La confisca nel processo penale
Per la confisca penale era ragionevole e fondata l’attesa, viceversa delusa, della delega al Governo per l’adozione delle norme necessarie a dare concreta attuazione alla direttiva comunitaria sul mutuo riconoscimento dell’eurordinanza. Si constata che, ad oggi, il nostro ordinamento sconta l’immobilismo del legislatore: e tuttavia i dettami del «diritto penale» dell’Unione europea e la loro imminente cogenza risultano decisivi sul fronte dell’ermeneutica nazionale per una lettura dell’istituto «comunitariamente» orientata. In tale avvicinamento agli standard europei, vanno letti i più recenti arresti giurisprudenziali relativi alla confisca «per equivalente», alla confisca «estesa», nonché alla precisazione del concetto di «profitto» del reato. Significativi cambiamenti hanno riguardato, poi, la confisca prevista dall’art. 186 del codice della strada. Per tutte le ipotesi esaminate si tratta di fattispecie nelle quali il sequestro è sempre funzionale all’adozione del provvedimento definitivo sicché i due istituti possono essere trattati congiuntamente.
Per l’istituto della confisca penale, a differenza che per quella di prevenzione (in relazione alla quale si rinvia a Udienza di prevenzione, Amministrazione dei beni sequestrati e confiscati), il 2011 non ha registrato innovazioni sconvolgenti se non per l’unico aspetto contemplato dal testo unico della legislazione antimafia (d. lgs. 6.9.2011, n. 159). Ci si attendeva che la legge comunitaria 2010 contenesse la delega al Governo per l’adozione delle norme necessarie a dare concreta attuazione alla direttiva comunitaria sul mutuo riconoscimento dell’eurordinanza. Constatiamo che, ad oggi, il nostro ordinamento sconta l’immobilismo del legislatore. E tuttavia dei dettami del «diritto penale» dell’Unione europea, e della loro imminente cogenza, si deve tenere conto anche al fine di fornire una lettura dell’istituto «comunitariamente» orientata. In tal senso può registrarsi un trend interpretativo della giurisprudenza di legittimità che, in qualche modo, offre una lettura della confisca che più l’avvicina agli standard europei. In tal senso, sul fronte del diritto interno, le pronunzie più recenti e significative hanno avuto ad oggetto la confisca «per equivalente», la confisca «estesa», la precisazione del concetto di «profitto» del reato, tutte orientate a dare massima efficacia, pur nel rispetto del dato formale, a questo prezioso strumento di contrasto della criminalità organizzata e non. E se su alcuni di questi profili si rileva una perdurante divergenza fra la normativa nazionale e gli input che provengono dal diritto penale dell’Unione europea, la ricostruzione sistematica degli snodi interpretativi effettuata dalla Corte di legittimità offre al legislatore spunti precisi per superare eventualmente, in via normativa, l’impasse non risolvibile in via interpretativa. Significativi cambiamenti riguardano invece – come si dirà – la confisca prevista dall’art. 186 del codice della strada. Per tutte le ipotesi esaminate si tratta di fattispecie nelle quali il sequestro è sempre funzionale all’adozione del provvedimento definitivo sicché i due istituti possono essere trattati congiuntamente. Il cd. codice antimafia – vale a dire il d.lgs. 6.9.2011, n. 159 attuativo della l. 13.8.2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia) – non si occupa dell’istituto della confisca penale se non per ribadire, all’art. 39, l’autonomia dell’azione di prevenzione patrimoniale rispetto all’esercizio dell’azione penale e per stabilire all’art. 40 – innovando radicalmente sul punto rispetto a quanto fino ad ora stabilito dall’art. 2 ter, co. 9, l. 31.5.1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) – la prevalenza del sequestro di prevenzione rispetto a quello penale. In particolare, è previsto che nel caso di sequestro di prevenzione successivo al sequestro penale prevalga la nomina dell’amministratore giudiziario effettuata dal tribunale di prevenzione, ove non coincidente con quella disposta dal giudice penale; che il predetto amministratore trasmetta le relazioni sull’amministrazione anche al giudice penale previa autorizzazione del tribunale di prevenzione; che se la confisca di prevenzione intervenga prima della sentenza irrevocabile di condanna e confisca, la gestione dei beni avvenga secondo le disposizioni vigenti in materia di prevenzione, limitandosi il giudice penale a dichiarare l’intervenuta esecuzione della confisca; che, se la sentenza irrevocabile di condanna e confisca dei beni intervenga prima della confisca di prevenzione definitiva, il tribunale di prevenzione si limiti a dichiarare già eseguita la confisca in sede penale e che analogamente si provveda se il sequestro penale intervenga successivamente al sequestro di prevenzione. Al di là di alcuni interventi di coordinamento (sarebbe stato opportuno, ad esempio, prevedere che il giudice penale, intervenendo successivamente al tribunale di prevenzione, fosse tenuto a confermare la nomina dell’amministratore giudiziario effettuata dal collegio di prevenzione), la normativa è ispirata dalla condivisibile considerazione che sia opportuno, data le peculiarità connesse alla gestione dei beni in sequestro, privilegiare le competenze specifiche di un organo tecnico (tribunale per le misure di prevenzione e giudice delegato) in grado di assicurare, tra l’altro, continuità nelle direttive di gestione, laddove il procedimento penale vedrebbe mutare il giudice competente a ogni fase del procedimento.
Il non rinviabile confronto con la normativa europea muove dagli artt. 258 e 260 del nuovo Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in base ai quali, dall’1.12.2014, gli Stati membri dell’Unione europea avranno l’obbligo di adeguare il loro ordinamento interno a quanto previsto nelle decisioni quadro adottate prima di tale data: dunque, anche in tema di cooperazione giudiziaria e di armonizzazione delle legislazioni penali statali (cd. terzo pilastro). L’obiettivo della decisione quadro è quello di realizzare in modo uniforme sul territorio europeo un contrasto efficace alla formazione dei profitti economici della criminalità organizzata attraverso l’esecuzione immediata delle decisioni di confisca, conformemente alle norme interne e senza ulteriori formalità. Ciò al fine di non consentire, in ambito europeo, zone franche di legislazione meno stringente ed efficace, tali da costituire un polo attrattivo per gli investimenti della criminalità organizzata e non. Della confisca penale si occupano la decisione quadro 2005/212/GAI del 24.2.2005 e la decisione quadro 2006/783/GAI del 6.10.2006. La prima disciplina gli «elementi minimi» della confisca, ferma l’autonomia di ciascuno Stato in ordine ai confini della tutela reale; la seconda regola, sulla base del principio del mutuo riconoscimento, l’emissione e l’esecuzione dell’eurordinanza. Secondo quanto previsto dalla decisione quadro 2005/212/GAI (artt. 2 e 3), il mutuo riconoscimento si applica a provvedimenti definitivi (sono escluse le misure strumentali alla confisca, come il sequestro), emanati da un’autorità giudiziaria, in esito a un procedimento penale e all’accertamento di un reato, cosicché sembrerebbe esclusa la confisca di prevenzione. Il mutuo riconoscimento si applica alle decisioni di confisca dello strumento, del prodotto o del profitto del reato, alla confisca per equivalente, alla confisca del patrimonio di provenienza non giustificata, alla confisca di beni acquisiti da terzi che abbiano relazioni qualificate con il condannato, alla confisca di beni appartenenti a persone giuridiche. Per alcune di queste ipotesi, la cooperazione è obbligatoria, nel senso che ciascuno Stato membro è tenuto a riconoscere e ad eseguire i provvedimenti emessi da un altro Stato membro, tranne che non ricorra uno dei motivi di rifiuto previsti dagli artt. 8 e 10 della decisione quadro 2006/783/GAI. È il caso della confisca dello strumento, del prodotto e del profitto del reato, obbligo che trae legittimazione dal fatto che la confisca riguarda cose avvinte da legame eziologico diretto con il reato commesso. Al riguardo, si rammenta che la nostra Corte di legittimità ha incluso nella categoria di «profitto» non solo il denaro o i beni direttamente conseguiti per effetto del reato ma anche il profitto indiretto inteso come beni o utilità acquistati o realizzati con denaro illecitamente percepito, conseguenza indiretta e mediata dell’attività criminosa1. La decisione quadro del 2006 equipara alla confisca diretta, quanto a regime obbligatorio di cooperazione, la confisca per equivalente. Per il sistema italiano il dato è occasione forzata di riflessione su un istituto che nel diritto interno non ha natura generale ma speciale, se pur sempre più diffusa. Si parla di riflessione forzata perché le differenze fra ordinamento giuridico dell’Unione e diritto interno degli Stati sono irrilevanti ai fini della cooperazione2. Al fine di non indebolire il sistema del mutuo riconoscimento e l’effettività della «collaborazione anticrimine»3 l’obbligo di eseguire la confisca di valore sussiste anche quando il provvedimento non è contemplato dallo Stato membro di esecuzione in un caso analogo nazionale. Il mutuo riconoscimento interessa anche la cd. confisca «estesa» di cui si occupa l’art. 3, § 2, della decisione quadro 2005/212/GAI. Questa tipologia di confisca riguarda, nella definizione datane dal diritto penale europeo, i proventi di (altre) attività criminose commesse prima della condanna ed i beni di valore sproporzionato al reddito del condannato. Il mutuo riconoscimento riguarda in questi casi beni dei quali non è dimostrato il nesso di pertinenza causale e temporale con il commesso reato, analogamente a quanto accade nel nostro ordinamento con la confisca ex art. 12 sexies l. 7.8.1992, n. 356. In questo caso, però, il mutuo riconoscimento incontra due limiti: riguarda solo alcuni reati caratterizzati da peculiare offensività transnazionale e oggetto di misure di armonizzazione dell’UE (tra i quali, falsificazione dell’euro, tratta di esseri umani, traffico di stupefacenti, pedopornografia, terrorismo); il giudice deve avere accertato, attraverso «fatti circostanziati », che il bene da confiscare, pur non direttamente collegato al reato per il quale la persona è stata condannata, è in ogni caso il provento di (altri) reati commessi dalla stessa persona (art. 3, § 2, lett. a, b, e c, decisione quadro 2005/212/GAI ed art. 2, § 1, lett. d, iii, decisione quadro 2006/783/GAI). In questa ipotesi, la confisca estesa prevista dal diritto europeo ha un ambito di applicazione più ristretto rispetto alla legislazione interna, ove è completamente dissolto il collegamento tra la cosa e il reato, sostituito dal nesso tra il patrimonio non giustificato e la persona nei cui confronti è stata pronunziata condanna o disposta l’applicazione della pena. La decisione quadro obbliga gli Stati membri a eseguire la confisca estesa nei soli limiti eventualmente previsti dal diritto interno in un caso analogo nazionale (art. 8, § 3, decisione quadro 2006/783/GAI). Sono poi facoltativi il riconoscimento e l’esecuzione da parte degli Stati membri della confisca dei beni acquisiti da terzi che abbiano relazioni qualificate con il condannato (coniuge, convivente, eredi) o dei beni acquisiti da persona giuridica sulla quale il condannato eserciti un controllo o dalla quale riceva una parte rilevante del reddito. Lo Stato membro, infatti, può rifiutarsi di dare esecuzione alla decisione di confisca prevista dalla legislazione dello Stato di emissione ma non ammissibile secondo lo Stato di esecuzione (art. 2, lett. d, iv, decisione quadro 2006/783/GAI). In ultimo, è invece obbligatoria l’esecuzione dell’eurordinanza di confisca nei confronti di enti e persone giuridiche anche per quegli Stati ove vige ancora la regola societas delinquere non potest ma, non modificando il mutuo riconoscimento le fattispecie sostanziali previste dagli ordinamenti giuridici nazionali, sarà il diritto interno a stabilire in quali casi e in quali limiti l’ordine europeo potrà essere eseguito nei confronti delle persone giuridiche. Nel caso dell’ordinamento italiano, la confisca può essere disposta (e richiesta), in via sussidiaria anche per equivalente, nel caso di illeciti amministrativi contestati alla persona giuridica e dipendenti da uno dei reati previsti dal d.l. 8.6.2001, n. 231 qualora il profitto da confiscare (nell’ampia accezione configurata dalla Corte di legittimità) sia causalmente ricollegabile al reato. Fin qui la normativa europea. Il motivo per il quale essa fa da necessario sfondo all’attualità più recente è che il 7.9.2010 è scaduto il termine − previsto dall’art. 50 l. 7.7.2009, n. 88 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008) − per l’emanazione del decreto legislativo di attuazione della decisione quadro 2006/783/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. Ci si attendeva che il disegno di legge comunitaria per il 20104 contenesse le disposizioni che avrebbero consentito alle autorità giudiziarie italiane di avvalersi di questo prezioso strumento di cooperazione giudiziaria, ma, nonostante un’interpellanza parlamentare5 e una proposta di legge6, nulla si riviene nel d.d.l. licenziato dalla Camera dei deputati il 26.7.2011. Tra l’altro, nella proposta di legge Garavini è previsto, per quanto attiene ai casi di confisca di somme di denaro (art. 16, Destinazione dei beni confiscati), che lo Stato membro, sul cui territorio la confisca è stata eseguita, debba trasferire allo Stato che ha adottato la decisione di confisca il 50% degli importi superiori a 10.000 euro. Qualora invece la confisca abbia avuto per oggetto un bene diverso dal denaro, lo Stato di esecuzione potrebbe decidere se procedere alla sua vendita distribuendone i proventi o al suo trasferimento nello Stato di emissione, salvo che si sia trattato di beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale. Ben si comprende che poter applicare in Italia norme già attive in diversi paesi europei, oltre a consentire passi decisivi nel contrasto internazionale alla criminalità organizzata (si pensi ai provvedimenti italiani di confisca di molti beni dislocati in Germania, Spagna, Francia), garantirebbe allo Stato italiano considerevoli introiti. Il disegno di legge comunitaria 2010 (d.d.l. n. 2322), dopo il passaggio alla Camera con modifiche, è stato trasmesso al Presidente del Senato. Al momento, perdura incomprensibilmente l’inadempimento del nostro Parlamento, a cagione del quale l’ordinamento italiano, nel cui ambito l’attività di contrasto alla criminalità organizzata ha un rilievo precipuo, non può ancora avvalersi di un efficace strumento di potenziamento della lotta contro le basi economiche del crimine organizzato e il finanziamento del terrorismo internazionale.
2.1 La confisca penale nel diritto interno: confisca «per equivalente»; nozione di «profitto»; confisca «estesa»
La confisca «per equivalente»7 è strumento massimamente valorizzato dalla normativa europea. Essa è diretta a superare gli ostacoli alla individuazione dei beni in cui si incorpora il profitto iniziale ed a superare i limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego, per il caso in cui, per qualsiasi ragione, i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato non siano aggredibili. In virtù di tale presupposto, la confisca per equivalente – e così il sequestro preventivo funzionale alla stessa – può riguardare (differenziandosi, in tal senso, radicalmente dall’istituto di cui all’art. 240 c.p. che ha ad oggetto solo cose direttamente riferibili al reato) beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato8. Al momento il nostro ordinamento conosce variegate tipologie di confisca per equivalente, previste sia dal codice penale che da norme speciali e per le quali è fortemente auspicata una disciplina coordinata e sistematica. Sull’argomento le pronunzie più recenti e significative, in termini di ricostruzione sistematica dell’istituto, si collocano, temporalmente, tra la fine del 2010 ed i primi mesi del 2011. In particolare, la vicenda giurisprudenziale che merita di essere segnalata riguarda innanzitutto le nozioni di «prezzo» e «profitto » del reato in quanto incidenti sull’istituto in esame: vale a dire la problematica ermeneutica dell’art. 322 ter c.p. Sul tema la Corte di legittimità, ha intrapreso un percorso ermeneutico complesso e delicato, nella prospettiva di un difficile equilibrio interpretativo tra il dato letterale della norma e la necessità di garantire massima efficacia al duttile istituto in esame. Antecedente storico di tale percorso è proprio la sentenza Muci9, con la quale le Sezioni Unite avevano già affermato che il sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto nei confronti di una persona sottoposta a indagini per uno dei reati previsti dall’art. 640 quater c.p., potesse avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato, in quanto la citata disposizione richiama l’intero art. 322 ter c.p. In base ai più recenti arresti può essere disposto il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente tanto del prezzo che del profitto, in tema, ad esempio, di reati tributari in ragione dell’integrale rinvio «alle disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.» contenuto nell’art. 1, co. 143, l. 24.12.2007, n. 24410. Analoghe considerazioni, con conclusioni di segno diverso in ragione del diverso tenore normativo, la Corte ha svolto nella sentenza n. 12819/2010, con la quale ha ribadito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca «per equivalente » disposto nei confronti di persona sottoposta a indagini per uno dei reati di cui all’art. 322, co. 1, c.p., può essere rapportato soltanto al «prezzo» in senso tecnico e non anche al profitto11. La Corte è giunta all’enucleazione di tali principi nel solco di quanto affermato, in una nota statuizione, dalle Sezioni Unite nel 200912. In quel caso la Corte si è occupata della possibilità di disporre il sequestro preventivo, funzionale alla successiva confisca «per equivalente» di cui all’art. 322 ter c.p., oltre che del prezzo, del profitto del reato di peculato. Le Sezioni Unite, muovendo da una rigorosa esegesi del testo di legge e richiamando i principi generali presupposti, hanno escluso la possibilità di una lettura della norma che, pur ampiamente legittimata dalla decisione quadro 212/2005/GAI, risultava ampiamente praeter legem, avuto riguardo all’invalicabile lettera della norma nazionale. La Corte, richiamando precedenti pronunzie13 e la ratio dell’istituto − diretta a privare il reo di un qualunque beneficio economico connesso all’attività delittuosa anche qualora sia impossibile l’aggressione del beneficio diretto −, ha affermato la natura di sanzione della confisca di valore e ritenuto insostenibile che nella formulazione dell’art. 322 ter c.p. il legislatore abbia potuto usare il termine «prezzo» in senso atecnico, tanto da potervi includere qualunque utilità connessa al reato. Tale rilievo, secondo la Corte, si fonda in primo luogo, sulla netta distinzione tra le nozioni di «profitto» e «prezzo» contenute nell’art. 240 c.p. da ritenersi presupposte, nella loro diversa valenza tecnica, dall’art. 322 ter c.p.14, e sull’osservazione di quanto accaduto nell’iter parlamentare di approvazione della l. 29.9.2000, n. 300 allorché, a una prima versione del testo di legge che prevedeva la confisca per equivalente di beni di valore corrispondente al profitto e al prezzo dei reati previsti dagli artt. da 317 a 322 bis c.p., è seguita la versione definitiva del testo di legge, dove la confisca di valore, per i reati di cui agli artt. da 314 a 317 c.p., è limitata al solo equivalente del prezzo del delitto. Tenuto conto di tale dato storico − ed in assenza di chiare indicazioni legislative di segno contrario − sarebbe stato arduo sostenere che alla opzione terminologica non corrispondesse una precisa selezione di valori e di categorie e che quindi il legislatore avesse usato il termine «prezzo» per includere qualsiasi utilità economica connessa al reato. Per giungere a tali conclusioni, la Corte non ha certo ignorato le osservazioni della dottrina secondo la quale una interpretazione letterale della norma, se pur supportata dalle considerazioni sistematiche di cui si è detto, sarebbe incoerente rispetto alla ratio dell’istituto della confisca per equivalente, diretta ad attuare un riequilibro compensativo a favore della collettività − una sorta di prelievo pubblico dei proventi illeciti nel loro complesso − e incoerente rispetto alla tendenza generale del sistema ove, come si è visto dalla rassegna in apertura di trattazione richiamata, la confisca «per equivalente» nelle fattispecie previste dalla legislazione speciale, ha sempre riguardo all’equivalenza tanto del prezzo che del profitto. Non solo. Le Sezioni Unite non hanno mancato di confrontarsi con le indicazioni che provengono dalla normativa europea nel cui ambito può ritenersi che le nozioni di «prezzo» e di «profitto» sono da ricomprendersi nel più ampio concetto di «provento», termine di ampia latitudine semantica, inclusivo di tutto ciò che deriva dalla commissione del reato nelle diverse nozioni contemplate dall’art. 240, co. 1 e 2, c.p.15. Obbligato è il riferimento al diritto penale dell’Unione europea. La decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato di cui già si è detto (2005/212/GAI del 24.2.2005)16 convoglia nel termine «provento», «ogni vantaggio economico derivato da reati». Il secondo Protocollo alla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee del 19.7.1997 (ratificato dall’Italia in base alla l. 4.8.2008, n. 135) stabilisce, all’art. 5, che ciascuno Stato membro dell’Unione europea adotti le misure che gli consentano il sequestro e la confisca o comunque di ordinare la privazione degli strumenti e «dei proventi della frode, della corruzione attiva o passiva e del riciclaggio di denaro o di proprietà di valore corrispondente a tali proventi». Secondo una interpretazione comunitariamente orientata potrebbe, quindi, pervenirsi alla configurazione di una nozione di «provento » del reato suscettibile di ricomprendere, in tutte le sue possibili forme, il profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato e il suo impiego. Orbene, anche su questo snodo interpretativo, la Corte ha offerto precise linee guida ribadendo che, fin dove il diritto interno consente una interpretazione conforme alla decisione quadro, il giudice nazionale deve utilizzare l’intero spazio valutativo ad esso concesso in favore del diritto dell’Unione europea17, ma che tale opzione interpretativa incontra due criteri-limite invalicabili: il limite generale di ordine logico-formale, per cui non potrebbe mai pervenirsi ad una interpretazione contra legem del diritto nazionale; il limite specifico costituito da precisi vincoli che derivano dai principi generali del diritto. Nel caso in esame, infatti, il principio generale violato sarebbe quello di certezza del diritto e di non retroattività, per cui l’obbligo di interpretazione conforme alle decisioni adottate nell’ambito del titolo VI del Trattato sull’Unione europea non potrebbe mai condurre a determinare o ad aggravare , sul fondamento di una decisione quadro, e indipendentemente da una legge adottata per l’attuazione di questa ultima , la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni18. Il limite deriva, quindi, dal principio di legalità della pena, principio generale proprio delle tradizioni costituzionali degli Stati membri19. Sul fronte del diritto interno, chiariscono le Sezioni Unite, la nostra Corte costituzionale ha riconosciuto il carattere coordinato dell’ordinamento nazionale e dell’ordinamento comunitario, ha ammesso l’impatto diretto dei principi e delle norme comunitarie all’interno del nostro ordinamento, ma ha altresì precisato che, in ogni caso, devono essere rispettati i principi fondamentali della Costituzione e i diritti fondamentali inalienabili della persona. L’obbligo di interpretazione conforme agli obblighi internazionali derivanti da fonti non contemplate dagli artt. 10 e 11 Cost. discende, in via generale, dall’art. 117, co. 1, della Carta fondamentale. E dunque da tale parametro costituzionale consegue, da un lato, che il legislatore ordinario ha l’obbligo di rispettare dette norme con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con gli «obblighi internazionali» di cui all’art. 117, co. 1, Cost., vìola per ciò stesso detto articolo; dall’altro, che il giudice nazionale è tenuto a interpretare la norma interna nel modo conforme alla disposizione internazionale entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Ove, poi, il giudice nazionale dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro di cui all’art. 117, co. 1, Cost. 20. In definitiva la Corte ha ritenuto che per superare il limite normativo è necessario un intervento del legislatore non surrogabile da una interpretazione sostanzialmente correttiva. Allo stesso modo, tenuto conto del fatto che la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere il secondo comma dell’art. 25 Cost. ostativo all’adozione di pronunzie additive che comportino effetti costitutivi o peggiorativi della responsabilità penale, trattandosi di interventi riservati al legislatore, le Sezioni Unite hanno escluso l’utilizzo della normativa sopranazionale allo scopo di integrare elementi normativi quando, come nel caso in esame, tale esegesi porterebbe ad una interpretazione in malam partem della fattispecie penale nazionale. Sulla latitudine applicativa dell’istituto della confisca incide, dunque, la concreta definizione della categoria del «profitto». La Corte non ha mancato di precisare, con pronunzie fino ai primi mesi del 2011, come, in concreto, vada individuato il profitto di reato da assoggettare a confisca di valore. Con la sentenza n. 662/201021, la Corte ha affermato, da un lato, la peculiare natura del sequestro previsto dall’art. 322 ter c.p. diretto a consentire la futura confisca quale «strumento anticipatorio della tutela prevista dalla confisca di una somma (o di beni) corrispondente al danno arrecato alla cosa pubblica e non esperibile mediante gli strumenti che aggrediscono direttamente il prezzo o il profitto del reato» e ha chiarito, dall’altro, occupandosi di un caso di confisca per equivalente in relazione a reati transnazionali, che è irrilevante la legittima provenienza di quanto sequestrato in esecuzione di una confisca per equivalente, così come è irrilevante la data di acquisizione del bene e il rapporto di pertinenzialità con il reato proprio22. La Corte ha ritenuto rilevante che l’associazione a delinquere avesse determinato ingenti profitti e ha precisato che il sequestro, anticipatorio della futura misura ablatoria, può riguardare ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto sebbene la confisca non possa eccedere il «quantum» dell’ammontare complessivo dello stesso23. Fondamentale la conclusione di tale argomentazione: se non vi sono vizi nella motivazione sul fumus del reato − ha statuito il Giudice della legittimità − non è dato ravvisare alcuna violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali tenuto conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349 del 200724. Nel medesimo solco argomentativo, con pronunzia n. 6894/201125, la Corte si è occupata dei limiti entro cui può trovare applicazione la confisca per equivalente disposta ai sensi dell’art. 11 l. 16.3.2006, n. 146, in presenza di un bene in comproprietà con persone estranee al reato. La sentenza è stata occasione per affermare che proprio il concetto di «equivalenza» integra il criterio al quale il giudice deve attenersi quando con la sentenza di condanna deve individuare i beni e/o le somme di denaro da assoggettare a confisca di valore corrispondente al prezzo-prodotto-profitto di reato. La Corte ha affermato che il quantum non può superare l’illecito profitto accertato26; che è applicabile tra i concorrenti nel reato il principio solidaristico; che la misura reale può riguardare il bene nella sua interezza quando questo pur formalmente appartenente a un terzo estraneo sia nella disponibilità dell’indagato, o si tratti di cosa indivisibile, o sussistano comprovate esigenze di conservazione del bene, tanto per evitarne la dispersione che per assicurarne la integrità. Negli altri casi, la misura reale deve limitarsi alla quota di proprietà dell’indagato su cui opererà la successiva confisca. Nessuna norma impone poi, secondo la Corte, la preventiva escussione del patrimonio della persona giuridica beneficiaria dell’utile determinato dal reato prima di aggredire il patrimonio del soggetto concorrente nel reato medesimo27. In particolare, ha chiarito la Corte, nel rapporto tra la persona fisica alla quale è addebitato il reato e la persona giuridica chiamata a risponderne, non può che valere lo stesso principio applicabile a più concorrenti nel reato, secondo il quale a ciascun concorrente devono imputarsi tutte le conseguenze dello stesso. La Corte, citando propri significativi precedenti, ha ritenuto «legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca, ex art. 322-ter c.p., eseguito in danno di un concorrente del reato, ex art. 316-bis c.p. per l’intero importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica la imputazione della intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e comporta solidarietà nella pena; dall’altro, la confisca per equivalente riveste preminente carattere sanzionatorio e può interessare ciascuno dei concorrenti, anche per l’intera entità del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale»28. In ultimo, si segnala che la Corte di appello di Torino ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 187 sexies, co. 1 e 2, d.lgs. 24.2.1998, n. 58, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dispone che l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal medesimo capo del decreto legislativo importi sempre la confisca del prodotto, del profitto, dei beni utilizzati per commettere l’illecito e che, ove la confisca non possa essere eseguita direttamente, essa debba essere eseguita, obbligatoriamente, per equivalente. L’ordinanza di rimessione si fonda sull’assunto che non sia infrequente il caso che a un profitto non particolarmente ingente faccia da corredo l’utilizzazione di mezzi economici – e dunque di valori da confiscare obbligatoriamente – per importi molto consistenti, disancorati dal rapporto proporzionale con il profitto stesso, da parametri riferibili alla gravità in concreto della fattispecie, con preclusione tuttavia per il giudice di effettuare qualunque graduazione come, invece, avviene per le sanzioni in senso proprio29. Quanto alla confisca cd. «estesa», prevista dall’art.12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306, va detto che essa è istituto la cui applicazione è in progressivo aumento in virtù del meccanismo di semplificazione probatoria che ha introdotto. In tal senso è uno strumento idoneo a incidere sull’economia criminale consolidata da tempo, della quale è difficile ricostruire l’origine. Non va, poi, taciuto che questa misura patrimoniale è da ricondursi al modello dei «poteri estesi» di confisca previsti dall’art. 3 decisione quadro 2002/212/GAI del 24.2.2005. Sul punto la Corte di legittimità non ha mancato di affermare la peculiarità della fattispecie quanto a struttura e presupposti rispetto a quella ordinaria30. Gli interventi più recenti della giurisprudenza di legittimità hanno riguardato, in primo luogo, la natura non assoluta della presunzione di illecita accumulazione. Qualora l’imputato abbia giustificato la legittima provenienza del bene sequestrato, indicando una fonte proporzionata di reddito astrattamente lecita – scrive la Corte − è illegittima la confisca del bene in assenza di riferimenti storici che dimostrino, in concreto, l’illiceità del reddito proveniente da tale fonte31. È poi onere dell’accusa provare l’esistenza di situazioni che avallino, in concreto, l’ipotesi di divergenza tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sì da affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di salvaguardare il bene nella disponibilità del condannato dal pericolo di confisca32. Allo stesso modo, nel caso di interposizione fittizia, l’apprezzamento sulla giustificazione della provenienza del denaro, dei beni o di altre utilità da confiscare, nonché sulla sproporzione rispetto al reddito dichiarato ai fini delle imposte sui redditi o all’attività economica, va effettuato con riguardo alla persona del sostituito e non del sostituto33. Queste le pronunzie più recenti e significative. Per il resto, nel solco degli arresti della sentenza Montella34, la Corte ha ribadito che la confisca «estesa» prescinde dalla correlazione tra un determinato bene e un certo reato perché viene in considerazione il nesso tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia stata pronunziata sentenza di condanna o applicata una pena ex art. 444 c.p.p. per uno dei reati indicati dalla norma. Ne consegue, secondo la Corte, che l’accertamento del fumus deve avere riguardo all’astratta configurabilità del fatto attribuito all’indagato di uno dei reati indicati, e il periculum in mora si sostanzia della presenza di seri indizi della sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito e alle attività economiche del soggetto, anche con riguardo alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi35.
Nell’alveo del più ampio genus della confisca, la fattispecie più effervescente nel corso dell’ultimo anno è stata, sicuramente, quella di cui all’art. 186 del nuovo codice della strada. Allo stato, e nonostante nel corso del 2010 sull’argomento siano intervenuti le Sezioni Unite della Corte di cassazione36, la Corte costituzionale37 ed il legislatore38, si registra un nuovo contrasto interpretativo all’interno della IV sezione della Corte di legittimità. Il punto controverso riguarda le conseguenze del mutamento della natura della confisca in esito alla l. 29.7.2010, n. 120. Secondo alcune coeve sentenze del novembre 201039, la nuova sanzione amministrativa, introdotta dall’ art. 33 della citata novella, sarebbe in tutto omogenea, e di fatto indistinguibile, da quella penale. Vi sarebbe continuità fra le due sanzioni accessorie, con la conseguenza che l’omogenea nuova sanzione potrebbe trovare applicazione anche per fatti anteriori all’entrata in vigore della novella stessa. La fattispecie in esame sarebbe estranea all’ambito applicativo dell’art. 1 l. 24.11.1981, n. 689, in materia di diritto transitorio per il caso di depenalizzazione, come regolato dalle Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 7394/199440. Tale assunto risponderebbe a esigenze di razionalità e di uguaglianza del sistema: sarebbe comunque rispettato il favor per il trattamento più favorevole, da intendersi quello amministrativo, con la conseguenza che i sequestri disposti prima della modifica di cui alla l. n. 120/2010, se legittimamente imposti secondo le regole sostanziali e procedimentali all’epoca vigenti, rimarrebbero validi ed efficaci ove il giudice valuti che l’atto compiuto sia conforme anche ai requisiti essenziali di natura amministrativa allo stato richiesti (guida in stato di ebbrezza oltre i limiti richiesti dalla lett. . del co. 2 dell’art. 186, condotta che realizza, al tempo stesso, l’ipotesi di reato prevista). Il principio della perpetuatio jurisdictionis e la maggiori garanzie offerte dalla procedura penale consentirebbero, insomma, al giudice penale di delibare a tali fini la fattispecie. Secondo un principio che si rinviene, di contro, in altra pronuncia novembrina della medesima sezione IV, la n. 6807/2010, la confisca obbligatoria del veicolo, prevista per il reato di guida in stato di ebbrezza, non si applica relativamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 4 d.l. 23.5.2008, n. 92, conv. l. 24.7.2008, n. 125, che l’ha introdotta. La Corte ha cioè affermato che la confisca, già avente natura di sanzione penale accessoria, con conseguente applicabilità dell’art. 2 c.p., è stata degradata a sanzione amministrativa dalla l. n. 120/2010, anch’essa irretroattiva in forza del principio di cui all’art. 1 l. n. 689/198141. Tutto muove da un precedente contrasto interpretativo segnalato dalla IV sezione42 e relativo alla natura della misura ablativa prevista dal co. 7 dell’art. 186 c.d.s. prevista per il rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico, da qualificarsi, secondo i giudici rimettenti, come sanzione amministrativa accessoria, mentre era stata già ritenuta la natura di sanzione penale della confisca prevista dal co. 2 del medesimo articolo per la condotta di guida in stato di ebbrezza43. Le Sezioni Unite, all’inizio del 2010, avevano già ricostruito la sequenza storica della disciplina, verificato l’assimilazione delle due misure ablative previste, rispettivamente, dal co. 2 e dal co. 6 dell’art. 186 c.d.s. precisandone la natura. Era, infatti, accaduto che preso atto della inefficacia delle disposizioni fino ad allora vigenti per contrastare il fenomeno del drive drinking44, con il d.l. n. 92/2008 convertito dalla l. n. 125/2008, il legislatore avesse: a) inasprito le pene detentive per gli illeciti di seconda e terza fascia previsti dall’art. 186, co. 2, lett. c). c.d.s.; b) introdotto la disposizione in virtù della quale con la sentenza di condanna o di patteggiamento per l’ipotesi di cui all’art. 186, co. 2, lett. c), c.d.s. – l’ipotesi più grave di guida in stato di ebbrezza – era sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240, co. 2, c.p.; c) ripristinato la sanzione penale per il rifiuto di sottoporsi a test alcolimetrici, parificando, nella risposta sanzionatoria, tale ipotesi a quella più grave di guida in stato di ebbrezza; d) previsto la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida e, con la legge di conversione n. 125/2008, introdotto la confisca del veicolo con le stesse procedure e modalità previste per la più grave fattispecie di cui all’art. 186, co. 2, lett. c), c.d.s. In esito alla modifica introdotta dalla legge di conversione, il conducente, a differenza di quanto era accaduto fino alla predetta novella legislativa, avrebbe avuto tutto l’interesse a sottoporsi ai test alcolimetrici nella speranza di dimostrare la presenza di un tasso alcolemico inferiore a 1,5 grammi per litro con conseguente irrogazione di sanzioni penali più lievi rispetto a quelle prevista dalla lett. c) del co. 2 dell’art. 186 c.d.s. Nella lettura datane dalle Sezioni Unite era stato, quindi, completamente parificato il trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie di cui al co. 7 dell’art. 186 rispetto a quello previsto per la fattispecie di cui al co. 2. Deponeva in tal senso, secondo la Corte, il tenore letterale dell’intervento del relatore che aveva proposto in aula l’emendamento al co. 7 dell’art. 186 c.d.s. introdotto dalla l. n. 125/2008. Il relatore, a proposito del rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico, aveva parlato di ripristino del reato prima depenalizzato e di emendamento che mirava ad estendere anche a tale fattispecie la confisca del veicolo. Nella stessa direzione andava, poi, letta la circolare del Ministero degli interni del 31.7.2008, con la quale, nel precisare che le modifiche introdotte dalla l. n. 125/2008 legittimavano la confisca del veicolo, si era impartito agli agenti di procedere al sequestro preventivo del veicolo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. Come già evidenziato nella sentenza Benitez Gonzales45, la novella del 2008 aveva completamente equiparato il trattamento sanzionatorio previsto per le fattispecie di cui ai co. 2 e 7 dell’art. 186 c.d.s. rinviando, quanto alla fattispecie del co. 7, alle modalità e procedure di applicazione della confisca prevista dal co. 2, mancando, di contro, nella norma qualunque riferimento alla diversa procedura prevista dall’art. 213 c.d.s., necessaria ove il legislatore avesse inteso la confisca di cui al co. 7 come una sanzione amministrativa accessoria46. Né, secondo le Sezioni Unite, avrebbe potuto mutuarsi una differenza ontologica fra le due misure ablative sulla base della sequenza letterale del co. 7 (il ripetuto uso della proposizione «della»: «la condanna ... comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente e … della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2 lett. c)». L’esegesi letterale del testo non consentiva tale conclusione perché il legislatore, nonostante il ripetuto uso della preposizione «della» prima di «sospensione della patente » e di «confisca del veicolo», aveva continuato a declinare al singolare il termine «sanzione amministrativa». Allo stesso modo il rinvio per la confisca di cui al co. 7 alle «stesse modalità e procedure previste dal comma 2 lett. c)» doveva intendersi all’art. 240, co. 2, c.p., che imponeva la confisca obbligatoria del veicolo con le conseguenze di cui di qui a breve si dirà47. D’altro canto la giurisprudenza di legittimità aveva già ritenuto la natura penale della confisca di cui al co. 2 dell’art. 186 c.d.s., qualificandola sanzione penale accessoria in alcune pronunzie, misura di sicurezza patrimoniale in altre48. Deponeva per la natura penale della misura, secondo le Sezioni Unite, il tenore letterale della norma ed, in particolare, il riferimento all’art. 240 c.p., disciplinando tale norma la confisca penale. Inoltre, nessuna disposizione del codice della strada qualificava, dopo la novella della l. n. 125/2008, la condotta di guida in stato di ebbrezza (e ora il rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici) come illecito amministrativo. Le uniche sanzioni previste per tali condotte erano quelle penali di cui ai co. 2 e 7 dell’art. 186 c.d.s.: di conseguenza, ove si fosse ritenuta la misura ablativa di cui ai co. 2 e 7 dell’art. 186 c.d.s. una sanzione amministrativa, vi sarebbe stata una sanzione amministrativa accessoria accedente non ad una sanzione principale di eguale specie, ma ad una sanzione penale per espressa previsione legislativa49. Non senza considerare che, ove la confisca del veicolo prevista dai co. 2 e 7 dell’art. 186 c.d.s. non fosse stata una sanzione penale accessoria, non avrebbe avuto alcun senso l’inciso relativo alla efficacia ed esecutività della predetta confisca anche in ipotesi di concessa sospensione condizionale della pena. Secondo le S.U. del 2010, peraltro, il richiamo all’art. 240, co. 2, c.p. avrebbe avuto il senso di chiarire semplicemente la natura obbligatoria della confisca in ipotesi di sentenza di condanna o di patteggiamento per il reato di guida in stato di ebbrezza50, così come nel caso di rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici. Il caso di confisca del veicolo condotto in stato di ebbrezza, o da chi si rifiuta di sottoporsi ai test, non rientra cioè in alcuna delle categorie previste dal co. 2 dell’art. 240 c.p. (ovvero cose che costituiscono il prezzo del reato e cose intrinsecamente pericolose il cui uso, porto, detenzione, alienazione costituisce reato). In ultimo si sarebbe dovuto considerare, secondo le Sezioni Unite, l’aspetto spiccatamente afflittivo delle misure previste dall’art. 186, co. 2 e 7, c.d.s. assimilabile alla funzione punitiva e di prevenzione generale tipica della sanzione penale piuttosto che a funzione riparatoria dell’interesse pubblico violato o di prevenzione specifica, tipiche della sanzione amministrativa accessoria51. Proprio la previsione della obbligatorietà della confisca per un sempre maggior numero di reati sarebbe direttamente correlata, secondo le Sezioni Unite, con l’accentuazione delle finalità general-preventiva e sanzionatoria dell’istituto52. La pronunzia delle Sezioni Unite ha anticipato l’intervento ancor più radicale della Corte costituzionale che, nel 2010 (C. cost., 26.5.2010, n. 196), ha affermato la natura di sanzione della confisca del veicolo prevista dall’art. 186 c.d.s. e ha, conseguentemente, dichiarato la illegittimità costituzionale della norma limitatamente alle parole «ai sensi dell’art. 240 c.p., secondo comma del codice penale, dell’art. 186, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. b), del decretolegge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza), convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2010, n. 125», abolendo qualsivoglia assimilazione formale di detta confisca alla misura di sicurezza patrimoniale. La Corte ha ritenuto che per rendere compatibile il novellato testo dell’art. 186, co. 2, lett. c), c.d.s. con l’art. 7 della CEDU e, quindi, con l’art. 117, co. 1, Cost., fosse necessario espungere qualsivoglia richiamo alla misura di sicurezza patrimoniale che avrebbe potuto, in qualche modo, legittimare l’applicazione retroattiva di una confisca che, sotto tutti gli aspetti, presentava le peculiarità di una vera e propria sanzione. Conseguenza della definitiva attrazione nell’orbita delle sanzioni penali della confisca prevista dall’art. 186, co. 2, c.d.s. (e di quella di cui al co. 7), come modificato a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, è stato il divieto di applicazione retroattiva giusto l’espresso disposto dell’art. 25, co. 2, Cost. e dell’art. 2, co. 1, c.p. Quando sembrava che l’istituto avesse assunto un assetto dai contorni oramai precisi e coerenti è, invece, intervenuto il legislatore modificando, ancora una volta, la disciplina. Con l’art. 33, co. 1, l. 29.7.2010, n. 120 il legislatore ha stabilito che «Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224 ter». La novella legislativa ha poi aggiunto (art. 44) nella sezione II, del capo II del titolo VI del d.l. n. 285/1992 il menzionato art. 224 ter, c.d.s. rubricato Provvedimento di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato. Detta norma prevede che nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, l’agente o l’organo accertatore della violazione proceda al sequestro del mezzo ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 213 c.d.s. in quanto compatibili. Avverso il provvedimento di sequestro è ammessa opposizione ai sensi dell’art. 205 c.d.s., disposizione che regola l’opposizione avanti all’autorità giudiziaria dell’ordinanza di ingiunzione. Il quadro normativo ha significativi elementi di novità rispetto alla ricostruzione delineata dalle Sezioni Unite appena cinque mesi prima53. Il legislatore, adeguando l’intervento normativo al disposto della Corte costituzionale, ha eliminato il riferimento alla fattispecie di cui all’art. 240, co. 2, c.p. contenuto nella lett. c) del co. 2 dell’art. 186 c.d.s.; ha previsto, con il richiamo all’art. 224 ter c.d.s. ora contenuto nell’art. 186, co. 2, lett. c), che il sequestro finalizzato alla confisca del veicolo sia gestito, in tutte le sue fasi, dall’autorità amministrativa e che la fase eventuale del contenzioso segua l’ambito funzionale proprio delle sanzioni amministrative. L’art. 224 ter c.d.s. contiene una disciplina unitaria per tutte le ipotesi in cui il codice della strada prevede la sanzione accessoria della confisca. Tutto depone nel senso di una connotazione qualificatoria dell’istituto in questione quale sanzione amministrativa accessoria. Rimane − incoerente rispetto alla natura di sanzione amministrativa accessoria − la previsione di obbligatorietà della confisca anche in ipotesi di sospensione condizionale della pena54. Sotto altro profilo va rilevato che la norma non sembra affatto precludere che, ove ne ricorrano i presupposti, possa procedersi comunque al sequestro preventivo del veicolo ai sensi dell’art. 321, co. 1, c.p.p. Il legislatore ha confermato il carattere penale dell’illecito di cui all’art. 186 c.d.s., rafforzandone l’apparato sanzionatorio tipico previsto dall’art. 17 c.p. per le contravvenzioni. Allo stesso tempo è stata prevista la confisca come sanzione amministrativa accessoria. La trasformazione da penale ad amministrativo non riguarda l’illecito in sé considerato (art. 186 c.d.s.), ma unicamente la sanzione accessoria degradata da sanzione penale a sanzione amministrativa accessoria. Come è emerso dalle più recenti pronunzie della IV sezione della Corte di legittimità, l’avere il legislatore chiarito che la confisca in esame è una sanzione amministrativa accessoria ha aperto un nuovo contrasto sulle conseguenze nella concreta applicazione della novella legislativa55.
1 Cass., S.U., 25.10.2007, n. 10280, in CED Cass., n. 238700.
2 Cfr. Iuzzolino, La confisca nel diritto penale dell’Unione europea tra armonizzazione normativa e mutuo riconoscimento, in Cass. pen., 2011, 276.
3 Melillo, Accertamenti patrimoniali, sequestro e confisca nel sistema della cooperazione giudiziaria internazionale, in Doc. giustizia, 2000, 1188.
4 Il d.d.l. n. 2322, approvato dal Senato nel febbraio 2011 e modificato dalla Camera il 26.7.2011, è stato trasmesso al Presidente del Senato il 28.7.2011.
5 Interpellanza parlamentare del 27.1.2011, n. 2-00935 su tempi e modalità di attuazione della decisione quadro in materia di reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, svolta in aula dal deputato Laura Garavini, con risposta del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo.
6 Proposta di legge d’iniziativa dei deputati Garavini e altri di «Delega al governo per conformare il diritto interno alla decisione quadro del 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca»
7 Tra gli innumerevoli, possibili richiami bibliografici, v. Amisano, Confisca per equivalente, in Dig. pen., Aggiornamento, Torino, 2008, 191 ss., e Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di G. Marinucci, a cura di Dolcini-Paliero, III, Milano, 2006, 2103 ss.
8 Cass., S.U., 22.11.2005, n. 41936, in CED Cass., n. 232164.
9 V. nota precedente
10 Sul punto, v. Cass., sez. III, 7.7.2010, n. 35807, in CED Cass., n. 2481618.
11 Cass., sez. VI, 17.3.2010, n. 12819, in CED Cass., n. 246691.
12 Cass., S.U., 25.3.2009, n. 38691, in CED Cass., n. 244191, su cui, ex multis, v. Manes, Nessuna interpretazione conforme al diritto comunitario con effetti in malam partem, in Cass. pen., 2010, 1, 101.
13 Cass., S.U., 2.7.2008, n. 26654, in CED Cass., n. 239925; Cass., S.U., 15.10.2008, n. 38834, in CED Cass., n. 24565.
14 Da ultimo, Cass., S.U. n. 26654/2008, cit. che, a proposito della confisca di valore di cui all’art. 19 d.l. n. 231/2001, ha richiamato la giurisprudenza sulla nozione di «profitto del reato» contenuta nell’art. 240 c.p. secondo cui «il profitto a cui fa riferimento l’art. 240, comma 1, c.p., deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al ‘prodotto’ e al ‘prezzo’ del reato, identificandosi il ‘prodotto’ nel risultato empirico dell’illecito, cioè le cose create, trasformate, adulterate, acquisite mediante il reato; il ‘prezzo’ nel compenso dato o promesso a una persona come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato» (Cass., S.U., 24.2.1993, n. 1811, in CED Cass., n. 192494; Cass., S.U., 17.10.1996, n. 9149, in CED Cass., n. 205708). Ha chiarito la Corte che all’espressione «vantaggio economico» deve essere attribuito il significato di «beneficio aggiunto di tipo patrimoniale» (Cass., S.U., 24.5.2004, n. 29951, in CED Cass., n. 228163; Cass., S.U., 9.7.2004, n. 29952, in CED Cass., n. 228117). Ha precisato infine la Corte che il profitto del reato presuppone l’accertamento della sua diretta derivazione causale dalla condotta dell’agente.
15 Cass., S.U., 28.4.1999, n. 9, in CED Cass., n. 213510.
16 Demanda agli Stati membri l’adozione , entro il 15.3.2007, delle «misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale di strumenti o proventi di reati punibili con pena privativa della libertà superiore ad un anno o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi ».
17 Si pensi al caso di disposizioni che contengono clausole generali o concetti giuridici indefiniti.
18 C. giust. CE, 16.6.2005, causa C- 10503.
19 Art. 7 della CEDU; art. 15, n. 1, prima frase, del Patto internazionale sui diritti civili e politici; art. 49, n. 1 , prima frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
20 C. Cost., 3.7.2007, n. 348, in CED Cass., n. 31714; C. Cost., 3.7.2007, n. 349, in CED Cass., n. 31722.
21 Cass., sez. III, 1.12.2010, n. 662.
22 Cass., sez. III, 27.1.2011, n. 5869, in CED Cass., n. 249567.
23 Cass., sez. V, 3.2.2010, n.10810, in CED Cass., n. 246364; Cass., sez. VI, 6.3.2009, n. 18536, in CED Cass., n. 243190; Cass., S.U., 27.3.2008, n. 26654, in CED Cass., n. 239924.
24 Cass., sez. III, 25.2.2010, n. 12580.
25 Cass., sez. III, 27.1.2011, n. 6894, in CED Cass., n. 249539. Nel senso che sono assoggettabili al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente beni rientranti nella disponibilità dell’indagato, ancorché conferiti in «trust», che l’indagato «trustee» continui ad amministrare conservandone la piena disponibilità, v. Cass., sez. III, 24.1.2011, n. 13276, in CED Cass., n. 249838, su cui Turis, Sequestro e confisca dei beni costituiti in trust in frode ai creditori, in Fisco, 2011, 16, 2550.
26 Sul punto si segnala anche Cass., sez. II, 16.12.2010, n. 6459, con la quale la Corte, in tema di sequestro per equivalente in tema di responsabilità da reato dell’ente ha stabilito che il giudice non ha l’onere di indicare la cosa da sequestrare, ma solo la somma fino alla cui concorrenza il sequestro va eseguito. Cfr. anche Cass., sez. VI, 23.11.2010, n. 45504, in CED Cass., n. 248956.
27 Cass., sez. III, 27.1.2011, n. 7138, in CED Cass., n. 249398, per un caso di confisca di valore in relazione a un reato transnazionale commesso nell’interesse dell’ente.
28 Cass., sez. III, 27.1.2011, n. 7138, cit. I precedenti citati sui riferiscono a Cass., sez. V, 3.2.2010, n. 10810, in CED Cass., n. 246364 e Cass., sez. V, 16.1.2004, n. 15445, in CED Cass., n. 228750.
29 App. Torino, ord. 17.9.2010.
30 Cass., sez. I, 1.4.2010, n.19516, in CED Cass., n. 247205.
31 Cass., sez. V, 12.1.2011, n. 3682, in CED Cass., n. 249711.
32 Cass., sez. I, 27.5.2010, n. 27556, in CED Cass., n. 247722.
33 Cass. sez. I, 26.5.2010, n. 24804, in CED Cass., n. 247804.
34 Cass., S.U., 17.12.2003, n. 920, in CED Cass., n. 226491.
35 Cass., sez. V, 12.1.2011, n. 3682, cit.; Cass., sez. I, 27.5.2010, n. 27556, cit. Cfr. anche Cass., sez. I, 14.1.2009, n. 9218, in CED Cass., n. 243544.
36 Cass., S.U., 25.2.2010, n. 23428, in CED Cass., n. 247042.
37 C. Cost., 4.6.2010, n. 196, in CED Cass., n. 34707.
38 L. 20.7.2010, n. 120, Disposizioni in materia di sicurezza stradale.
39 Cass., sez. IV, 24.12.2010, n. 170 (dep. 4.1.2011), in CED Cass., n. 249289; Cass., sez. IV, 25.11.2010, n. 45417, in CED Cass., n. 249065.
40 Cass., S.U., 16.3.1994, n. 7394, in CED Cass., n. 197699, la quale aveva statuito che «l’art. 237 comma secondo del nuovo codice della strada è stato modificato dal decreto legislativo n. 360 del 1993 nel senso che le violazioni commesse prima dell’1 gennaio 1993, per le quali continuano ad applicarsi le sanzioni principali ed accessorie previste dalle disposizioni previgenti, sono unicamente quelle aventi già natura di illecito amministrativo e non anche quelle costituenti reato. Per queste ultime l’autorità giudiziaria deve dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato (e ciò ai sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato), senza dover rimettere gli atti all’autorità amministrativa competente …».
41 Cass., sez. IV, 4.11.2010 (dep. 22.2.2011), n. 6807, in CED Cass., n. 249350.
42 In realtà, Cass., sez. IV, 27.10- 19.11.2009, n. 44640 evidenziava, più che un contrasto, la circostanza che, nell’unica occasione in cui fino a quel momento si era occupata della questione, la stessa era stata risolta affermando la natura penale e non amministrativa della confisca disposta ai sensi dell’art. 186, co. 2, c.d.s., conclusione non condivisibile secondo i giudici della sezione rimettente.
43 Cass., sez. IV, 13.5.2009, n. 21499, in CED Cass., n. 243967.
44 Il d.l. n. 117/2007 aveva trasformato la contravvenzione di rifiuto dell’accertamento alcolimetrico prevista al co. 7 dell’art. 186 c.d.s. in un illecito amministrativo punito con sanzione pecuniaria e con le sanzioni amministrative accessorie della sospensione della patente di guida e del fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni , trattamento sanzionatorio cosi «morbido» da rendere più conveniente per il conducente rifiutare di sottoporsi ai test alcolimetrici , accettando l’irrogazione della sanzione amministrativa, conscio di evitare così il rischio dell’esito del test che avrebbe potuto condurre a configurare la più grave fattispecie di guida in stato di ebbrezza.
45 Cass., sez. IV, 13.5.2009, n. 21499, in CED Cass., n. 243967.
46 L’indirizzo della sentenza Benitez Gonzales è stato confermato da altre pronunce, quali: Cass., sez. IV , 1.7.2009, n. 32965; Cass., sez. IV, 28.9.2009, n. 48576, in CED Cass., n. 245361.
47 Se non interpretato in detto senso il riferimento contenuto nel co. 7 non avrebbe alcun senso non prevedendo il co. 2, lett. c), alcuna particolare procedura se non il richiamo al co. 2 dell’art. 240 c.p.
48 Cass., sez. IV, 11.2.2009, n. 13831, in CED Cass., n. 242479, orientata a ritenerla una sanzione penale accessoria e Cass., sez. IV, 27.1.2009, n. 9986, in CED Cass., n. 243297, che l’ha ritenuta una misura di sicurezza patrimoniale.
49 Cfr. Cass., S.U., 27.5.1998, n. 8488, in CED Cass., n. 210982.
50 In tal senso: Cass., sez. IV, 11.2.2009, n. 13831, cit.; Cass., sez. IV, 27.3.2009, n. 18517, in CED Cass., n. 243997; Cass., sez. IV, 29.10.2010, n. 45935.
51 Cfr. Cass., S.U., 27.5.1998, n. 8488, cit.
52 Cfr. Cass., S.U. , 25.10.2007, cit., e Cass., S.U., 27.3.2008, cit.
53 Cass., S.U., 25.2.2010, n. 23428, cit.
54 Cass., sez. IV, 21.2.1997, n. 3209, in CED Cass., n. 207874.
55 Cfr. Cass., sez. IV, 24.11.2010, n. 1497; Cass., sez. IV, 4.11.2010, n. 6807; Cass., sez. IV, 25.11.2010, n. 45417..