di Giorgio Cella
L’annessione alla Federazione Russa della Crimea – firmata dal presidente russo Putin il 18 marzo 2014, in seguito alla rivoluzione di Maidan che ha portato alla caduta del governo ucraino filorusso di Janukovyč e al successivo conflitto tra l’esercito ucraino e le milizie filorusse nell’Ucraina sud-orientale – riflette l’importanza strategica di quell’area che per il Cremlino coincide col suo cosiddetto ‘Estero vicino’.
Con la fine del sistema bipolare e il conseguente disorientamento geopolitico, la Federazione Russa provò a ripristinare il proprio ruolo egemone sulle ceneri dell’Urss – anche in chiave di contrasto all’espansione a est dell’Alleanza Atlantica e dell’influenza geoeconomica dell’Unione Europea – in quella vasta area geografica un tempo parte dell’impero sovietico che va dall’Europa Orientale al Caucaso fino all’Asia Centrale, e che costituisce appunto l’’Estero vicino russo’ (termine coniato all’inizio degli anni Novanta dall’allora ministro degli esteri russo Andrey Kozyrev).
Da qui i tentativi di creazione di piattaforme politiche regionali che coinvolgevano varie repubbliche ex sovietiche che si trovavano anch’esse alla ricerca di un’identità geopolitica più chiara, alcune tendenti a un riavvicinamento verso Mosca, altre invece contrarie a nuovi progetti a guida russa e nettamente filo-occidentali. Prese così vita la confederazione della Comunità degli stati indipendenti (Csi) e l’alleanza militare intergovernativa dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto); entrambi i progetti, per tensioni interne ai paesi membri e per una mancanza di coesione e strategia di fondo, non riuscirono tuttavia a porsi come eredi legittimi dell’ex superpotenza sovietica. Più recenti spazi d’integrazione post-sovietica a guida russa sono invece la Shanghai Cooperation Organization (Sco), un’alleanza militare e politica per l’area centro-asiatica a guida russo-cinese fondata nel 2001, e l’Unione eurasiatica, uno spazio economico comune regionale a guida russa che è entrato in vigore il primo gennaio 2015.
Dal crollo del muro di Berlino in poi il ruolo di attore centrale della Federazione Russa nelle varie crisi geopolitiche dell’ex spazio sovietico, conferma la centralità dell’’Estero vicino’ nella sua azione estera: dalle due guerre cecene degli anni Novanta, al caso della Transnistria del 1992 come a quello del Kosovo del 1999, passando per la breve guerra russo-georgiana del 2008 con l’indipendenza de facto di Abkhazia e Ossezia meridionale, fino alla recente crisi ucraina con l’annessione della Crimea all’interno dei confini federali russi del 2014.
Nel complesso, il pensiero strategico russo sull’’Estero vicino’ non è esclusivamente legato all’instabilità regionale prodottasi nelle aree a ridosso dell’ex limes sovietico all’indomani della disgregazione dell’Urss, ma si configura altresì come una costante della politica estera russa e della sua proiezione imperiale nelle sue varie macro-fasi storiche: zarista, poi sovietica e oggi federale.
Una politica estera contraddistinta storicamente da un approccio di tipo territoriale - differente, per esempio, da quello di tipo anglosassone che mira a controllare territori geograficamente anche lontani dal suolo nazionale - che ha costruito il suo spazio imperiale attraverso la conquista militare di territori contigui ai fluttuanti confini statali russi.
L’annessione della Crimea del marzo 2014 costituisce un caso evidente della continuità secolare di questo approccio. Difatti, nel Diciottesimo secolo, all’interno della più ampia ‘questione d’Oriente’, sia la penisola crimeana, sia l’area dell’Ucraina orientale – nota in ambito politico ed accademico russo con la denominazione settecentesca di Novorossiya – furono entrambi territori conquistati sotto il regno di Caterina II durante l’espansione militare verso sud-ovest che aveva come obiettivo primario quello di aprirsi uno sbocco sul Mar Nero. All’interno delle varie aree d’azione nell’estero vicino, la cruciale base navale di Sebastopoli, si inquadra inoltre in una più ampia visione strategica russa per l’area Mar Nero-Mediterraneo, in cui la Federazione Russa ha installato una rete di strutture e basi militari attorno a quella più strategica di Sebastopoli.
Un altro elemento rilevante del pensiero russo sull’’Estero vicino’ è quello etnico-linguistico. In base a questo principio, che lo stesso Putin ha più volte ribadito, il Cremlino ha la responsabilità di proteggere tutti i russi che vivono al di fuori dei confini federali. Questa politica ha in effetti giocato un indubbio ruolo nell’azione russa verso la Crimea in risposta alla rivoluzione di Maidan; la penisola conta infatti una maggioranza del 58,5% di etnia russa. Questo orientamento, che alcuni osservatori hanno denominato la ‘dottrina Putin’, si configura come un’ulteriore e delicata elaborazione del concetto di ‘Estero vicino’.