La crisi del MAXXI. Solo colpa dell’euro?
Le difficoltà che accomunano gran parte dei musei di arte contemporanea sono una conseguenza della recessione, ma anche di una gestione poco coraggiosa e troppo sensibile alle pressioni politiche.
Il MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo) travolto dalle polemiche, prima per il commissariamento poi per la nomina della Melandri alla presidenza, il MADRE (Museo d’Arte contemporanea DonnaREgina) di Napoli prima quasi smantellato e poi in cerca di un nuovo direttore, il Riso di Palermo chiuso e poi riaperto, il Museo d’arte contemporanea di Rivoli con i vertici in scadenza: le perle del sistema del contemporaneo in Italia hanno attraversato nel 2012 una crisi profonda, che non si spiega solo con motivi economici. Certo questi ci sono, sono gravi e non si possono cancellare da un momento all’altro, ma l’impressione è che spesso siano anche usati come strumenti o pretesti per regolamenti di conti politici o personali e che finiscano per mettere in evidenza la debolezza complessiva di un sistema dell’arte contemporanea che ha visto nel nostro paese moltiplicarsi i musei non tanto come aziende culturali – dove celebrare il matrimonio tra iniziativa pubblica e sponsor, o meglio partner privati – quanto come ‘giocattoli’ del principe, inteso come assessore o politico di turno.
Il caso più eclatante è quello del MAXXI di Roma. Aperto nel 2010 dopo una gestazione di oltre dieci anni, firmato da un’archistar come Zaha Hadid, doveva essere il fiore all’occhiello del sistema museale italiano. Filiazione diretta del ministero per i Beni e le Attività culturali (MIBAC), sulla carta era uno dei pochi musei italiani a non avere preoccupazioni economiche.
E invece ad aprile del 2012 arriva la notizia che il ministero non intende coprire quello che definisce un ‘buco’ di bilancio di alcuni milioni di euro, il che impone al consiglio di amministrazione di rassegnare le dimissioni. Non senza polemiche perché, come spiegava il presidente Pio Baldi, non c’era alcun buco, semplicemente il ministero non aveva stanziato quanto promesso per cui diventava impossibile far quadrare i conti. Il ministro Lorenzo Ornaghi, non pago di aver agitato le acque con il commissariamento affidato ad Antonia Pasqua Recchia, il 18 ottobre annuncia che il nuovo presidente della Fondazione Maxxi sarà l’ex ministro per la cultura Giovanna Melandri. E si vive il paradosso di un governo tecnico che affida a un politico un ruolo tecnico.
Diversa ma non meno complessa la fotografia del MADRE di Napoli. Il museo nacque a metà degli anni Duemila per volontà dell’allora presidente della Regione Campania Antonio Bassolino. Con il cambio al vertice della regione nel 2010, per il museo e per il suo direttore Eduardo Cicelyn iniziano i problemi. Un lungo braccio di ferro giocato sul terreno dei servizi essenziali per il museo che le società legate alla regione erogano a intermittenza. Per dare al MADRE una struttura più solida nasce una fondazione e si avvia la procedura per sostituire il direttore, con il lancio di un bando che vede partecipare 32 candidati.
E per mettere a tacere le critiche la Fondazione nomina un comitato internazionale cui affida la scelta del nuovo direttore. Nel frattempo
però molti collezionisti e artisti che avevano dato al MADRE opere in comodato decidono di ritirarle e il risultato è, almeno per il momento, l’immagine di un museo che perde i pezzi.
Al Riso di Palermo, nato anch’esso per volontà di un politico, l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianfranco Miccichè, le lotte tra direzione e burocrazia regionale hanno portato allo stallo, a una momentanea chiusura per ristrutturazione, seguita da una riapertura con nuovo nome ed esito incerto, tanto più alla luce del prossimo cambio di amministrazione regionale.
In acque meno agitate anche se non felici vive il Museo d’arte contemporanea di Rivoli (Torino), che è stato il primo a nascere in Italia, nel 1984, per volontà anche qui di un politico, l’allora assessore alla cultura della regione, Giovanni Ferrero. Sotto la direzione di Ida Giannelli il museo ha conquistato ruolo e prestigio internazionali. Ma la sua debolezza strutturale, legata all’essere finanziato per l’80% dalla Regione Piemonte, ha finito per ridimensionare entrambi: dalla Champions League dell’arte contemporanea internazionale il museo è passato a giocare nel Campionato italiano. Dopo le dimissioni di Andrea Bellini, il mandato di Beatrice Merz scade a fine anno. L’assessore alla Cultura della Regione, Michele Coppola, un giorno dice che vuol fare un concorso e il giorno dopo che il nuovo e unico direttore dovrà dirigere anche la GAM di Torino. Nel frattempo a settembre è scaduto anche il consiglio di amministrazione e non si sa se Giovanni Minoli resterà alla presidenza oppure no (se restasse, essendo Minoli cugino della Melandri, i due maggiori musei d’arte contemporanea italiani diverrebbero quasi una questione di famiglia). Complessivamente, questi esempi fanno emergere il punto dolente: l’assenza di una vera politica nel campo dell’arte contemporanea nel nostro paese. E il dato strutturale che molti musei non dipendano dallo Stato ma dalle regioni o dai comuni non assolve le responsabilità di un ministero che da un lato latita e dall’altro prende decisioni discutibili.
Musei poco battaglieri
I musei d’arte contemporanea sono in crisi e a rischio chiusura. Ne sentiremo la mancanza? Se la risposta fosse sì, ditemi almeno un paio di iniziative imperdibili gestite da queste strutture. Se invece la risposta è, come io credo, no, vorrebbe dire che ha poco senso pompare altre risorse pubbliche per risolverne i problemi.
Pio Baldi, l’ex direttore del MAXXI, lamentava la mancanza di fondi. Meno, a mio avviso, la cronica carenza di idee. Nei due anni che il museo ha operato, non ci sono state mostre di architettura che sia valsa la pena vedere: e questo o perché dedicate a personaggi dell’altro secolo, o perché malamente importate o perché culturalmente ambigue (valga per tutti la mostra Re-cycle che confondeva il riciclo, che è un imperativo della società contemporanea, con il riuso a tutti i costi del patrimonio esistente che è il male dell’architettura in Italia). E mi sembra che delle mostre d’arte nessuna sia stata all’altezza di un museo che si occupa per statuto del 21° secolo. Il male di queste istituzioni? Subiscono – a livello di finanziamenti e di nomine – la pressione dei politici o peggio dei burocrati ministeriali i quali aborrono le scelte decise, preferiscono il consociativismo e non hanno idea di cosa sia l’arte contemporanea (si veda il padiglione di Vittorio Sgarbi alla Biennale di Venezia del 2011).
In Italia, in cui il collezionismo pubblico e privato non è paragonabile a quello di altri paesi e in cui non esiste la vivacità culturale del Nord Europa, i musei pubblici dovrebbero stare in prima linea, fare opera di scouting e promozione, essere battaglieri, se non altro perché non possono puntare su opere importanti che non abbiamo e che non ci possiamo permettere. Ma, ve lo figurate uno come Pio Baldi – e non è il peggiore – che va all’attacco? E allora chiudiamo? No, ma solo a condizione che chi dirige queste istituzioni sia competente, indipendente dalla burocrazia – anche a costo di scegliere direttori non italiani – e messo nella condizione di lavorare. Se no, sono soldi sprecati.
Luigi Prestinenza Puglisi