La criminalità organizzata
La locuzione «criminalità organizzata» nasce dal bisogno di alcuni Paesi, e tra questi, Stati Uniti, Italia, Giappone, Cina, di definire le diverse organizzazioni criminali stabili e presenti nel loro territorio. La mafia, la camorra e la ’ndrangheta in Italia, cosa nostra negli Stati Uniti, la yakuza in Giappone, le triadi cinesi preesistevano a questa definizione e sono tra i nomi più conosciuti di tante organizzazioni criminali sparse nel mondo. Sono nate e si sono sviluppate in contesti e in periodi diversi, così come si stanno trasformando velocemente, sia in relazione alle opportunità che i mercati nazionali e internazionali offrono loro sia rispetto alle capacità della polizia e della magistratura di contrastarle. Il concetto di criminalità organizzata si sviluppa in opposizione a quello di criminalità comune, spesso di tipo individuale. È utile a definire quelle attività criminali che richiedono continuità nell’azione e organizzazione nella struttura di comando che prende le decisioni strategiche e operative. Al concetto si sono aggiunti nel tempo alcuni aggettivi utili a caratterizzare meglio il fenomeno: «tradizionale» e «nuova» per definire gruppi tradizionali o emergenti, oppure «transnazionale» per definirne le dimensioni. Altri ancora, come «seria» (Serious organised crime agency in Gran Bretagna) che distingue le grandi organizzazioni criminali più conosciute da quelle occasionali che hanno caratteristiche meno durature e più limitate nell’estensione. Con il progressivo organizzarsi di tutte le forme di criminalità, anche di quelle più semplici, come i furti di auto o le rapine, il concetto di «criminalità organizzata» è diventato un’etichetta ad ampio spettro, cioè sinonimo di tutte le forme organizzate e stabili di associazioni criminali che perseguono l’obiettivo dell’arricchimento. Indipendentemente dalle dimensioni e dai luoghi dove opera. Le attività sono le più diverse: da quelle tradizionali e illegali del traffico di droghe alle frodi informatiche, alla criminalità ambientale e alle diverse forme di infiltrazione nelle attività legittime, come gli appalti, con scopi di illegale arricchimento.
Il passaggio verso forme organizzate di criminalità sempre più evolute ha richiesto una revisione degli strumenti di contrasto che è avvenuta con grande rapidità tra gli anni Settanta del Novecento e il Duemila. In Italia, negli USA e in molti altri Paesi, in tre decenni c’è stato un veloce cambiamento delle legislazioni nazionali, delle procedure e delle attività di polizia. La convenzione ONU sulla criminalità organizzata transnazionale, aperta alla firma dei vari Paesi nel dicembre del 2000 a Palermo ed entrata in vigore nel 2003, è il culmine di questo processo di armonizzazione delle legislazioni europee e americane sviluppatosi in questo trentennio. È anche però il punto di partenza di un processo di consapevolizzazione sul problema della criminalità organizzata di tutti i Paesi del mondo, non solo di quelli ricchi e sviluppati. Proprio questa consapevolezza e l’allargamento conseguente a tutti i Paesi del mondo hanno richiesto una riflessione continua sul futuro del concetto, sulle caratteristiche del fenomeno e sui mezzi per contrastarlo. Il contributo della ricerca in questa direzione è stato essenziale. Nell’estendere il concetto di criminalità organizzata a tutti i Paesi del mondo la convenzione di Palermo ha mandato un segnale: il problema è di tutti insieme e richiede una rafforzata cooperazione internazionale per combatterlo. La risposta di alcuni Paesi, più lontani dal problema, è stata debole. Nella prima fase di firma e ratifica della convenzione alcuni Paesi hanno ritenuto che il problema criminalità organizzata fosse dei Paesi ricchi e quindi distante dalla loro esperienza. Poi a poco a poco la consapevolezza è cresciuta e le adesioni sono aumentate. Questa convenzione è oggi un termine di riferimento che descrive in dettaglio caratteristiche, attività e rimedi, e costituirà per molti anni ancora uno schema di riferimento per chi dovrà confrontarsi sul problema. Il fenomeno della criminalità organizzata cambia però continuamente. Cambiano le caratteristiche dei soggetti che ne fanno parte, cambiano le strutture organizzative, cambiano le attività. All’inizio del sec. 20° le organizzazioni criminali in USA erano state alimentate da soggetti che venivano dai Paesi poveri dell’Europa. I componenti delle famiglie criminali erano di bassa estrazione sociale e culturale. Dopo, sempre di più, la ricchezza acquisita, combinata con una maggiore istruzione, ha affrettato la mobilità sociale verso l’alto delle seconde e terze generazioni delle famiglie criminali. Un passaggio inevitabile in ogni scala sociale ma affrettato anche dalla necessità di immettere i proventi delle attività criminali nelle attività legittime e dal bisogno di legittimazione sociale che ha caratterizzato la mobilità ascendente dei nuovi ricchi. Le stesse strutture organizzative si sono andate a poco a poco trasformando. Dal modello rigido e gerarchico, come è stato raccontato dai pentiti in USA e in Italia, che ha caratterizzato il modello di cosa nostra in Sicilia e in USA per tutto il dopoguerra e fino alla metà degli anni Ottanta, si è passati a modelli organizzativi più flessibili, meno gerarchici, più simili a reti. È il risultato di un processo che è stato influenzato da due fattori: da una parte le opportunità offerte dai diversi mercati che richiedevano flessibilità organizzativa e dall’altra i mezzi sempre più efficaci delle diverse azioni di contrasto e, tra questi, i pentiti e gli infiltrati. Il ruolo dei pentiti costituisce la novità più importante della metà del 20° sec. che ha contribuito in modo rilevante alla trasformazione organizzativa delle organizzazioni criminali. Sono infatti proprio i pentiti a fornire agli investigatori le chiavi interpretative adatte a spostare l’azione di contrasto dalla cattura dei singoli membri allo smantellamento dell’organizzazione. Una interpretazione che ha trovato l’appoggio di un rinnovato e moderno sistema di norme, di procedure, di nuovi modelli di azione degli apparati investigativi. L’evoluzione di questi strumenti ha accompagnato l’evoluzione organizzativa e l’allargamento della sfera delle attività messe in essere dalle organizzazioni criminali. Sono proprio queste che cambiano velocemente inseguendo e trasformando vecchie e nuove opportunità. Il traffico di droghe diventa la prima attività di carattere transnazionale, collegando i Paesi della produzione delle sostanze, in genere sottosviluppati, con i Paesi della domanda, in genere sviluppati. Vecchie e nuove organizzazioni criminali entrano negli anni Settanta e Ottanta nei traffici di eroina e cocaina creando reti internazionali di raffinazione e traffico. I cartelli colombiani degli anni Novanta sono il riflesso organizzativo di questa attività che triangola il Sudamerica con il Nordamerica e l’Europa. Oggi il traffico di droga ha perso le caratteristiche oligopolistiche degli anni Novanta per frammentarsi in tante piccole e medie organizzazioni criminali che coltivano, raffinano, trafficano e vendono sostanze. Alcune di queste lo fanno su scala internazionale, altre su base bilaterale, attraverso le frontiere di due Paesi, altre su scala nazionale. Al traffico di droghe si sono andate aggiungendo altre attività come il traffico di esseri umani, il traffico di rifiuti, le frodi su larga scala. Tutte attività che hanno sfruttato due asimmetrie: le diverse condizioni sociali, economiche e politiche che hanno spinto masse sempre più grandi di popolazioni a lasciare il proprio Paese per andare in uno più attraente e quelle normative che hanno spinto le organizzazioni criminali a intercettare la domanda di evadere i costi imposti da quelle regolazioni economiche, amministrative, ambientali. Il caso dei rifiuti e dell’inquinamento sono alcuni esempi. Nel primo caso i traffici di persone, già esistenti all’inizio del sec. 20° dalla Cina agli Stati Uniti, si sono intensificati e hanno coinvolto direttamente l’Europa. La combinazione dei fattori di spinta, come la povertà delle regioni del Sud del mondo e l’attrazione da parte dei Paesi più ricchi, miscelata a norme sempre più restrittive sull’immigrazione legale hanno prodotto una crescente domanda di immigrazione illegale. È subentrata poi un’attività di mediazione da parte delle organizzazioni criminali che si sono offerte come brokers per intercettare la domanda nei Paesi poveri a muovere gli emigranti fino ai porti di partenza e a trasportarli nei Paesi di arrivo. E, in alcuni casi, a sfruttare questi emigrati nei mercati dello spaccio locale di droghe, della prostituzione, del lavoro nero, dell’accattonaggio. Nel secondo caso il traffico di armi per evadere le restrizioni imposte dalla normativa internazionale, di rifiuti tossici, di opere d’arte, di animali pregiati e di tutto ciò che subisce una restrizione normativa la cui violazione conferisce al prodotto un valore proprio perché illegale.
Insieme con questa attività «tradizionale» delle organizzazioni criminali a dimensione transnazionale si sono sviluppate altre forme più complesse che costituiscono una cerniera tra criminalità organizzata e criminalità economica. Si tratta delle frodi su scala internazionale come quelle al bilancio dell’Unione Europea, la corruzione internazionale e il riciclaggio. Quest’ultimo nasce proprio come fenomeno conseguente alle grandi ricchezze accumulate nei traffici di droghe. A metà degli anni Ottanta, infatti, proprio il governo americano e poi man mano altri organismi internazionali come l’OCSE e il Consiglio d’Europa e le Nazioni Unite, consapevoli che la finalità delle organizzazioni criminali è quella dell’arricchimento, hanno sviluppato una serie di controlli preventivi per rendere difficile la possibilità di utilizzare i proventi illeciti. A questi provvedimenti si aggiungeranno poi le normative di sequestro e confisca dei beni risultato dell’investimento criminale. Il quadro di riferimento è oggi molto diverso da quello di pochi decenni fa. Mai come in questi ultimi anni il problema della criminalità organizzata è stato legato alle trasformazioni economiche e sociali del mondo intero. La globalizzazione dei mercati insieme con la caduta dei muri tra Paesi di blocchi diversi ha aperto nuovi mercati sia legali sia criminali. Nei Paesi dell’Est dell’Europa, dopo i cambiamenti politici degli anni Novanta, alcune organizzazioni locali si sono trasformate in organizzazioni transnazionali, approfittando della debolezza dei sistemi giuridici e delle istituzioni di quei Paesi. Le stesse organizzazioni criminali italiane che decenni fa costituivano esempi da non imitare per ferocia e capacità di traffico oggi sono ritornate alle estorsioni come core business e mantengono i loro legami con una classe politica locale porosa alla corruzione, scambiando favori per voti. Ma sicuramente devono ragionare della loro sopravvivenza in un mondo criminale che si sta trasformando velocemente. La cerniera tra criminalità organizzata e criminalità economica si va rafforzando sempre di più e nel futuro le distinzioni tra le due forme di criminalità si assottiglieranno soprattutto nei Paesi ricchi. Nei Paesi poveri, invece, il sentiero migratorio sarà come è stato nel passato, cioè la cifra della criminalità organizzata transnazionale. A livello locale, invece, saranno proprio le debolezze istituzionali che favoriranno nuove attività e il reimpiego di popolazioni emarginate dai processi di sviluppo. Come nel caso della nuova pirateria marittima in Somalia. Pescatori che in presenza di acque inquinate e quindi nell’impossibilità di esercitare l’attività legale della pesca si sono riconvertiti alla pirateria facilitati dall’assenza del loro Paese e dell’azione di contrasto da parte della sua evanescente polizia.
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