La confisca
La giurisprudenza italiana mostra una crescente insofferenza per la sentenza di condanna quale vincolo formale di un provvedimento di confisca in caso di prescrizione del reato. La questione di recente ha innescato, in materia di confisca urbanistica, un’accesa diatriba tra corti superiori nazionali (Corte costituzionale e Corte di cassazione) e Corte europea dei diritti dell’uomo. Essa, inoltre, è stata da ultimo affrontata dalle sezioni unite della Cassazione (sent. n. 31617/2015) in tema di confisca del prezzo o profitto del reato. Gli approdi a cui è pervenuta la giurisprudenza interna suscitano serie perplessità in punto di rispetto dei principi di legalità sanzionatoria, eguaglianzaragionevolezza e presunzione di innocenza.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 La confisca urbanistica tra Roma e Strasburgo 2.2 La sentenza Varvara c. Italia della C. eur. dir. uomo 2.3 La sentenza n. 49/2015 della Corte costituzionale 2.4 Confisca del prezzo o profitto di un reato prescritto 3. I profili problematici 3.1 La nozione di “condanna sostanziale” 3.2 Il senso della presunzione di innocenza 3.3 Confisca del prezzo/profitto diretta e per equivalente
Soprattutto a cagione dell’impatto spesso irragionevolmente erosivo della prescrizione nel nostro sistema penale, negli ultimi anni è cresciuta l’insofferenza della giurisprudenza per la sentenza di condanna quale vincolo formale di un provvedimento di confisca1.
Emblematica è la vicenda della confisca urbanistica, che da tempo i giudici interni ammettono anche in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione2, ma che di recente ha fatto insorgere un’accesa diatriba tra corti superiori nazionali (Corte costituzionale e Corte di cassazione) e Corte europea dei diritti dell’uomo3.
La medesima quaestio è stata da ultimo affrontata dalla Cassazione a Sezioni Unite con riferimento alla confiscabilità, con la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, del prezzo del reato attraverso l’archetipo codicistico (art. 240, co. 2, n. 1, c.p.), e del prezzo o profitto del reato mediante la figura speciale esperibile in materia di reati contro la p.a. (art. 322 ter c.p.)4.
L’incertezza che grava sulla tematica risente indubbiamente anche del controverso statuto giuridico e teleologico delle svariate ipotesi normative di confisca, misura poliforme e multifunzionale par excellence5. L’unico dato costante della più recente evoluzione legislativa è la progressiva estensione della misura, improntata ad un’inedita massima politicocriminale: nullum crimen sine confiscatione6. Superata,in larga parte, l’esigenza di un nesso pertinenziale tra res ablabile e reato (confisca per equivalente, ammessa per un numero crescente di reati e in via generale nei confronti degli enti collettivi), resa per lo più obbligatoria l’irrogazione, l’ultima roccaforte da espugnare sembra divenuta proprio la necessità di una pronuncia di condanna.
Concentriamoci, allora, sulla posizione assunta dalla giurisprudenza interna in tema di confisca urbanistica e confisca dei proventi illeciti, in caso di reato prescritto.
Il disposto normativo interno sulla confisca urbanistica non è univoco. L’art. 44, co. 2, d.P.R. 6.6.2001, n. 380, il quale prevede «la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite», ne individua il presupposto essenziale nella «sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva». Diversamente l’art. 31, co. 9, subordina l’ordine di demolizione delle opere abusive da parte del giudice penale alla «sentenza di condanna» per il reato di lottizzazione abusiva7. Soprattutto su tale divergenza lessicale ha fatto leva la giurisprudenza domestica per svincolare la confisca urbanistica, ritenuta sanzione amministrativa e non penale, dalla condanna formale.
Altri dati testuali, però, supportano l’inquadramento della misura tra le sanzioni penali in senso stretto. Da un lato, essa consegue direttamente all’accertamento di un illecito penale, la lottizzazione abusiva, come si evince anche da una lettura combinata degli articoli testé citati; dall’altro, con il nuovo t.u. edil. del 2001, la misura è confluita nell’art. 44, rubricato «Sanzioni penali», diversamente dal corpus normativo genetico (l. 28.2.1985, n. 47) che separava la confisca (art. 19) dalle sanzioni penali dell’arresto e dell’ammenda (art. 20).
A fronte di un quadro così frastagliato, non desta stupore che la natura della confisca urbanistica e la sua operatività in caso di reato-presupposto prescritto abbiano alimentato costante incertezza giuridica.
Da qui discende anche il recente conflitto tra la Corte costituzionale italiana, che si è sostanzialmente attestata sulla posizione della Cassazione consolidatasi nel tempo, e la C. eur. dir. uomo.
Nella sentenza Varvara c. Italia del 29 ottobre 20138, la C. eur. dir. uomo ha ravvisato la violazione del nulla poena sine lege (art. 7 CEDU) e un’arbitraria ingerenza nel diritto di proprietà del ricorrente (art. 1 del Primo Protocollo Addizionale), a fronte di una confisca urbanistica irrogata con sentenza di proscioglimento dal reato di lottizzazione abusiva per decorso della prescrizione.
La decisione, che sembrava in grado di porre un freno al più recente trend giurisprudenziale incline a ridimensionare l’esigenza di una condanna formale per l’emanazione di un provvedimento di confisca, non è scevra da qualche ambiguità e stonatura logica.
Innanzitutto, appare poco persuasivo il fondamento della condanna dell’Italia sull’art. 7 CEDU. Il principio della lex certa, nell’accezione convenzionale di sufficiente accessibilità e prevedibilità della norma penale9, aveva ben poco da dire nella fattispecie. Il ricorrente Varvara, infatti, era stato attinto da un provvedimento di confisca sulla scorta di un’interpretazione giurisprudenziale addirittura granitica e dunque assolutamente prevedibile. Piuttosto, problemi di frizione tra CEDU e diritto interno si ponevano sul piano del rispetto della presunzione di innocenza (art. 6, co. 2, CEDU) e su quello della necessaria proporzionalità di qualsiasi misura lesiva del diritto di proprietà (art. 1 primo Prot. Add.); aspetti su cui la C. eur. dir. uomo ha nell’occasione glissato, ritenendoli ultronei o comunque assorbiti dalla dichiarata violazione dell’art. 7.
In più, era visibile un certo nomadismo terminologico nella sentenza in discorso, sì da fomentarne diverse letture. Basti considerare che la Corte di Strasburgo ha parlato in Varvara talora di condamnation (§ 6061), verdict de culpabilité (§ 67), personne condamnée (§ 71), jugement de condamnation (§ 72), e talaltra, più genericamente, di constat (§ 67, 69) o déclaration de responsabilité (§ 71).
La presa di posizione della C. eur. dir. uomo ha, quindi, innescato un incidente di costituzionalità dell’art. 44, co. 2, d.P.R. n. 380/2001, sollevato sia dalla terza sezione della Cassazione sia dal Tribunale di Teramo, ma da opposte prospettive10.
Dalla perentoria declaratoria di inammissibilità di entrambe le questioni traspare la diffidenza della Corte costituzionale verso l’input sovranazionale in discorso, sfociata in due fondamentali indicazioni: a) le pronunce europee, pur mutuando dalle disposizioni convenzionali interpretate il rango “subcostituzionale”, vincolano il giudice interno solo se espressive di un orientamento “costante e consolidato”; b) nessuna incompatibilità logico-giuridica, sia sul piano costituzionale che convenzionale, osta a che la confisca urbanistica sia irrogata con la sentenza penale di proscioglimento per intervenuta prescrizione, purché sorretta da un pieno accertamento di responsabilità.
Da quest’ultima angolazione, la Consulta ha sciolto le ambiguità della sentenza Varvara inforcando le lenti del nostro “diritto giurisprudenziale vivente” in materia di ablazione urbanistico-edilizia. Il concetto di “condanna” non sarebbe stato utilizzato, nella sede europea, nel senso restrittivo di condanna formale (come nell’art. 533 c.p.p.), ma in quello di sentenza che afferma la responsabilità di un soggetto per un illecito penale, nel rispetto dei requisiti dettati dall’art. 6 CEDU. Nulla di eccentrico quindi – secondo la visione del giudice delle leggi – rispetto agli approdi della Cassazione post Sud Fondi, secondo cui la confisca urbanistica, quale sanzione amministrativa obbligatoria, sarebbe applicabile anche in caso di proscioglimento per prescrizione, purché in presenza di un pieno vaglio della responsabilità dell’imputato e/o della malafede del terzo acquirente.
Si è ora in attesa dell’indirizzo della Grande Camera della C. eur. dir. uomo, attivata in altre controversie vertenti su confische urbanistiche nazionali11.
La questione dell’eventuale necessità di una sentenza di condanna si è riproposta di recente in relazione ad un’altra tipologia di confisca, oggi particolarmente in voga: la confisca, anche per equivalente, del prezzo o profitto criminoso.
A tal riguardo, un’ipotesi speciale di ablazione dei proventi illeciti ampiamente utilizzata nella prassi è quella tipizzata dall’art. 322 ter c.p., introdotta con la l. 29.9.2000, n. 300 e ritoccata poi dalla l. 6.11.2012, n. 190, estendendo la confisca per equivalente anche al profitto dei reati menzionati al co. 1.
La disposizione richiede espressamente, quale condizione applicativa sia della confisca diretta che di quella di valore, la “condanna” o l’“applicazione della pena su richiesta delle parti” a norma dell’art. 444 c.p.p. La littera legis parrebbe, così, precludere l’irrogazione della misura con il provvedimento che dichiari l’estinzione del reato per maturata prescrizione. E pure la giurisprudenza di legittimità è stabilmente orientata in questo senso, ma solo nel caso di confisca di beni di importo equivalente al prezzo o al profitto illecito; esito interpretativo fondato non tanto sull’interpretazione tassativa dell’elemento letterale, quanto sulla natura della value confiscation12. La tesi è la seguente: in quanto “sanzione” – intendendosi con tale espressione una reazione giuridica di tipo punitivo-afflittivo –, essa non può prescindere da una declaratoria di responsabilità con formale sentenza di condanna del giudice penale.
Più complesso è il quadro applicativo dell’ablazione del pretium sceleris ai sensi dell’art. 240, co. 2, n. 1, c.p., da irrogare “sempre” secondo il dettato normativo. La giurisprudenza13, infatti, se per lungo tempo ha statuito – sia pure con qualche fluttuazione14 – la necessità della condanna formale, ritenendo implicitamente richiamato l’incipit del co. 1, art. 240 c.p., negli ultimi anni ha cominciato a metterla in discussione, coniando la figura della “condanna in senso sostanziale”. Secondo questo tracciato argomentativo, nell’art. 240 il riferimento alla condanna non evocherebbe la categoria del giudicato formale, ma implicherebbe unicamente la necessità di un accertamento incidentale equivalente all’accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito15.
Tale assunto ha ricevuto da ultimo l’avallo della Cassazione nella sua composizione più autorevole, la quale lo ha esteso alla confisca del prezzo o del profitto del reato ex art. 322 ter c.p., ma solo quando:
1) si tratti – specularmente alla misura di sicurezza ex art. 240 – di confisca diretta;
2) vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito rimanga inalterato.
In breve, per il massimo Collegio di legittimità, affinché la confisca non si trasformi impropriamente in actio in rem, soltanto la declaratoria di responsabilità contenuta in una previa pronuncia condannatoria, che non sia stata poi ribaltata da una assoluzione nel merito, può ritenersi equivalente, nella sostanza, all’accertamento definitivo del reato.
Il dato più saliente in chiave applicativa risiede nell’aver dichiarato fruibile questo schema logico nella casistica più ricorrente, quella in cui il profitto o prezzo storico del reato sia rappresentato da cose fungibili, a partire dal bene fungibile per eccellenza, il denaro, eventualmente depositato su conto corrente dell’imputato16. Difatti, sciogliendo un altro annoso nodo interpretativo, il decisum in discorso ha stabilito – sulla scia del precedente Gubert in materia di reati tributari17 – che la confisca di beni fungibili deve essere sempre considerata “diretta”, in base alla prima parte dell’art. 322 ter, co. 1, c.p. o all’art. 240 c.p., e quindi applicabile anche nel caso in cui la prescrizione sia maturata dopo la condanna emessa in primo grado. Per di più, secondo la Corte regolatrice, proprio la natura fungibile delle somme da confiscare, prive di «qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica», consentirebbe di prescindere dalla prova del nesso di derivazione diretta tra res oggetto di ablazione e reato, che costituisce il tratto distintivo della misura di sicurezza patrimoniale.
Per quanto concerne, invece, la confisca per equivalente, le Sezioni Unite ne hanno ribadito la natura sanzionatoria, tale da esigere un provvedimento formale di condanna o di applicazione concordata della pena, divenuto irrevocabile.
Gli indirizzi giurisprudenziali sin qui compendiati suscitano serie perplessità in punto di rispetto dei principi di legalità sanzionatoria, eguaglianza-ragionevolezza e presunzione di innocenza.
Come si è visto, la lettura sostanziale (e di fatto analogica) dell’espressione “condanna” è affiorata nella nostra giurisprudenza di legittimità già prima della sentenza Varvara della C. eur. dir. uomo, ad es. in materia di confisca del prezzo del reato ex art. 240, co. 2, n. 1, c.p.
Non è bizzarro, allora, il sospetto che, nella disputa con la C. eur. dir. uomo, la stessa Corte costituzionale italiana, quando ha posto l’accento sulla “sostanza dell’accertamento” in luogo della “forma della pronuncia”, abbia cercato di propinare come “autonomi concetti convenzionali” costrutti giuridici made in Italy, i quali, lungi dall’accrescere l’operatività dei diritti umani (come la nozione convenzionale ampia di “pena”), finirebbero per legittimare in malam partem l’irrogazione di sanzioni spiccatamente afflittive – quale ad es. la confisca urbanistica – senza declaratoria formale di responsabilità.
Diviene, a questo punto dell’analisi, imprescindibile inquadrare l’“ircocervo giuridico” della confisca senza condanna nell’ottica dei principi costituzionali e convenzionali.
La sequenza necessaria “reato-accertamento-condanna”, ai fini dell’applicazione di una pena criminale, è iscritta nel patrimonio genetico del diritto penale moderno. Osservava Beccaria, indirizzando i suoi strali contro la pratica della tortura, che «un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata»18. È la sentenza di condanna a legittimare l’inflizione di una pena legale che difatti, in senso moderno, si definisce come «la sanzione predeterminata dalla legge come conseguenza di un reato e determinata da una sentenza di condanna nelle forme e con le garanzie del processo penale»19. Nullo reo, nulla poena sine condemnatoria sententia.
Di contro, nella lettura della Corte costituzionale successiva alla sentenza Sud Fondi prima (sent. n. 239/200920) e Varvara poi (n. 49/2015), la confisca urbanistica conserverebbe l’intero fascio delle garanzie sostanziali (legalità, inderogabilità del fatto, personalità della responsabilità) e processuali (presunzione di non colpevolezza, contraddittorio, diritto di difesa, in dubio pro reo, adeguata motivazione, pubblicità) tipiche delle pene criminali, smarrendo solo la “forma” propria dell’accertamento dei reati e dell’applicazione delle relative conseguenze: la sentenza di condanna, appunto. Questa ridotta “perdita” non scalfirebbe, nella sostanza, il significato garantistico del principio di giurisdizionalità e della presunzione di innocenza, anche rispetto a una sanzione di tipo certamente punitivo come la confisca urbanistica.
Ma veramente la condanna penale si riduce a mero ornamento formale dell’accertamento e del connesso pronunciamento giudiziale, insignificante nella prospettiva del fair trial?
In realtà, già occorrerebbe spiegare come un accertamento pieno e definitivo della responsabilità possa coniugarsi con l’obbligo giudiziale di dichiarare immediatamente d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del processo, la maturazione della causa estintiva (art. 129 c.p.p.)21. Una risposta affermativa sarebbe peraltro condizionata dagli elementi probatori già raccolti al momento del suo perfezionarsi e dai poteri di cui disponga il giudice penale nei vari stadi del procedimento.
D’altro canto, la stessa sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato emessa al termine del dibattimento (art. 531 c.p.p.) impedisce al giudice un vero e proprio “accertamento” della responsabilità dell’imputato; quindi, non solo non potrebbe vincere, ma neppure è autorizzata a intaccare la presumption of innocence22. Il fatto che l’estinzione possa mutare in appello, dopo una condanna in primo grado, non muta i termini della questione: mancherebbe comunque un accertamento definitivo di responsabilità ai sensi dell’art. 27, co. 2, Cost.
Il quesito essenziale, allora, non è se il giudice possa effettivamente accertare con tutte le garanzie del processo penale la commissione di un reato anche in presenza di una causa estintiva quale la prescrizione. Questo è problema puramente tecnico-processuale.
La questione centrale attiene, piuttosto, al canone sancito dall’art. 27, co. 2, Cost. che – al pari dell’art. 6, co. 2, CEDU – riflette «un portato della civiltà giuridica moderna», in grazia del quale tanto il processo quanto la condanna «si configurano come condizioni necessarie del giudizio di colpevolezza»23. L’interrogativo di fondo, in particolare, è se una qualunque sanzione punitiva applicata dal giudice penale in assenza di condanna formale rispetti il nucleo assiologico della presunzione di innocenza/non colpevolezza.
Non mancano casi in cui la Corte di Strasburgo ha già censurato la violazione dell’art. 6 CEDU a fronte di affermazioni incriminanti contenute in sentenze non di condanna24. Certo, si è trattato prevalentemente di situazioni in cui l’imputato era stato assolto dai giudici nazionali in una fase processuale in cui non erano state ancora raccolte prove sufficienti a fondarne la penale responsabilità.
Tuttavia, bisogna chiedersi se non sia a fortiori arbitrariamente stigmatizzante, quindi lesiva della presunzione di innocenza, una sentenza che si spinga sino a comprovare in modo pieno la colpevolezza dell’imputato, benché legalmente vocata a proscioglierlo anziché a predicarne la responsabilità.
Su queste basi, ancor meno si comprende come un “non definitivamente condannato”, ergo un “presunto innocente” ai sensi dell’ordinamento, possa vedersi inflitta dal giudice penale, e proprio da lui, una misura pesantemente afflittiva come, ad es., la confisca dei terreni lottizzati25: una penalty che la C. eur. dir. uomo ha giustamente censurato come sproporzionata, ricadendo in gran parte su lotti non edificati.
In definitiva, ci sembra che l’applicazione di una confisca punitiva nel corso di un processo penale, in assenza del provvedimento che “istituzionalmente” cristallizza l’accertamento della responsabilità penale, leda, in spregio dell’art. 6, co. 2, CEDU, il diritto dell’imputato prosciolto a non vedersi “macchiato”, socialmente stigmatizzato, da una sanzione afflittiva, comunque qualificata.
Quando il potere del giudice penale di emettere una sentenza di condanna si sia esaurito per qualsiasi ragione, solo l’autorità amministrativa, ove previsto, potrebbe aver titolo ad applicare una sanzione punitiva. Questa del resto è anche la fisiologia dell’illecito punitivo-amministrativo come disciplinato dalla legge di sistema 24.11.1981, n. 689: l’applicazione da parte del giudice penale della sanzione prevista per un’infrazione amministrativa in caso di connessione obiettiva con un reato è subordinata alla pronuncia di una sentenza di condanna; in ipotesi di estinzione del reato, gli atti tornano all’autorità amministrativa (art. 24, co. 6; in materia di circolazione stradale, art. 221, co. 2, c.d.s.)26.
In definitiva, la confisca urbanistica senza condanna appare come l’ennesimo ibrido nostrano, differente dalla stessa actio in rem, escogitato per ovviare a endemiche carenze nella gestione del territorio e nella repressione degli abusi edilizi, anche per la loro agevole prescrittibilità. Nei fatti, il suo contenuto marcatamente afflittivo, e anzi seriamente sproporzionato27, mal si concilia con una sorta di paracondanna, e tantomeno consente di approdare a un equilibrato contemperamento tra diritti proprietari del reo e interessi della collettività.
È più opinabile se sia razionale/opportuno prevedere un regime maggiormente flessibile nel caso di tipologie ablatorie a prevalente contenuto ripristinatorio, come la confisca di proventi illeciti (prodotto, prezzo o profitto)28.
La nota osservazione del Manzini conserva una certa carica suggestiva: è «antigiuridico e immorale» che «il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro ch’egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso»29. E, in effetti, la confiscabilità dell’utilitas derivante da reato anche in caso di decorso del termine ordinario di prescrizione è tuttora caldeggiata e ritenuta legittima da un’autorevole corrente dottrinale30.
Ma sarebbe ragionevole una confisca in grado di operare indefinitamente nel tempo e senza cadenze, anche processuali, tassativamente prestabilite? Sarebbe lecito demandare tale soluzione interamente all’opera creativa della giurisprudenza? È vero che il «crimine non deve pagare»; ma spetterebbe al legislatore fissare le modalità della confisca in assenza di condemnatoria sententia, anche prevedendo un momento oltre il quale la potestà di intervento dello Stato si esaurisca. Preoccupazioni nient’affatto eccessive pure per una misura reattiva comminata per “riequilibrare” anziché per punire, trattandosi pur sempre di una forma di coercizione legale la cui gravosità è tanto più avvertita dal destinatario, quanto più l’irrogazione si allontani dal tempus commissi delicti.
Sotto questo profilo, la soluzione di compromesso escogitata de lege lata dalle Sezioni Unite con la sentenza “Lucci”, consistente nel differenziare le ripercussioni della prescrizione del reato sulla confisca, a seconda che si tratti di ablazione diretta ovvero di valore, si rivela precaria sul piano del rispetto dei principi di legalità penale e di eguaglianzaragionevolezza (art. 3 Cost.).
L’operazione ermeneutica è consistita, essenzialmente, nell’annettere all’espressione “condanna”, impiegata nell’art. 240 c.p. e nell’art. 322 ter c.p., un significato diverso (condanna sostanziale vs condanna formale) a seconda dell’oggetto dell’ablazione: il profitto o prezzo storico del reato, ovvero beni di valore equivalente nella disponibilità dell’imputato. Ma, a fronte del comune dato letterale, per giustificare tale divaricazione di senso, senza incorrere in un’arbitraria disparità di trattamento, occorreva diversificare, in modo plausibile, la ratio essendi delle due forme di confisca. Ebbene, gli esiti dello sforzo argomentativo delle Sezioni Unite non paiono al riguardo convincenti.
Secondo la Corte, le due modalità di ablazione si differenzierebbero dal punto di vista della natura giuridica: misura di sicurezza preventiva la confisca diretta; sanzione repressiva con connotati afflittivi quella per equivalente. Tuttavia, nel momento in cui si coglie giustamente una comune dimensione funzionale, l’asserita diversità rischia di ridursi a ingegnosa elargizione di etichette. E difatti il giudice di legittimità, allo stesso modo in cui ha colto un “connotato riparatorio” nella confisca-misura di sicurezza applicata sul prezzo (o profitto) del reato, ha intravisto nella parallela confisca di valore una funzione essenzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito.
Di talché, la “funzione di prevenzione” al fine assegnata alla confisca diretta ex art. 240 c.p. (o 322 ter prima parte) appare un espediente retorico utilizzato proprio per ammetterne l’operatività anche in assenza di sentenza definitiva di condanna. Quel presupposto che invece continua ad essere richiesto ai fini della confisca per equivalente.
Quanto questi sviluppi interpretativi siano stati condizionati dalla riconduzione dell’ablazione di somme di denaro nell’alveo della confisca diretta, è facilmente intuibile.
Note
1 Cfr. Panzarasa, M., Confisca senza condanna?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2010, 1691 ss.; Fiandanese, F., Le misure cautelari reali: principi generali, prassi giurisprudenziali, problematiche applicative. Confisca e necessità della condanna, in Incontro di formazione Corte di Cassazione, marzo 2012; Maugeri, A.M., Confisca (diritto penale), in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, 203 s.
2 In origine, la confisca de qua era per lo più disposta sulla base della mera materialità della condotta di lottizzazione abusiva: Cass. pen, sez. III, 12.11.1990, n. 16483; 7.7.2004, n. 37086. A seguito di C. eur. dir. uomo, Fondi srl ed altri c. Italia, 20.1.2009, § 116, la S.C., pur continuando a prescindere dalla pronuncia di condanna, ha cominciato ad esigere l’accertamento giudiziale del reato sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo: Cass. pen., sez. III, 30.4.2009, n. 21188; 4.2.2013, n. 10066.
3 Ad analoghi risultati la giurisprudenza è da tempo pervenuta in materia di contrabbando (art. 301, d.P.R. 23.1.1973,
n. 43), ammettendo la confisca anche in presenza di reato prescritto, purché sussista il rapporto tra res e fatto di contrabbando: ad es., Cass. pen., sez. III, 21.9.2007, n. 38724.
4 Cass. pen., S.U., 26.6.2015, n. 31617, Lucci; nello stesso senso, ad es., Cass. pen., sez. VI, 25.1.2013, n. 31957.
5 Poliformismo noto all’ermeneutica costituzionale sin dall’inizio degli anni sessanta: C. cost., 9.6.1961, n. 29.
6 Così, Manes, V., L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 1259 ss.
7 Di conseguenza, secondo la giurisprudenza, l’estinzione per prescrizione del reato edilizio travolge l’ordine di demolizione impartito dal giudice penale indipendentemente da un’espressa statuizione di revoca: Cass. pen., sez. III, 11.7.2000, n. 10982.
8 C. eur. dir. uomo, 29.10.2013, Varvara c. Italia, § 70. Al suo dictum aveva aderito Cass. pen., sez I, 20.2.2015, n. 7860. Contra, dopo C. cost., 26.3.2015, n. 49, Cass. pen., sez. III, 8.4.2015, n. 16803; 17.7.2015, n. 31239.
9 Cfr. Scoletta, M., La legalità penale nel sistema europeo dei diritti fondamentali, in Europa e diritto penale, a cura di C.E. Paliero e F. Viganò, Milano 2013, 273 ss.
10 Come notato criticamente da Pulitanò, D., Due approcci opposti sui rapporti fra Costituzione e CEDU in materia penale, in www.penalecontemporaneo.it, 22.6.2015, l’eccezione della Cassazione, diversamente da quella del giudice teramano, puntava a blindare in malam partem l’indirizzo “interventista” della giurisprudenza in materia.
11 Ricorsi, G.I.E.M. s.r.l. v. Italy, Hotel promotion Bureau s.r.l. and Rita Sarda s.r.l. v. Italy,e Falgest s.r.l. and Gironda v. Italy.
12 Cass. pen., sez. VI, 25.1.2013, n. 21192; 6.12.2012, n. 18799.
13 V., in particolare, Cass. pen., S.U., 25.3.1993, n. 5, Carlea; Cass. pen., S.U., 10.7.2008, n. 38834, De Maio, sia pure sollecitando il legislatore a estendere la pronunciabilità della confisca obbligatoria anche ai casi di estinzione del reato; Cass. pen., sez. I, 20.2.2015, n. 7860, aderendo a Varvara.
14 V., ad es., Cass. pen., sez. I, 25.9.2000, n. 5262.
15 Cass. pen., sez. II, 5.10.2011, n. 39756. Nel senso dell’esistenza di «sentenze che, pur non applicando una pena, comportano – in diverse forme e gradazioni – un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato, o comunque l’attribuzione del fatto all’imputato medesimo», v. anche C. cost., 4.4.2008, n. 85.
16 Cass. pen., S.U., n. 31617/2015.
17 Cass. pen., S.U., 30.1.2014, n. 10561.
18 Beccaria, C., Dei delitti e delle pene, 1764, § XVI.
19 Ferrajoli, L., Il paradigma garantista. Filosofia e critica del diritto penale, Napoli 2014, 171.
20 C. cost., 24.7.2009, n. 239.
21 Cfr., lucidamente, Viganò, F., Confisca urbanistica e prescrizione: a Strasburgo il re è nudo, in Dir. pen. cont., 2014, fasc. nn. 34, 277 ss.; Cass. pen., S.U., 28.5.2009, n. 35490.
22 Cfr. Tonini, P., Manuale di procedura penale, XV ed., Milano, 2014, 763 s.
23 Ferrajoli, L., Il paradigma garantista, cit., 132.
24 Come acutamente notato, cogliendo il nodo della presunzione di innocenza, da Manes, V., La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza, in www.penalecontemporaneo.it, 13.4.2015, 17 ss., che menziona tra le pronunce più recenti C. eur. dir. uomo, 15.1.2015, Cleve c. Germania. Per un’opposta lettura, Bignami, N., Le gemelle crescono in salute, in www.penalecontemporaneo.it, 30.3.2015, 9 ss.
25 Analogo discorso può farsi, a nostro avviso, per la confisca allargata ex art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306, sulla cui non applicabilità in caso di reato prescritto v., ad es., Cass. pen., sez. V, 24.2.2015, n. 25475.
26 Con l’estinzione del reato, infatti, «viene meno la ragione della “supplenza” del giudice penale rispetto all’autorità amministrativa», cioè «consentire un’unica decisione allorché vi sia un imprescindibile legame fra due illeciti contestati»: Perrone, A., L’illecito nella circolazione stradale, Torino, 2011, 76.
27 Il principio di proporzionalità delle pene ora è espressamente riconosciuto dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE: v. Sotis, C., Le “regole dell’incoerenza”. Pluralismo normativo e crisi postmoderna del diritto penale, Roma, 2012, 81 ss.; Manacorda, S., Diritto penale europeo, in Diritto on line Treccani, 2014, § 2.4.
28 Sulla natura preminentemente riequilibratrice della confisca del profitto (anche per equivalente), nonostante la componenente afflittiva insita nell’acquisizione coattiva al patrimonio dello Stato dei beni del destinatario, sia consentito il rinvio a Mongillo, V., Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, n. 2, 716 ss. Lucide considerazioni anche in Romano, M., Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, spec. 1683 ss.
29 Manzini, V., Trattato di diritto penale, III, Torino, 1982, 392. Contra Alessandri, A., Confisca nel diritto penale, in Dig. pen., III, Torino, 1989, 47.
30 Ad es., Maugeri, A.M., Confisca (diritto penale), cit., 203 s., rispetto a forme di confisca volte a sottrarre «l’ingiustificato arricchimento (prodotto, prezzo, profitto), una volta accertato il fatto tipico fonte».