La compensatio lucri cum damno
Il presente contributo, movendo dalla ricognizione del principio pretorio della compensatio lucri cum damno, del suo fondamento e dei presupposti della sua operatività, illustra l’orientamento interpretativo proposto dalle ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione e all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del giugno 2017, per poi soffermarsi su alcuni profili problematici di tale proposta.
L’espressione compensatio lucri cum damno designa la regola secondo la quale nella liquidazione del risarcimento del danno si deve tenere conto delle conseguenze vantaggiose per il danneggiato causate in via diretta dal fatto lesivo1. La regola non è sancita da una disposizione di diritto positivo ma viene riconosciuta dalla giurisprudenza quale regola che concorre a delimitare l’ambito del danno risarcibile. Il suo fondamento è duplice: esso si rinviene, in primo luogo, nel principio di integralità della riparazione o del “danno effettivo”, in base al quale il risarcimento deve reintegrare totalmente il patrimonio del danneggiato della perdita subìta e del mancato guadagno (art. 1223 c.c.), facendo in modo che egli non sia reso né più ricco né più povero di quanto non fosse prima dell’inadempimento o dell’illecito2; in secondo luogo, il fondamento si rinviene nel principio di causalità giuridica, che impone di tenere conto di tutte le conseguenze immediate e dirette (in tal senso, ancora, l’art. 1223 c.c.) dell’evento dannoso, e dunque non solo delle conseguenze svantaggiose ma anche di quelle vantaggiose, onde evitare che il risarcimento perda la sua funzione compensativa e determini un arricchimento3.
L’individuazione del fondamento della regola nell’esigenza di tenere conto del risultato economico complessivo determinato dall’illecito sul patrimonio del danneggiato è alla base dell’orientamento giurisprudenziale che subordina la rilevanza del lucro alla sussistenza di due specifici presupposti: quello per cui il vantaggio deve essere causato dall’illecito e quello per cui esso deve essere inerente al bene o all’interesse leso4. Si esclude, infatti, in tal modo, che il danno risarcibile venga determinato tenendo conto anche di eventuali effetti vantaggiosi che non trovano nell’illecito la loro causa ma la semplice occasione5.
Avuto riguardo ai presupposti di operatività della compensazione del lucro col danno, l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità escludeva che la regola trovasse applicazione con riguardo alle prestazioni effettuate dagli enti previdenziali e dagli assicuratori privati, in esecuzione di obbligazioni, rispettivamente ex lege o ex contractu, che trovano nell’illecito una condicio iuris di efficacia. In queste ipotesi – si osservava – l’obbligo di pagare l’indennizzo o la provvidenza trova la sua fonte nel rapporto previdenziale o assicurativo e non già nell’inadempimento o nell’illecito. La somma erogata a tale titolo non andrebbe dunque detratta da quella dovuta a titolo di risarcimento, in quanto il vantaggio (lucro) non sarebbe causato ma solo occasionato dall’illecito6. L’orientamento tradizionale, già messo in discussione da un contrasto sorto nel 2014 tra alcune decisioni assunte dalla Corte di legittimità a sezione semplice7, e non composto dalle Sezioni Unite8, è stato di recente sottoposto a critica da quattro ordinanze interlocutorie della Terza Sezione, le quali hanno invocato un nuovo intervento delle Sezioni Unite. La prima di queste ordinanze ha affrontato il problema della detraibilità dal risarcimento dovuto ad una compagnia aerea per l’abbattimento di un suo velivolo, dell’indennizzo versato dall’assicuratore privato9; nella seconda è stata posta la questione se dall’ammontare del risarcimento dovuto alla vittima di un incidente stradale, riconosciuto come infortunio in itinere, vada defalcato il valore capitale della rendita vitalizia erogata dall’Inail10; il terzo provvedimento è tornato sul quesito della scomputabilità della pensione di reversibilità erogata ai superstiti, dal risarcimento loro spettante per la morte della vittima dell’illecito11; la quarta ordinanza, infine, si è domandata se il credito risarcitorio vantato nei confronti della struttura sanitaria per i danni subìti da un bambino a causa della ritardata esecuzione del parto cesareo, debba essere diminuito del valore capitale dell’indennità di accompagnamento erogatagli dall’Inps12. Questione analoga è stata rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, essendosi posto il problema, con riguardo ad una fattispecie in cui un dipendente statale aveva ottenuto la condanna dell’amministrazione di appartenenza al risarcimento del danno derivatogli dall’insalubrità dell’ambiente in cui era stato costretto a lavorare, se dovessero considerarsi, nella determinazione del danno risarcibile, le provvidenze erogategli dalla stessa amministrazione a titolo di equo indennizzo, dopo che la sua infermità era stata riconosciuta dipendente da causa di servizio13. Le Sezioni Unite e l’Adunanza Plenaria, pur sollecitate da provvedimenti che si riferiscono a fattispecie diverse tra loro, sono dunque chiamate a prendere posizione sulla questione generale se nella liquidazione del risarcimento si debba tenere conto dei vantaggi ottenuti dal danneggiato per effetto della corresponsione di somme dovutegli ex contractu (indennizzi versati da assicuratori privati) o ex lege (provvidenze erogate da enti previdenziali, assicuratori sociali, pubbliche amministrazioni), la cui erogazione trovi nel fatto dannoso uno dei presupposti. Al riguardo, le ordinanze di rimessione, dopo aver ricordato l’orientamento tradizionale che esclude in queste ipotesi l’operatività della compensatio lucri cum damno, sono concordi nel ritenere che esso debba essere rimeditato per addivenire ad una diversa soluzione della questione. Tale necessità – si afferma – sarebbe imposta non solo dalla incoerenza logica e dalla inesattezza dogmatica dei presupposti teorici sui quali si fonda l’indirizzo criticato, ma anche (e principalmente) dalle implicazioni del duplice fondamento della regola, come sopra illustrato.
Sotto tale profilo si osserva, precisamente, che se il fondamento della regola va individuato nel principio di integralità della riparazione, desumibile in primo luogo (ma non solo) dall’art. 1223 c.c., è evidente che il danneggiato deve ricevere né più né meno di quanto necessario a reintegrare il suo patrimonio per riportarlo nella situazione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’evento dannoso. Dovrebbe pertanto escludersi la cumulabilità del risarcimento con i vantaggi derivanti dall’erogazione degli indennizzi assicurativi, previdenziali ed assistenziali, in piena conformità alla funzione di carattere compensativo-riparatorio assegnata all’istituto della responsabilità civile nel nostro ordinamento, che non ammetterebbe né la locupletazione della vittima né la previsione di obbligazioni con finalità punitive in capo al responsabile14. Sempre in relazione alle implicazioni derivanti dal fondamento della regola della compensazione del lucro col danno, le ordinanze di rimessione osservano altresì che l’individuazione di esso nel principio di causalità giuridica, in base al quale deve tenersi conto di tutte le conseguenze immediate e dirette dell’evento dannoso (art. 1223 c.c.), impone di applicare per gli effetti favorevoli la medesima regola di causalità utilizzata per gli effetti sfavorevoli. Sotto questo aspetto, si evidenzia che l’orientamento tradizionale, nel momento in cui ritiene che i vantaggi patrimoniali ottenuti, in seguito ad un fatto dannoso, per effetto di una norma di legge o di un contratto siano meramente occasionati dall’illecito, cade nell’errore concettuale di utilizzare, per stabilire se il “lucro” sia conseguenza immediata e diretta dell’illecito, un criterio più rigoroso di quello utilizzato in relazione al “danno”. Infatti, mentre per quest’ultimo è ormai consolidata l’utilizzazione del criterio della “regolarità causale” – in forza del quale il rapporto tra condotta ed evento può anche non essere diretto ed immediato, se il secondo non si sarebbe verificato in assenza della prima – per il lucro si continuerebbe ad esigere un rapporto di consequenzialità immediata e diretta con il fatto dannoso, così incorrendo in un’applicazione «asimmetrica» dell’art. 1223 c.c. La necessaria applicazione del criterio della regolarità causale anche in relazione agli effetti favorevoli dell’illecito indurrebbe invece ad individuare nel fatto dannoso la causa, e non la mera occasione, dei vantaggi connessi con le prestazioni previdenziali o assicurative, atteso che l’illecito costituisce un presupposto necessario di tali erogazioni15. Le ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite rilevano, infine, che la tesi che nega la compensatio tra risarcimento e indennizzo precluderebbe agli enti previdenziali e agli assicuratori di esercitare il diritto – previsto, per l’assicuratore privato, dall’art. 1916 c.c., nonché, per gli enti previdenziali e gli assicuratori sociali, da specifiche disposizioni di legge speciale e, in via generale, dall’art. 1203 c.c. – di surrogarsi nella pretesa del danneggiato verso il responsabile, atteso che quest’ultimo non potrebbe essere costretto due volte all’esecuzione della medesima prestazione16.
La tesi che afferma la necessità di superare l’orientamento tradizionale e di ammettere l’operatività della regola della compensatio lucri cum damno con riguardo ai vantaggi economici derivati alla vittima dell’illecito dalle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative aventi finalità indennitaria ed erogate in esecuzione di obbligazioni scaturenti dalla legge o dal contratto, sebbene sostenuta con dovizia di argomenti nelle ordinanze di rimessione, non si sottrae a notazioni volte ad evidenziarne alcuni profili problematici. L’esigenza di scongiurare un’applicazione «asimmetrica» dell’art. 1223 c.c., che si risolva nell’inaccettabile utilizzazione di due diverse regole di causalità ai fini dell’individuazione delle conseguenze sfavorevoli e di quelle favorevoli dell’evento dannoso, deve naturalmente essere condivisa17, ma proprio tale esigenza – deve sottolinearsi – è alla base del criticato orientamento tradizionale, il quale attribuisce rilevanza al solo “lucro” che, al pari del “danno”, sia conseguenza immediata e diretta dell’evento lesivo. Il rischio di un’indebita duplicazione dei criteri di identificazione del nesso causale potrebbe piuttosto emergere dall’affermata necessità di ritenere che l’illecito sia causa del beneficio per il fatto che, in mancanza del primo, non vi sarebbe stato il secondo. Tale affermazione rischia infatti di consentire che il “lucro”, diversamente dal “danno”, sia governato, sotto il profilo della causalità, dalla teoria condizionalistica pura, per modo che, mentre ai fini della determinazione del danno risarcibile si dovrebbe tenere conto delle conseguenze ordinarie dell’illecito secondo il criterio della regolarità causale, ai fini dell’individuazione del lucro compensabile si dovrebbe invece tenere conto di tutte le conseguenze favorevoli che trovano comunque nell’illecito un antecedente necessario.
La regola della compensatio dovrebbe quindi reputarsi operante anche in relazione alle elargizioni di qualsiasi terzo, allorché il motivo determinante dovesse essere identificato nella volontà di sollevare la vittima dal pregiudizio ricevuto in seguito al fatto dannoso. In tal modo, peraltro, si finirebbe per attribuire indebita rilevanza ai motivi che hanno condotto il terzo a disporre del proprio patrimonio in favore del danneggiato, mentre dovrebbe piuttosto aversi riguardo alla causa concreta dell’atto, attribuendo all’elargizione efficacia (parzialmente o totalmente) satisfattiva nell’ipotesi in cui, ad es., il terzo abbia voluto adempiere all’obbligazione risarcitoria del responsabile (art. 1180 c.c.) ma negando la compensatio nell’ipotesi in cui la somma sia stata corrisposta per spirito di liberalità.
Sotto altro profilo deve osservarsi che l’affermata necessità di fare rigorosa applicazione del principio dell’indifferenza, anche a costo di consentire al responsabile di sottrarsi alle conseguenze dell’illecito, può essere sostenuta soltanto se all’istituto della responsabilità civile si assegni una funzione di tipo esclusivamente compensativoriparatorio. Essa dunque potrebbe dover essere rimeditata alla luce della diversa opinione prevalsa nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, le quali hanno statuito che all’istituto deve invece attribuirsi una natura multifunzionale, che unisce alla primaria funzione compensativa quella preventiva e quella sanzionatoria18. Non può sottacersi, ancora, che l’argomento, utilizzato per evidenziare l’incoerenza sistematica dell’orientamento tradizionale, che fa leva sulla supposta incompatibilità tra il cumulo di indennizzo e risarcimento e il diritto di surrogazione previsto dalla legge in favore del terzo, potrebbe essere rovesciato a favore del medesimo orientamento ove si considerasse che, attraverso la surrogazione, il terzo (società di assicurazione, ente previdenziale) succede a titolo particolare nel diritto del danneggiato dopo aver pagato l’indennità (arg. ex art. 1916 c.c.), il che vuol dire che il predetto diritto non si estingue per effetto di tale pagamento. L’erogazione dell’indennizzo non incide pertanto sul perdurante obbligo del responsabile dell’illecito di risarcire il danno, sebbene a seguito di tale erogazione si sia determinata una modificazione soggettiva nel lato attivo di questa obbligazione19.
1 Leone, F., Compensatio lucri cum damno, in Filangieri, 1916, 176 ss.; Scognamiglio, R., In tema di «compensatio lucri cum damno», in Foro it., 1952, I, 635; Puleo, S., Compensatio lucri cum damno, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 29; Franzoni, M., La compensatio lucri cum damno, in Resp. civ., 2010, 51 ss.; Giusti, G., Compensatio lucri cum damno, in Dig. civ., Aggiornamento, VI, Torino, 2011, 190; Bianca, C.M., Diritto civile, V, II ed., Milano, 2012, 167; Pardolesi, R., Risarcimento, indennizzo e arricchimento della vittima dell’illecito, osservazioni a Cass., ord. 22.6.2017, n. 15534, in Foro it., 2017, I, 2256 ss.
2 Bianca, C.M., op. cit., 168.
3 Giusti, G., op. cit., 193 ss.
4 Tra le tante, Cass., 7.1.2000, n. 81; Cass., 2.3.2010, n. 4950; Cass., 20.5.2013, n. 12248.
5 Si pensi alle somme che la vittima riceva da terzi per benevolenza: un esempio, al riguardo, può trarsi dalla risalente Cass., 27.2.1957, n. 701, contenente la statuizione circa l’impossibilità di detrarre dal danno risarcibile la somma raccolta da alcuni concittadini in favore del danneggiato.
6 Con riguardo alle erogazioni previdenziali v., ad es.: Cass., 27.7.2001, n. 10291, in tema di indennità di accompagnamento; Cass., 11.2.2009, n. 3357, in tema di pensione di reversibilità; Cass., 18.11.1997, n. 11440, in tema di pensione di invalidità civile. Con riguardo agli indennizzi assicurativi v., ad es., Cass., 15.4.1993, n. 4475.
7 L’indirizzo tradizionale era stato confermato da Cass., 10.3.2014, n. 5504 e Cass., 30.9.2014, n. 20548. Tra queste decisioni si erano peraltro interposte due pronunce (Cass., 11.6.2014, n. 13233 e Cass., 13.6.2014, n. 13537), che avevano affermato la detraibilità dal risarcimento degli indennizzi pagati dall’assicuratore privato contro gli infortuni e della pensione di reversibilità erogata dagli enti previdenziali.
8 Il contrasto in ordine alla detraibilità o meno delle prestazioni erogate dall’assicuratore sociale o dall’ente previdenziale dall’ammontare del risarcimento del danno da morte liquidato ai superstiti, era stato portato all’attenzione delle Sezioni Unite da Cass., ord. 5.3.2015, n. 4447, ma Cass., S.U., 30.06.2016, n. 13372, in Foro it., 2016, I, 2711, aveva ritenuto che la questione difettasse di immediata rilevanza nel caso concreto.
9 Cass., ord. 22.6.2017, n. 15534.
10 Cass., ord. 22.6.2017, n. 15535.
11 Cass., ord. 22.6.2017, n. 15536.
12 Cass., ord. 22.6.2017, n. 15537.
13 Cons. St., ord. 6.6.2017, n. 2719.
14 In particolare, le ordinanze nn. 15536 e 15537.
15 L’argomento è sviluppato in tutte le ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite. Nella medesima prospettiva si pone l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria, la quale osserva che «laddove il danno sia anche elemento costitutivo di una fattispecie, di fonte normativa o negoziale, costitutiva di una provvidenza a favore del danneggiato, non può essere negato che … siffatta provvidenza sia un effetto giuridico immediato e diretto della condotta che quel danno ha provocato».
16 Con particolare riguardo agli indennizzi pagati dagli assicuratori privati in forza di un contratto di assicurazione contro i danni, le ordinanze nn. 15534 e 15535 affermano inoltre che il cumulo tra indennizzo e risarcimento non potrebbe ammettersi neppure invocando la circostanza che il diritto al beneficio trova la sua fonte in un contratto a prestazioni corrispettive, talché la corresponsione dell’indennizzo da parte dell’assicuratore, al verificarsi dell’evento dannoso, dovrebbe seguire necessariamente al pagamento dei premi da parte dell’assicurato. Per un verso, infatti, dovrebbe ritenersi che il rapporto sinallagmatico non si instaura tra il pagamento dei premi e il pagamento dell’indennizzo, ma tra il primo e il trasferimento del rischio; per altro verso, l’operatività del cumulo comporterebbe l’indebita trasformazione dell’assicurazione in una scommessa perché consentirebbe all’assicurato, con il pagamento del premio, di puntare una somma per conseguire una remunerazione complessiva superiore al danno subìto.
17 In senso diverso, v., peraltro, Monateri, P.G., Gli usi e la ratio della dottrina della compensatio lucri cum damno.È possibile trovarne un senso?, in Quadrimestre, 1990, fasc. 2, 379.
18 Cass., S.U., 5.7.2017, n. 16601. In argomento v. Pardolesi, R., op. cit., 2259.
19 In tema v. Giusti, G., op. cit., 193. Va anche rilevato che, con riguardo all’assicurazione sulla vita, la dottrina (Trimarchi, P., La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2017, 603 ss.) ha affermato la necessità del cumulo tra risarcimento e indennità, argomentando dalla natura di quest’ultima quale «contropartita di premi pagati dall’assicurato per un investimento cautelare contro i casi della vita», con ciò presupponendo, in contrasto con le ordinanze di rimessione, l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra il pagamento del premio e la corresponsione dell’indennizzo.