Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La cultura bizantina è caratterizzata dall’unione di tradizione classica e ideologia cristiana, sentite, specie dopo il VII secolo, non come antitetiche ma complementari. Della ricchissima produzione letteraria, storiografica e filosofica, in Occidente passa poco durante l’alto Medioevo, mentre a partire dall’XI secolo inizia una attività di scambi culturali e di traduzioni di testi greci in latino.
Giorgio di Gallipoli
Il lamento di Roma
Monologo giambico di Roma a Federico II
Da quando, misera, fui privata dell’impero e del potentissimo dominio, mandati via i Cesari tre volte felici, fui travolta da una spregevole anarchia, ché mi rovinano, sì, mi rovinano le lotte del senato e mi piegano sotto il giogo della tribolazione. Ohimè, che fare? Chi debbo diventare? Dove fuggire? Chi mi libererà dall’amara tirannia? Chi renderà splendida me ridotta nelle tenebre? Chi trasformerà in luce la mia oscurità? Non v’è nessuno, nera io divenni ed a me che prima brillavo di radiosi ornamenti furono recisi i riccioli fulgenti come l’oro. Cesari io i vantavo di avere, re e satrapi e ogni altra stragrande dignità per cui mi sottomettevano la cervice e il mio dominio si estendeva per tutto l’universo. Ma il principe potente e tre volte beato, Federico, Bagliore di fuoco, la meraviglia del mondo, il cui arco è di bronzo e il cui dardo è folgore che brucia da parte a parte i nemici – a lui Federico che ha il nome sfavillante e guida la gloria, servono la terra, il mare e la volta del cielo –, egli, vista la mia sfortuna, mi riadatterà l’antico potere e mi rinnovellerà nelle prosperità di un tempo. La sua voce e il fragore dei suoi carri e della sua armata, superiore ad ogni concezione e ad ogni parola, riecheggiano già per tutto l’universo
in Poeti bizantini di terra d’Otranto nel secolo XIII, a cura di M. Gigante, Napoli, Università degli Studi, 1979
A Bisanzio il quadro diacronico della produzione culturale si sovrappone senza troppe forzature a quello della storia statale, con una grande frattura che è rappresentata dalla lotta iconoclastica, che chiude la prima fase, quella della tarda-antichità e della prima età propriamente bizantina (quella che Sergej Sergeevic Averincev definisce “antico-bizantina”), caratterizzata dal classicismo giustinianeo e dalla creazione della grande poesia religiosa (un periodo particolarmente fecondo dal 527 al 641); all’iconoclasmo segue la rinascita dei secoli IX-XI (periodo che coincide con la dinastia macedone, dal 920 al 1057); sotto i Comneni, se si affievolisce la precedente vivacità intellettuale, cominciano però a intensificarsi i rapporti con l’Occidente e in particolare con Venezia. Dopo la rottura dell’impero latino (1204-1261), con la capitale trasferita a Nicea, si assiste all’ultima “rinascita” dei Paleologhi.
Città multiculturale, Bisanzio ha una civiltà letteraria e artistica in lingue diverse, non solo il greco, ma anche il copto, il siriaco, l’armeno, il georgiano, lo slavo ecclesiastico e anche il latino. Il periodo tardoantico è essenziale per comprendere gli sviluppi della cultura bizantina: è nei secoli V e VI, infatti, che il cristianesimo supera, sia pur faticosamente, la contrapposizione ideologica con l’ellenismo e assume modi espressivi, generi letterari e strutture dell’antica cultura classica. Si fondono così le due anime della cultura bizantina, che – al di là di ricorrenti quanto scontate condanne della cultura “esterna” (cioè antica e pagana) – è caratterizzata dalla peculiare unione della tradizione antica e di quella cristiana.
L’antico a Bisanzio infonde di sé tutta la cultura, sia quella letteraria che quella figurativa, venendo continuamente rivissuto: il classicismo e la varie rinascite non sono momenti di recupero dell’antichità in contrapposizione alla cultura cristiana, ma semmai di riacquisizione di conoscenze e di loro ridefinizione alla luce del cristianesimo. Da una parte con un atteggiamento di conservazione (del resto fondamentale per la trasmissione dei testi antichi in Occidente dopo il 1453), di studio e sistemazione che si manifesta nelle compilazioni erudite e nell’enciclopedismo, particolarmente fecondi di risultati nel X secolo.
La rinascita culturale d’età macedone, infatti, si costituisce soprattutto come recupero filologico ed erudito della tradizione antica, legata anche all’adozione della minuscola e alla traslitterazione (cioè il passaggio nei testi letterari dalla scrittura maiuscola alla minuscola, in cui si separano le parole e si usano i segni diacritici). Aspetti caratterizzanti di tale attività di recupero sono la scoperta dei codici antichi, nuove edizioni, enciclopedie – come la Suida e le opere dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito –, la copia e lo studio di manoscritti dei grandi classici (al X secolo appartiene anche il primo manoscritto completo di Omero con gli scolii), il costituirsi di circoli eruditi che praticano anche l’attività di copia (da uno di questi ha origine il celebre manoscritto dell’Antologia Palatina) e di lettura dei testi, attività di cui resta una preziosa testimonianza nella Biblioteca di Fozio. Il recupero del passato continua nei secoli seguenti con figure di grandi eruditi e filologi quali Michele Psello, Eustazio di Tessalonica (autore di due monumentali commenti ai poemi omerici), Giovanni Tzetzes, e il dottissimo monaco Massimo Planude (cui si deve fra l’altro la compilazione dell’Antologia Planudea, l’altra fonte principale per gli epigrammi antichi), Demetrio Triclinio (ottimo conoscitore della metrica lirica antica e della tragedia euripidea). Ma dall’altra parte la cultura classica a Bisanzio è rivissuta con un atteggiamento di imitazione agonale (la mimesi dell’antico è la chiave per comprendere tutta la letteratura bizantina in lingua alta), e di massiccio e codificato uso delle strutture retoriche. A livello espressivo si codifica nell’uso di una lingua elevata, l’attico, per la letteratura alta, e di vari livelli linguistici per le altre forme di letteratura e di espressione. Più che di diglossia, dunque, occorre parlare per la civiltà letteraria bizantina di vari livelli di lingua e di stile, legati anche ai generi letterari.
Le caratteristiche sopra delineate si ritrovano nei generi praticati nella letteratura bizantina, in primo luogo la poesia in lingua e metri classici (l’epica storico-encomiastica, la poesia mitologica, l’epigramma), e quella religiosa (l’innografia è forse la creazione culturale più alta di Bisanzio). E poi la ricchissima produzione in prosa: la letteratura teologica, dottrinaria, ascetica e agiografica; la prosa retorica e storiografica.
La storiografia a Bisanzio, ad esempio, presenta una continuità pressoché ininterrotta e caratteristiche di fondo permanenti, come l’imitazione dei modelli antichi, specie di Tucidide (storico della guerra del Peloponneso), la presenza della retorica, l’esposizione basata sulla consequenzialità delle azioni. I nomi più importanti sono, per l’età di Giustiniano, Procopio di Cesarea, storico ufficiale ma anche critico feroce dell’imperatore, e Agazia che ne continuerà l’opera; per il periodo del VI-VII secolo va ricordato almeno Teofilatto Simocatta, mentre in seguito abbiamo molti cronachisti, fra cui spicca per qualità Michele Psello (autore della Cronografia che abbraccia gli anni 976-1077). Il periodo comneno è conosciuto attraverso Anna Comnena, autrice di un poema epico sul padre, l’Alessiade, che è fonte storica di primaria importanza, continuata fra gli altri da Niceta Coniate, autore di una storia biografica di alto livello stilistico e interpretativo, che abbraccia gli anni 1118-1206; il regno di Nicea è descritto da Giorgio Acropolite, mentre per l’età dei Paleologhi va ricordato almeno Niceforo Gregora. E anche la cronachistica ha una sua ininterrotta tradizione che va da Giovanni Malalas (rivive la storia pagana in funzione della Rivelazione), a Giovanni Scilitze, a Giovanni Zonara.
Va anche ricordata, per quanto minoritaria, la produzione satirica e di prosa tecnico-scientifica (scritti di matematica, medicina, astronomia).
L’immensa produzione agiografica riprende schemi retorici e modelli già elaborati dalla patristica, adattandoli ai destinatari con vari livelli di stile. Il diffondersi di un’agiografia eccessivamente “bassa” e popolare porta alla riscrittura, in età macedone, di Simeone il Metafraste, che rielabora un Menologio (vite dei santi disposte secondo il calendario) in un greco di elegante livello medio. L’agiografia, per il suo valore edificante, era un genere che incontrava il favore del pubblico popolare e di quello colto.
Quanto contassero le esigenze dei destinatari è mostrato nel XII secolo dalla ripresa colta del romanzo erotico, in giambi (Teodoro Prodromo: Rodante e Dosicle; Costantino Manasse; Niceta Eugeniano: Drosilla e Caricle), e in prosa (Eumazio Macrembolita: Ismene e Ismenio, ispirato ad Achille Tazio), secondo i modelli antichi. Successivamente all’influsso delle mode occidentali sull’aristocrazia bizantina si deve l’elaborazione di romances cavallereschi in vernacolo, alcuni dei quali hanno chiaramente alla base dei modelli occidentali, come il Florio e Plaziaflora e l’Imberio e Margarona.
La fusione di cristianesimo e cultura antica è la cifra dominante anche della filosofia bizantina. Nel periodo protobizantino vi sono personalità di grande rilievo del neoplatonismo cristiano, come lo Pseudo Dionigi l’Areopagita, teologi favorevoli al culto delle immagini come Giovanni Damasceno. Ma specie a partire dalla rinascita macedone (in cui si copiano manoscritti dei filosofi platonici) si sviluppa un dibattito fra i sostenitori della filosofia neoplatonica e quelli dell’aristotelismo. Il neoplatonismo di Michele Psello prepara anche la strada al recupero di Aristotele – aristotelici saranno più tardi figure di spicco come Niceforo Cumno e Teodoro Metochite nel XIV secolo. L’ultimo momento di fioritura della filosofia a Bisanzio si avrà con la scuola neoplatonica di Giorgio Gemisto Pletone nel XV secolo.
La storia dei rapporti fra Bisanzio e l’Occidente è innanzitutto quella di una perdita, avvertita sempre come dolorosa rottura di un’unità da parte bizantina, e di fasi di chiusura (dovuti anche alla questione religiosa) che si alternano a fasi di collaborazione e di rapporti più intensi: l’iconoclasmo (condanna del culto delle immagini sacre) costituisce uno dei periodi di maggior allontanamento, mentre a partire dall’età comnena i rapporti fra i due mondi cominciano progressivamente a intensificarsi e gli scambi intellettuali a divenire costanti.
L’impero di Giustiniano è ancora un impero bilingue e ci sono nel VI secolo scrittori latini che operano a Costantinopoli, come il grammatico Prisciano, autore delle Institutiones grammaticae ma anche di un panegirico in versi per Anastasio I; o Corippo, autore di un poema epico in onore del generale Giovanni Troglita (che condusse la guerra contro i Mauri nel 546-548) e di un panegirico per Giustino II. Anche la circolazione libraria attesta la presenza di codici latini nella capitale.
In Italia nell’alto Medioevo si assiste alla perdita dell’unità culturale e linguistica greco-latina che aveva caratterizzato il mondo romano e, nonostante Ravenna, il greco già all’epoca di Gregorio Magno comincia a perdersi, tranne che a Roma, dove nel VII e VIII secolo si ricostituisce un milieu culturale ellenico, grazie soprattutto alla presenza di monaci greco-orientali, fuorisciti da Bisanzio per via dell’iconoclasmo. Vari sono i papi di origine greca o italo-greca. Tale attività culturale si caratterizza per l’elaborazione di opere agiografiche in greco, per le traduzioni di scritti ufficiali della Chiesa, o di scritti agiografici, fra le quali quella dei Dialogi di Gregorio da parte di papa Zaccaria, per la circolazione di libri in greco, che favorisce nel IX secolo l’intensa attività di traduttore di Anastasio Bibliotecario.
Nella seconda metà del IX secolo e poi nel X la configurazione culturale greco-latina di Roma si affievolisce, mentre la presenza della cultura greca si fa ancora più decisa e consapevole nel Mezzogiorno, specie in Sicilia, dove si assiste anche a una ricca produzione letteraria; dopo la conquista araba tale cultura si sposta in Calabria, dove si distingue per impulso culturale e produzione libraria il monastero di San Nilo di Rossano, irradiatore di libri fino a Grottaferrata (libri liturgici e religiosi, ma anche scientifici e tecnici). Nel resto dell’Occidente nei secoli dal VII all’XI la conoscenza del greco, benché assai testimoniata e benché perduri una generica ammirazione per l’antica sapientia greca, è sostanzialmente limitata a pochi e incerti elementi linguistici, a scritture bilingui, a strumenti lessico-grafici elementari. Né la riscoperta e la copia in età carolingia dei lessici bilingui tardoantichi o degli Hermeneumata (manuali di primo livello) migliora le cose, come dimostra anche il fatto che le parole greche in genere sono conosciute attraverso traslitterazioni latine nei codici: il greco rimane come “messaggio simbolico, segno sacrale, distintivo o decorativo, vocabolo formulare, stereotipo dotto, citazione ricercata, reminiscenza oscura, persino ‘civetteria’” (Cavallo).
Va fatta menzione, per l’importanza simbolica e poi religiosa, della presenza in Francia di un manoscritto dello Pseudo Dionigi l’Areopagita (il Par. gr. 437) donato nell’827 dagli imperatori bizantini Michele II e Teofilo a Ludovico il Pio; ed eccezionale è alla corte di Carlo il Calvo l’attività di Giovanni Scoto Eriugena, traduttore dello Pseudo Dionigi e degli scritti teologici di Gregorio di Nissa e di Massimo Confessore. Alla diversità di comportamenti (e dunque di conoscenze) fra Italia centromeridionale e il resto dell’Occidente latino nell’alto Medioevo contribuiscono certo i contrasti dottrinali (il primo vero strappo si consuma nel IX secolo con lo scisma di Fozio, legato alla questione del Filioque (863); e poi si verifica lo scisma del 1054, non più ricomposto, nonostante i tentativi conciliari), ma anche una generale diffidenza verso i greci, che appare anche in dotti che ben conoscevano la corte costantinopolitana come il vescovo Liutprando di Cremona.
Del resto da parte bizantina si registra una analoga diffidenza verso i latini, che comincia fin dall’età tardoantica (dove ha una più precisa connotazione linguistica: il latino era appreso per scopi pratici e solo la letteratura patristica conosce una intensa attività di traduzione). Dopo la ricca produzione nella Roma dell’alto Medioevo solo nel XII secolo ricomincia il dialogo. Nell’età comnena figure come Burgundio da Pisa, Leone il Toscano e Ugo Eteriano agiscono da mediatori culturali per i rapporti della corte con i regni occidentali e con la Chiesa di Roma. Da questo momento comincia una intensa attività di traduzione di testi greci in latino e viceversa. In Occidente spicca l’opera di Guglielmo di Moerbeke, visitatore della Grecia e abile traduttore di testi. Sotto i Paleologi si affronta a più riprese il problema del rapporto con la Chiesa di Roma e la filosofia occidentale, anche in vista di un’alleanza con l’Occidente in funzione antiturca: nella prima età paleologa (1261-1341) spicca la figura di Massimo Planude, cui si devono traduzioni da Agostino, Boezio, ma anche da autori della letteratura latina classica, fra i quali Ovidio. Sostenitore del tomismo e della riunificazione delle Chiese sarà Demetrio Cidone, uno dei primi mediatori del greco in Occidente.
Un aspetto degno di nota è costituito dalla tradizione culturale greca in Italia meridionale; verso il 1160 in Sicilia l’arcidiano di Catania Enrico Aristippo promuove traduzioni di Platone e autori scientifici. La cultura greca nell’Italia meridionale conosce nuova fioritura nel XIII secolo: si copiano testi dei grandi autori classici (soprattutto nel monastero di San Nicola di Casole) e si pratica anche la letteratura, come mostra un notevole gruppo di poeti, le cui poesie sono conservate nel Laur. 5.10 (Giovanni Grasso, Nettario, Nicola di Otranto, Giorgio di Gallipoli, Eugenio di Palermo e Ruggero di Otranto). Poeti dotti che compongono versi sacri e profani vigorosi e appassionati, alcuni legati all’attualità politica, come nel caso della vigorosa prosopopea di Roma a Federico II, opera del ghibellino Giorgio di Gallipoli.