La civilta micenea
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con il termine “miceneo” – mutuato dal più importante sito continentale di questa fase, Micene in Argolide – si fa riferimento alla civiltà che fiorì sul continente greco nella Tarda Età del Bronzo tra il 1600 e il 1070 circa a.C. I suoi inizi sono sorprendenti, con le tombe a fossa di Micene, che mostrano un’impressionante concentrazione di ricchezza; mentre la sua fine è ancora oggetto di dibattito, come spesso accade per il crollo di società complesse.
Fermamente convinto della veridicità delle leggende narrate nell’epica greca, Heinrich Schliemann si dedica allo scavo dei principali siti menzionati nei poemi, Micene, Tirinto e Orcomeno in Grecia continentale e Troia sulla costa egea della Turchia. Le scoperte di Schliemann, e soprattutto le ricche tombe a fossa che nel 1876 porta in luce a Micene, fanno all’epoca grande scalpore e dimostrano che quei luoghi corrispondono a importanti centri dell’età del Bronzo: viene così disvelata la più importante civiltà fiorita sul continente greco prima di quella classica.
Sono due i gruppi di tombe, note come “tombe a fossa”, portate in luce a Micene: il Circolo A, più recente (1600-1500 a.C.), scavato da Heinrich Schliemann e da Valerios Stais negli anni Settanta del XIX secolo; il Circolo B, più antico (1650-1550 a.C.), scavato da George Mylonas negli anni Cinquanta del XX secolo. Le tombe individuate all’interno dei circoli hanno restituito la più alta concentrazione di ricchezza mai scoperta in area egea, e anche su questa base si spiega perché l’origine della civiltà micenea sia stata così a lungo dibattuta.
Le tombe a fossa di Micene sono costituite da pozzetti rettangolari scavati nel terreno. Sul fondo, all’interno di una sorta di recinto coperto con un tetto in legno o una lastra di pietra, erano deposti uno o più individui. La tomba e il pozzetto venivano quindi riempiti di terra e l’area soprastante marcata, in qualche caso, da una stele di pietra.
I corpi venivano spesso avvolti in sudari decorati con lamine di foglia d’oro, e in alcuni casi indossavano delle maschere d’oro. Queste sono state individuate sul volto di sei adulti, tutti di sesso maschile, e di un bambino, di sesso incerto. Il defunto era in genere accompagnato da una grande quantità di oggetti di corredo di straordinario livello artigianale, molti dei quali realizzati in materiali preziosi o esotici: spade e pugnali di bronzo, alcuni con scene figurate incise e decorate a niello; vasi in oro, argento, o pietra; gioielleria; vasi in ceramica, alcuni importati da Creta e dalle Cicladi. L’elemento che da un punto di vista stilistico meglio caratterizza i materiali rinvenuti nelle tombe a fossa è la sostanziale unicità dei singoli pezzi: essi appaiono concepiti come opere d’arte, dunque realizzati su commissione, e ciò implica che gli artigiani che li eseguono non hanno alle spalle modelli consolidati ma stanno creando nuovi tipi.
La società micenea comincia, dunque, con un grande “bang”, con una esplosione e concentrazione di ricchezza che non hanno precedenti nel mondo egeo. Emergono in tal modo gruppi dirigenti che scelgono di connotarsi tramite caratteristiche guerriere e l’ostentazione di una grande ricchezza. Tali gruppi mostrano inoltre la capacità di acquisire materie prime da un ’area geografica molto vasta, che va dal Baltico (ambra), al Vicino Oriente (metalli, avorio, legni pregiati come cedro ed ebano), a Creta e alle Cicladi (ceramica). Le tombe a fossa di Micene, dunque, sono le tombe “reali” delle élite alle quali si deve la formazione stessa della civiltà micenea. Lo dimostra bene, tra l’altro, il fatto che secoli dopo la sua costruzione il Circolo A viene monumentalizzato, circondato da un parapetto in pietra e inserito all’interno delle mura della città, a significare l’importanza che nel XIII secolo a.C. l’élite al potere nel maggiore centro dell’Argolide riconosce agli antenati.
L’uso del termine “miceneo” certo ha favorito l’idea che la civiltà fiorita nell’età del Bronzo in Grecia corrisponda a un gruppo etnico arrivato nel Paese già ben definito, con tutte le caratteristiche che oggi definiamo appunto “micenee”. Tale ipotesi, però, non trova supporto archeologico né linguistico. Inoltre la disamina dei materiali delle tombe a fossa indica che a livello della cultura materiale è possibile isolare il contributo fornito dagli specifici ambiti culturali locali: cioè dalla Grecia della media età del Bronzo, dalla Creta palaziale, e dalle culture sviluppatesi nelle Cicladi. Numerosi infatti sono gli stimoli che hanno consentito la formazione della cultura materiale micenea, e a questo proposito va sottolineato l’apporto fondamentale della Creta minoica.
L’ipotesi più accreditata sulle circostanze che portano alla formazione delle élite delle tombe a fossa è che esse sono state capaci di accaparrarsi il controllo di un flusso di materie prime (stagno, oro, rame) che dall’Oriente e dall’Occidente confluivano in Egeo. E su tale capacità sviluppano il loro potere politico. Per far ciò deve essere presupposto anche un qualche legame con qualcuno dei palazzi cretesi, che dà ai nuovi signori “micenei” la possibilità di accedere alle risorse umane (artigiani) controllate da Creta.
Le più antiche tombe micenee risalgono al 1650 a.C. circa e sono comprese tra Grecia centrale e Peloponneso. Nei secoli successivi si verifica l’espansione della cultura micenea a nord fino al monte Olimpo e al golfo di Ambracia, a est e a sud, sino alle Cicladi, al Dodecaneso, all’isola di Creta. A questo bisogna aggiungere il notevole espansionismo commerciale che caratterizza i gruppi dirigenti micenei fuori dall’area egea. La rete di rapporti che gli stati micenei riescono a intrecciare nel Mediterraneo è molto ampia, e si estende, dalla costa egea dell’Anatolia al Vicino Oriente, al Mediterraneo centrale e occidentale.
Sviluppatasi in aree geografiche molto diverse – dalla Tessaglia a nord, a Creta a sud, a Rodi a est – e in periodi cronologici, e dunque nell’ambito di contesti storici, differenti, la civiltà micenea non può essere intesa come una realtà monolitica, essa infatti mostra notevoli varianti a livello regionale soprattutto nell’assetto territoriale. Non potendo analizzare in dettaglio una realtà così articolata, il quadro che qui si delinea deve considerarsi valido soprattutto per il Peloponneso nord-orientale, l’area geograficamente più significativa, e per il XIII secolo, data alla quale risale la maggior parte della documentazione scritta.
Le tavolette in Lineare B rinvenute in alcuni siti palaziali del continente (Micene, Pilo, Tebe) e di Creta (Cnosso, Chania) rappresentano la fonte primaria per la ricostruzione del sistema amministrativo miceneo. Si tratta di tavolette in argilla cruda, sopravvissute alle distruzioni che segnarono la fine dei palazzi perché consolidate dal fuoco degli incendi che distrussero gli edifici nei quali sono state rinvenute. Su queste tavolette, quando l’argilla era ancora fresca, sono state incise registrazioni di carattere amministrativo in Lineare B, una scrittura di tipo sillabico composta da circa 89 segni e derivata dalla Lineare A minoica. Grazie alla decifrazione effettuata nel 1952 dall’inglese Michael Ventris la lingua della Lineare B è stata identificata come forma arcaica del greco. Tutti i siti che hanno restituito tavolette in Lineare B sono generalmente visti come le capitali di stati indipendenti. La Grecia micenea appare organizzata in piccoli stati territoriali, che ruotano intorno a un complesso palaziale. Non c’è traccia, per lo meno nelle tavolette, di un sistema sovrapalaziale: resta cioè oggetto di discussione se ci sia stata una gerarchia tra i singoli stati sulla base della quale erano regolati i rapporti diplomatici.
Il sistema palaziale può a sua volta essere descritto come una complessa organizzazione economica, amministrata da un corpo burocratico e fondata sulla centralizzazione delle risorse e su un elaborato meccanismo di controllo del sistema stesso.
Il rapporto istituzionale creatosi tra palazzi e singole comunità è ancora poco definito. Sembra apparentemente scontato che i palazzi si siano accaparrati il ruolo di istituzioni di riferimento per le comunità rurali sparse nel territorio. Quanto all’accentramento della ricchezza, i siti palaziali appaiono collocati in aree geografiche nodali poste lungo le rotte di lunga percorrenza che attraversano il Mediterraneo: da ciò è stato dedotto che lo scambio avviene all’interno di una serie di circuiti commerciali locali collegati a queste rotte. Essenziali nel collegamento tra Mediterraneo orientale e area egea sono le isole di Rodi e Creta. Il controllo di queste due regioni è vitale per l’approvigionamento dei beni di prestigio da parte dei palazzi del continente greco, e non è certo un caso se le due isole entrano a far parte dell’ambito culturale miceneo in un momento molto precoce.
A ribadire quale sia il controllo che i palazzi esercitano sull’economia locale, è importante notare come le officine che producono beni di prestigio, cioè oggetti realizzati in materiali preziosi, appaiano esclusivamente localizzate nell’ambito di siti palaziali, e si debba dunque ritenere che siano direttamente controllate dal palazzo stesso.
Quanto alle strategie che consentono alle élites micenee di mantenere il controllo delle risorse economiche, le redistribuzioni di prodotti agricoli e beni di sussistenza – sotto forma di razioni o in occasioni di feste o banchetti – hanno certo la parte più significativa. Ma un ruolo importante viene svolto dal controllo dell’apparato legato alla presentazione di offerte agli antenati e alle divinità, e dunque dal monopolio della sfera religiosa. Alla creazione di status e prestigio – nei palazzi come nell’ambito funerario – è strumentale anche l’ostentazione della ricchezza, che appare ovviamente connessa alla centralizzazione delle risorse sulla quale il sistema palaziale è fondato.
Tipiche strutture della civiltà micenea sono il palazzo e la cittadella. Il palazzo è una struttura architettonica complessa da identificare come centro amministrativo e residenziale dell’élite al potere. I due principali siti dell’Argolide, Micene e Tirinto, sono definibili anche come cittadelle, trattandosi di luoghi posti in posizione dominante e circondati da mura. Edifici palaziali sono stati messi in luce a Micene e a Tirinto, a Pilo in Messenia e nei pressi di Sparta in Laconia (Menelaion e Aghios Vasilios).
Nucleo focale del palazzo è il megaron, una struttura tripartita e isolata dal resto del complesso architettonico. La presenza, nel vano centrale del megaron, di un trono, di un grande focolare circondato da colonne e di una ricca decorazione parietale, lasciano intendere che questo è il luogo in cui l’autorità amministrativa che risiede nel palazzo esercita il suo potere. Intorno al megaron sono dislocati magazzini, archivi amministrativi, quartieri residenziali, edifici per il culto, centri di produzione artigianale.
Ispirati dalla cultura minoica sono sia il concetto di “palazzo” come centro amministrativo, sia la struttura funeraria tipica delle élite palaziali micenee, cioè la tomba a tholos (cupola) – a pianta circolare e preceduta da un lungo corridoio d’accesso –, che soprattutto a Micene raggiunge effetti di straordinaria monumentalità. Ma le differenze sono anche numerose e ben evidenti. Il palazzo miceneo è più piccolo e più modesto in termini di realizzazione, e la struttura implica che la sua funzione principale vada identificata nell’amministrazione – politica, economica e religiosa – dello stato territoriale di cui rappresenta il centro. Intorno al palazzo si sviluppa il centro abitato, un esempio del quale è stato scavato a Tirinto. Ciascuno stato miceneo sembra avere controllato un territorio di dimensioni piuttosto ridotte. Il regno di Pilo in Messenia, per esempio, abbraccia un’area di circa 2000 kmq, ed è stato diviso a scopi amministrativi in due province, che insieme comprendono circa 200 unità tra villaggi e centri abitati di maggiore respiro.
All’apice della gerarchia micenea vi è il wa-na-ka (da confrontare con il greco arcaico anax). Il termine viene generalmente tradotto come “re”, ed è anche documentato l’aggettivo wa-na-ka-te-ro, “reale”. Anfore da trasporto micenee recano dipinto lo stesso termine e dovevano contenere vino oppure olio, prodotti all’interno di possedimenti reali.
Altre figure di rango della gerarchia micenea sono il ra-wa-ke-ta, il te-re-ta, il qa-si-re-u e gli e-qe-ta. Il ra-wa-ke-ta, o lawagetas, il secondo probabilmente nella gerarchia, potrebbe essere stato un capo guerriero, dall’etimologia del termine (laós + ágein). La funzione del te-re-ta, o telestas, appare anche più incerta: un sacerdote o, forse, un funzionario al quale viene assegnata della terra in cambio dei servizi resi. Telestai sono numerosi a Pilo, dove ne sono registrati 14, e ad Aptera in Creta occidentale, dove se ne contano 45.
Il qa-si-re-u, precedente dell’omerico basileus, non ha il significato di “re”, come in Omero, ma di “capo”, anche di un piccolo gruppo di persone, per esempio di bronzisti. L’e-qe-ta, o hequetas, infine è il “compagno del re” e va considerato come membro di un gruppo guerriero strettamente legato al wanax.
Sono numerosi gli artigiani elencati nelle tavolette (bronzisti, tessitori, ceramisti ecc.) che lavorano alle dipendenze del palazzo per ricevere in cambio una qualche assegnazione di beni. Armi di bronzo, gioielleria, oggetti d’avorio, vasi, essenze profumate, costituite da olio di oliva mescolato con aromi, tessuti vengono prodotti nei palazzi o in prossimità di essi, e poi scambiati ed esportati su un’area geografica molto vasta. La produzione di olii profumati è una delle maggiori attività commerciali degli stati micenei.
Nelle tavolette, infine, sono elencati i nomi di almeno 30 divinità, maschili e femminili, tra le quali Zeus, Era, Posidone, Dioniso: un fatto questo che rafforza l’idea della continuità culturale esistente in Grecia tra II e I millennio a.C.
La distruzione dei palazzi minoici alla fine del periodo neopalaziale e la successiva distruzione del palazzo di Cnosso intorno al 1380/1370 a.C. sono due eventi che mostrano di avere ripercussioni sugli stati micenei del continente e in generale sulla storia del mondo egeo: il primo coincide con la comparsa dei più antichi palazzi continentali; il secondo, invece, corrisponde al decollo delle strutture palaziali continentali, e alla fase di massima espansione culturale e commerciale micenea in Egeo come pure nel resto del Mediterraneo e nel Vicino Oriente.
In altri termini, la crisi del sistema palaziale cretese e la successiva distruzione di Cnosso corrispondono a momenti di espansione delle nuove entità politiche del continente. Il ruolo svolto da Creta, e soprattutto da Cnosso, in rapporto allo sviluppo degli stati continentali appare, dunque, cruciale per delineare in maniera completa la storia della società micenea.
La distruzione dei palazzi minoici intorno al 1425 a.C. può essere associata all’arrivo a Creta di un gruppo continentale – probabilmente dall’Argolide – che occupa Cnosso e le regioni centrale e nord-occidentale dell’isola. Questa opinione non è universalmente condivisa, ma alcuni elementi la rendono molto verisimile. In primo luogo, il fatto che Cnosso è l’unico palazzo ancora attivo dopo la distruzione che alla fine del periodo neopalaziale investe tutti i palazzi cretesi. Compaiono allora nel sito elementi propri dell’élite micenea: il vaso da bere tipico del continente, o kylix, e le ricche sepolture a carattere guerriero ignote prima di questa data nell’isola. In questa stessa fase, infine, Cnosso detta legge in termini culturali in gran parte dell’isola, dove si riscontra un’impressionante omogeneità nella cultura materiale.
La presenza a Cnosso dalla fine del XV secolo a.C. di un gruppo miceneo proveniente dal continente greco renderebbe meglio conto della formazione stessa della Lineare B che, essendo derivata dalla Lineare A, potrebbe essere stata “creata” a Cnosso in questi anni.
Un tale stato di cose viene interrotto bruscamente intorno al 1380/1370 a.C., quando il palazzo di Cnosso viene raso al suolo e si assiste all’emergere di nuovi centri di potere.
Una delle questioni più dibattute dell’archeologia egea riguarda la datazione delle tavolette in Lineare B di Cnosso. La questione è ovviamente legata al problema della “miceneizzazione” del principale centro cretese e alla conseguente diffusione nell’isola della lingua greca: in altri termini quando e come Creta divenne micenea?
Nel 1963, pubblicando le tavolette portate in luce da Evans a Cnosso molti decenni prima, il filologo Leonard Robert Palmer concluse che, sulla base dei confronti con le tavolette di Pilo, il corpus cnossio doveva datarsi alla fine del XIII secolo. Di parere diverso fu in quegli stessi anni l’archeologo John Boardman il quale, seguendo Evans, cercò di dimostrare come i livelli di distruzione nei quali le tavolette erano state rinvenute non erano posteriori al 1400 a.C. Analisi dettagliate dei contesti di rinvenimento hanno poi fissato all’interno del XIV secolo la data di distruzione dell’ultimo palazzo di Cnosso. La successiva occupazione dell’edificio, definitivamente abbandonato alla fine del XIII secolo, avrebbe avuto caratteri diversi.
A quasi 50 anni di distanza, la controversia si è attenuata – ma non è stata archiviata – sulla base di due importanti acquisizioni: in primo luogo, l’ipotesi che l’archivio di Cnosso non sia omogeneo cronologicamente e che singoli gruppi di tavolette possano datarsi a fasi diverse, appunto, nell’arco del XIV e XIII secolo. Una lingua di tipo greco sarebbe, dunque, stata in uso a Cnosso già dal XIV secolo.
In secondo luogo, la scoperta a Khania di due tavolette, in contesti secondari, degli inizi del XIII secolo mostra che in questa fase Cnosso non è l’unico centro amministrativo dell’isola.
Ma indipendentemente dalla datazione delle tavolette di Cnosso, fino a che punto Creta può essere considerata “micenea”? Le ipotesi di una invasione in massa dal continente e la conseguente adozione in tutta l’isola di caratteristiche culturali continentali non trovano riscontro archeologico. Il Tardo Minoico III (1390-1100 a.C.) è una fase nel corso della quale l’identità culturale si manifesta nelle singole aree dell’isola in maniere piuttosto diverse. Volendo semplificare si può dire che, con livelli di intensità differente, elementi “micenei” vengono acquisiti all’interno di uno schema di fondo inequivocabilmente “minoico”.
La distruzione del palazzo di Cnosso rappresenta una svolta epocale. Accanto alle ripercussioni in Egeo e nell’area circostante, dopo tale avvenimento si assiste alla crescita e alla trasformazione in termini monumentali di alcuni siti della Creta centrale (Tylissos, Haghia Triada, Kommos), che emergono a livello di centri di potere locale. La comparsa inoltre di forme di regionalismo culturale, come pure la presenza di un centro amministrativo a Khania, quanto meno dal XIII secolo, sono certamente il segno del ridimensionamento politico di Cnosso, visibile per altro anche nella documentazione archeologica del sito in questa fase.
Irrisolto resta il problema della eventuale subordinazione degli stati cretesi, e Cnosso in primis, a qualche stato continentale, e nella fattispecie al più importante degli stati continentali: Micene. Problemi di ordine politico diventano difficili da risolvere in assenza di fonti storiche coeve al periodo preso in esame. L’evidenza materiale non è sufficiente a risolvere la questione. Il confronto con esempi meglio documentati – il dominio veneziano nella stessa Creta (1211-1669) o quello della dinastia degli Asburgo-Lorena sul Granducato di Toscana (dal 1737) – mostra infatti come un Paese straniero può essere dominato anche tramite un gruppo limitato di persone che al livello più alto della gerarchia sociale e politica organizza la nuova amministrazione. La possibilità che qualcuno degli stati continentali dominasse l’isola, o parti di essa, tra XIV e XIII secolo a.C., non deve pertanto essere esclusa.
Sono i secoli XIV e XIII a.C. quelli che vedono la massima espansione commerciale e culturale micenea, anche se l’importanza assegnata dagli stati micenei ai contatti commerciali è ben visibile sin dal XVI secolo, come mostrano i ritrovamenti di ceramica micenea nel basso Tirreno (isole Flegree, isole Eolie). La ricerca di materie prime è probabilmente alla base di questo interesse, e il fatto che entrambe queste aree siano state in grado di acquisire rame e di fonderlo conferma tale ipotesi. Dopo la distruzione del palazzo di Cnosso intorno al 1380/1370 a.C. la ceramica micenea si sostituisce a quella minoica in siti chiave della costa egea dell’Anatolia – soprattutto nell’area compresa tra Mileto e Iasos in Caria –, si rinviene in nuovi siti come Efeso e Panaztepe, e si diffonde a Cipro, sulla costa levantina, in Egitto, in Libia. Tra XIV e XIII secolo a.C. sono innumerevoli i siti che hanno restituito materiali di derivazione egea lungo la costa della Sicilia orientale (Thapsos) e centro-meridionale (Cannatello), nelle isole Eolie, lungo le coste della Calabria, della Puglia, e della Basilicata e in Italia centrale. Materiale miceneo è stato rinvenuto nella Pianura Padana, in Sardegna e nella penisola iberica.
Ma quali prodotti esportavano gli stati micenei? L’anfora a staffa, prodotta in varie dimensioni, è il tipico contenitore da trasporto miceneo, conteneva olio d’oliva, olio profumato, e vino. La ceramica da mensa di produzione micenea, in argilla figulina e decorata con motivi astratti o figurati, ha anche costituito un bene apprezzato di per sé. Un esempio classico è dato dai crateri decorati con rappresentazione di carri, una produzione propria del Peloponneso nord-orientale, la quale viene creata per essere esportata nei floridi centri costieri di Cipro, come Enkomi o Hala Sultan Tekke, dove costituisce un bene di prestigio ambito dalle élite locali. Ceramica di tipo miceneo – che si deve a ceramisti egei o comunque esperti delle tecniche di produzione egea – viene invece prodotta regolarmente nel sito di Troia, a indicare l’importanza culturale che si assegna a questo bene. Tra i beni esportati, infine, poco si può dire di quelli in materiali deperibili, come probabilmente i tessuti di lana e di lino, i quali appaiono prodotti in quantità, per esempio nello stato di Pilo.
I pochi relitti di navi relativi a questa fase rinvenuti lungo la costa egea della Turchia (Uluburun/Kas, Capo Gelydonia) e dell’Argolide (Capo Iria) ci offrono un panorama significativo dei beni che circolano lungo le rotte egee. Il relitto di Capo Iria, della fine del XIII secolo a.C., ha restituito numerose anfore a staffa di produzione cretese, forse destinate a un porto dell’Argolide. Nel relitto di Uluburun/Kas, datato agli inizi del XIII secolo a.C., era presente una grande quantità di materiali disparati: lingotti di rame, spade di bronzo, materiali “esotici” (grani d’ambra, lingotti di lapislazzulo, pasta vitrea), ceramica di produzioni diverse (micenea, cipriota, siriana), ma anche spezie (coriandolo, zafferano) e resina (terebinto), quest’ultima usata invece dell’incenso. È verosimile che la nave, salpata da un porto cipriota o siriano, fosse affondata mentre faceva rotta verso ovest. Tra i porti dell’area egea quello di Kommos, sulla costa centro-meridionale di Creta, ha restituito una tale quantità di materiali di importazione da farlo risultare uno dei centri vitali per le comunicazioni verso est e verso ovest.
Quanto alla natura del commercio che coinvolge gli stati micenei, esistono due opinioni divergenti: l’una vede un controllo strettissimo delle élite palaziali sull’economia e dunque anche sul commercio, l’altra invece assegna loro un ruolo meno significativo, e ritiene il coinvolgimento nelle rotte orientali più legato alla posizione geografica dei singoli siti che non al peso effettivo delle élite micenee nel contesto politico dell’epoca.
Va ricordato a questo proposito che gli stati micenei non hanno restituito tracce degli scambi epistolari che hanno contraddistinto i rapporti di tutti gli stati del Vicino Oriente: apparentemente i primi non intrattengono rapporti diplomatici di tipo ufficiale né tra di loro né con gli stati del Vicino Oriente. Dai testi orientali sappiamo inoltre che è esistito un commercio di natura “palaziale” tra le grandi potenze dell’epoca.
Ma anche da questo, sulla base della documentazione esistente, gli stati micenei appaiono assenti, tanto che si è pensato che le ceramiche micenee rinvenute nel Levante o in Egitto vi siano giunte tramite Cipro.
Più volte citata in testi ittiti del XIV e XIII secolo a.C., la terra degli Ahhiyiawa è spesso identificata con la Grecia micenea. I testi in questione lasciano desumere che la terra degli Ahhiyiawa sia uno stato costiero a ovest dell’impero ittita, a ovest cioè della penisola anatolica. Tale stato per lo meno nel XIII secolo a.C., durante i regni di Khattushili III e Tutkhaliya IV, possiede delle navi, è coinvolto in una rete commerciale e ha rapporti non sempre amichevoli con l’impero ittita. Inoltre, per quanto in maniera intermittente, sembra aver avuto il controllo di qualcuna delle numerose isole di quell’area: il suo re viene indicato con l’epiteto di Grande Re ed equiparato con quelli di Egitto, Babilonia e Assiria, vale a dire con i sovrani più potenti della regione vicino-orientale.
Sulla base dell’equazione Ahhiyiawa = Achei, il termine usato nell’epica omerica per indicare i Greci, alcuni hanno riconosciuto nei micenei gli Ahhiyiawa dei testi ittiti. Indipendentemente dalla validità di questa equazione linguistica, che non ha alcun supporto storico o filologico, recenti studi sulla geografia storica dell’Anatolia nella tarda età del Bronzo hanno definitivamente escluso che lo stato di Ahhiyiawa possa collocarsi lungo la costa meridionale o nord-occidentale dell’Anatolia.
Le opzioni che restano non sono numerose, anche perché l’area settentrionale dei Balcani (Tracia, Macedonia, Epiro) non mostra di avere intrattenuto contatti con l’impero ittita. La prima opzione è ovviamente che Ahhiyiawa sia da cercare sul continente greco. Considerando che non ci sono prove che gli stati micenei siano mai stati unificati sotto un unico re, è anche possibile che i testi si riferiscano, a seconda del periodo, a stati diversi. In ogni caso, Micene in Argolide e Tebe in Beozia rappresentano entrambe valide possibilità.
La seconda opzione è data dalla stretta fascia costiera sud-occidentale dell’Anatolia, compresa tra Mileto, identificata con la Millawanda dei testi ittiti, e Iasos, e dalle isole prospicienti di Rodi e Cos: un’area questa in cui la notevole presenza di elementi micenei ed egei in senso lato (cicladici, ciprioti) accanto a elementi di tipo anatolico lascia ipotizzare come una popolazione locale di tradizione anatolica si sia lentamente acculturata in senso “miceneo”.
A partire comunque dalla seconda metà del XIII secolo a.C. i rapporti tra il continente greco e le aree circostanti si trasformano: in molti casi si interrompono e non verranno mai più ripresi, in altri diminuiscono, in altri ancora subiscono una pausa e poi riprendono sotto forma diversa. Così come era iniziata, infatti, la civiltà micenea finisce, con un grande “bang”.
Il venir meno della rete internazionale di scambi che attraversa il Mediterraneo è soltanto una delle numerose conseguenze del crollo della società micenea alla fine del XIII secolo a.C. (fine del Tardo Elladico IIIB).
La cittadella di Gla venne distrutta agli inizi del XIII secolo (Tardo Elladico IIIB), mentre i palazzi di Micene, Tirinto, Tebe e Pilo, come pure il complesso del Menelaion a Sparta, vengono completamente distrutti alla fine dello stesso secolo. In Grecia continentale si contano almeno cento siti distrutti o abbandonati dopo tale data. Alcuni siti, come Tebe, non vengono rioccupati se non molti secoli dopo, e larghe parti del paesaggio rurale greco risultano ora completamente deserte. A Creta distruzioni generalizzate sono registrate nei siti principali nel corso del XIII secolo ed entro la fine di questo secolo ciascuno di essi viene abbandonato. Gli stati micenei vengono dunque spazzati via: con essi scompaiono, e per molti secoli a venire, in Egeo, la scrittura, un’architettura complessa, l’artigianato specializzato in beni di prestigio e anche la tecnica dell’affresco parietale che ha raggiunto in Grecia nel II millennio un livello assai elevato.
Tale impressionante panorama di rottura non è in alcun modo circoscritto all’Egeo. Nello stesso tempo infatti crollano l’impero ittita, quello di Mittani in Mesopotamia e altri stati del Vicino Oriente. Proprio per questi anni le fonti egiziane registrano che sotto Ramesse III (XX Dinastia, XII sec. a.C.) l’Egitto viene ripetutamente attaccato da gruppi ai quali si fa riferimento con il nome di Popoli del Mare. Il faraone alla fine riesce a prevalere, e lo stato egizio, unico caso in ambito vicino-orientale, rimane in piedi.
In Egeo l’ultima fase del sistema palaziale, il XIII secolo a.C., segna un periodo di instabilità. Orizzonti localizzati di distruzione sono noti per tutto il periodo. La costruzione e l’espansione delle fortificazioni a Micene e Tirinto risale agli anni intorno al 1250 a.C., e apprestamenti connessi alla possibilità di fronteggiare un assedio sono stati riscontrati in questo stesso torno di tempo nelle stesse Micene e Tirinto, e ad Atene. Sull’istmo di Corinto viene iniziata, ma mai portata a termine, la costruzione di un poderoso muro di fortificazione, inteso come sbarramento verso nord. L’ipotesi di un’invasione dal nord, dal bacino del Danubio, avanzata in passato da numerosi studiosi – un’invasione da qualcuno assimilata a quella dorica, che la tradizione mitologica colloca alcuni decenni più tardi – è difficile da sostenere: l’evidenza archeologica relativa alla fine del XIII e al XII secolo a.C. non sembra recare traccia infatti dell’arrivo di nuovi gruppi, caratterizzati cioè da un insieme coerente di nuovi elementi relativi alla cultura materiale.
Se la comparsa di singoli tipi di manufatti (fibule, spade, ceramica fatta a mano) non è sufficiente per sostenere l’arrivo di un nuovo gruppo e, soprattutto, di nuove élite, l’ipotesi di una siccità che avrebbe investito gran parte dell’Egeo e il Vicino Oriente causando il collasso della società micenea non ottenne a suo tempo un grande favore. L’evidenza di tipo scientifico (meteorologico) oggi disponibile sembra invece indicare come possibile il passaggio a un clima più secco e arido, in Egeo come anche nel Vicino Oriente. Un mutamento climatico repentino potrebbe aver creato le basi per rivolte interne agli stati micenei, rivolte alle quali si potrebbe assegnare la responsabilità delle distruzioni.
Un’ipotesi avanzata di recente attribuisce il collasso della società micenea a truppe di mercenari che alla fine dell’età del Bronzo avrebbero dato vita in tutto il Mediterraneo a veri e propri eserciti, causando il saccheggio e la distruzione di numerose città.
La loro supremazia sarebbe stata dovuta all’adozione di una nuova tecnica bellica fondata su una fanteria leggera armata di giavellotti e spade che si sarebbe rivelata vincente rispetto all’uso del carro trainato da cavalli proprio degli stati dell’età del Bronzo. Questi gruppi di mercenari sarebbero da identificare nei Popoli del Mare responsabili degli attacchi nel Levante e contro l’impero egizio. Di fatto è certa nel corso del XIII secolo a.C. la circolazione in Grecia e nel Levante di artigiani e guerrieri provenienti dal Mediterraneo centrale, tra i quali è forse possibile individuare mercenari al servizio degli stati micenei. La trasformazione degli armamenti e l’introduzione di un nuovo tipo di spada e di scudo nel Mediterraneo orientale si verifica negli stessi anni, e potrebbe essere attribuita proprio a questi gruppi. Sono mercenari d’altronde quegli Sherden assoldati dagli Egizi e da questi ultimi impiegati anche contro i Popoli del Mare.
Una teoria, questa, che ha il merito di collocare gli eventi in Egeo all’interno di uno scenario più ampio, ma che resta fondata su un’unica causa e che come tale non riesce a spiegare un fenomeno storico di ampia portata quale fu il crollo della civiltà micenea.
Come rendere conto in definitiva di una simile catastrofe e soprattutto del fatto che l’area interessata risulti così ampia? Il repentino collasso di società complesse, fenomeno questo conosciuto sia nel mondo antico sia nel mondo moderno – si pensi al dissolvimento dell’impero sovietico agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso – è un tema sul quale esiste un ampio dibattito e che va analizzato anche facendo uso di modelli teorici e analogie storicamente fondate.
Può risultare utile il confronto con eventi, come le invasioni, per i quali esiste una documentazione archeologica e filologica. È il caso per esempio dell’invasione dei Celti (Galati) in Anatolia centrale nel III secolo a.C., o dell’invasione slava della Grecia nel VI secolo d.C.: tali esempi possono costituire modelli di fronte ai quali saggiare la validità dell’ipotesi dell’invasione.
Nello stesso tempo bisogna avere ben presente che il crollo della società palaziale in Egeo rappresenta un evento di tale portata storica che non si può ricondurlo, come troppo spesso si è fatto, a una unica causa. È verisimile infatti pensare che si sia verificata la concomitanza di molteplici fattori.
Tra questi, va considerata anche la possibilità che il sistema abbia racchiuso al suo interno una qualche debolezza strutturale. In altri termini, le ragioni del collasso devono essere analizzate non solo in relazione alla distruzione fisica dei centri palaziali, e dunque alla eventualità di fattori esterni, accidentali e non (come eventi bellici, terremoti o cataclismi climatici), ma anche tenendo conto di una possibile debolezza, origine di instabilità, inerente al sistema.
Se infatti accettiamo l’idea che il sistema palaziale era fondato su un elaborato meccanismo di controllo, una delle ragioni del collasso può essere ricercata anche in queste eccessive forme di centralizzazione e sfruttamento che avrebbero reso in ultima analisi il sistema debole, facile cioè da distruggere: raggiunta la massima espansione territoriale gli stati micenei non sarebbero più stati in grado di sostenere il peso economico del loro apparato organizzativo, fino a raggiungere il collasso.
In conclusione: molteplicità di fattori esterni e debolezza interna del sistema sono gli elementi che possono rendere conto, anche se in maniera non capillare, della fine della civiltà micenea.