La conferenza di servizi
La nuova disciplina della conferenza di servizi si propone di semplificarne i meccanismi decisionali, rendendo tale modulo procedimentale funzionale ai principi di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa. In tale mutato quadro normativo è di particolare rilievo la innovativa disciplina della gestione dei dissensi qualificati.
La conferenza di servizi è un istituto alla continua ricerca di una stabilità normativa. Sono, infatti, innumerevoli le modifiche apportate alla sua originaria disciplina contenuta negli artt. 14 e ss. della l. 7.8.1990, n. 241. In meno di due anni si sono registrate due importanti novelle: quella del decreto “Sblocca Italia” (l’art. 25, del d.l. 12.9.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.11.2014, n. 164), superata dal d.lgs. 30.6.2016, n. 127 che, in attuazione della legge di delega 7.8.2015 n. 124, modifica radicalmente il capo della l. n. 241/1990 dedicato alla conferenza di servizi1.
La conferenza di servizi ha rappresentato una autentica rivoluzione nel modo di concepire l’azione della pubblica amministrazione2 configurandosi come simbolo della modificazione dei consueti paradigmi del diritto amministrativo3. Tale istituto ha profondamente innovato le modalità attraverso le quali le pubbliche amministrazioni determinano la loro volontà provvedimentale alterando la tradizionale regola dell’esercizio dei poteri discrezionali e ha, inoltre, avuto come obiettivo quello di adeguare la funzionalità dell’amministrazione alla “sfida della complessità”4, con l’evidente scopo di snellire i tempi del procedimento5.
Ma proprio tali innovative caratteristiche sono state causa della vita travagliata della conferenza di servizi6.
Infatti, si è dimostrato difficoltoso prevedere efficaci meccanismi di coordinamento e composizione delle posizioni delle pubbliche amministrazioni coinvolte nei complessi procedimenti amministrativi in conferenza di servizi. Da ciò sono derivate incertezze normative in relazione alla individuazione delle modalità per la conclusione della conferenza e per il superamento dei dissensi espressi dalle amministrazioni interessate.
I continui innesti normativi, nel creare una disciplina sovrabbondante dell’istituto, stanno trasformando quello che doveva essere il paradigma di un nuovo modo di concepire i rapporti tra i pubblici poteri in chiave di semplificazione e coordinamento tra interessi in esempio di “complicazione”.
Per porre un rimedio a tale situazione, la riforma di cui al d.lgs. n.127/2016 si pone come obiettivo quello di semplificare l’iter procedimentale della conferenza di servizi per recuperare la ratio originaria dell’istituto.
La nuova disciplina prevede significative innovazioni quali la conferenza di servizi semplificata (o asincrona); la previsione generale del silenzio assenso e la riduzione dei termini procedimentali; il rappresentante unico per le amministrazioni; una nuova disciplina per la gestione dei dissensi qualificati; la necessarietà della conclusione del procedimento.
Le citate innovazioni pongono alcuni delicati problemi.
Innanzitutto, occorre rilevare che la conferenza di servizi semplificata o asincrona, non può qualificarsi come conferenza di servizi7. Questa si caratterizza per essere un modulo procedimentale ove i molteplici interessi coinvolti in un procedimento amministrativo complesso, vengono ponderati in un unico contesto temporale. Tale contestuale ponderazione ha il duplice scopo di semplificare l’azione amministrativa e di coordinare le decisioni.
La conferenza semplificata non possiede le caratteristiche sopra individuate. Infatti, il nuovo art. 14 bis della l. n. 241/1990 prevede che l’amministrazione procedente comunichi alle amministrazioni coinvolte l’avvio del procedimento e il termine entro il quale queste ultime devono adottare i provvedimenti di competenza, anche attraverso il meccanismo semplificatorio del silenzio assenso.
Non vi è, quindi, alcuna ponderazione contestuale di interessi, si tratta di un procedimento “a navetta” semplificato e condotto con modalità telematiche.
Tale tipologia di conferenza di servizi, secondo l’art. 14 bis, è quella da utilizzare in via ordinaria mentre la conferenza “simultanea”, ossia la vera conferenza di servizi, può venire in rilievo nelle ipotesi di determinazioni particolarmente complesse da adottare (art. 14, co. 7).
Il secondo problema riguarda l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso e il coordinamento con l’art. 17 bis della l. n. 241/1990. Tale problema è particolarmente delicato allorché si tratti di amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili.
La riforma, confermando la precedente soluzione legislativa, prevede l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso sia nella ipotesi di conferenza semplificata (art. 14 bis, co. 4) sia nella fattispecie di conferenza simultanea (art. 14 ter, co. 7).
In particolare, è previsto che la conferenza di servizi possa procedere comunque anche attraverso la sola acquisizione dell’assenso delle amministrazioni coinvolte, comprese quelle preposte alla tutela di interessi sensibili il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata. Quindi, la mancata comunicazione della determinazione entro il termine previsto per la conclusione della conferenza equivale ad assenso senza condizioni8. Il silenzio assenso non si applica nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedono l’adozione di provvedimenti espressi9.
Senza ulteriori specificazioni le nuove norme si riferiscono a tutte le amministrazioni partecipanti alla conferenza e, quindi, anche a quelle che curano interessi sensibili.
Il tema del silenzio assenso delle amministrazioni portatrici di interessi sensibili in conferenza di servizi si intreccia con quello più generale delle eccezioni al silenzio assenso generalizzato di cui all’art. 20, co. 4, della l. n. 241/1990 in rapporto all’ambito di applicazione dell’art. 17 bis della medesima legge.
L’art. 20 della l. n. 241/1990 prevede una eccezione all’applicazione del silenzio per gli atti e i procedimenti riguardanti i cd. interessi sensibili. L’art. 17 bis, al contrario, prevede la generalizzata acquisizione degli atti di assenso delle amministrazioni preposte alla cura di tali interessi. Per quest’ultima disposizione, la protezione dell’interesse sensibile consiste esclusivamente nell’allungamento dei tempi di formazione del silenzio (novanta giorni).
Parte della dottrina, rilevando l’incongruità dell’art. 17 bis citato con l’art. 20 della l. n. 241/1990, ha criticato tale innovazione definendola «una vera e propria fuga in avanti in quella che si potrebbe definire la “guerra di logoramento” degli interessi sensibili che vengono sempre più parificati a quelli ordinari»10 e ha ritenuto la norma non coerente con la giurisprudenza comunitaria e nazionale che ha negato l’applicabilità dell’istituto allorché vengano in rilievo interessi sensibili11.
Pur essendo il silenzio assenso un fatto inerziale a cui la legge attribuisce un valore legale tipico, rappresentando, quindi, una «deviazione dalle linee maestre del sistema di produzione giuridica del diritto amministrativo»12, esso non è di per sé incompatibile con la realizzazione di una adeguata ponderazione degli interessi sensibili. Il meccanismo semplificatorio non è strumento per aggirare una corretta istruttoria che, anzi, viene favorita dalla circostanza che per gli interessi sensibili il legislatore abbia previsto un termine più lungo per la maturazione del silenzio assenso. Infatti, l’art. 17 bis prevede che la formazione del silenzio assenso si produca decorso il termine di novanta giorni. Da ciò si può affermare che gli interessi sensibili ricevano una adeguata protezione anche nel caso del silenzio assenso.
Lo stesso ragionamento si può effettuare con riferimento alla acquisizione degli atti di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili in conferenza di servizi.
La circostanza che sia previsto il silenzio assenso per gli interessi sensibili non deve portare alla conclusione di una loro sottovalutazione: infatti, in coerenza con quanto previsto dall’art. 17 bis, la riforma prevede un allungamento dei termini di conclusione del procedimento a novanta giorni allorché vengano in rilievo amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali
o alla tutela della salute dei cittadini. L’allungamento dei termini di conclusione del procedimento riguarda, chiaramente, i tempi delle decisioni delle singole pubbliche amministrazioni anche attraverso il silenzio assenso e ciò avviene sia per la conferenza semplificata sia per quella “ordinaria”.
Tale opzione normativa rispetta l’esigenza di un accurato coordinamento con quanto previsto dall’art. 17 bis della l. n. 241/1990. Il problema del rapporto fra le citate ipotesi di silenzio assenso si può porre in riferimento ad altri aspetti. Infatti, il Consiglio di Stato, nel parere della Commissione speciale 7.4.2016, n. 890, avente a oggetto lo schema di decreto legislativo di riforma13, aveva rilevato che si fosse dovuto valutare la necessarietà di indire una conferenza di servizi laddove si sarebbe potuto agire applicando il meccanismo di cui all’art. 17 bis. Ma la riforma prevede l’obbligatorietà della indizione della conferenza di servizi14. Da ciò deriva che l’art. 17 bis e la conferenza di servizi hanno differenti ambiti applicativi. Il 17 bis dovrebbe applicarsi a procedimenti molto semplici in cui sono coinvolte al massimo due amministrazioni (quella procedente e quella che deve esprimere il proprio atto di assenso) mentre la conferenza di servizi verrebbe in rilievo nelle ipotesi in cui gli assensi da acquisire siano riferibili a più pubbliche amministrazioni. Solo in questo modo possono coerentemente convivere le due ipotesi di silenzio assenso. Quindi, l’osservazione del Consiglio di Stato, pienamente condivisibile nell’intento, avrebbe colto effettivamente nel segno solo se la riforma avesse previsto la facoltatività della indizione della conferenza decisoria. In questo caso, infatti, sarebbe stata rimessa alla discrezionalità della amministrazione l’utilizzazione del silenzio assenso ex art. 17 bis o l’indizione della conferenza di servizi, opzione non consentita dalla nuova normativa.
Ulteriore innovazione riguarda le modalità di rappresentanza delle amministrazioni statali. Infatti, l’art. 14 ter prevede che ove alla conferenza partecipino anche amministrazioni non statali, le amministrazioni statali siano rappresentate da un unico soggetto abilitato a esprimere definitivamente, in modo univoco e vincolante, la posizione di tutte le predette amministrazioni. Il rappresentante è nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, ove si tratti soltanto di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Tale norma è funzionale all’obiettivo della semplificazione dei meccanismi decisionali in sede di conferenza di servizi.
La previsione di un rappresentante unico, però, pone delicati problemi con particolare riferimento alla tutela degli interessi sensibili. L’art. 14 ter, co. 4, che disciplina l’ipotesi del rappresentante unico, chiarisce che le amministrazioni portatrici di interessi sensibili, prima della conclusione dei lavori della conferenza possono esprimere al rappresentante unico il proprio dissenso al fine di poter proporre i rimedi previsti nell’art. 14 quinquies.
In caso di dissenso, espresso immediatamente da parte di queste amministrazioni, il rappresentante unico dovrà rappresentare anche gli interessi di tali soggetti senza che questi ultimi siano impeditivi della conclusione del procedimento avviato con la conferenza di servizi.
Ne consegue che la norma coglierebbe l’obiettivo della semplificazione e celerità solo nelle ipotesi in cui vi sia il pieno consenso anche delle amministrazioni portatrici di interessi sensibili.
È ragionevole pensare che, opportunamente, si debba verificare preventivamente l’assenza da parte di tutte le amministrazioni di eventuali dissensi per consentire la nomina del rappresentante unico o se ciò non sia possibile, perché il rappresentante sia stato preventivamente nominato, che sia egli stesso a sentire le amministrazioni dissenzienti per avere una posizione univoca. Per funzionare il meccanismo previsto dalla riforma è auspicabile che il rappresentante unico intervenga in conferenza con la soluzione già acquisita di tutti i possibili dissensi. Ove ciò non sia possibile, il rappresentante unico dovrà, tra l’altro, indicare in sede di conferenza di servizi il dissenso motivato delle amministrazioni portatrici degli interessi sensibili, oltre che la posizione univoca delle altre amministrazioni.
La conferenza di servizi dovrà concludersi in ogni caso con una determinazione motivata ai sensi dell’art. 14 quater. Ove il cd. interesse sensibile prospettato abbia una soluzione positiva, la determinazione è presa all’unanimità e avrà immediata efficacia. Altrimenti, si applicheranno le disposizioni dell’art. 14 quinquies.
Uno dei problemi principali della conferenza di servizi è quello relativo alla ponderazione degli interessi cd. sensibili con gli altri interessi coinvolti in procedimenti complessi.
Il problema della valutazione degli interessi sensibili e della loro resistenza è di estrema delicatezza e complessità. Spesso tali interessi (fra i quali si possono annoverare quello all’ambiente e alla salute) si confrontano o, meglio si scontrano, con altrettanti interessi costituzionalmente protetti come quello al lavoro e alla libertà di iniziativa economica. L’esasperazione di tale scontro può essere potenzialmente dannosa per lo sviluppo economico e, certamente, non porta a una semplificazione dell’azione amministrativa. Si pensi alla protezione dell’ambiente: è chiaro che lo sviluppo economico di una società non può più prescindere da una visione attenta alla protezione ambientale e ciò anche a salvaguardia delle generazioni future. Per questo sono di fondamentale importanza i principi dello sviluppo sostenibile, della prevenzione e della precauzione.
È anche vero, però, che i citati principi non possono essere gli unici a informare l’azione dell’amministrazione, altrimenti ragionando si arriverebbe a uno sterile blocco di iniziative produttive spesso strategiche per il Paese in termini sociali e di sviluppo economico.
Il punto di equilibrio rispetto alla ponderazione dei citati interessi è stato ben individuato dalla Corte costituzionale con decisioni particolarmente rilevanti come quella resa sul caso Ilva15.
In quel caso, la Corte ha affermato che ogni decisione sia legislativa sia amministrativa deve realizzare un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, come quello alla salute (art. 32 Cost.) da cui deriva il diritto all’ambiente salubre e quello al lavoro (art. 4 Cost.), l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso. La precisazione più rilevante del giudice delle leggi è che tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate e in potenziale conflitto tra loro e se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Pertanto, la qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Da ciò deriva che il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato dal legislatore nella statuizione delle norme e dalla pubblica amministrazione nell’attuazione delle stesse secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale.
Nella sostanza, gli interessi sensibili come quello all’ambiente o alla salute non si devono considerare resistenti in assoluto rispetto ad altre valutazioni che hanno alla base ulteriori interessi costituzionalmente protetti.
Tale problema in seno alla conferenza di servizi ha trovato una adeguata soluzione nella gestione “politica” dei dissensi qualificati. Infatti, il precedente sistema era fondato sulla deliberazione del Consiglio dei ministri.
La riforma, però, modifica radicalmente tale procedimento e si dovrà valutare attentamente se le nuove modalità di gestione dei dissensi qualificati saranno funzionali alla individuazione della loro migliore composizione.
In precedenza, la norma di cui all’art. 25 della l. n. 164/2014, modificando la l. n. 241/1990, aveva esplicitato la natura di atto di alta amministrazione della deliberazione del Consiglio dei ministri a cui l’amministrazione procedente rimetteva la decisione conclusiva nei casi di dissenso qualificato.
La circostanza che la decisione finale fosse adottata a livello politico ha destato non poche perplessità poiché il dissenso spesso è fondato su dati di fatto e su valutazioni tecniche di norma non cedevoli di fronte a considerazioni di indole politica. Ma, come ha notato un’autorevole dottrina, in questi casi si è di fronte a ipotesi in cui la politica deve assumersi le proprie responsabilità con riferimento a questioni che riguardano interessi sensibili16.
La qualificazione dell’atto come di alta amministrazione non ha però mai comportato una retrocessione degli oneri motivazionali di tali delibere e, quindi, un pericolo di minore ponderazione in relazione alla tutela di interessi di primaria rilevanza costituzionale. La giurisprudenza ha precisato che le delibere del Consiglio dei ministri, sostitutive dei provvedimenti delle conferenze di servizi, devono essere adeguatamente e congruamente motivate tenendo conto delle ragioni specifiche per cui gli elementi del giudizio di compatibilità assunti dall’amministrazione dissenziente vanno, in quel concreto caso, diversamente valutati. Tale valutazione non può disapplicare i parametri del giudizio tecnico, e, quindi, prescindere da essi anche se, comunque, non si esaurisce in un giudizio tecnico17.
L’avere qualificato l’atto come di alta amministrazione non aveva inciso sulla sostanza della delibera del Consiglio né sulla tutela nei suoi confronti che non è stata in alcun modo limitata.
L’assetto previgente, però, è mutato radicalmente con il decreto legislativo di riforma. Se, precedentemente, la manifestazione del dissenso qualificato in conferenza di servizi provocava la modifica del livello del confronto degli interessi e faceva cessare il titolo dell’amministrazione procedente a trattare il procedimento, dovendo essere rimessa la questione alla deliberazione del Consiglio dei ministri, già la legge di delega aveva imposto di ridefinire tale meccanismo prevedendo, innanzitutto, che in qualunque caso la conferenza dovesse pervenire a una decisione.
Tale principio è stato attuato con l’art. 14 quinquies. La decisione della conferenza è immediatamente esecutiva nell’ipotesi di dissenso di amministrazioni non preposte alla tutela di interessi sensibili (la determinazione finale della conferenza viene adottata sulla base del principio della prevalenza), mentre nell’ipotesi di dissenso qualificato la decisione viene comunque adottata, ma ne sono sospesi gli effetti per il periodo utile all’esperimento dei rimedi previsti per la risoluzione di tale conflitto.
Tale soluzione evita ulteriori dibattiti in relazione alla natura di atto di alta amministrazione della delibera del Consiglio dei ministri, riportando la decisione finale nei limiti della disciplina della “ordinaria” attività amministrativa discrezionale.
In chiave semplificatoria, la fase di risoluzione del conflitto assume una natura meramente eventuale: le amministrazioni dissenzienti, preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, entro dieci giorni dalla comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza devono decidere se proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri. L’atto di opposizione può essere proposto solo se le amministrazioni abbiano espresso in modo inequivoco il motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza, anche comunicandolo al rappresentante unico. Chiaramente, non rientra in questa fattispecie l’essersi formato il silenzio assenso. Non è ammissibile, invece, che una amministrazione esprima un parere negativo o un dissenso postumo o proponga opposizione al di fuori del termine previsto per legge.
A seguito della proposizione dell’opposizione, le amministrazioni coinvolte nel procedimento si riuniscono presso la Presidenza del Consiglio e i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per l’individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la determinazione motivata di conclusione della conferenza con i medesimi effetti. Nell’ipotesi di dissenso da parte delle amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e Bolzano e l’intesa non venga raggiunta può essere indetta una seconda riunione. Se viene raggiunta un’intesa tra le amministrazioni partecipanti, l’amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza. Nel caso contrario, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, il quale può respingere l’opposizione e, quindi, la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce definitivamente efficacia o può accogliere parzialmente l’opposizione, modificando il contenuto delle determinazioni della conferenza di servizi anche sulla base delle riunioni svolte in precedenza.
Tale innovativo meccanismo sembra, comunque, consentire una accurata valutazione delle ragioni del dissenso evidenziate da amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili e al tempo stesso rappresenta una soluzione che potrebbe comportare una semplificazione delle decisioni. Infatti, il rimedio oppositivo, eventuale e successivo, potrebbe consentire di semplificare l’attività in quantointerviene a deliberazione già acquisita. È, quindi, da salutare con favore tale innovazione, anche se possono venire in rilievo alcuni dubbi sulla funzionalità e sull’ambito applicativo della procedura.
Innanzitutto, sulla funzionalità si osserva che sarebbe veramente difficile da parte della pubblica amministrazione preposta alla tutela di interessi sensibili che abbia dissentito in conferenza di servizi non proporre l’opposizione alla decisione con nuove e motivate valutazioni dell’interesse in questione giustificanti la mancata proposizione del rimedio. Il dissenso si era espresso sulla soluzione che la conferenza intendeva adottare per cui, una volta emanato il provvedimento da parte della conferenza di servizi, l’opposizione si configura, rebus sic stantibus, come atto dovuto da parte dell’amministrazione dissenziente, anche ai fini di responsabilità individuali. Ciò, però, sconfesserebbe la ratio della soluzione adottata che si fonda sulla semplificazione e sulla celerità del procedimento.
Alla riunione parteciperà, ove nominato, il rappresentante unico e l’amministrazione o le amministrazioni che hanno formulato il dissenso e hanno proposto opposizione. In tale riunione si potrà giungere a una soluzione condivisa che sostituisca la determinazione motivata della conferenza e che avrà i medesimi effetti. Ove ciò non sia possibile, la delibera del Consiglio dei ministri viene in rilievo esclusivamente per respingere l’atto di opposizione o per accoglierla parzialmente, consentendo modifiche alle decisioni adottate in seno alla conferenza mentre, a seguito dell’accoglimento dell’opposizione, non sembra che sia previsto alcun pronunciamento dell’organo politico sulla determinazione dell’amministrazione procedente.
Infatti, non è prevista quale determinazione dovrà assumere l’amministrazione procedente in attuazione dell’accoglimento della opposizione.
Probabilmente, si è voluta lasciare alla discrezionalità dell’amministrazione procedente la valutazione degli effetti sostanziali della delibera di accoglimento di opposizione, tenuto conto della motivazione nella stessa adottata, al fine della prosecuzione o meno dell’attività amministrativa per l’esercizio dell’interesse pubblico che l’amministrazione procedente voleva perseguire, in coerenza con l’interesse sensibile ritenuto meritevole di considerazione con l’accoglimento del ricorso.
Proprio l’attuazione pratica del modello procedimentale proposto, quindi, potrebbe finire per complicare ulteriormente la vicenda tenendo presente tutte le inevitabili conseguenze legate al richiamo a una particolare tipologia di ricorsi amministrativi.
Vengono in rilievo alcuni aspetti problematici relativi alla tutela nei confronti delle delibere adottate dal Consiglio dei ministri che possono richiamare il dibattito circa la possibilità di impugnazione dell’atto decisorio del ricorso in opposizione anziché del solo atto oggetto del ricorso amministrativo, evidentemente soltanto da parte delle amministrazioni non statali, oltre a quello dei soggetti legittimati a proporre l’impugnazione.
Sono tutte problematiche che saranno evidenziate e valutate con l’attuazione della procedura in esame.
In definitiva, l’intento del legislatore delegato è encomiabile ma è da valutare attentamente il procedimento previsto.
L’innovazione della riforma consiste nell’attenuare il valore della delibera del Consiglio dei ministri come atto di risoluzione del dissenso, mentre in precedenza era il Consiglio dei ministri che si assumeva la responsabilità, anche politica, del bilanciamento degli interessi effettuato in merito alla rilevanza o meno dell’interesse sensibile.
Occorre verificare alla prova dei fatti se tale soluzione sia effettivamente funzionale agli obiettivi che si pone la riforma.
Note
1 Per un esame della nuova disciplina della conferenza di servizi si veda Scotti, E., La nuova disciplina della conferenza di servizi tra semplificazione e pluralismo, in Federalismi.it, 16/2016.
2 Scoca, F.G., Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, 262.
3 Cassese, S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 621.
4 D’Orsogna, D., Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002.
5 Pagliari, G., La conferenza di servizi, in Sandulli, M.A., (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011,
608.
6 Per l’analisi della conferenza di servizi a seguito della approvazione della legge di delega si vedano Scotti, E., La conferenza di servizi, in Romano, A., (a cura di), L’attività amministrativa, Torino, 2015, 458 e ss.; Santini, M., La conferenza di servizi dopo la riforma Madia: questioni di (ulteriori) norme o di cultura?, in Urb. app., 2016, 129.
7 Si concorda con quanto affermato da Scotti, E., La nuova disciplina della conferenza di servizi, cit., la quale rileva che la conferenza di servizi si caratterizza per essere un luogo di confronto e di coordinamento, un’arena pubblica di negoziazione e compromesso, in cui semplificazioni, poteri unilaterali e spostamenti di competenze si giustificano in un percorso di ricomposizione unitaria dell’interesse pubblico concreto, altrimenti impedito nel suo stesso emergere dalla contrapposizione tra interessi pubblici particolari. E da ciò ricava che questi caratteri non si individuano nella conferenza semplificata.
8 Art. 14 ter, co. 7, l. n. 241/1990.
9 Negli ultimi anni l’ordinamento comunitario ha fatto della semplificazione dell’azione amministrativa lo strumento per l’affermazione delle libertà di stabilimento, di cui agli artt. 49 e 56 TFUE. La direttiva “relativa ai servizi nel mercato interno” (2006/1234 CE), ha imposto agli Stati membri l’adozione di principi di semplificazione amministrativa, in particolare mediante la limitazione dell’obbligo di autorizzazione preliminare, ai casi in cui essa è indispensabile e l’introduzione del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine, al fine di ovviare a una delle principali difficoltà incontrate, soprattutto dalle PMI, nell’accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio.
10 De Leonardis, F., Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla legge Madia, in Federalismi, 2015. Sul punto si veda anche Sandulli, M.A., Gli effetti diretti della legge 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in materia di s.c.i.a., silenzio assenso e autotutela, in Federalismi, 2015. Non altrettanto critico è Scalia, F., Il silenzio assenso nelle materie c.d. sensibili alla luce della riforma Madia, in Urb. app., 2016, 11 secondo il quale tale disposizione riporta a coerenza il sistema considerato che, anche in sede di conferenza di servizi, è previsto il meccanismo procedimentale del silenzio assenso.
11 Sul problema del rapporto fra le due norme si vedano Scotti, E., Silenzio assenso tra amministrazioni, in Romano, A., (a cura di), L’azione amministrativa, cit., 566; Aperio Bella, F., Il silenzio assenso fra pubbliche amministrazioni (il nuovo art. 17 bis della l. n. 241/1990), in www.dirittoamministrativo.org (sito AIPDA).
12 Scoca, F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale” successivo all’introduzione del rito speciale sul silenzio da parte della legge 205/2000, in Dir. proc. amm., 2002, 68.
13 In www.giustiziaamministrativa.it.
14 Art. 14, co. 2, l. n. 241/1990. A tal proposito si veda Aperio Bella, F., Il silenzio assenso, cit.
15 C. cost., 9.5.2013, n. 85, in Giur. cost., 2013, 1494.
16 Casetta, E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2012, 525.
17 Cons. Stato, sez. IV, 4.2.2014, n. 505; Cons. Stato, sez. VI, 12.6.2014, n. 2999.