, cura dei denti e delle unghie, sonno e veglia, movimento e riposo, effetti della musica, profumi e aromi, indumenti). L'obiettivo di Ibn Buṭlān è quello di trattare i problemi della dietetica e dell'igiene il più ampiamente possibile, al fine di conservare o recuperare la salute. La grande diffusione che quest'opera ebbe in Oriente è dovuta al suo valore intrinseco, nonché all'originalità della presentazione, giacché Ibn Buṭlān fu il primo a organizzare informazioni mediche in tavole sinottiche. Con queste, l'autore voleva semplificare e condensare la vasta letteratura medica dedicata alla dietetica e all'igiene. D'altronde, la scelta del modello delle tavole sinottiche identifica lo scopo pragmatico e sociale dell'opera di Ibn Buṭlān, in quanto esprime la volontà di mettere dietetica e igiene alla portata del grande pubblico. In precedenza, infatti, i trattati riguardanti tali questioni erano concepiti come risposta alle esigenze di una élite sociale o intellettuale, ragion per cui la maggior parte della popolazione rimaneva esclusa da qualunque modalità di medicina preventiva. Ibn Buṭlān, nell'XI sec., esprime con la sua opera l'importanza dell'aspetto sociale del mantenimento della salute e della medicina preventiva: igiene e dietetica devono essere offerte a tutti o almeno a coloro in grado di acquistare e leggere libri costosi.
Il contenuto teorico del Taqwīm al-ṣiḥḥa si fonda sulla teoria greca degli umori, secondo la quale la salute è il risultato dell'equilibrio armonioso dei quattro umori (sangue, flegma, bile e atrabile) mentre, al contrario, qualunque tipo di squilibrio provoca dolore e malattia. Curare un paziente per ristabilirne l'equilibrio fra gli umori significa somministrargli una sostanza (cibo, bevanda o medicina) con caratteristiche opposte a quelle dell'umore sbilanciato, secondo il principio contraria contrariis curantur. È dunque indispensabile conoscere le qualità, i gradi e gli effetti di ogni alimento, sostanza o elemento che riguardi la dieta, ecc.; insomma, è necessario stilare un inventario della Natura. Ibn Buṭlān, con le sue 280 voci analizzate, elabora una teoria dell'alimento medicamentoso e di quello alimentare, poiché il cibo può essere somministrato come medicamento per ristabilire l'equilibrio perduto fra gli umori.
Abū Marwān ibn Zuhr
Abū Marwān ibn Zuhr (Avenzoar, 464-557/1072-1162), sebbene in campo medico sia una delle figure più rappresentative e influenti dell'Andalus, non ci ha lasciato molti dati biografici affidabili. Studiò medicina con suo padre Abū 'l-῾Alā᾽ Zuhr e come medico fu al servizio della dinastia degli Almoravidi, fondamentalmente sotto ῾Alī ibn Yūsuf ibn Tašfīn. Le notizie relative alla sue imprese, alla prigionia a Marrakesh e al suo ritorno in al-Andalus, ecc., provengono per la maggior parte dalle sue stesse opere, Kitāb al-Iqtiṣād (Libro del giusto mezzo) e Kitāb al-Taysīr (Libro della semplificazione), dalle quali è possibile inferire che Abū Marwān possedesse una preparazione e un sapere eccellenti, oltre a essere un grande farmacologo dedito sia alla sperimentazione di nuove sostanze e combinazioni sia al perfezionamento di quelle già conosciute, nonché un medico pratico dalle doti eccezionali.
Per quanto riguarda la dietetica, Abū Marwān ha lasciato ai posteri un'opera in due parti, rispettivamente dedicate agli alimenti e all'igiene. Tale opera non aveva un titolo originale e pare che i suoi biografi le dessero il nome di Kitāb al-Aġḏiya (Libro degli alimenti). All'inizio, esprime l'intenzione di parlare degli alimenti e dei medicamenti accessibili, ossia facilmente reperibili nella maggior parte dei luoghi. Successivamente presenta una sua valutazione della qualità degli alimenti in funzione delle stagioni dell'anno. Dunque, in inverno gli alimenti devono essere caldi e secchi, nonché in grande quantità; in primavera ‒ la cui natura è equilibrata ‒ si deve procedere a evacuare gli organismi e a modificare la dieta; durante l'estate, che è calda e secca, la digestione è faticosa, ragion per cui non si raccomanda l'evacuazione; infine l'autunno, di costituzione composita e la cui eterogeneità debilita l'energia corporea, presenta lo stesso problema.
Nella parte dedicata agli alimenti sono trattati i cereali, i legumi e la frutta secca, nonché i piatti a base di essi; i vari tipi di carne e la relativa preparazione, latte e latticini, pesci e molluschi con i diversi modi di preparazione, frutta e verdura, ricette per mantenere freschi alcuni prodotti e migliorare l'elaborazione di altri.
I temi affrontati nella seconda parte (trattato d'igiene) sono i seguenti: regole igieniche su cibi e bevande, riposo, bagno, rapporti sessuali, flebotomia, purganti, oli, profumi, indumenti, disposizione delle abitazioni e cura degli occhi, dei capelli, dei denti e delle unghie; le cure da riservare alle gestanti, ai neonati e ai bambini piccoli (norme ostetriche e pediatriche); la qualità dei vari organi dei quadrupedi e degli uccelli, secondo costituzione e proprietà; i differenti tipi di carne in base alle diverse stagioni, norme relative ai vari usi del fuoco per la preparazione dei cibi, corredo da cucina e ricette per migliorare determinati piatti; infine, vi è anche un capitolo dedicato all'epidemia, secondo i tipi e i mezzi per prevenirla e attaccarla.
Nella prima parte, dove Abū Marwān parla dei cereali, compare una lunga presentazione dei vari tipi di pane, con una valutazione dell'eccellenza di quello di grano, poiché "è moderatamente caldo e umido ed è buono, in generale, per ogni tipo di persona, sana o malata che sia, in ogni periodo dell'anno e a qualunque età" (Kitāb al-Aġḏiya, pp. 46-48). Dunque fa riferimento a due delle qualità fondamentali (caldo e umido) e ne raccomanda l'assunzione a ogni tipo di persona, di qualunque età e in qualsiasi periodo dell'anno. Successivamente, seguendo una metodologia simile a quella precedente, enumera ben 15 varietà di pane, che può essere fatto d'orzo, di farro, di miglio, di lenticchie, di cicerchia, di loglio, di granturco, di sorgo, di fave, di ceci (di quest'ultimo dice: "è il più salutare, dopo quello di grano e di orzo, ed è molto nutriente. Provoca un grande aumento di sperma, possiede una forte proprietà afrodisiaca e causa assai meno gas del pane di fave", ibidem, p. 50), di fagioli, di ervo, di canapa, di riso, di ghiande (che, secondo gli Antichi, fu il primo pane a essere prodotto; è pesante e secco, ostruisce il fegato e causa affezioni dello stomaco). Nella parte dedicata alle carni (di uccello), uova, carni di allevamento, cacciagione e serpenti continua con il piano di lavoro che svilupperà poi in tutta l'opera, vale a dire con la descrizione delle loro caratteristiche fondamentali e dei benefici prodotti dalla loro assunzione, della preparazione culinaria e, infine, della prevenzione di certe conseguenze negative in base alla costituzione individuale, l'età e la stagione dell'anno. Abū Marwān svolge tutti gli argomenti in modo prolisso, visto che in questa parte elenca e descrive 22 tipi di uccelli, 7 tipi di uova, 8 di bestiame e 12 di selvaggina.
Di seguito, sempre secondo il suddetto piano di lavoro, tratta dei latticini (tipi di latte ‒ il migliore è quello di capra appena munto ‒, formaggi, burro, ricotta e giuncata), dei pesci (esprimendo la preferenza per i pesci marini rispetto a quelli d'acqua dolce, in quanto migliori perché hanno sangue rosso e piccole dimensioni; preparazione degli stessi; molluschi con il guscio), dei frutti (a proposito dei quali riprende il pensiero di Galeno: i fichi e l'uva sono i signori della frutta; del mosto e della sua preparazione dice: se non si cuoce, fermenta e se lo si lascia decantare, si trasforma nel vino proibito; menziona anche l'uva passa, le mele e così fino a 23 tipi di frutti differenti e rispettive qualità, benefici ed effetti negativi derivanti dalla loro assunzione), degli ortaggi (in generale, ci mette in guardia contro tutte le verdure che, in virtù della loro essenza, sono dannose per chi soffre di atrabile, eccetto la lattuga e la lingua di bue; menziona 21 specie di ortaggi, fra cui il melone e il cocomero).
La prima parte si conclude con ricette per la preparazione dei sottaceti, delle carni, dell'aceto, del miele e dell'olio (d'oliva), degli sciroppi (ne elenca 40 tipi), di elettuari/confetture (17 tipi), di teriache (2 tipi), di oli (23 tipi) e culmina in un capitolo dedicato alle proprietà simpatiche di alcune erbe medicinali, con l'obiettivo di preparare antidoti contro tutti i tipi di veleno, nonché sanare alcune indisposizioni e facilitare la riuscita o il successo di un'impresa.
Averroè
La vita e l'opera di Averroè (520-595/1126-1198), insigne cittadino di Cordoba, medico e filosofo, 'commentatore' per antonomasia di Aristotele, sono state al centro di studi e ricerche da parte di molti studiosi in tutto il mondo (Cruz Hernández 1997). Per tale ragione non alleghiamo riferimenti bibliografici, preferendo concentrarci sul tema della dietetica svolto nell'opera Kitāb al-Kulliyyāt fī 'l-ṭibb, un trattato composto allo scopo di fungere da prontuario per chi avesse già studiato o avuto informazioni sull'arte della medicina. Quest'opera può essere considerata compilativa, in quanto raccoglie scritti medici precedenti, nonché una panoramica scientifica della medicina, cui si vuole conferire dignità includendola nel sistema universale del pensiero filosofico (Torre 1974).
Questo trattato medico ‒ il Colliget, nella versiona latina ‒ si articola in modo sistematico nelle parti seguenti: (1) anatomia (conoscenza delle parti del corpo umano, le cui membra possono essere descritte); (2) fisiologia (normale funzionamento del corpo e delle sue parti, vale a dire, lo stato di salute); (3) patologia (studio delle alterazioni della salute, la malattia); (4) semeiotica (studio dei segni e delle sindromi o unità patognomoniche); (5) terapeutica (dottrina della cura, con descrizione delle diete alimentari e delle caratteristiche dei farmaci); (6) igiene (norme necessarie al mantenimento dello stato di salute); (7) medicazione (descrizione delle cure mediche pratiche per combattere la malattia e ristabilire lo stato di salute). Nella parte quinta, Averroè definisce il principio di 'alimento' e di 'medicina', stabilendo una differenza fra essi, in quanto il primo fornisce i materiali che costituiscono l'organismo, mentre il secondo rappresenta una forza attiva e trasformatrice, in modo tale che quando interviene su una costituzione malata, 'si oppone' a essa, è 'contraria'.
Ai principî dietetici, Averroè applica la teoria delle predisposizioni, poiché è facilmente dimostrabile che di due individui di costituzione simile, che vivono nello stesso luogo e svolgono attività simili, nonché riposano e si alimentano in modo simile, uno è sano e l'altro malato, a volte mortalmente. Ugualmente, durante le epidemie è possibile osservare che non tutti gli uomini ne sono colpiti, ma soltanto i più predisposti. In linea generale, si deve condurre una vita sana, con un'alimentazione moderata e, nel caso di un'epidemia, ricercare un clima e una nutrizione contrari a quelli che favoriscono la diffusione della malattia.
Secondo Averroè, il mantenimento della salute dipenderà da una buona digestione e dall'evacuazione degli elementi in eccesso. La nutrizione è la prima e più importante delle attività della 'facoltà naturale' di Galeno o dell''anima vegetativa' di Aristotele. Gli organi preposti a tali funzioni sono lo stomaco (insieme alla bocca e all'esofago), il fegato, gli intestini e le rispettive ramificazioni venose e, infine, gli organi responsabili di far fuoriuscire le sostanze di rifiuto della digestione, vale a dire i reni e la vescica (urina), il sacco biliare/cistifellea (bile gialla o collera) e la milza (deposito della bile nera o malinconia). L'attività di tali organi si articola in tre fasi digestive: la prima, quella dello stomaco, in cui gli alimenti si trasformano in chilo, mediante il processo di chilificazione; la seconda, quella del fegato, in cui l'alimento si trasforma in sangue che sarà distribuito fra gli organi; e la terza, quella della trasformazione del sangue in tessuti. In sintesi, gli alimenti sono sottoposti a 'cottura' nello stomaco, alla chilificazione e alla trasformazione in sangue. Il sangue che proviene dal fegato sarà 'crudo' rispetto a quello che viene dal cuore, il quale è 'cotto'. Entrambi questi tipi di sangue si completano e in questo modo generano e alimentano organi e tessuti.
Averroè fonda la dieta sulla teoria delle qualità e della quantità degli alimenti; dunque precisa che il pane migliore è quello ben fermentato e cotto al forno, come fra le carni la più consigliabile è quella dei quadrupedi. Egli valuta anche la qualità e l'eccellenza dei vitelli da latte e dell'agnello di un anno. Riguardo agli uccelli, si sofferma sui benefici della gallina, della pernice e della quaglia, mentre sconsiglia gli uccelli acquatici, poiché sono nocivi per il chimo e di difficile digestione. Infine, parlando dei pesci, esprime la sua preferenza per quelli di mare, aggiungendo che bisogna evitare quelli pescati nei fiumi vicini alle grandi città (a causa di eventuali contagi derivanti dalla cattiva qualità delle acque). Averroè non si dilunga nella parte dedicata a frutta e verdura: a proposito della frutta, dice che non deve mangiarne chi desideri conservarsi in buona salute, eccezion fatta per i fichi e la frutta matura, mentre fra le verdure accetta soltanto la lattuga, poiché tutte le altre alterano il chimo. Valuta anche i vari tipi di acque, preferendo quelle delle sorgenti rivolte a est, dolci e cristalline, inodori e insapori, chiare e scarse di sedimenti.
Secondo Averroè, cibi e bevande devono essere ingeriti nella giusta proporzione, in modo da non sovraccaricare lo stomaco; in tal senso, si mangerà soltanto dopo aver digerito i cibi ingeriti precedentemente, lasciando trascorrere un intervallo di circa dodici ore fra i pasti, che dovranno essere moderati. Si raccomanda inoltre che la cena sia più abbondante del pranzo, per via del sonno e della durata della notte, più lunga di quella del giorno. Per quanto riguarda la distribuzione degli alimenti, Averroè propone di assumere in primo luogo quei cibi che 'ammorbidiscono' il ventre, come i brodi di verdura e gli ortaggi in salamoia, olio e aceto, per poi passare ad alimenti meno digeribili. Inoltre, sono da evitare pasti che includano alimenti e spezie differenti, perché sono di scarso nutrimento per il corpo.
Importante quanto l'alimentazione è poi l'evacuazione delle sostanze in eccesso, poiché è impossibile che i cibi si trasformino senza produrre elementi di rifiuto, in quanto tutto ciò che è generato ha in sé qualche sostanza di rifiuto che è separata al momento della digestione. Dunque, durante la 'prima digestione', lo stomaco trasforma i cibi in chilo, mentre saranno poi gli intestini a realizzare l'espulsione dei "residui asciutti", ovvero le feci; durante la 'seconda digestione', effettuata dal fegato, ha luogo la trasformazione del chilo in sangue, con la conseguente separazione di determinati residui (acquosi ‒ l'urina ‒, collerici ‒ bile gialla, fiele o collera, raccolti dalla cistifellea ‒ e malinconici ‒ la bile nera o malinconia, raccolta dalla milza). Sebbene bile gialla e nera siano due dei quattro umori, in Averroè sono presentati come residui che è necessario separare dal sangue, affinché questo possa diventare tale. La questione della trasformazione/conversione del sangue in tessuti è teorizzata dall'autore come tipica della 'terza digestione' e ha luogo in ogni singolo organo, in modo tale che la sostanza di rifiuto che ne deriva è il grasso, ovvero il residuo del sangue 'cotto' utilizzato dagli organi per la propria alimentazione. Il grasso è una sostanza "umida e fredda", priva di vitalità, che ha la funzione di scaldare, come un manto di protezione, e di riempire gli spazi vuoti fra gli organi.
Tutti gli elementi in eccesso precedentemente menzionati possono essere evacuati in due modi: con l'esercizio fisico, i bagni, la frizione, ecc. e con medicamenti che propizino il flusso degli umori, liberando le ostruzioni e purificando le vie. Al fine di applicare il secondo metodo, è necessario tenere in considerazione una serie di condizioni individuali, come la costituzione equilibrata, la presenza o l'assenza di attività sportiva, la pratica del bagno e l'attenzione dedicata alla buona digestione dei cibi.
Per quanto riguarda l'esercizio fisico e lo sport, Averroè ci dice che il momento adatto per praticarli è una volta terminata la terza digestione, prima di tornare ad assumere i cibi. L'esercizio fisico dovrà essere equilibrato fra la marcia sostenuta e la cavalcata, da compiersi a digiuno, poiché dopo l'assunzione di alimenti potrebbe pregiudicare la digestione, eccezion fatta per la passeggiata, visto che dopo i pasti tale attività aiuta la discesa del cibo. Il momento adatto per il bagno è quello successivo all'esercizio fisico, prima di mangiare.
Nel caso in cui un organo principale perda la funzionalità, oltre alla buona digestione, l'esercizio fisico e il bagno, Averroè raccomanda alcuni rimedi atti a rinforzare l'organo colpito e a facilitare l'evacuazione, quali l'erba di aloe, che evita l'accumulo di sostanze in eccesso nello stomaco, e i lassativi (sebbene non debbano essere usati quando il corpo è magro; inoltre, sconsiglia l'uso del salasso).
Maimonide
Maimonide (529-601/1135-1204) nacque a Cordoba e il padre fu il suo primo maestro. Nell'adolescenza, assistette alla conquista della città natale da parte degli Almohadi, la cui intransigenza determinò l'emigrazione di tutti gli ebrei che si rifiutarono di convertirsi all'Islam. Per questo motivo la famiglia di Maimonide errò dieci anni nel Sud della Penisola (pare che, per un certo periodo, si fosse stabilita ad Almeria), per poi trasferirsi a Fez (1160) e successivamente ad Acri e a Gerusalemme, fino ad approdare in Egitto, dove l'autore esercitò la scienza della medicina fino alla morte. Tale pratica lo rese famoso e giunse a esercitare la professione presso Ṣalāḥ al-Dīn (Saladino) e suo figlio al-Malik al-Afḍal. In Maimonide convissero il teologo, il medico, il capo della comunità ebraica in Egitto, il filosofo, tutti aspetti diversi, ma non lontani, per i quali oggi lo ricordiamo. Si può dire che i suoi scritti d'igiene e di dietetica costituiscano un tratto specifico della sua attività medico-letteraria.
Le sue opere di medicina, dedicate a vari argomenti, furono stilate in lingua araba e successivamente tradotte in ebraico e in latino. Scrisse i Compendia (Muḫtaṣarāt) delle opere di Galeno e i Commenti agli aforismi di Ippocrate (Fuṣūl Buqrāṭ), un'opera nella quale, utilizzando la traduzione araba di detti aforismi a opera di Ḥunayn ibn Isḥāq, inserisce il suo "commento", esprimendo la volontà di essere chiaro e conciso, in modo tale che gli aforismi siano facilmente interpretati. Fuṣūl Mūsā (Gli aforismi di Mūsā), considerata una delle sue opere più importanti, è la raccolta di oltre 1550 sentenze basate su autori greci (Galeno, ecc.) e arabi (Avenzoar, al-Tamīmī, Ibn Riḍwān), ed è suddivisa in 25 capitoli, di cui il ventesimo è dedicato alla dietetica. Nel Maqāla fī 'l-bawāsīr (Trattato sulle emorroidi), suddiviso in 7 capitoli, Maimonide offre alcune raccomandazioni di carattere dietetico (alimenti proibiti e consigliati in presenza di quest'affezione), terapeutico (medicamenti semplici e composti a uso interno, medicamenti esterni ‒ immersione in vasca da bagno dotata di sedile, oli composti ‒ e fumigazioni) e termina con l'avvertenza circa i rischi dell'intervento chirurgico, che considera la soluzione finale. Insistendo su tali elementi di carattere dietetico, Maimonide espone la sua tesi sull'origine di questa patologia, che egli imputa alla cattiva digestione e alla costipazione intestinale, ragion per cui prescrive una dieta alimentare in cui predominano gli alimenti vegetali. Troviamo raccomandazioni dietetiche anche nella sua Maqāla fī 'l-rabw (Trattato sull'asma), nonché suggerimenti sulle condizioni climatiche più idonee a questa patologia. Parimenti, nell'opera al-Risāla al-afḍaliyya fī tadbīr al-ṣiḥḥa (Epistola sul regime della salute), un trattato generale di igiene e di dietetica scritto per al-Afḍal (il figlio maggiore di Saladino), riscontriamo argomenti quali la cura della salute e la prevenzione delle malattie ‒ soprattutto, le cure da seguire in assenza del medico ‒, consigli utili per sani e malati sui cibi, le bevande, i bagni, ecc. In tale opera Maimonide afferma che per preservare la salute dalle malattie bisogna mantenere liberi gli intestini, fare esercizio fisico e avere un'alimentazione moderata, poiché la causa principale della maggior parte delle malattie risiede negli alimenti ingeriti.
Ibn al-Ḫaṭīb
Ibn al-Ḫaṭīb (713-776/1313-1374), nativo di Loja, a circa cinquanta chilometri da Granada, si formò in quest'ultima città, quando il padre entrò al servizio del sultano nasride Abū 'l-Walīd Ismā῾īl I. Grazie ai suoi maestri e alle sue attitudini personali, Ibn al-Ḫaṭīb acquisì un'ampia formazione in diversi rami del sapere, coronata da vari titoli illustri che gli valsero la fama di scrittore musulmano più importante di Granada. La sua opera è quasi l'unica testimonianza della storia e della cultura della fine del XIII sec., nonché della maggior parte del XIV secolo. Alla morte del padre, entra a servizio di Yūsuf ibn Ismā῾īl in qualità di segretario e, successivamente, diventa capo della cancelleria di corte, con il titolo di ministro, carica che ricoprì anche presso Muḥammad V e in virtù della quale prese il titolo di Ḏū 'l-wizāratayn (quello dei due dicasteri). Le scosse politiche del Regno di Granada si riflettono nella vita di questo autore, poiché a partire dalla detronizzazione di Muḥammad V, Ibn al-Ḫaṭīb subirà la prigionia e l'esilio. Fra alterne vicende, fu di nuovo dignitario di corte (quando Muḥammad V fu rimesso sul trono) e successivamente imprigionato nel carcere di Fez, dove morì strangolato su istigazione dei suoi nemici.
Ibn al-Ḫaṭīb si distinse in quasi tutti i rami della conoscenza, scrivendo di storia, letteratura, medicina e questioni mistico-filosofiche, senza tralasciare il fatto che la corrispondenza tenuta quando era capo della cancelleria è considerata una specie di "meraviglia" letteraria per la bellezza dello stile. Concentrandoci ora sull'aspetto medico di questo autore, nel campo della dietetica ci occuperemo delle raccomandazioni profuse nell'opera Kitāb al-Wuṣūl li-ḥifẓ al-ṣiḥḥa fī 'l-fuṣūl (Libro della cura della salute durante le stagioni dell'anno). Ibn al-Ḫaṭīb, come altri medici andalusi, insiste su due aspetti importanti per preservare la salute: la cura della digestione e quella dell'evacuazione delle sostanze in eccesso nel corpo, facendo l'esempio degli uccelli che raramente sono afflitti da malattie poiché ingeriscono scarse quantità di determinati alimenti e si muovono molto. In definitiva, quando l'alimento giunge al corpo nella sua giusta proporzione, sia nella qualità sia nella quantità, lascia vuoti gli spazi fra le disposizioni naturali tutelandone la costituzione e poi, durante le varie tappe della vita, si trasforma passando senza sforzo da una condizione di possibilità a una di fatto. Per questo motivo, Ibn al-Ḫaṭīb sostiene che l'uomo è stato creato con un'alimentazione e un ordine precisi, volti all'allungamento della sua vita nel miglior stato di salute possibile e non certo per essere danneggiato.
La proposta di Ibn al-Ḫaṭīb di curare l'evacuazione delle sostanze in eccesso nel corpo si concretizza nel bagno e nell'esercizio fisico, poiché è questo il rimedio più utile contro l'accumulo, la saturazione, l'essiccazione e per l'eliminazione delle sostanze, in quanto offre un dolce calore che aiuta a dissolvere la secrezione accumulata durante il giorno, espellendola attraverso le normali vie di espulsione. Il riposo, invece, raffredda, poiché spegne il calore naturale in seguito alla congestione e alla mancata riattivazione dello stesso, e umidifica in assenza della dissoluzione delle sostanze in eccesso. L'esercizio migliore è camminare moderatamente e montare a cavallo. Il bagno è considerato da Ibn al-Ḫaṭīb un rimedio eccellente per preservare la salute e ottenere la bellezza, ma precisa che ai bagni frequenti deve corrispondere una riduzione dell'esercizio fisico.
Il cibo provoca diversi effetti sugli esseri umani: secondo la qualità in quanto scalda, raffredda, secca o umidifica il corpo; secondo la forma, in quanto agisce immediatamente sul corpo e, infine, perché è assimilato dagli organi. L'autore classifica i cibi in funzione delle rispettive conseguenze: alimenti leggeri, che producono un buon chimo e si trasformano in sangue leggero (formaggio, tuorlo d'uovo, melanzane, mele, ecc.); pesanti, causa di un chimo cattivo e di sangue denso (carne bovina, di montone, uova cucinate, ecc.) ed equilibrati, che producono sangue nella giusta proporzione (carne d'agnello e di pollo). L'assunzione di alimenti sarà ottimale nel rispetto di determinate norme, come quelle relative alla durata della digestione dei cibi nello stomaco, lo stimolo autentico dell'appetito (e non quello fasullo di cui soffrono i dispeptici), il mangiare in orari fissi e, per concludere, l'assunzione di cibi ogni due giorni o due volte al giorno. Fra gli alimenti d'uso comune, Ibn al-Ḫaṭīb menziona le carni (bovina, di capretto, di gazzella, di lepre, di pollo, di gallina, ecc.), i pesci, i formaggi, l'olio, i ceci, le spezie (peperoncino, chiodo di garofano, ginepro, cannella, zafferano, noce moscata, ecc.), gli ortaggi (ravizzone, melanzane, cavolfiore, ecc.), la frutta fresca (mele, pere, fichi, uva, melograni, melone, ecc.), la frutta secca (mandorle, noci, castagne, uva passa, ecc.) e i piatti elaborati (zuppe, fritture, frittelle, harīsa ‒ stufato di fichi e carne tritata ‒, ecc.).
L'autore granadino descrive anche la bontà e la nocività di determinati cibi. A proposito delle carni (d'indole calda e secca) afferma che, una volta digerite, il loro succo si trasforma in sangue più di quello di altri alimenti. Il latte è equilibrato e adatto alla natura umana; le uova sono meno calde e umide della carne degli uccelli da cui provengono, e sono più buone bollite che non cucinate. Per quanto riguarda i pesci, i migliori sono quelli marini e di piccole dimensioni. Riguardo ai cereali, afferma che il grano, e il pane che con esso si prepara, è il migliore in assoluto, perché produce sangue nella giusta proporzione, e in ordine d'importanza seguono il pane d'orzo e di ceci (quest'ultimo aumenta la quantità di sperma e favorisce l'erezione del pene). Fra i frutti, sottolinea l'importanza dei fichi e dell'uva in virtù della loro natura equilibrata, nonché del dattero, della mela cotogna, della mela, del cedro, ecc. A proposito degli ortaggi e dei condimenti, ne evidenzia gli effetti diuretici (carota, carciofo, cetriolo), lassativi (spinaci, portulaca, cavolfiore), astringenti (loto), afrodisiaci (cipolla e ravizzone), nonché le qualità di antidoti (aglio e tartufi).
Ibn al-Ḫaṭīb conclude il trattato occupandosi dell'acqua, del vino e di altri tipi di bevande. L'acqua è uno dei pilastri del corpo, anche se non è in sé stessa un alimento, essendo un corpo semplice. La sua funzione è circoscritta a veicolo del cibo, attraverso i canali del corpo, per poi fuoriuscire nell'urina dopo essere stata depurata dai reni. D'accordo con Averroè e Avenzoar, Ibn al-Ḫaṭīb definisce come migliore l'acqua che proviene da un corso a flusso continuo, mentre l'acqua di pozzo, quella che circola in canali e in tubazioni di piombo, nonché quella di sorgente sono nefaste per via della condensazione. Raccomanda inoltre alcune norme di assunzione (a digiuno, a piccole dosi, mai dopo aver praticato esercizi fisici o dopo aver ingerito frutta). A proposito delle bevande alcoliche (vino, birra), anche se alla comunità islamica sono vietate, è opportuno ricordarne i benefici spirituali e fisici, poiché il vino riscalda il corpo, propizia la fluidità dell'urina ed è dunque consigliabile alle persone anziane e di costituzione fredda. La birra è invece un eccellente diuretico in grado di moderare la bile gialla.
Uno dei principali obiettivi della medicina islamica è la prevenzione del dolore e della malattia, prima della comparsa di qualunque manifestazione clinica. Tuttavia, poiché questa intenzione spesso fallisce, uno dei suoi rami più importanti è la terapeutica, che insegna i precetti e i rimedi per le cure delle malattie, scegliendoli e adattandoli in base alle specifiche esigenze di ogni paziente. La cura si articola su distinti livelli: somministrazione di alimenti, uso di medicamenti, cura fisico-spirituale e, infine, intervento chirurgico: in sintesi, nella medicina islamica esiste una gerarchia di trattamenti basata sulla loro aggressività. L'alimentazione costituisce il primo grado, seguita dai rimedi semplici e da quelli composti, e infine dalla chirurgia, che rappresenta l'insuccesso dei tre gradi precedenti della cura.
Nell'Islam si trovano descrizioni molto differenziate di trattamenti specifici delle singole malattie, contenute sia in compendi terapeutici scritti per la prassi, che fanno a meno di considerazioni teoriche, sia in manuali ed enciclopedie comprendenti la medicina in generale. Alcuni autori facendo riferimento ad antiche fonti, per esempio agli scritti di Galeno (fra gli altri il De methodo medendi), tentano di raggruppare sistematicamente i principî generali della terapeutica, anche se in realtà non è possibile classificare in un unico schema la pluralità di norme metodologiche valide per i diversi campi della medicina. Un primo sommario delle indicazioni terapeutiche generali e che si attiene in parte all'Ars medica di Galeno, in parte a una Isagoge alessandrina viene offerto nelle Masā᾽il fī 'l-ṭibb (Libro delle questioni sulla medicina a uso degli studenti) di Ḥunayn ibn Isḥāq nel IX secolo.
Avicenna, che in modo speciale si è occupato di sistematizzare il sapere medico, nel Libro I del Canone comprendente la parte teorica della medicina dedica tutto il quarto fann (parte) alle regole fondamentali (qānūnāt) della terapeutica. Nell'introduzione egli discute brevemente i fattori che principalmente devono essere osservati dal medico nella terapia, in riferimento sia al paziente sia alla malattia. I tre generi di cure, con le diete, con le medicine e con la chirurgia, sono diversi non solo in base alla loro aggressività ma anche perché mirati a scopi terapeutici differenti. L'alimentazione secondo prescrizione medica, importante anche sotto l'aspetto della profilassi, contribuisce in via indiretta alla lotta contro una malattia ormai esistente rafforzando, in base al concetto ippocratico, la resistenza dell'organismo; infatti nel caso di disturbi dell'equilibrio degli umori è la stessa natura del malato che compie la guarigione e il compito del medico consiste principalmente nel promuovere questa tendenza all'autoguarigione. Gli alimenti influiscono sulla forza del malato da una parte attraverso la qualità, cioè soprattutto il loro valore nutritivo e la loro digeribilità, dall'altra parte attraverso la quantità, che deve essere modificata in modo tale che l'organismo indebolito sia sufficientemente rinforzato senza essere sovraffaticato da nutrimenti eccessivi. Inoltre la dieta del malato deve essere regolata considerando se si tratti di una malattia acuta o cronica e in quale stadio questa si trovi; infine, deve essere rispettata la costituzione del paziente.
Avicenna, però, rivolge la sua massima attenzione alle teorie della terapia medicamentosa, la cui funzione consiste nel combattere direttamente la malattia. Innanzitutto, nella scelta delle medicine devono essere rispettate tre regole: (1) la qualità corretta in base alle quattro qualità primarie, cioè caldo, freddo, umido e secco, secondo il metodo contraria contrariis (mezzi freddi contro le malattie calde, ecc.); (2) la quantità adatta secondo il peso o l'efficacia del farmaco, rispettando la natura del membro colpito (temperamento, qualità, posizione, importanza del membro rispetto alla funzionalità dell'organismo, sensibilità), e secondo la gravità e lo stadio della malattia, in relazione alle caratteristiche individuali del caso (sesso, età, abitudini e costituzione del malato, la stagione e il clima della regione); (3) il tempo giusto. Questi criteri fondamentali vengono ulteriormente differenziati. Particolarmente estesa è la trattazione delle indicazioni terapeutiche derivanti dalla natura del membro colpito: per esempio, la posizione dell'organo influisce sulla scelta delle vie per le quali la materia nociva raccolta deve essere espulsa; a causa della distanza fra il punto di applicazione del medicamento e quello di destinazione devono essere adoperati rimedi più forti; per raggiungere l'organo di destinazione possono essere utili alcune sostanze coadiuvanti; si indica attraverso quale via (orale, rettale o locale) le sostanze medicinali possono arrivare all'organo nel modo migliore, ecc. L'intensità della terapia viene definita secondo l'importanza funzionale che il membro colpito riveste per l'intero organismo. Ciò significa che misure violente sono principalmente controindicate per gli organi cardinali e vitali (cuore, cervello e fegato) e una terapia evacuativa deve essere eseguita soltanto in piccole dosi perché nella scelta dei rimedi deve essere valutata anche la sensibilità dell'organo colpito.
Accanto ai trattamenti rivolti direttamente contro la malattia, Avicenna raccomanda come misure favorevoli al rinvigorimento delle facoltà psichiche e vitali dell'organismo il cambio di luogo e d'aria nonché un ambiente e una compagnia piacevoli e provvedimenti finalizzati a eliminare tutte le impressioni sgradevoli. Concludendo egli tratta di come il medico possa prendere una decisione a proposito del trattamento esatto, qualora la malattia e la sua causa o la malattia e i suoi sintomi portino a indicazioni contraddittorie.
Partendo dalla dottrina umorale, secondo la quale le malattie sono causate dall'alterazione dei quattro umori (sangue, flegma, bile gialla, bile nera) o un disturbo nel loro equilibrio in relazione alle qualità primarie, i metodi per eliminare tali disturbi hanno un ruolo importante nella terapia medievale. Avicenna dedica perciò un capitolo al bilanciamento delle discrasie e non meno di 22 capitoli alle tecniche diverse per togliere gli umori sovrabbondanti dal corpo. Se è eccessivo soltanto uno degli umori, lo si desume con l'aiuto di farmaci specifici attraverso il canale digerente o la cute. Lungamente trattate sono le regole per le purghe e i vomiti, più concise quelle per l'enteroclisi e l'estrazione di sostanze nocive per mezzo di diversi impacchi medicinali. Quando esiste una sovrabbondanza proporzionata di tutti gli umori, invece, è indicata una diminuzione del sangue. Per toglierne quantità maggiori viene adoperata la flebotomia, mentre quantità minori vengono rimosse attraverso la pelle usando le ventose o le sanguisughe. A proposito di questi procedimenti vengono discusse le diverse indicazioni e controindicazioni, le precauzioni necessarie e gli accidenti possibili in particolare nel caso di una evacuazione troppo radicale. Per il prelievo del sangue deve essere osservata l'individuazione esatta del punto di derivazione. Per quello che riguarda la flebotomia i singoli organi sono correlati con determinate vene e si opera una distinzione fra il salasso nella vicinanza immediata del membro colpito e la derivazione verso il lato opposto del corpo.
Nei capitoli successivi Avicenna tratta la terapia generale di alcuni gruppi di malattie speciali, iniziando dai 'tumori' da curare con diverse classi di rimedi e con metodi di evacuazione. Seguono malattie che possono essere trattate chirurgicamente, come la cancrena e le lesioni (ferite, fratture, contusioni). Si leggono poi le norme della cauterizzazione, che comunque veniva adoperata non solo nella chirurgia come emostatico ma anche per l'eliminazione della materia nociva nel caso di malattie interne. Il penultimo capitolo è dedicato soprattutto ai metodi medicamentosi di analgesia. A questo scopo servono, insieme alla sedazione del dolore vera e propria, le misure umorali cioè l'eliminazione della discrasia e della materia nociva ritenute responsabili del dolore. Seguono infine considerazioni su che cosa sia necessario fare nel caso in cui il malato soffra di due malattie di carattere diverso.
Consigli terapeutici generali figurano anche tra i temi trattati da un contemporaneo più giovane di Avicenna, Ibn Riḍwān (m. 460/1068 ca.), nella monografia Kitāb Kifāyat al-ṭabīb (Libro del metodo medico). Nel suo trattato terapeutico, Ibn Riḍwān espone le sue esperienze autentiche, mettendo in guardia il lettore futuro medico sull'importanza dell'energia del malato e della sua occupazione, essendo tali dati da tenere in considerazione al momento di prescrivere una cura corretta. Dunque, le occupazioni che comportano un grande sforzo fisico depauperano le riserve di umori e le malattie sono causate, in questi casi, dalla bile gialla e nera, mentre i lavori sedentari implicano una saturazione della riserva degli umori e le malattie hanno dunque un'origine sanguigna o flemmatica. Con particolare attenzione esamina anche l'aspetto esteriore del malato, poiché in seguito a questa osservazione prescriverà una cura di evacuazione degli umori corrotti per i pazienti di robusta costituzione, mentre per quelli che appaiono deboli sarà opportuno sostituire l'umore corrotto con il suo contrario. Di conseguenza, se tutti gli umori sono in eccesso rispetto alla proporzione e all'equilibrio corretti, si renderà necessaria l'evacuazione del sangue, giacché secondo Ibn Riḍwān esistono due varietà di pletora o eccesso di umori, a seconda che si manifesti nei vasi sanguigni o nell'energia, di cui descrive la vasta sintomatologia e le cure adeguate, nonché le situazioni in cui è consigliabile la flebotomia o il salasso.
Il metodo terapeutico per ogni singolo organo del corpo consiste nell'evacuazione degli umori corrotti e nel rinnovato equilibrio della commistione degli umori poiché, se questo duplice processo si realizza compiutamente, la cura darà risultati senza difficoltà mentre, se è effettuato male, sarà difficile, se non impossibile, ottenere il recupero. Dunque, Ibn Riḍwān si sofferma a esaminare varie questioni relative all'evacuazione degli umori in diversi organi (fegato, polmoni, cuore, reni, cistifellea, placenta, ecc.) e i rispettivi trattamenti correttivi: purganti (con la composizione adeguata per ogni patologia), pillole, elettuari (lassativi e non lassativi), triache, sciroppi, impiastri e cataplasmi, compresse, gargarismi, oli, colliri, clisteri, inalazioni, eccetera.
Secondo Ibn Riḍwān tutto ciò che può essere mangiato e bevuto è in grado di esercitare un effetto sul corpo, perché induce un effetto diretto oppure esercita prima un'azione per poi provocare una reazione o, infine, produce una reazione che consente successivamente di intervenire. Per questa dualità azione-reazione, sarà veleno tutto ciò che agisce sul corpo provocando reazioni e alterazioni, mentre sarà nutrimento ciò che, una volta arrivatogli, esercita un effetto e sarà un rimedio tutto ciò che arrivando al corpo lo riscalda, lo rinfresca, lo umidifica o lo asciuga secondo l'azione dei cibi e delle bevande sull'organismo. Ibn Riḍwān classifica i rimedi in quattro gradi o capacità di agire, secondo un'azione quasi occulta, riscaldante, raffreddante, umidificante o asciugante (primo grado). Si tratta di un rimedio del secondo grado se agisce in modo più evidente, del terzo se la sua azione è chiara e visibile e del quarto se è rilevante. Dunque l'elemento caldo e umido possiede un calore che non supera il primo grado, mentre non vi sono rimedi caldi nel secondo o terzo grado. Parimenti, l'autore classifica gli alimenti in nove importanti categorie: dolce, grasso, amaro, salato, piccante, agro, astringente, acre e insipido. Per ogni categoria egli descrive la qualità (fredda, secca, umida e calda) affermando per esempio che l'alimento dolce è caldo, mentre quello agro è umido e freddo, e così via.
Cruz Hernández 1997: Cruz Hernández, Miguel, Abū-l-Walīd Muḥammad Ibn Rušd. Vida, obra, pensamiento, influencia, Córdoba, Publicaciones de la Obra Social y Cultural Cojasur, 1997.
Diepgen 1925: Diepgen, Paul, Historia de la medicina, Barcelona, Labor, 1925, 2 v. (ed. orig.: Geschichte der Medizin, Berlin-Leipzig, Göschen, 1913-1919, 3 v.).
Dietrich 1991: Dietrich, Albert, Die Dioskurides-Erklärung des Ibn al-Baitar. Ein Beitrag zur arabischen Pflanzensynonimik des Mittelalters, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1991.
‒ 1993: Dietrich, Albert, Die Ergänzung Ibn Ǧulǧul's zur Materia medica des Dioskurides, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1993.
Gauthier 1938: Gauthier, Léon, Antécédents gréco-arabes de la psychophysique, Beirut, Imprimerie Catholique, 1938.
Goichon 1969: Goichon, Amélie-Marie, Ibn Sīnā, EI, v. III, pp. 965-972.
Goodman 1994: Goodman, Lenn E., al-Rāzī, EI, v. VIII, pp. 490-493.
Granjel 1978-86: Granjel, Luis S., Historia general de la medicina española, Salamanca, Ediciones Universidad de Salamanca, 1978-1986, 5 v.; v. I.
Guerra 1989: Guerra, Francisco, Historia de la medicina, Madrid, Norma, 1989, 2 v.; v. I.
Khan 1986: Khan, Muhammad Salim, Islamic medicine, London-Boston, Routledge & Kegan Paul, 1986.
Kuhne 1986: Kuhne, Rosa, Aportaciones para esclarecer algunos de los puntos oscuros en la biografía de Avenzoar, in: Actas del XII Congreso de la U.E.A.I. (Málaga, 1984), Madrid, Union Européenne d'Arabisants et d'Islamisants, 1986, pp. 431-446.
‒ 1991: Kuhne, Rosa, Abū Marwān b. Zuhr, un professionnel de la médecine en plein XIIe siècle, in: Actes du VIIe Colloque universitaire tuniso-espagnol sur le patrimoine andalous dans la culture arabe et espagnole (Tunis, 3-10 février 1989), Tunisi, 1991, pp. 129-143.
Levey 1966: The medical formulary or Aqrābādhīn of al-Kindī, translated and edited by Martin Levey, Madison-Milwaukee-London, University of Wisconsin Press, 1966.
Lévi-Provençal 1948: Lévi-Provençal, Évariste - García Gómez, Emilio, Sevilla a comienzos del siglo XII. El tratado de Ibn ῾Abdūn, Madrid, Monedo y Crédito, 1948, pp. 144-146 (ed. orig.: Lévi-Provençal, Évariste, Séville musulmane au début du XIIe siècle. Le traité d'Ibn ῾Abdūn sur la vie urbaine et les corps de métiers, Paris, Maisonneuve, 1947).
Meyerhof 1940: Meyerhof, Max, Šarḥ asmā᾽ al-῾uqqār (Un glossaire de matière médicale composé par Maïmonide), Il Cairo, Imprimerie de l'Institut Français d'Archéologie Orientale, 1940.
‒ 1984a: Meyerhof, Max, La surveillance des professions médicales et para-médicales chez les Arabes, in: Meyerhof, Max, Studies in medieval Arabic medicine. Theory and practice, edited by Penelope Johnstone, London, Variorum, 1984, pp. 128-130.
‒ 1984b: Meyerhof, Max, L'œuvre médicale de Maïmonide, in: Meyerhof, Max, Studies in medieval Arabic medicine. Theory and practice, edited by Penelope Johnstone, London, Variorum, 1984, pp. 136-150.
‒ 1984c: Meyerhof, Max, New light on Ḥunain ibn Isḥāq and his period, in: Meyerhof, Max, Studies in medieval Arabic medicine. Theory and practice, edited by Penelope Johnstone, London, Variorum, 1984, pp. 686-724.
Nasr 1979: Nasr, Seyyed H., Sciences et savoir in Islam, Paris, Sindbad, 1979 (ed. orig.: Science and civilization in Islam, Cambridge [Mass.], Harvard University Press, 1968).
Sanagustin 1995: Sanagustin, Floréal, Nosographie avicenienne et tradition populaire, in: Santé, médecine et société dans le monde arabe, sous la direction de Elisabeth Longuenesse, Paris, L'Harmattan, 1995, pp. 40-44.
Schacht 1968: Schacht, Joseph, Ibn Buṭlān, EI, v. III, pp. 763-764.
‒ 1969: Schacht, Joseph, Ibn Riḍwān, EI, v. III, pp. 930-931.
Sezgin 1970: Sezgin, Fuat, Geschichte des arabischen Schrifttums, Leiden, E.J. Brill, 1967-; v. III: Medizin-Pharmazie, Zoologie-Tierheilkunde bis ca. 430 H., 1970.
Strohmaier 1967: Strohmaier, Gotthard, Ḥunain ibn Isḥāḳ al-῾Ibādī, EI, v. III, pp. 598-601.
Torre 1974: Torre, Esteban, Averroes y la ciencia médica. La doctrina anatomofuncional del Colliget, Madrid, Ediciones del Centro, 1974.
Troupeau 1995: Troupeau, Gérard, Le premier traité arabe de diététique. Le Kitāb ḫawāṣṣ al-aġḏiyah de Yūḥannā ibn Māsawayh, "Medicina nei secoli", 7, 1995, 1, pp. 121-139.
Vadet 1968: Vadet, Jean-Claude, Ibn Māsawayh, EI, v. III, pp. 896-897.
Vajda 1968: Vajda, Georges, Ibn Maymūn, EI, v. III, pp. 900-902.
Vázquez de Benito 1996: Vázquez de Benito, María Concepción, Sobre la conservación de la salud. Averroes, Maimónides, Ibn al-Jaṭīb, "Qurtūba", 1, 1996, pp. 207-219.
‒ 1998: Vázquez de Benito, María Concepción, Fin de la Urŷūza fī 'l-ṭibb de Ibn al-Jaṭīb, in: Ciencias de la naturaleza en al-Andalus. Textos y estudios, editados por Expiración García Sánchez, Granada, CSIC, Escuela de Estudios Árabes, 1990-; v. V: Textos y estudios, 1998, pp. 137-214.